Capitolo 35
Giaccio da solo nella casa silenziosa,
la lampada è spenta,
e stendo pian piano le mie mani
per afferrare le tue,
e lentamente spingo la mia fervente bocca
verso di te e bacio me fino a stancarmi e ferirmi
– e all'improvviso son sveglio,
ed intorno a me la fredda notte tace,
luccica nella finestra una limpida stella –
o tu, dove sono i tuoi capelli biondi,
dov'è la tua dolce bocca?
Ora bevo in ogni piacere la sofferenza
e veleno in ogni vino;
mai avrei immaginato che fosse tanto amaro
essere solo
essere solo e senza di te!
(F.G.Lorca Giaccio da solo nella casa silenziosa)
Silas sapeva lenire le ferite perdendosi tra un'effusione e l'altra, anche se l'estasi del momento era breve; ricadeva nel baratro del dolore, nella malinconia del ricordo e nel vuoto che non poteva colmare.
Il pensiero di Lothar era costante, ma aveva deciso per il bene di tutti di lasciarselo alle spalle. Non lo avrebbe dimenticato, questo era certo, ma doveva riuscire in qualche modo a scacciare i pensieri più sofferenti: rimuginare di continuo non faceva che fargli rivivere il giorno del rifiuto.
Quella mattina, però, stava facendo tutt'altro: era sul treno diretto a Monaco e finalmente si era deciso a fare visita a Weike; gli sembrava doveroso essendo al corrente delle sue condizioni. Era complice e colpevole di quella situazione, se ne rendeva conto, e penso di godersi il momento: Rose gli aveva fatto vivere l'attesa di Castaldia in modo del tutto diverso e pieno d'ansia, potendo fare una sciocchezza dall'oggi al domani.
Superò i controlli senza alcuna difficoltà, dopotutto quel giorno era solo e non portava con sé volantini o altro che andasse contro la legge. Si era premunito, però, d'incartare per bene qualche fetta di dolce preparato da suo zio: aveva visto Agnes mangiarne spesso a causa delle voglie in gravidanza, così pensò di fare un gesto carino nei confronti di Weike, visto la sua assenza.
Assorto nei suoi pensieri, cominciò ad abituarsi all'idea che forse Lothar non sarebbe stato suo. In fondo non lo era mai stato, così si disse: erano stati solo connessi spiritualmente per un po'; ma sembrava che l'altro se ne fosse pentito amaramente. Guardava dal finestrino Silas, con l'animo pesante, sperando che almeno quel breve distacco avrebbe giovato al suo umore di quegli ultimi tempi. I paesaggi scorrevano veloci e li ammirava sempre tutti con grande piacere: li avrebbe fotografati mano a mano, se solo avesse potuto.
Venne distratto dal parlottare borioso del passeggero davanti a lui: sembrava essersi animato per qualcosa letta sul giornale che teneva tra le mani, la stava condividendo con il suo vicino.
«Il nostro glorioso esercito ha conseguito un'altra eroica battaglia! Pare si siano liberati di 7300 persone in un solo giorno. Finalmente il mondo comincia a essere un posto migliore.»
Silas non credeva alle parole che stava udendo, era impossibile gioire e godere della morte di così tante persone e in così poco tempo; o almeno lo era per lui.
«Fai leggere anche me!» esclamò il vicino. Gli strappò di mano il giornale e si mise a leggere ad alta voce, come se tutto il vagone dovesse partecipare a una delle grandi battaglie della Germania: «Il 21 Ottobre 1941, la nostra grande e gloriosa Patria è entrata vittoriosa nella città di Kragujavc, una città della Serbia-Jugoslavia. Sono state rastrellate più di 7000 persone, tra cui un'intera scolaresca!»
Il battito di Silas accelerò e lo stomaco gli si chiuse in un lampo: nel vagone. qualcuno rumoreggiò per l'orrore; forse qualcuno aveva ancora una coscienza.
«Silenzio, fatemi finire di leggere!» disse il passeggero che, sempre ad alta voce, ci teneva a decantare le lodi del suo paese. «I nostri soldati sono stati osteggiati dai partigiani e la resistenza locale; ma, senza lasciarsi abbattere, i nostri soldati tedeschi sono andati avanti. Prima a Belgrado, dopo l'incidente avvenuto a una moto della Wehrmacht, hanno assistito a una punizione esemplare, hanno perso la vita in 122 Serbi per il danno arrecato. In sette mesi hanno fucilato più di 4700 persone, certi di voler liberare i contadini locali dai capitalisti, gli ebrei e i bolscevichi semiti. La nostra Germania sta, a poco a poco, contribuendo a ripulire il mondo, come ci hanno promesso!»
