Capitolo 34

Sarei forse più sola
senza la mia solitudine.
Sono abituata al mio destino.
Forse l'altra -la pace -
potrebbe spezzare il buio
e riempire la stanza -
troppo stretta per contenere
il suo sacramento.
La speranza non mi è amica -
come un'intrusa potrebbe
profanare questo luogo di dolore -
con la sua dolce corte.
Potrebbe essere più facile
affondare - in vista della terra -
che giungere alla mia limpida penisola
per morire - di piacere-
(E. Dickinson)

L'idea di vedere Lothar lo scuoteva nel profondo. Sembrava che, finalmente, lo avesse compreso; anche se sarebbe stato meglio dire accettato. Poi, improvvisamente, era ripiombato nel suo vortice di insicurezze e pregiudizi. In fondo, vista l'aria che tirava, come poteva biasimarlo? Eppure, non riusciva a darsi pace: l'ennesimo rifiuto non faceva che farlo regredire a un profondo stato di infantile tristezza. Silas si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare, come si sarebbe dovuto comportare e, sopratutto, come avrebbe dovuto colmare quel vuoto che si era appena riaperto.

La sua mente era un groviglio di pensieri molesti, profondamente malinconici, che lo facevano cadere in uno sconforto totale. Avrebbe dovuto fare quello che aveva sempre fatto, come quando sua madre lo scansava o, peggio ancora, come quando aveva fatto finta di averlo dimenticato in strada, in un posto sconosciuto e sperando che lui non la rintracciasse; era riuscito a tornare indietro comunque, alla fine.

Doveva pensare al bene del gruppo, su questo rifletteva, mentre scendeva le scale del Dorian Gray. Così si tolse i capelli dalla spalla e stampò un bel sorriso sulla faccia, il classico per evitare le domande più scomode: era meglio pensare al bene comune, piuttosto che al proprio dolore.

Aveva fatto quella promessa ad Agnes e l'avrebbe mantenuta, senza contare il fatto che nei giorni precedenti gli era balenata nella mente una di quelle idee geniali che, sicuramente, avrebbe fatto la differenza del suo gruppo.

Arrivato a destinazione, per uno strano scherzo della sorte, incrociò lo sguardo di Lothar; lo distolse immediatamente grazie ad Hans che, come era di consueto fare, lo abbracciò per salutarlo. Quel contatto lo ristorò, fu un breve contatto umano che gli fece solo bene.

Dal canto suo, Lothar, stentava a riconoscere Silas. Lo aveva visto fragile, preso dai suoi tormenti, ma ormai con lui era come ghiaccio freddo. Sentiva la propria coscienza gridargli qualcosa, forse una colpa, perché avrebbe dovuto essere più gentile, meno schietto e brutale; ma lui era così: un fiume in piena senza tatto, quando era mosso dalla paura. Il suo tsunami emotivo aveva stravolto, di conseguenza, Silas; e chi poteva biasimarlo?

«Finalmente sei arrivato, che fine avevi fatto?» chiese Agnes, voltandosi verso di lui. Era preoccupata, di solito Silas non tardava mai.

«Scusami, scusami, stavo solo sbrigando una cosa.» Era evasivo Silas.

Lothar, invece, pensò subito che si fosse dato da fare con qualcuno, ma tacque mentre portava via la sigaretta dalla bocca e ciccò nel piccolo posacenere che avevano racimolato.

«Non farmi preoccupare mai più, altrimenti te la vedrai con me!» Agnes puntò il dito minacciosa contro Silas. Lui rise, sentire il suo affetto lo faceva stare bene.

«Allora, ragazzi, ho un piano! A breve vi esporrò tutto.» Silas si diresse verso il tavolo che usavano di solito, si chinò appena di lato per prendere una delle piantine che avevano rimediato, la stese sul tavolo e, con un cenno della mano, fece segno agli altri di avvicinarsi. «In questi giorni ho avuto modo di ricevere un sacco di informazioni, diciamo dall'interno, quindi fidatissime...»

