Capitolo 36

Così ci separammo senz'esserci capiti.
Ma non è facile capirsi a questo mondo.
(J.W.V. Goethe - I dolori del giovane Werther)

Lothar era rimasto dentro quella stalla per qualche minuto: impalato, immobile a causa della reazione di Silas. Cominciava a pensare che forse ci teneva davvero a lui, che Silas non era un bugiardo e che non era solo un gioco. Inconsciamente non sapeva perché avesse reagito così. Prima quella sfuriata di gelosia e poi quel bacio, come se volesse marchiare un qualche territorio. Lothar lo avrebbe voluto inseguire, ma quel distacco era stato troppo brusco; era un istintivo, il classico ragazzo dalle reazioni di pancia, ma aveva ampiamente compreso che quelli non erano comportamenti giusti, almeno non nei confronti di Silas: oh, lui avrebbe reagito solo malamente in quel modo. Non sapeva se fosse stato per il bacio, o per quello che aveva detto riguardo Helen, ma in fondo era vero: suo padre stava cercando di farlo fidanzare con un buon partito, di introdurlo nella gioventù hitleriana e di farlo così diventare, un uomo utile alla missione della Germania. Ma Lothar non voleva niente di tutto ciò, voleva Silas. Come avrebbe potuto vivere con quella consapevolezza? Si fece forza, mandò giù il boccone amaro e uscì dal maneggio. Diretto verso casa e consapevole che, una volta per tutte, avrebbe dovuto dimenticare Silas, si convinse del fatto che forse sarebbe riuscito anche a voler bene a Helen.

Quando arrivò a casa, però, trovò un'altra delle imboscate di suo padre: aveva organizzato un pranzo a casa loro, con i genitori di Helen e lei presente, che se ne stava lì e sorrideva; sorrideva sempre.

"Che cos'ha da sorridere sempre?" si domandò tra sé e sé. Era abituato con Silas che palesava le sue emozioni più svariate: dagli sguardi preoccupati alle espressioni tristi, fino a quei sorrisi sinceri che di tanto in tanto gli rivolgeva, specie dopo una delle loro piccole battaglie, come a dirgli che ce l'avevano fatta; tuttavia Helen sembrava una di quelle ragazze alle quali era stato insegnato sin dalla nascita come compiacere gli uomini. Doveva essere taciturna, quindi, e parlare solo quando interpellata; cosa più importante, doveva sorridere sempre. A detta di Lothar, quella sembrava quasi una paresi.

«Salve, Lothar...» lo salutò avvicinandosi a lui.

«Non sapevo niente riguardo questo pranzo, mi dispiace essere arrivato in ritardo.»

«Non ti preoccupare, abbiamo aspettato te per mangiare; solo per trenta minuti.»

Pensandoci, Silas lo avrebbe quasi linciato se gli avesse fatto aspettare per mangiare, specie se si trattava di dolci. Gli venne da ridere, ma dovette cercare di darsi un contegno. «Allora, non aspettiamo oltre e cominciamo a mangiare» fece, certo che quel pranzo gli sarebbe andato di traverso.

Silas, rientrato a casa, salutò suo padre e sua figlia: un solo piccolo cenno, poi una carezza. Ludwig seguì i suoi movimenti con la cosa dell'occhio, immaginando che qualcosa non andasse; tuttavia lo lasciò tranquillo. Se avesse bisogno di aiuto, lo avrebbe chiesto. Pensò che, probabilmente, aveva avuto qualche problema con Lothar: cosa molto frequente negli ultimi tempi; su quello non avrebbe potuto fare niente.


«Agnes, ti devo parlare.»

Venne così distratta da Silas: era seduta sul divano a riposarsi, un po' stanca a causa della gravidanza. «Sono qui!» gli rispose.

Silas, si avviò verso il divano dove lei lo stava aspettando. Era del tutto convinto a volersi dedicare solo al loro movimento d'opposizione. Ferito ancora una volta, non aveva più intenzione di essere scalfito nell'animo: avrebbe accantonato il pensiero di Lothar, si sarebbe concentrato sul loro lavoro. Si sedette di fronte a lei e gli sorrise appena con fare tirato. «Eccomi!»