Alcuni di loro applaudirono alla fine della lettura. Silas provava sempre di più disgusto verso la propaganda nazista che veniva fatta su ogni forma di comunicazione.
Improvvisamente, anche quel viaggio si trasformò in un calvario: non vedeva l'ora di scendere.
L'aria di Monaco era pesante, non diversa da quella di Berlino, con tutta la città tappezzata di effige Naziste. Silas, però, la respirò a pieni polmoni: era sceso dal treno e quasi non gli sembrava vero.
Avrebbe potuto ascoltare solo il rumore della città, evitando tutti i ragazzetti che volevano vendergli un giornale; tuttavia si fermò dinanzi all'ennesimo e, dopo aver pagato al posto di un signore, attirò l'attenzione per chiedere la via della casa degli Schäfer: non voleva perdersi, in verità, né girovagare troppo a lungo.
Una volta arrivato, bussò alla porta. Weike gli sorrise e lo invitò subito ad entrare: non voleva di certo che le sfuggisse una seconda volta. «Hai fatto un buon viaggio? Stai bene?» prese a domandargli.
A Silas sembrò strana tutta quella intima confidenza; in fondo tra loro c'era stata solo una notte, anche se lei portava in grembo il risultato del loro incontro. «Sì, sto bene» rispose, tralasciando i dettagli del suo viaggio. «Tu, piuttosto? Come procede?» Le indicò, con un cenno della mano, la pancia che ormai era diventata abbastanza visibile.
«Io sto benissimo, non potrei stare meglio: devo far nascere tuo figlio!» Gli sorrise ancora.
Silas provava uno strano sentimento che non sapeva ben descrivere: imbarazzo, forse. «Lo immagino...» fece una piccola pausa. «Ah! A proposito, ti ho portato qualcosa!» Si voltò di fianco: aveva poggiato la sua borsa sul divano accanto. L'aprì e ne tirò fuori la fetta di dolce incartata.
«É per me? Non dovevi disturbarti!» gli rispose, allungando elegantemente le mani per afferrarla.
Silas notò un gioiello sulla sua mano, un gioiello molto bello, e volle curiosare: giusto per cercare un punto di conversazione e non restare in un muto imbarazzo. «È nuovo? Trovo che sia bellissimo, sai?» Anche lui le sorrise, gentile come al solito; dopotutto non aveva rancore verso di lei.
«Hai sempre voglia di scherzare!» Imbarazzata, Weike rise. «Questo è l'anello che mi hai regalato tu per il nostro fidanzamento.» Gli tese la mano.
«Per il nostro?» domandò, facendo finta di non aver capito bene la frase.
«Il nostro fidanzamento. Me lo hai regalato tu qualche giorno fa.»
In quel momento, Silas comprese che intorno a Weike era stata costruita una storia assurda: non aveva fatto niente e di certo non si sarebbe sposato a sedici anni e non con lei. Weike viveva in un mondo tutto suo, costruito dai suoi famigliari: era una semplice vittima, una pedina usata per scopi altrui.
«Allora devo proprio avertelo regalato io.» Non voleva farla dispiacere, ed era come dell'idea che qualsiasi cosa contraria avesse detto, l'avrebbe indispettita, addirittura fatta infuriare. Quell'atteggiamento possessivo gli riportò alla mente Regan: aveva una gran voglia di fuggire da quella casa, ma ormai non poteva più farlo, perché aveva detto a suo padre che sarebbe rimasto un giorno intero; quell'errore di calcolo non lo avrebbe più fatto, di questo ne era certo.
«Sì, infatti. Sciocco, non devi fare questi scherzi.» Si alzò dalla sua postazione, spostandosi a sedere vicino a lui. Gli si avvicinò e lo baciò sulle labbra. Silas ricambiò quel bacio. Non l'avrebbe sposata, ma non era indifferente alla sua bellezza, specie se lei era così vicino.
Lei gli accarezzò i capelli, li adorava, Silas era così diverso dagli altri, suo padre aveva proprio ragione: i Dubois erano proprio speciali e lo erano nella loro incredibile particolarità.
Quel bacio divenne più intenso, lei continuava a baciarlo ad accarezzargli la testa, le dita solleticavano la cute e poi la pelle del collo di Silas. La tirò su, delicatamente, e la tirò a se, seduta sulle sue gambe, gli accarezzava la coscia che sporgeva scivolando lungo l'esterno del divano. In questo avrebbe potuto accontentarla, ma la sua idea era quella di fuggire a gambe levate non appena fosse sopraggiunta l'alba.