«Non ti sarei messo a fare la spia?» fece Hans preoccupatissimo. Si era accorto che tra Silas e Lothar c'era della tensione e pensò che questo lo potesse portare a commettere qualche incauto gesto.

«No, niente affatto, già dover mentire in determinate circostanze mi pesa sull'anima neanche la intingessi nel petrolio! Anzi: sono loro che mi hanno fatto entrare in casa. Si fidano di me, le loro figlie, e mi dicono tutto in maniera spassionata, pensando che io sia uno di loro.»

«Immagino come tu sia riuscito a estorcergli delle informazioni.» Lothar interruppe il suo discorso, non riuscì proprio a trattenere quell'insinuazione; per quanto s'impegnasse a respingerlo, la sua gelosia era ormai ben nota.

«Non sempre nel modo in cui tu immagini o insinui. Molte di loro volevano solo un amico con cui parlare, non oso immaginare quanto sia triste crescere in una famiglia del genere.»

Lo stesso Lothar rimase toccato da quelle parole: Silas aveva assolutamente ragione.

«Mi sembra strano che ti lascino entrare in casa e ti dicano per filo e per segno tutto quello che hanno origliato tra le loro mura.»

«Molte di loro lo hanno fatto, anche se ti sembrerà strano da credere; altre hanno fatto questa confessione dopo del tempo passato insieme a me.»

Quella fu un'altra freccia scoccata dritta nel cuore di Lothar, per infliggere dolore. Ma Silas si stava riprendendo la sua rivincita morale, e con gli interessi: quanto stava soffrendo lui, avrebbe inflitto. Almeno così sembrava agli occhi di Lothar. Erano giorni che non si parlavano ed erano riusciti a comunicare solo a causa della sua gelosia. Lothar era sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta, ma qualcosa dentro di lui lo stava maledicendo.

Silas, finito quello scontro, altresì l'ennesima giustificazione da non dover dare, si rimise immediatamente a parlare con gli altri per riprendere il filo del discorso: «Dunque, una di loro mi ha raccontato di una missione che vogliono intraprendere, quindi quella sera sappiamo in che luogo evitare per la propaganda. Per quanto riguarda tutto il resto, ho ricevuto un sacco di informazioni che possiamo far tornare utili a nostro vantaggio.»

«E come?» domandò Lothar, scettico riguardo le figlie di gerarchi nazisti, che si erano lasciate abbindolare da quello che, comunque lo si guardasse, era un ragazzo qualunque.

Silas si voltò verso di lui e alzò appena le sopracciglia: sul volto gli si dipinse un cipiglio scocciato; ancora una volta era stato interrotto da chi, in quel momento, non voleva proprio sentir parlare. Gli rivolse comunque la parola, perché prima o poi, almeno per il piano, avrebbe dovuto far affidamento anche su di lui: «Tu vuoi fare il giornalista no?»

Lo colse di sorpresa. «Sì, ma cosa c'entra?»

«Tieni, è la tua occasione!» Silas estrasse dalla sua giacca un taccuino e lo lanciò in direzione di Lothar, che lo afferrò prontamente.

«Dove faremo stampare il tutto?»

«Ci serve una macchina da scrivere e della carta: ci penso io a quelle, a te basta solo il quaderno per segnarti cosa c'è da dire. Riuscirò a rimediare gli ciò che ci serve.» Silas sperò ancora una volta in quella buon'anima di suo padre; ma sapeva che, forse, stava tirando un po' troppo la corda. Avrebbe tentato, comunque: per la sua idea, per il suo gruppo e per il suo Paese.