Non le sembrò il momento adatto di chiedergli che cosa avesse, o di indagare sul perché fosse tanto scosso: Agnes avrebbe ascoltato prima quanto aveva da dire.

«Ho letto gli articoli che Lothar ha scritto per il nostro piccolo giornale di rivolta, di opposizione al partito. Ho pensato a lungo su come potergli dare vita, ma volevo confrontarmi prima con te.»

«Ti ascolto, gli articoli ti sembrano buoni?»

«Sì. Non pensavo fosse così votato alla causa, certo sono convinto che sostenesse i nostri stessi ideali, ma non pensavo ne fosse così coinvolto e attaccato.»

«Mi sembra che sia stato il primo ad aderire alla tua causa o sbaglio?»

«Sì. Un giorno, nel seminterrato della scuola, tramite dei codici segreti, c'eravamo dati appuntamento noi tutti studenti, per parlare di come la piega che stava prendendo il partito Nazionalsocialista non ci piacesse affatto. Sai come sono fatto, no? Questi discorsi mi infervorano, ho cominciato a parlare di come li avrei voluti contrastare, di quello che per me significasse la libertà e di come sarebbe bello se il mondo fosse libero e senza pregiudizi. Magari sono un pazzo utopico, ma quando Lothar si avvicinò a me dicendomi che voleva seguirmi, perché credeva fortemente in quello che dicevo io, perché io ero la sua voce... non ho pensato di porgli altre domande. Mi ha fatto sentire meno utopico, condiviso. Finalmente potevo condividere con qualcuno il mio ideale di paese e di umanità.»

Riportare alla mente quei discorsi non gli stava facendo affatto bene, sentiva la gola stringersi, tratteneva le lacrime e le emozioni. Era fatto così, abituato a tenere dentro tutto il suo dolore senza condividerlo con gli altri, come se si sentisse un peso.

«Sembra quasi un romanzo» gli rispose Agnes, affascinata da quella storia.

«A ogni modo, gli articoli mi sono piaciuti» tagliò corto. «Come ho detto, li ho trovati adatti e pieni di sentimento, cosa che oggigiorno serve veramente. Sto cercando di pensare alla modalità riguardo a come farli uscire, a come stamparli. Inoltre credo che ci servano più volantini. Gli ultimi che abbiamo fatto a Monaco hanno portato a noi ben due persone che si sono uniti alla causa. Ma non ci bastano. Se vogliamo fare qualcosa di veramente concreto, dovremmo essere più numerosi.» Aveva del tutto ignorato la dolce frase di Agnes, per riportare la mente al discorso originario, decisosi a concentrarsi e a non perdersi più in chiacchiere.

«Un passo alla volta, Silas, dimmi prima cosa hai pensato riguardo agli articoli.»

«Ogni libertà di stampa è stata repressa anni fa, questo lo sappiamo bene tutti, quindi un giornale intero, anche se di poche pagine, lo scoprirebbero subito e risalirebbero facilmente a noi. È già successo, purtroppo. Pensavo di stampare un articolo alla volta, di fare come abbiamo fatto a Monaco: correre il rischio tra le strade, e di infilare questi fogli, piegati in quattro, tra i piccoli spiragli di porte e finestre. Di certo Berlino è più grande e insidiosa, per questo dico che ci servirebbero altre persone, perché così si riuscirebbe a coprire tutto il territorio della città e non solo piccole zone, sarebbe più facile per loro trovarci.»

«E come la troviamo altra gente? È già stato difficile mettere su il nostro gruppo, non possiamo di certo bussare alle porte delle persone e chiedere se vogliono unirsi a noi. Con questo non voglio dirti che sia impossibile, ma che ci vuole tempo, occorre tempo.»

«So che esistono altri piccoli gruppi come noi. Me lo ha detto mio padre, molti li hanno smantellati senza troppi problemi, noi siamo dei privilegiati se ci pensi.» Era chiaro che si riferisse alla sua copertura, all'aiuto che suo padre e Nail gli davano con le loro dritte, e soprattutto ai messaggi e posizioni dei vari pattugliamenti che Nail riportava.