Aleph sedeva sul divano inquieto. Era mattina e Ludwig, appena uscito dalla stanza, si chiese che cosa avesse già a quell'ora. Così si avvicinò a lui e gli si sedette accanto. Cominciò a parlare: «C'è qualcosa che ti turba?» gli accarezzò piano la testa, per farlo sentire quantomeno al sicuro, per fargli capire che lui c'era a prescindere da tutto.
«Mi sento in colpa, Ludwig.» Aleph scrollò le spalle: era davvero sconvolto. Non si era mai sentito così, provava un'oppressione tale da volerlo schiacciare.
«E perché mai ti sentiresti in colpa? Sei la creatura più innocente che io conosca, Aleph. È per via del nostro rapporto?»
Aleph scosse subito la testa, il suo rapporto con Ludwig non lo avrebbe rinnegato per niente al mondo. «No, mi sento in colpa per gli altri, per quello che stanno passando. Quando esco li vedo doversi nascondere e, come se non bastasse, se ne devono andare in giro con quella stella cucita addosso. Mi sento in colpa a essere libero, per avere te al mio fianco, mentre tutti soffrono. Dovrei avere la stessa loro paura, viverla, invece tramite il nostro sotterfugio io posso uscire di casa e venire da te.»
«Credo che tu debba solo sentirti fortunato. Perché l'unica cosa che ti salva da tutto questo è fingere di non essere ebreo. Se ci scoprissero, se scoprissero la nostra relazione, patiremo entrambi la stessa sorte e ne risentirebbero anche tutti gli altri.»
«Sì, questo lo capisco, ma almeno posso essere libero di non avere paura perché ebreo, grazie a te. Lo so benissimo, ma questo non significa che non gravi sul mio cuore o sulla mia coscienza.»
«Pensare agli altri ti fa onore, Aleph, ma devi comprendere che questa guerra non è come le altre. Tutto sembra immerso in una follia senza fine, per questo ti dico che dovresti ritenerti estremamente fortunato di non vivere certi dolori e certe sofferenze.» Ludwig si alzò e fece qualche passo.
«E adesso dove vai?» gli chiese Aleph preoccupato, per paura di averlo innervosito.
«A prenderti qualcosa di caldo e qualcosa da mangiare: credo che Natthasol abbia fatto una torta di mele, o una crostata, affinché anche tu potessi mangiarla.»
Aleph sorrise. «Grazie.»
«Vedrai, non ti farà passare i sensi di colpa, ma almeno ti darà un po' di ristoro; e sopratutto è bene non avere lo stomaco vuoto.»
«Ti ringrazio. Tu non mangi niente?»
«No, credo che io prenderò un caffè forte: ho la testa che mi scoppia. Questa notte ho dormito pochissimo e in più ho fatto degli incubi che ora non ricordo...»
«Speriamo non se lo siano mangiato tutto Agnes e Silas, il dolce.» Aleph rise appena: sapeva quanto i due, negli ultimi tempi, fossero ghiotti di dolci. Per Agnes ne capiva il motivo, quanto a Silas, forse aveva semplicemente scoperto una nuova passione.
«No, vedrai che qualcosa c'è: Ntthasol è pieno di risorse in cucina.»
Al ritorno di Ludwig, Aleph non se lo fece dire due volte: prese la forchettina che era poggiata sul piattino e iniziò ad assaporare piano. «Natthasol è squisita!» Non esitò un secondo a complimentarsi, appena lo vide entrare nel salotto.
«Non devi ringraziarmi, la mia è quasi una vocazione» rise lui, arrossendo; adorava i complimenti, soprattutto in merito alle sue capacità: per quelle si era allenato quasi una vita.
«A fare i dolci è bravissimo, a cercare persone un po' meno» sentenziò Ludwig subito dopo.
«Come dici?» Natthasol puntò le mani all'altezza dei fianchi, battendo il piede in terra e aspettando delle motivazioni, o delle scuse, da parte sua.
«Ho detto che non sei molto abile nel trovare qualcuno da amare, ma sei abilissimo a cucinare. Comunque è un'abilità, perché ti sei sentito offeso dalla mia affermazione?»
«Perché ho percepito del sarcasmo!»