«Spero che pure oggi non faccia nottata» bisbigliò Ludwig tra sé e sé pensando alle sorti di Silas. La sua voglia di ribellione lo preoccupava, che fine avrebbero fatto se uno dei due si sarebbe lasciato prendere? Spesso questi pensieri coglievano la mente di Ludwig, ma era consapevole di non dovergli dare spago, perché rimanere lucidi era essenziale. Inoltre non voleva soffocare la vita di Silas come suo padre aveva fatto con lui: odiava suo padre quanto potesse odiare la guerra, e il sol pensiero che suo figlio avrebbe potuto pensare lo stesso di lui, lo avrebbe distrutto.

Si avvicinò alla culla dove teneva sua nipote. Dormiva, ma quando lui la raggiunse, lei aprì gli occhietti. La prese in braccio e la tenne ben salda a sé come faceva con i suoi bambini quando erano piccoli.

Avrebbe voluto avere altri figli, ma la vita non glielo aveva concesso; per questo sentì che quella nipotina era speciale: le sorrise e le accarezzò appena la guancia. Anche lei sembrava avergli sorriso, e Ludwig gliene era grato.

L'idillio, quella breve pace raggiunta, venne interrotta da un preciso quanto sonoro tocco alla porta. Non conosceva nessuno di casa che usasse quella maniera per bussare, pertanto già si immaginava una inaspettata quanto non piacevole visita.

«Natthasol, vieni qui.» Lo intravide, mentre questi era già pronto per andare ad aprire la porta. Natthasol fece marcia indietro e si avvicinò verso suo fratello, il quale gli porse la bambina tra le braccia e poi riprese a parlare: «Porta di sotto con te la bambina, fai rimanere Salazar nella biblioteca e strada facendo fai scendere con te anche Agnes e la sua compagna. Non uscite da lì per nessuna ragione al mondo, non vi azzardate! Vengo a chiamarvi io.»

Natthasol annuì, si ritirò per fare quanto suo fratello gli aveva detto e Ludwig, invece, mosse i propri passi in direzione della porta. L'aprì e la persona che si trovò davanti non gli piacque per niente. «Huge che sorpresa vederla qui. A cosa devo la visita?» Non avrebbe voluto farlo entrare, ma dovette cedere subito e lasciarlo curiosare all'interno della sua casa.

«Sto cercando mia moglie. Voi ne avete sentito parlare colonnello?»

«No, cosa è successo?» domandò Ludwig: sapeva che nascondere quella donna lo avrebbe portato dritto in un mare di guai.

«Diciamo che ha abbandonato il tetto coniugale senza dirmi niente. Dall'oggi al domani, così all'improvviso.»

«Riprovevole» sommentò Ludwig seguendo con lo sguardo Huge che avanzava in casa: voltava la testa, prima a destra e poi a sinistra, scrutava il meraviglioso arredamento, ma non si aspettava nulla di diverso da Ludwig.

«Già, davvero riprovevole. Colonnello, ditemi una cosa, come mai non avete della servitù?»

«Mia moglie non voleva altre donne tra i piedi, temeva che io potessi lasciarmi tentare.» Stava inventando una marea di frottole: la verità era che nessuna governante sarebbe rimasta in casa con una pazza e con un ragazzino problematico.

«Ed è forse così?»

«Difficile... Difficile che della semplice bellezza possa tentarmi.»

Non sapeva spiegarsi esattamente perché, ma Huge, rimase colpito da quella frase. Lui era un edonista, anche Ludwig lo era, senza dubbio, ma allora perché della semplice bellezza non lo avrebbe dovuto tentare? «Capisco... immagino sia da deboli.»

«Esattamente. Cedere una tentazione, qualsivoglia esse sia è da deboli, a meno che non si sia giovani, lì subentra un altro discorso: in quel caso si chiama esperienza.» Aveva rielaborato un concetto noto a chiunque avesse letto nella propria vita un po' di letteratura inglese o, a chi semplicemente, avesse vissuto un po'.

«Tornando a mia moglie... se avete notizie spero che mi possiate avvisare colonnello.»

«Senza ombra di dubbio» rispose con noncuranza, come se non fosse un'assurda bugia.