«Vuoi trovare i rimanenti dei gruppi, o stanare altri piccoli gruppi nascenti e accorparli?»

«É un'idea. Il nostro piccolo gruppo è come se fosse una famiglia per tutti noi, qualora trovassimo qualcuno che condividesse la nostra causa, vorrà dire che saremo due famiglie. Le mie scelte sarebbero limitate, ne sono consapevole, ma niente mi impedisce di esplicare le mie scelte e di far capire che la mia idee potrebbe essere la soluzione migliore; e lo stesso farei io se proponessero qualcosa a me. Non cambierebbe niente, almeno tra noi, vi esporrei sempre quello che suggerirebbero a me, e non farei niente senza il consenso di tutti.»

«Un'azione ambiziosa quanto complessa...» Agnes era dubbiosa, ma Silas era contagioso nelle sue idee. Sembrava averci pensato da giorni, tutti i tasselli combaciavano perfettamente.

«Purtroppo, con l'azione al forte abbiamo perso molti dei nostri amati elementi. Ci hanno decimato. Se non avessero ucciso nessuno, a quest'ora saremo potuti essere una squadra numerosa e forte; ma non è stato così, forse sono stato io l'ingenuo a pensarlo.»

«Silas, è il peso di tutti coloro che guidano una battaglia. Credi che Alessandro Magno non piangesse le perdite dei suoi uomini?»

«Fu anche additato come Despota, però.»

«Quella è la paura degli uomini. Troppo stanchi, troppo intimoriti, l'accecante paura delle morte. Tutti avevano condiviso la sua ambizione, tutti volevano far parte delle sue gesta. Il tuo, Silas, è un pensiero nobile, tu ti muovi per salvare le persone, non per costruire un impero. Chi segue te, o noi, lo fa perché vuole assaporare lo stesso profumo di libertà. C'è chi avrà paura, forse qualcuno ci tradirà anche nella peggiore delle ipotesi; ma niente, fino alla morte, niente ci fermerà dal perseguire il nostro scopo. È lo scopo che ci salverà, è quello che perseguiamo che ci rende liberi.»

Le parole di Agnes lo rincuorarono, non era sparito il suo senso di colpa, ma almeno aveva un fardello condiviso, qualcuno che non lo avrebbe detestato per ciò che aveva fatto.

«Sai, Agnes, a volte sono proprio felice che tu abbia chiesto aiuto a me, così come io sono felice di averti ospitato. Mi sento solo, e tu sei come una sorella per me, la sorella che non ho mai avuto.»

Agnes, venne colta dalla commozione. Non pianse, né mostrò alcun cenno di lacrime, ma sentì il suo cuore sciogliersi e percepì tutto il dolore e l'immensa solitudine che, quel ragazzo davanti a lei aveva potuto provare: Silas aveva un cuore grande, ormai ne era più che certa. Avvicinò una mano al volto e glielo accarezzò.

Silas rimase colpito da quel gesto: nessuno lo aveva toccato così dolcemente, meno che mai così carico di affetto.

Sapeva che suo padre gli voleva bene, glielo dimostrava con ogni mezzo, ma era un uomo non molto affettuoso. Sapeva, inoltre, che era stato preoccupato negli ultimi tempi, ma se ricordava qualcosa di dolce nella sua infanzia, qualcosa a cui ancorarsi per la sua salvezza, lo doveva solo a lui.

Era evidente che a Silas mancasse dell'affetto femminile, qualcosa che sostituisse l'assenza materna, e Agnes, colma di così tanta dolcezza, lo fece sentire al sicuro. Era lei la donna che lo avrebbe salvato, la sorella, la compagna di rivolta, che non aveva mai avuto. Il loro era un legame profondo, un affetto incondizionato.

«Probabilmente dovremmo essere pronti anche a pensare al peggio, a pensare di sabotare o sovvertire lo stato, ecco perché dobbiamo essere numerosi.»