Prima di ribattere, Ludwig aveva sentito il rumore dei passi incerti di Nail, attese che l'altro si facesse avanti con il suo inconfondibile antidolorifico in mano e gli lancio un disperato grido d'aiuto: «Ti prego salvami!»
«Dalla belva? E come potrei? Sono un povero zoppo con un bicchiere in mano, come potrei salvarti?»
«Dovevo farmi i fatti miei quando ti ho salvato in trincea, sai?»
«Ne sono consapevole, ma come avresti fatto senza di me adesso?» Un piccolo sorriso sghembo si dipinse sul volto di Nail. Ludwig sospirò, erano in troppi per lui in quel momento, specie con il mal di testa che sembrava fargli esplodere le tempie.
«Per favore, se riesci, siediti, devo parlarti di una cosa.»
«Se riesco a sedermi... questa sì che è un'ardua impresa, specie di mattina.» Il dolore che provava alla gamba era spesso intollerabile, specie la mattina quando, dopo una notte immobile, questa si addormentava, svegliandolo al mattino con fitte lancinanti. «Dimmi tutto...» pronunciò quelle parole a fatica, con il dolore tra i denti. Era riuscito a sedersi, però; anche in piedi, presto o tardi, sarebbe stato scomodo.
«Questa mattina presto, Silas ha preso il treno per Monaco. È voluto andare a vedere come procedeva la gravidanza di Weike e non ho potuto dirgli di no: in fondo è giusto così. Solo che sono preoccupato, resterà un giorno lì e rincaserà domani.»
«Se eri così preoccupato avresti dovuto esortarlo a non andare, non credi?» disse Nail, dopo aver tracannato il primo bicchiere.
Natthasol si sedette accanto a Nail, per ascoltare meglio che cosa stesse facendo suo nipote. «Forse ha ragione Nail, forse non dovevi mandarlo solo a Monaco.»
Nail si voltò stupito verso Natthasol: fino a quel momento, se solo avesse potuto, gli avrebbe dato volentieri contro; quindi cosa stava succedendo?
«No, che non lo avrei voluto mandare. Ma lo sapete com'è fatto, no? Dirige le fila di un piccolo gruppo rivoluzionario di cui noi siamo complici. È riuscito a tirarci dentro... perciò, se voleva andare a Monaco, ci sarebbe andato lo stesso. Meglio sapere dove va, in modo tale che so come poterlo rintracciare, piuttosto che farlo agire alle nostre spalle.»
«Anche questo è vero: sei il solito vecchio saggio» gli rispose Nail poggiandosi con la schiena contro il divano, per stendersi appena. Natthasol lo guardò, lo vide con gli occhi appena chiusi, forse stava cercando di trattenere il dolore e si disse che era stato troppo duro con lui, per questo propose:
«Vuoi una fetta di dolce anche tu? L'ho fatta questa mattina, quindi ce ne è ancora.»
Dal continuo stupore, Nail si tirò su a sedere. Guardò Natthasol, gli sorrise appena e gli rispose: «Certo, mettere qualcosa nello stomaco mi farà senz'altro bene.»
Natthasol si allontanò e Nail guardò Ludwig perplesso. «Credo si stia ammorbidendo, sai? È il tuo momento, Nail, ma non esagerare, potresti perdere l'occasione per sempre.»
«Agli ordini, colonnello!» Portò la mano tesa e aperta alla fronte come se volesse mettersi sull'attenti!
«Fortuna che ho appena detto di non esagerare...»
«Preferisci che stendo il braccio e che dica: Hail Hitler?» Rise, forse stava mettendo a dura prova la pazienza di Ludwig; e gli arrivò la conferma, quando lo vide alzarsi, con la tazza ormai vuota. «Non ha molta voglia di scherzare questa mattina, eh Aleph?» gli domandò Nail, guardandolo, conscio di aver esagerato.
«No, c'è qualcosa che lo turba. L'ho capito, ma non me lo vuole dire.»
«Ludwig è fatto così, è pronto a risolvere i problemi di tutti e vuole risolvere i propri da solo. Secondo me gli farebbe bene essere aiutato, per una volta, anche se il fardello è troppo grande. Non si sfoga mai con nessuno. Quello preoccupato dovei essere io, lo vedo sempre troppo pensieroso, quasi assorto.» Nail sospirò, lo distruggeva vedere il suo amico avvolto nelle preoccupazioni e nei troppi pensieri, ma sapeva che Ludwig aveva i suoi tempi: avrebbe solo dovuto attendere il momento giusto e solo allora comportarsi da amico.