«Vi ringrazio colonnello, tornerò a farvi visita, con la speranza che abbiate qualche notizia.»

«Non deve temere nulla, se so qualcosa non esiterò ad avvisarvi.» Ludwig continuava a rassicurarlo, accompagnandolo verso la porta, con la speranza che questi se ne andasse una volta per tutte.

Fece il suo saluto e si congedò.

Chiusa la porta, Ludwig si poggiò a questa sospirando più per la rabbia che per la tensione. Si ricompose, poi, doveva andare ad avvisare gli altri dello scampato pericolo.

Nel vederlo entrare nella biblioteca, Salazar corse direttamente verso di lui e lo abbracciò forte. Ludwig non era solito manifestare affetto, ma mai avrebbe osato negare un abbraccio a suo figlio se ne avesse avuto bisogno o se lo desiderasse tanto.

«Hai avuto paura?» gli domandò

Salazar non disse niente, si limitò a chiudere gli occhi rimanendo stretto in quell'abbraccio.

«Mi sembra strano però, tempo a dietro ne hai messo uno in fuga tu stesso.» Salazar aveva visto troppe volte Ludwig prendere in braccio Castaldia, troppe volte lo aveva osservato dedicare quelle attenzioni che non era solito dare a una bambina che neanche conosceva. Non voleva sentirsi escluso e non voleva covare nessun odio o rancore.

Lo lasciò andare poi, sciogliendolo dal suo abbraccio. Agnes gli andò incontro, quella mattina aveva appena fatto in tempo a tornare a casa dal Dorian Gray.

«Ludwig, chi era alla porta al punto da doverci nascondere?»

«Tuo marito. Spero non ti abbia seguito fino a qui, o che non ti abbia visto.»

Il cuore di Agnes cominciò a battere all'impazzata. «Mi auguravo che si fosse rassegnato ormai, come sempre gli veniva istintivo portare le mani al grembo: era come a voler proteggere suo figlio; mentre Ilia, terrorizzata accanto a lei, taceva.

«A quanto pare no: fai in modo che non ti segua o che non ti veda. Non vorrei essere costretto a prendere decisioni improvvise.» Gli sarebbe dispiaciuto mettere in difficoltà quella donna, ma doveva mettere al primo posto il benessere della propria famiglia.

Stava per fare marcia indietro, per tornare in salotto, quando Natthasol lo fermò per il braccio e se ne uscì con: «Non ho visto rientrare Nail, pensi che stia bene?»

Ludwig gli sorrise, trovando suo fratello davvero ostinato, era evidente che provasse almeno una simpatia per Nail. «Sta bene, non ti preoccupare. Questa mattina avevo un brutto presentimento, così l'ho mandato a prendere Aleph. Non si avvicineranno mai a loro due, non per aggredirli.»

«Ho capito...» La preoccupazione rimase comunque ancorata al cuore di Natthasol.

«Sta tranquillo fratello mio, andrà tutto bene.» Lo rassicurò ancora, ci provò almeno. Riprese tra le braccia Castaldia per riportarla su nel suo lettino.

E mentre lui abbracciava la sua nipotina, il risentimento non sembrava abbandonare il cuore di Salazar.


Per tutto il tragitto verso casa, Lothar non aveva fatto che stringere quel taccuino tra le mani: detestava Silas per quanto fosse stato attento a tutto quello che gli aveva raccontato. Gli sembrava l'unico che prestasse attenzione a quello che diceva, l'unico che gli credesse, l'unico che gli desse credito. Doveva guardare avanti, però, ormai quello che gli aveva detto non si poteva cancellare, così almeno credeva e si fece forza su quanto Silas aveva affermato durante la riunione. Si focalizzò sulla sua natura tendenzialmente libertina e su quanto sarebbe stato ingiusto lasciarsi andare con lui.