«Stai parlando di un attentato?» domandò Agnes sconvolta.

«È quello a cui ho pensato, e so che è difficile. Ne sono consapevole. Forse è un pensiero disperato, ma potremmo non avere altre scelte.»

"Dov'è Lothar quando lo deve far ragionare? Sono certa che a me non ascolterebbe" pensò Agnes tra sé e sé.

Ludwig, che li aveva sentiti parlare, si intromise nel discorso: «È un'operazione folle quanto pericolosa. Ammesso e non concesso che ci riusciate, Hitler potrebbe essere sostituito da qualcuno come Himler, Göring, o altri vicini a lui. Questo nuovo eletto, emanerebbe subito un ordine: quello di cercarvi, trovarvi e fucilarvi. Quindi il vostro lavoro non porterebbe a niente.»

«Ma altri, prima di noi, hanno tentato» rispose Silas.

«Un errore che non si deve fare mai in battaglia è pensare che tu sia meglio degli altri. Mai. Anche se lo sei, o semplicemente credi di esserlo, non devi pensarlo lo stesso. Scaccia subito, immediatamente, quel pensiero dalla testa, perché questo ti porterà automaticamente alla disfatta.»

Silas tacque per qualche secondo, riflettendo su quanto aveva appena detto suo padre.

«Forse hai ragione. No, non forse, hai ragione. Probabilmente sono mosso dal fatto che mi sento inerme.»

«Devi solo riflettere più lucidamente, in base ai vostri discorsi precedenti, protrarre la vostra causa nel tempo, in primo luogo potrebbe mantenervi in vita e poi, potrebbe portare più gente alla vostra causa.»

«Ci rifletterò, devo comunque esporre le mie idee a tutti, sia riguardo gli articoli singoli, sia riguardo il volantinaggio. Vedremo stasera, se riusciremo a concludere qualcosa.»

«Ricorda, l'unica cosa che devi fare è pensare freddamente e lucidamente con razionalità, come hai fatto prima per gli articoli. Devi pensare alla tua sopravvivenza e alle altre vite di cui sei responsabile. Spesso non tutto va secondo i piani, pertanto crea sempre un piano B, o sii pronto a ogni evenienza. Colui che guida un gruppo di persone deve essere lucido, razionale e freddo, tutta la responsabilità, le loro vite è sulle tue spalle. Se non sei certo di farcela, abbandona la causa, nessuno sa niente e nella migliore delle ipotesi sopravvivrete, oppure armati con tutto il coraggio che possiedi e non volerti mai indietro.»

Il pranzo era stata un'inutile cerimonia noiosa, una rutine dalla quale avrebbe voluto fuggire. Si erano susseguite le domande che più detestava e, come se non bastasse, suo padre aveva rincarato la dose, confermando quanto avevano detto i genitori di Helen e complimentandosi. Poi c'erano state le lodi verso Helen: quanto era brava a cucinare, a rammendare e tutto il resto; come se a lui importasse qualcosa. In quel momento gli tornò in mente il suo cappotto, quello lacerato dalla pugnalata che Bruno gli aveva sferrato. Gli dispiaceva, era il suo cappotto buono e poi era stato un regalo di sua madre, uno dei primi subito dopo diventati benestanti o quelli che, con molto disprezzo, chiamavano i nuovi ricchi.

Si era alzato da tavola, congedandosi appena finito il pasto: aveva decisamente bisogno d'aria, respirare a pieni polmoni, sottraendosi da tutta quella pagliacciata. Seduto su una panchina in ferro battuto che avevano posizionato nel giardinetto esterno, si accese una sigaretta. Chiuse gli occhi, pensò: "Che bello il silenzio" e venne interrotto da un:

«Posso sedermi?»

Si limitò a fare un cenno con la testa. "Deve essere una maledetta congiura. Non sono più libero neanche di fumare in pace...": i pensieri si accavallavano nella sua mente, era frustrato e non vedeva l'ora di correre al Dorian Gray. Non sapeva se avrebbe rivisto Silas o meno, ma almeno lì, avrebbe potuto esprimersi liberamente, lontano da tutta la falsità che albergava nella sua casa.