Come stabilito, l'indomani Silas si era messo in viaggio per ritornare a Berlino. Aveva trascorso un giorno piacevole, seppure fuori dall'ordinario. Weike gli era sembrata sempre di più la vittima dei racconti e delle illusioni create da suo padre: l'unica cosa che si sentiva di fare era andarla a trovare di tanto in tanto, soprattutto dopo la nascita di suo figlio.
Aveva dormito piuttosto bene quella notte, ma il viaggio è la lontananza lo avevano spossato un po'; inoltre si era ricordato che quel giorno avrebbe dovuto incontrare Lothar per i primi articoli da stampare. Si portò una mano al viso disperato, certo di non essere pronto per affrontarlo. Ma doveva pensare allo scopo più grande, non solo di sotterrare i suoi sentimenti e i suoi dolori.
Se lo ritrovò fuori dalla porta di casa che lo stava aspettando, così gli andò incontro. Anche Lothar non era pronto ad affrontarlo, specie dopo l'arrivo di Helen, ma ignorarlo gli faceva ancora più male e cominciava a conoscere un lato egoistico di sé che non gli piaceva affatto.
«Ciao!» disse Silas cercando di non fargli capire che si fosse dimenticato.
«Pensavo di trovarti a casa, ma quando ho bussato mi hanno detto che non c'eri e ho preferito aspettarti fuori, per non disturbare.» Si rese conto dopo che forse era partito con il piede sbagliato.
«È ancora troppo presto per il terzo grado. Poi non credo di dover dire sempre dove vado.»
«Ti sei mosso da solo: sai che, se ti beccano, ci andiamo di mezzo anche noi.»
«Forse non è il caso di parlarne qui fuori... comunque non occorreva la presenza di nessun altro, bastava la mia.»
Il divagare di Silas a Lothar non piaceva per niente. Si era già immaginato cose molto ambigue. Pensò che Silas si fosse divertito da qualche parte, cosa non molto lontana dalla realtà, se sono lo avesse incontrato in un altro giorno.
«Vieni, entriamo!» Silas gli fece strada: aprì la porta con le chiavi di casa, salutò i presenti di fretta; tuttavia non mancò di soffermarsi sulla piccola Castaldia: un rito caloroso, di puro affetto, che ormai era tutto per lui. «Tesoro mio bello» le sussurrò prendendola in braccio e tirandola su dalla sua carrozzina. «Stiamo diventando grandi, eh. Pesi sempre di più.»
«Avrà ripreso da te, magari ingurgita tanto latte quanto tu in dolci» gli disse Lothar con una naturalezza che lo lasciò sorpreso. Poi non poté fare a meno di rabbuiarsi: penso che quella bambina lo stesse allontanando ancora una volta da Silas, in quanto frutto di una storia che non gli apparteneva.
Silas coprì con una mano uno delle orecchie di Castaldia «Non ascoltarlo, bevi tutto il latte che vuoi.» La cullò appena e le sorrise.
«Vuoi tenerla?» gli domandò a Lothar, cogliendolo di sorpresa.
«Non sarei in grado! Tu, invece, sembri avere un talento naturale.»
«Grazie, penso sia una delle cose più belle che tu mi abbia mai detto.» Sorrise a Lothar: quei sorrisi gli mancavano terribilmente; Silas sembrava emanare luce quando sorrideva, era bellissimo.
«Comunque dobbiamo parlare degli articoli, lo sai» disse Lothar. Vide sorridere Silas, dare un bacino sulla fronte della bimba per poi poggiarla nuovamente nella sua carrozzina. Prese le scale e gli fece cenno di seguirlo.
«Parliamo degli articoli in camera tua?» Si sorprese Lothar.
«Non è abbastanza spaziosa per te?» fece sarcastico, stanco del fatto che pensasse sempre male di lui.
«No, non è questo, è solo che non me lo aspettavo.»
«Beh, di sotto ci sono tutti, non penso che potremmo parlare tranquillamente senza essere interrotti.»
«Sì, forse hai ragione...» Lothar prese il taccuino che gli aveva dato Silas e lo aprì.«Io ho scritto qualche riga, spero vada bene.»
«Dovresti avere più fiducia in te stesso, sai?» lo rimproverò Silas.
«Non è questione di fiducia, semplicemente penso che il giudice sia severo» disse, riferendosi a Silas.
«Allora hai pensato bene» rise. Si avvicinò a lui e gli tese la mano in modo c che potesse passargli il blocchetto. «Così lo leggo da me.» Pensò di leggerlo a mente, affinché Lothar non provasse troppo imbarazzo.