Tornato a casa, trovò suo padre seduto a un tavolo insieme ad altre persone, oltre che a sua madre.

«Cosa sta succedendo?» domandò perplesso, mettendosi il quaderno in tasca e poggiando la giacca e la cartella sull'appendi abiti.

«Non fare quella faccia e sii gentile, per favore. Loro sono i nostri vicini, li conosci bene e oggi li ho invitati a pranzo.»

«Dobbiamo festeggiare qualcosa?» Personalmente lui non aveva nulla da festeggiare.

«No, volevo solo farti conoscere meglio Helen, magari puoi parlarci un po'.»

Lothar lanciò uno sguardo alla ragazza: aveva un bel viso, un bel colorito e dei bei capelli oltre che delle belle labbra. Lei gli sorrise in evidente imbarazzo.

«Posso parlarti un secondo in privato?» si rivolse minaccioso verso suo padre, per nulla contento della trappola che gli stata servita per pranzo.

«Da quando ti metti a preparare matrimoni combinati?» tuonò Lothar.

«Suvvia, figlio mio, lo faccio solo per il tuo bene; e poi non è detto che tu debba per forza sposarla: ho solo pensato che, alla tua età, ti facesse bene conoscere una bella giovane. Parlaci un po', magari andrete d'accordo.»

Lothar lo capì perfettamente che quello non era altro che un modo gentile di dirgli che davanti aveva la sua futura moglie e che non c'erano probabilità di scelta. L'unico lato positivo che riuscì a trovare in quella faccenda, era il poter dimenticare Silas il più presto possibile in modo tale che potesse tornare a vivere in pace.

«Helen, giusto? Ti andrebbe di vedere il giardino?» Tornato in cucina fu la prima cosa che gli venne in mente per sfuggire dalle inutili chiacchiere di suo padre e dall'imbarazzo. Qualcosa avrebbe pur dovuto fare e quella gli sembrò la migliore.

La condusse verso il piccolo giardinetto sul retro dove coltivavano i fiori.

«E questi?» Sorrise lei raggiante verso di lui.

«Li ho coltivati personalmente, un passatempo che mi permette di non dimenticare le mie origini. Questi sono tra i fiori più tenaci, ma presto anche loro dovranno sopperire all'inverno e aspettare un'altra primavera per rinascere.»

Sorrise ancora una volta Helen, che sembrava entusiasta davanti alla bellezza dei fiori, e felice di riscontrare in Lothar un ragazzo gentile, diverso dagli altri che aveva incontrato fino a quel momento. Quegli anni le parvero intrisi di un odio profondo, tanto da farla dispiacere ogni volta che ci pensava.

Si chinò per sentire l'odore dei fiori, fino a raggiungere con le dita i petali delle rose bianche rimaste ancora in vita.

«Non toccarle!» le intimò. Era gelosissimo delle sue rose. In fondo le aveva coltivate appositamente per una persona, per donargliele un giorno.

«Scusami non volevo essere scortese o offenderti.»

«No, scusami tu. Quelle rose sembrano delicate alla vista, ammaliano per quanto sono belle, ma attenta a non pungerti: sono acuminate e lasciano il segno.» Sentendo le sue stesse parole, comprese che aveva scelto il fiore giusto per Silas. Nessun altro avrebbe potuto descriverlo meglio: colui che, più di tutti, lo stava facendo sanguinare copiosamente.

Ma non era così che Lothar aveva immaginato di mostrare i suoi fiori, non a Helen, non doveva esserci lei, ma proprio Silas.

Lothar amava i fiori, la loro forza mista alla loro fragilità, anche Silas li amava, perdutamente.

Lothar non avrebbe potuto mostrarglieli, tutto per colpa sua, per la sua ostinazione, per la sua vergogna, una morale sbagliata.

«Tutto bene? Sei diventato improvvisamente pallido.» Helen fermò il suo flusso di pensieri.

«Sì, tutto bene, forse è meglio se rincasassimo.»

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