«Tua madre cucina molto bene...» Helen cercò di intavolare un discorso, qualcosa per rompere il ghiaccio. Quelle poche volte che aveva parlato con Lothar, aveva capito che era diverso da tutti gli altri: era gentile, ma anche molto introverso.

«Credo di mangiare i suoi pasti da diciassette anni circa, immagino di sapere che cucini bene, anche se devo dirti che all'inizio i nostri pasti non erano così ricchi. I primi tempi andavamo avanti con zuppe per settimane.»

«Tuo padre mi ha raccontato la vostra storia, dall'inizio alla fine.»

«Benissimo, allora ci ha sottratto anche l'unica cosa di cui potevamo parlare» ammise Lothar con sarcasmo. Era davvero molto irritato, perdeva tempo lì con lei, quando invece sarebbe dovuto andare altrove. Non odiava, né disprezzava quella ragazza, anzi: la trovava anche molto a modo e dolce, sebbene quell'orribile vizio di sorridere sempre lo infastidisse. Tutto gli sembrava ingiusto, per lui e per lei.

«Oh, non è vero, possiamo parlare di molte cose!» Lei, sembrò mostrare entusiasmo.

«Del tipo?»

«Qual è il tuo colore preferito?»

«Non credo di averne uno, forse non ci ho neanche mai pensato.» Non era vero: gli sembrava solo una domanda intima.

«Qual é il tuo libro preferito?»

Gli sembrò un'altra domanda intima, una di quelle da cui le persone potevano capire tutto di chi avevano di fronte, ma alla fine sospirò e si decise a rispondere: «I dolori del giovane Werther»

«Non è un libro molto allegro...» quasi s'imbrunì lei.

«Dipende da che punto lo analizzi, se ne prendi il finale è ovvio che non lo sia, ma se contestualizzi tutto... anche la stessa passione di Werther...» Si fermò, senza comprendere perché in quel momento gli era tornato in mente Silas; così cercò di porre a lei la stessa domanda: «E il tuo libro preferito?»

«Da bambina avevo letto i fratelli Grimm, qualche poesia tedesca, poi ho provato a leggere qualche romanzo inglese, ma a mio padre non piacque molto l'idea così non sono andata oltre. Adesso mi fanno leggere solo le cose attinenti al partito e il libri che reputano corretti.»

«E che cosa pensi del partito?» Domandò Lothar.

«Non ho un'opinione a riguardo, non mi è dato avere un'opinione a riguardo. So solo che devo essere fedele al partito come tedesca. Non penso di far niente di male, né di infrangere le regole, mi affido a chi ne sa più di me.»

"Povera fragile ragazza", pensò othar tra sé e sé. Guardò l'orologio, stava facendo tardi «Scusa, Helen, ma temo di dover andare adesso, ho un incontro di studio con alcuni dei miei compagni di classe.»

Lei sorrise e annuì con la testa. Non era molto convinta di come sarebbe potuta andare a finire tra loro due, non vedeva Lothar molto propenso verso di lei, ma era anche vero che sua madre le aveva detto che molti uomini erano timidi e che forse ci voleva un po' più di tempo per farli aprire.

Silas era ritornato al Dorian Gray come d'accordo con gli altri compagni. Era un po' agitato, doveva illustrare a tutti il suo piano: non erano numerosi, era vero, ma aveva comunque il compito di convincere tutti, specie sulla questione di doversi ampliare in qualche modo. Avrebbe chiesto a loro se conoscevano qualcuno, come era successo con Stella, qualcuno di cui potevano fidarsi. Sapeva che correva un rischio, che lo correvano tutti, ma quello era l'unico modo. Stava aspettando Lothar, immaginando, nella peggiore delle ipotesi, di non vederlo arrivare. Sapeva che era fedele alla causa e si sarebbe molto dispiaciuto se la loro situazione avesse potuto, in qualche modo, cambiare qualcosa.