Lothar, incuriosito dagli oggetti di Silas, da quell'arredamento che lo metteva un po' in soggezione, si guarda intorno. Decise perfino di alzarsi, per conoscere meglio quello che faceva parte del mondo di Silas. Si sentiva un completo idiota: stava facendo tutto per dimenticarlo, eppure non faceva altro che approfondire quella conoscenza. Sentiva anche una morsa allo stomaco, perché quell'incontro innocente avuto con Helen lo stava facendo stare male. Nonostante fosse stato lui stesso ad allontanare Silas, lo percepiva come un tradimento da parte sua.
Silas, dal canto suo, vedendolo preso dalla sua camera, cosa che in passato non aveva osato neanche osservare, decise di mostrargli parte della sua collezione a cui teneva particolarmente.
Così gli fece cenno di avvicinarsi e di raggiungerlo davanti al suo armadio. Lo aprì e quello che vide Lothar gli sembrò letteralmente bizzarro: da una parte c'erano i soliti abiti che di tanto in tanto lo vedeva indossare, eccentrici, ma di Silas, che avrebbe riconosciuto come tale; dall'altra capi d'abbigliamento femminile, piuttosto costosi a prima vista.
«Non ti vestirai mica da donna, spero.»
«Questa è un'affermazione davvero banale, Lothar. No che non mi vesto da donna, ma mi piacciono i vestiti, ho una passione per la moda e mi piace collezionarla. Li cerco ovunque questi capi d'abbigliamento.»
In quel momento Lothar cercò di sforzarsi di capirlo, piuttosto che denigrarlo, o prenderlo in giro.
«Spiegami un po'» lo incalzò.
«Nulla, non c'è niente da spiegare. Mio padre colleziona quadri, io abiti di stiliste famose. Se mi stai chiedendo altro, stai tranquillo, sono in perfetta sintonia con il mio essere maschile e femminile.»
Lothar distolse lo sguardo da Silas, era in imbarazzo e si sentiva mosso da desideri che, secondo lui, non gli appartenevano.
«Senti, com'era l'articolo, visto che lo hai letto?»
«Buono, sì. Cercherò di trovare qualche quotidiano così che possiamo tagliare le lettere e comporre le frasi: sarà un lavoraccio, ma almeno non dovremmo usare più matrici della stampa per il necessario.»
«D'accordo.»
Silas chiuse l'armadio e si poggiò con la schiena contro le ante, sospirò e poi disse: «E pensare che saremmo potuti essere come Philippe d'Orlenas e Lo chevalier di Lorena» Silas sospirò, forse si stava perdendo in qualche sogno a occhi aperti.
Lothar sbatté più volte le palpebre perplesso. «Cosa c'entrano loro, adesso? Mi stai dando forse del codardo?»
Silas si voltò verso di lui e sorrise. «Di certo non in battaglia.» Quello di Silas era un sorriso di scherno: era evidentemente che si riferisse al mancato coraggio di Lothar riguardo loro due.
«Questa è una delle tue frasette pungenti?»
«Vedo che mi conosci» sorrise ancora.
Era proprio quello a cui non voleva andare incontro Lothar.
«Andiamo un po' al maneggio, ti va?» azzardò Silas, cambiando totalmente discorso.
«E cosa vorresti fare?»
«Non so, far camminare un po' i cavalli. Magari riusciamo a rilassarci anche noi. Andremo incontro a un periodo piuttosto stressante, con la stampa di questi volantini, quindi pensavo di fare qualcosa di bello prima di buttarci a capofitto sul nostro operato.»
«D'accordo, ma tu hai Büshel... io devo seguirti a piedi?»
«No, certo che no. Nella stalla c'è un altro cavallo, mi ha chiesto di farlo camminare quando vado, visto che lei non è sempre disponibile.»
«Come sono tutte gentili con te» gli rispose Lothar.
«Non c'è bisogno che tu pensi male: la conosco da quando sono bambino, ecco perché mi ha dato questo compito e si fida di me.»
«Va bene, va bene, andiamo prima che cambi idea.»
Silas sembrava amare molto quel cavallo, così, almeno, appariva agli occhi di Lothar. Nel vederlo così sereno e tranquillo, quasi amorevole quanto lo era stato con Castaldia, sentì di nuovo quella morsa allo stomaco. Si sentiva in dovere di dire quello che era successo negli ultimi giorni.