Quando lo vide arrivare, tirò un sospiro di sollievo. Aspettò che si avvicinò a lui, immaginando che, in un primo momento, avrebbe fatto finta di niente rispetto a quanto era successo.

«Sei qui, vedo» gli disse Silas non appena fu abbastanza vicino da potergli parlare.

«E perché mai non avrei dovuto esserci?»

«Pensavo fossi stato intrattenuto da qualcuna, nel frattempo; magari ti avevano convinto a restare»

Lo sapeva Lothar, sapeva di doversi aspettare tutto quel cinismo da parte di Silas. «Non credo che possa esistere alcuna persona in grado di farmi rinunciare al bene del mio Paese: è una causa che ho a cuore.»

«Mi fa piacere sentirlo.» Silas gli sorrise appena: almeno su quel fronte non si era sbagliato riguardo Lothar.

Hans si avvicinò ai due, interrompendoli: «Scusatemi, ma stiamo aspettando che Silas ci dica come procederemo prossimamente.»

Lothar non sapeva niente, sapevano tutti che Silas doveva dire qualcosa, ma Lothar non sapeva niente. Per la prima volta provò un senso di frustrazione diverso dai precedenti, estraniazione allo stato puro: si sentiva messo da parte, ignorato in un modo che faceva davvero male. Lui conosceva i sogni, i piani, le follie di Silas e invece, in quel momento, venne messo al corrente da Hans che Silas aveva qualcosa da dire.

Quando lo vide incamminarsi, seguire Hans, Lothar lo afferrò per un braccio, ricevendo un sguardo freddo e di disapprovazione da parte di Silas. «Cosa c'è...» gli disse questi.

«Non sapevo niente...»

«Mi hai fatto capire perfettamente di doverti trattare come tratto gli altri, che non mi devo prendere libertà diverse con te. Pertanto sei stato informato, come ho informato gli altri, che oggi ci sarebbe stato un incontro riguardo gli aggiornamenti sulle prossime mosse.»

Lothar lasciò la presa, arrabbiato e sconcertato allo stesso tempo. Era davvero il Silas che conosceva? Quello che aveva sentito sciogliersi tra le sue braccia durante quel bacio. Era costui che diventava una volta ferito? Gelido, algido, razionale come non lo aveva visto prima.

«La soluzione migliore, mi sembra quella di far uscire un articolo alla volta, su un banale foglio. Alternarli a dei volantini, in modo tale da poter riportare nei prossimi articoli eventi e fatti, confutati da piccole prove, che possono portare i cittadini se non a opporsi, quantomeno a guardare il partito sotto un'altra luce.»

«E come faremo?» Un ragazzo di Monaco parlò: lui era stato catturato dalla forza e dall'amore impresso in quei volantini, quel volantino che si era ritrovato per caso sotto la porta.

«Semplicemente distribuendoli, ma per fare questo dovremmo cercare di dividerci per zone, fino a quando non si saranno aggiunte altre persone al gruppo.»

«Silas, non so quanto sia sicuro per noi dividerci per zone, siamo troppo pochi!»

«Bastian, ascoltami... ognuno di noi può coprire più di un quartiere e, qualora venisse trovato, avrebbe più facilità a nascondersi, piuttosto che disperdere un gruppo intero.»

«Spero che tu sappia ciò che fai, Silas...»

«Questo è quanto possiamo fare, per il resto dobbiamo solo fidarci l'uno dell'altro, non possiamo fare altrimenti...»

«Come pensi di reclutare altre persone?»

«Spero che qualcuno trovi belli gli articoli di Lothar e i nostri volantini, come tu hai trovato convincenti i miei, Bastian...» Sorrise, anche lui si era messo nelle mani del destino, non aveva certezze assolute e pensare che lui non avesse paura o timori, era da folli.

«Saremo soli per quartieri o in coppia?» Domandò Lothar, era preoccupato: chi avrebbe vegliato su Silas?
«Sì, esattamente, ognuno di noi, in solitudine, penserà a dei quartieri prescelti. Ho pensato di assegnare i quartieri in base a dalle fasce orarie. Ci saranno i primi tre che agiranno nei quartieri opposti a quelli di appartenenza, ognuno dovrà guardare il proprio orologio e affidarsi all'altro. Se il primo inizierà alle otto di sera, il secondo mezz'ora dopo e così via. Sbrigatevi a mettere i volantini e poi scappate il più veloce che potete, non fatevi beccare, non parlate, se vi prendono, negate tutto o moriremo tutti.»

Le persone nel covo si guardavano tra di loro. Si domandavano se potevano fidarsi o meno di chi avevano davanti, se avrebbero taciuto anche sotto tortura o se sarebbero morti tutti.

«Quello che vi sto chiedendo è molto, lo so. Non credo che sia facile, anzi: penso sia molto rischioso, pertanto se non ve la sentite, se non volete farlo e non volete appartenere più al gruppo, siete liberi di andare; e noi, non ci siamo mai conosciuti.» Sì levò un vociare dentro la sala, c'erano degli indecisi, mentre altri cercavano di richiamare a sé quel po' di coraggio che gli era rimasto. «Sappiate che non proverei né odio, né astio nei vostri confronti, anzi: penserei che sia del tutto normale.»

«Agnes cosa ne pensa?» domandò Stella.

Silas, prese dalla tasca della giacca un biglietto piegato in quattro e lo passò a Stella. «Questo è di Agnes. Non so cosa abbia scritto, non l'ho voluto leggere per rispetto del suo pensiero e per non influenzare il mio.»

Stella si sbrigò ad aprirlo, a spiegarne tutti e quattro i lati e a leggerne il contenuto, riconoscendo la calligrafia di Agnes. "Per qualsiasi cosa, qualunque cosa vi chieda, sostenetelo."

«Va bene, Silas, io sono dalla tua parte, aspetterò che tu mi dica quali sono i quartieri che mi spettano.» Silas le sorrise.

«Come ti dissi già qualche tempo fa, so che mia cugina voleva unirsi a noi, se per te va bene, le dirò di venire alla prossima riunione, così avremo una persona in più.»

Prima di rispondere, guardò Lothar come se gli stesse chiedendo che cosa ne pensasse. Lo vide annuire deciso: chiaro che stesse dalla sua parte.

«Va bene, attenderemo e accoglieremo tua cugina con molta gioia.»
«Ti ringrazio...» gli rispose Stella.

«Se qualcun altro ha dei dubbi è il momento di esporli adesso, altrimenti procederemo secondo i piani» disse Silas rivolto agli altri.

«Credo che siamo tutti convinti, no?» domandò guardandoli.

Gli altri annuirono. «Aspettiamo l'appuntamento per la prossima riunione» disse Bastien.

Silas gli strinse la mano e lo abbracciò in segno di fratellanza. Lui era l'ultimo arrivato e Silas voleva fargli capire che, per lui, era come gli altri e gli importava della sua vita quanto quella dei suoi compagni.

Lothar desiderava scambiare due chiacchiere con Silas, cercare di chiarire quanto era successo o, quantomeno, mettere fine al gelo che si era venuto a creare.

Mosse qualche passo, ma si arrestò quando vide Hans avvicinarsi a lui, parlandogli all'orecchio. Vedeva Silas annuire, aveva uno sguardo serio, era evidente che gli stesse parlando ancora del piano; ma inspiegabilmente, Lothar venne colto ancora dalla gelosia: fino a poco prima, era lui a poterlo avvicinare a quel modo.

Finalmente Hans se ne era andato, così si avvicinò velocemente verso Silas. «Possiamo parlare?»

Silas annuì e aspettò che Lothar gli facesse strada.

Si rifugiarono alle spalle del locale, c'era un piccolo spiazzo dove potevano parlare lontano dagli altri compagni del gruppo.

«Allora? Cosa volevi dirmi?» Silas sperò che Lothar si sbrigasse a dirgli quanto doveva, perché averlo di fronte, parlargli, gli faceva male: un dolore sordo e fastidioso.

«Penso che tu abbia frainteso, Silas...»