«Silas... » Lothar si avvicinò a lui e lo afferrò per il braccio, ma Silas si scostò, tirandosi via da quella presa: non voleva soffrire a causa di Lothar, non ancora. Per lui era troppo ingombrate la sua presenza, il tocco ancora di più; faticava a stargli vicino e fare finta di niente.
«Sì?» domandò poi, visto che lo aveva chiamato.
A quel punto, Lothar capì che forse non era il momento giusto e che avrebbe dovuto ingoiare la sua correttezza, rimandando tutto a un altro momento. U'altra impellente curiosità, però, prese a farsi vivida in lui. «Dove sei stato ieri?»
«Perché vuoi saperlo?» A causa degli eventi, gli era completamente passato di mente la situazione che stava affrontando Weike: era troppo preso dal gruppo e da sua figlia, inoltre Lothar aveva deciso di tagliarlo fuori dalla sua vita è quindi non gli sembrava opportuno farlo partecipe di una cosa che, ingiustamente, lo avrebbe fatto arrabbiare.
«Perché sono preoccupato...»
«Allora dimmelo anche tu cosa hai fatto in questi giorni. Come passi le tue giornate, visto che, ormai, ci vediamo davvero di rado.» Silas abbassò gli occhi: si vedeva che era triste, sofferente, e a Lothar gli si spezzò il cuore. Deglutì e a fatica rispose: «Va bene.»
«Sono andato a casa di Weike, a Monaco...»
«Quella che ci aveva seguito? Sei impazzito o casa?» Lothar s'infuriò.
«Ci sono andato, perché è mio dovere andarci, almeno qualche volta.»
«Perché sarebbe tuo dovere? Ti sei fidanzato con lei?» domandò Lothar avanzando di qualche passo e vedendo Silas indietreggiare.
Lui, di rimando, scosse la testa in segno di dissenso: non ci pensava minimamente di fidanzarsi con lei. «No, non mi sono fidanzato, ma...»
«Ma cosa? Silas parla, per l'amor del cielo!» Lothar era molto arrabbiato, lo aveva visto spesso animarsi per poco, ma mai come in quel momento.
«È incinta.» Lasciò quelle parole scivolare via dalla sua bocca, mentre queste andavano a ferire Lothar.
«Che cosa? Stai scherzando, spero. Questo è un altro scherzo dei tuoi, di la verità!»
«No, non sto scherzando, è incinta. Mio padre ha fatto un accordo con loro. Io riconoscerò il bambino che avrà il mio nome, ma non avrò a che fare con lei. Non voglio starci con lei.» Non si spiegava perché se la stesse prendendo così tanto, visto come si erano separati. Silas non fece in tempo a dire altro, che Lothar lo afferrò per la giacca, sbattendolo contro un muro. Perfino i cavalli si agitarono, nitrendo, per il frastuono. Silas riaprì gli occhi dopo il colpo ricevuto «Cosa fai, sei impazzito?»
«Io sono impazzito? Diamine, Silas, hai sedici anni e quasi due figli a carico! Inoltre dici che non vuoi avere nessun tipo di relazione con lei, ma il tempo per scopartela lo hai trovato.»
«Perché fai così, perché sei così aggressivo, cosa ti importa? E non dirmi che ti comporti d'amico, perché a me non sembra che una scenata di gelosia, mio caro Lothar.»
Lothar strinse la stoffa tra le mani, la serrò fortissimo e poi strattonò Silas: avrebbe voluto massacrarlo semplicemente per il modo in cui lo stava facendo sentire, non si riconosceva.
«Avanti, che aspetti? Non sei codardo no? Allora muoviti, lo sento benissimo che vuoi farmi a pezzi!»
Lothar, si precipitò contro le labbra di Silas, lasciandolo completamente di sasso. Si aspettava un pugno, non di certo un bacio, non dopo quello che si erano detti. Silas sospirò per quel bacio e lo ricambiò immediatamente. Era un bacio consapevole, differente da quello che lui gli aveva dato quando Lothar era stato ferito. Sentiva il cuore esplodere, un calore che lo pervadeva dalla testa ai piedi,l. Abbracciò Lothar. Non avrebbe più voluto lasciare andare via.
Si separarono solo al momento di riprendere fiato. Silas aveva gli occhi lucidi e lo guardava placido, beatamente. Lo aveva fatto soffrire così tanto che quasi non gli parve vero.
«E tu cosa hai fatto in questi giorni? Non ricordi? Era questo l'accordo.»
Lothar si allontanò da lui, lo vide subito cambiare sguardo: Silas era preoccupato.
«Allora?»
«Mio padre ha invitato a casa i miei vicini. Hanno una figlia della mia età, mio padre sta insistendo affinché io la conosca bene. Sta cercando di ingabbiarci in un fidanzamento forzato.»
In quel momento, tutte le convinzione appena ricevute da Lothar andarono in frantumi. «Come puoi essere così meschino?» Il suo tono di voce era pacato, ma freddo, distante, quasi rassegnato e totalmente deluso. «Che cosa sono io per te, un giocattolo? Prima mi fai una ramanzina per il mio comportamento, una scenata di gelosia; sembra che tu mi voglia uccidere, e poi mi dai il bacio più bello che abbia mai ricevuto... ma solo per trafiggere il mio cuore con queste lame.»
«Silas, io... non voglio sposarla. Non mi interessa. Certo è una ragazza dolce è gentile, ma non voglio sposarla.»
«Forse dovresti ripensarci. Forse è proprio la donna giusta che fa per te.» Si fece spazio per uscire da quella stalla, urtando anche la spalla di Lothar. Voleva andare via il più presto possibile: ancora una volta gli aveva creduto e lo aveva ridotto in pezzi.
«Non voglio sposarla... voglio te» sussurrò Lothar, senza che Silas potesse sentirlo: era andato già via. Ancora una volta non aveva trovato il coraggio di prendere in mano la situazione, era stato vittima dei suoi desideri e delle sue paure.
Friedrich stava per andarsene da casa Dubois. Era lì per le lettere di Franz.
Franz si era messo d'accordo con Ludwig affinché lui facesse da tramite. Nonostante Ludwig gli avesse detto che meno sapeva e meglio era, Franz lo aveva pregato affinché lo aiutasse: era l'unico di cui poteva fidarsi. Non lo aveva denunciato per ben due volte enon lo avrebbe fatto neanche con le lettere.
«Tieni, queste sono le ultime due che mi sono arrivate» disse, consegnandole in mano a Friderich.
«Grazie, le devo molto.» Friedrich non sapeva come sdebitarsi con i Dubois. La cosa che poteva fare, almeno per il momento, era non infastidire Silas con i suoi atteggiamenti, visto che anche lui lo aveva coperto con suo padre.
«Ah, a proposito Friedrich, niente di quello che vedrai dentro questa casa lo hai visto veramente: ci siamo intesi?»
«Che cosa, signore? Io vedo e vedrò soltanto voi qui dentro!»
«Benissimo, vedo che ci siamo capiti.» Ludwig stava per salutarlo, quando il telefono squillò.
«Si?» rispose Ludwig.
«Mio caro colonnello, sono lieto di sentirla, ma altrettanto lieta non sarà la mia notizia, credo.»
«Ah sì? Mi dica allora.»
«Sembrerebbe che vostro figlio non sia venuto a scuola per due giorni: lei ne è al corrente? Sa, la condotta della scuola è rigida e ci tiene all'istruzione dei nostri ragazzi... non vorrei che si fosse cacciato in qualche guaio, guaio con la legge.»
«Non si preoccupi, sono stato io stesso a non mandarlo a scuola, non si sentiva molto bene.»
«Allora, se è andata così, capisco. Ogni genitore vuole il meglio per il proprio figlio. Comunque dovrebbe venire qui: sembrerebbe che il vostro secondogenito, abbia reagito in malo modo verso un suo compagno di classe.»
«Grazie per l'informazione, arrivo subito.» Agganciò il telefono irritato.
«Chi era, signore? Se posso chiedere» domandò Friedrich.
«Tuo padre. Tranquillo ce l'aveva con Silas: dice che non è andato a scuola. Gli ho detto che si sentiva poco bene, per cui mantieni questa versione dei fatti.»
«Certo signore» annuì Friedrich, con convinzione.
«Devo andare a scuola, adesso. Non ho tempio di spiegarti, forza, esci prima tu. E, mi raccomando, rispondi alle lettere e consegnamele così io posso inviarle.»
«Grazie infinite, ma cosa è successo?»
«Salazar ha combinato qualcosa che non mi è stato chiarito. Per cui devo affrettarmi. Esci prima tu, ti ho detto, e dal retro, per favore.»
Friedrich si affrettò a uscire dal retro, stringendo a sé le lettere che Franz aveva scritto per lui. Era contento che suo padre non fosse in casa, così che avrebbe potuto leggere quelle lettere e viverle appieno.
Prego, inserire imprecazioni qui XD
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