«Frainteso? Non credo di aver frainteso. Mi hai baciato, sei stato colto dalla gelosia, mi hai detto che ti stai frequentando con una ragazza. Se sei obbligato a farlo o meno non mi interessa, ma sembra chiaro e palese che tu voglia me; c'è qualcosa dentro di te che te lo impedisce. Dimmi, ho forse frainteso?»

«Silas, tu non capisci... non è così semplice...»

«So che non è semplice, ma da come ne parli tu, sembra che il mio sia solo un mero capriccio... ma ho deciso di farmi da parte, di lasciarti stare, non voglio renderti le cose più difficili di quanto non siano già. Perché è questo che mi hai detto, no? Le cose sono troppo difficili...»

«Sei drastico, come sempre.»

«Non sono drastico, voglio proteggermi, come tu fai con te stesso: non mi è concesso, forse?»

Quelle parole addoloravano profondamente Lothar. Sentirgliele pronunciare lo distruggevano. Era lui il fautore di tutta quella sofferenza e mai avrebbe voluto spezzare il cuore di Silas in quel modo. «Certo che ti è concesso, ma...»

«Cosa? Non vorresti che io mi distraessi, che ti lasciassi andare? Ma non l'ho deciso io.»

«Neanche io l'ho deciso!» gridò Lothar.

«Mio padre mi vorrebbe vedere militare nella gioventù hitleriana, mi fa vivere secondo le regole del ragazzo perfette descritte da Himler, mi ha organizzato un matrimonio che io non voglio, non con lei. Io neanche la conosco questa ragazza, non so chi sia. Tutto è così frustrante! E io vorrei solo gridare, gridare al mondo quanto sia grande la mia frustrazione, quanto vorrei essere libero e lasciarmi andare a quello che io voglio veramente!»

Silas lo osservò: Lothar era visibilmente scosso. Gli sembrava rotto in mille pezzi, come lui del resto, giurò di vedergli gli occhi umidi, ma sapeva che Lothar non avrebbe mai pianto, non lì, non in quel momento. C'era tanta fierezza in lui da lasciarlo a bocca aperta ogni volta. «Io capisco come ti senti. Siamo tutti mossi da delle paure che, puntualmente, si ripetono nel corso della nostra vita. Vuoi sapere di cosa ho paura io? Ho paura di essere abbandonato. E in un certo modo, lo hai fatto anche tu. Sì, Lothar, proprio l'ultima persona che volessi mi abbandonasse, ti vedo andare via lontano ogni giorno, sempre di più, sbiadire.»

Lothar lo avrebbe voluto abbracciare forte, ma, questa volta, non fece lo stesso errore, non voleva farlo soffrire più di quanto già non stessero soffrendo.

«Dimmi, Silas: Qual è il mio libro preferito?»

Silas, in un primo momento, lo guardò spaesato, ma poi gli rispose: «I dolori del giovane Werther, perché?»

«Niente, volevo vedere se te lo ricordavi.»

«Che sciocchezze, io mi ricordo tutto!»

Lothar, sorrise e scosse la testa. Gli sembrava così irreale, impossibile che libro che tanto amava, che tanto lo faceva vivere nel tormento, aveva quasi preso forma nella sua vita. Ma poi, mentre si perdeva tra i pensieri, sentì le labbra di Silas poggiarsi sulla sua guancia e sussurrare il saluto più agrodolce mai ricevuto:

«A presto, Lotte...»

Lothar spalancò gli occhi, vedendolo andare via ancora una volta. E ancora una volta fermo e impalato non lo seguì, né gli disse di restare, o lo rassicurò: niente, non fece niente.

Aveva da sempre, sin dalla fine di quel libro, amato profondamente la passione di Werther, tutta l'espressione del sentimento tormentato di Werther. Se ne rese conto solo in quel momento, e sempre in quel momento si rese conto di sapere cos'amasse di Silas: la stessa passione, lo stesso struggimento.

Eppure non aveva fatto niente.


Rassegnamoci alle decisioni strampalate di Lothar xD 

In altro trovare colei che ho scelto come il prestavolto di Helen. 

Per Bastien, pure, poverino, ve lo allego qui xD

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