Capitolo 33


Che farei io senza l'assurdo?

(F. Khalo.)

Franz era appena rientrato dal suo turno di pattuglia e, per ritirarsi nella sua camera, percorreva stancamente il corridoio dell'albergo che l'ospitava. Ogni giorno era sempre la solita storia, la solita routine che si ripeteva senza neanche troppi colpi di scena: gente che cercava di compiacerlo in quanto nemico, invasore pericoloso, colui che avrebbe potuto recidere vite da un momento all'altro; chi cercava di fronteggiarlo con lo sguardo e, chi invece, ammiccava di tanto in tanto: era un ragazzo piacente, dopotutto; poi c'era sempre il più coraggioso, quello che contava sugli alleati.

Erano stati annessi da più di un anno, eppure cercavano di osteggiarli come potevano, certi della loro salvezza.

Franz, invece, non vedeva che morte e povertà intorno a lui.

Scosse la testa a quel pensiero: avrebbe dovuto interessarsi solo al cibo in quel momento e fari farsi una bella dormita, perché era davvero esausto.

L'unica sua consolazione giornaliera era la speranza, la speranza di vedere posta poggiata sul suo letto ben fatto. Bramava fiducioso la risposta di Friderich, anche solo dopo dodici ore.

Aprì la porta e vide Arthur, sporco di sangue, che si stava lavando le mani e il viso in un catino. «Stai bene?» gli domandò Franz preoccupato, avvicinandosi per controllare se fosse o meno ferito.

«Sì, sto bene. Il sangue che vedi non è il mio.»

Franz non osò chiedere oltre. Non voleva sapere che cosa facevano i suoi compagni d'armi. Ciò che lo circondava era già troppo da sopportare per lui; non perché avesse una chissà quale salda morale: per lui gli ordini erano ordini, ma la vicinanza con Ludwig gli aveva fatto capire che, forse, bisognava essere più giudiziosi, almeno sotto certi aspetti.

«Sei sicuro di stare bene?»

«Sì, Franz, te l'ho già detto. La tua fidanzata non sarà gelosa di tanta premura?»

«Sono solo preoccupato per il mio compagno d'armi, nonché compagno di stanza, non dovrei esserlo?»

Arthur fece spallucce. «Magari è proprio questa premura che gli ha fatto tremare le gambe alla tua fanciulla.»

«A sua detta è la qualità che apprezza di più.» Franz rise al ricordo dolce di Friderich.

Non fece in tempo ad abbandonarsi totalmente al ricordo, perché un'altra preoccupazione lo distrasse, si avvicinò ancora di più ad Arthur e gli afferrò il polso, poi disse: «Che cosa stai facendo? Vuoi forse impazzire del tutto? Non ti serve il Pervitin adesso!»

Arthur si divincolò dalla stretta di Franz.

«Quanti giorni sono che non dormi? Ti vedo fare avanti e indietro per la stanza, ma mai per dormire! Vuoi collassare del tutto? A cosa servi poi? Come può un cadavere invadere una Nazione per il proprio paese?» Era talmente infuriato che lo travolse di parola senza dargli neanche il minimo tempo per rispondere, aspettò che tacesse e poi rispose: «Sei forse mia madre, Franz? Che vuoi che mi faccia una pasticca in più? Guarda sembrano caramelle! Se sembrano caramelle e stanno in una confezione per caramelle, non faranno poi tanto male!» Agitò il flacone in aria, lasciando che le pasticche ticchettassero all'interno del contenitore.

«Quelle servono per farti essere più resistente e forte in battaglia. Lo sai bene! Adesso che sei qui, in stanza con me, a cosa ti servirebbero?»

«Mi servono, lo sai che mi servono. Devo essere lucido, costantemente. »

«Per ammazzare la gente anche quando non serve?»

«Stavano cercando di rubare le nostre risorse, i nostri viveri!»

«Avranno solo fame, Arthur, non è un buon motivo per ucciderli! Saranno giorni che non mangi e che non dormi e la tua capacità di giudizio è del tutto discutibile!»

«Anche la tua, Franz! Lo sai che dovresti fare fuori tutti quelli che ci ostacolano: pensi troppo. Prendi una pasticca anche tu, ti farà bene.» E gliene rovesciò una sul palmo di una mano.

Franz sospirò, non aveva la minima intenzione di prendere un'altra pasticca, non quel giorno.

«Piuttosto, dimmi: sono arrivate lettere per me?»

«La tua bella?» Arthur fece un sorriso sghembo dando un colpetto di gomito a Franz.

«Non fare domande e rispondimi piuttosto!»

«No, non è arrivato nulla.»

Franz avrebbe dovuto aspettare un altro giorno.

«Ah ma dimmi, com'è la tua dolce metà?»

«Ti avevo chiesto di non fare altre domande!»

«Avanti, Franz: non vuoi che prendo le pasticche, non vuoi che faccio domande! Dovremmo pur far qualcosa!»

Franz si sedette sul letto, ormai arreso alle chiacchiere del suo amico. «Dunque, è bella da togliere il fiato, te lo giuro amico mio.» Si mise una mano sul petto e sospirò, poi proseguì «Quando l'ho vista, mai mi sarei aspettato che potesse interessarsi a me. I suoi capelli sono chiari, purissimi, e i suoi occhi cristallini e furbi.»

Arthur sembrava estasiato da quella descrizione. «Ed è dolce?»

«A modo suo...» Franz sorrise.

«Ha qualche difetto? O questo angelo è la perfezione?»

«Qualche? Ne ha tanti!» Rise di cuore questa volta ricordando tutte le scenate e i capricci del suo Friderich. «È frivola, capricciosa, potrebbe stancarsi di te da un momento all'altro, ma è solo una faccia della sua personalità. A modo suo è gentile, è premurosa, e fidati se ti dico che, una volta catturato nella sua morsa, ne sei totalmente schiavo.»

«Va bene. Franz, ho capito, sei totalmente andato, ti ha stregato bello mio!»

Risero insieme i due, lasciandosi abbandonare ai ricordi.

Aveva aspettato per quasi dieci giorni Ludwig. Incaricò un sarto di compiere un'impresa quasi impossibile: confezionare due vestiti su misura senza avere le persone davanti a lui.

Conosceva bene Aleph, glielo aveva descritto alla perfezione, ma per quanto riguardava la madre dovette andare a intuito, affidandosi al vago al ricordo che aveva di lei; tuttavia riuscì comunque a dare qualche direttiva.

Mosso verso casa di Elger, con in braccio un pacco contenente gli abiti, bussò alla porta.

«Vecchio mio, chi non muore si rivede eh!»

«Vorrei calpestare questa terra ancora per un po'» disse Ludwig entrando in casa, catturato subito dalle parole di Elger pronunciate in un sussurro:

«No, se continui a nascondere ebrei.»

Rise. «Dettagli, sono solo dettagli, una piccola debolezza.» Si sentiva strano, però, osservato. Aveva una strana sensazione addosso, una di quelle indelebili, simili a un brutto presentimento; ciononostante non ci badò molto e proseguì con il da farsi. «Tua moglie è in casa?» chiese a Elger.

Lui gli indicò con la mano la figura di sua moglie, che si faceva sempre più vicino.

«Buon giorno, Herr Dubois!»

«Buongiorno, come stai? Come si comportano?»

«Bene. Miriam è un vero aiuto, forse avevate ragione; quanto ad Aleph è sempre in casa vostra, quindi direi che non è di molto disturbo.»

Ludwig guardò Elger, poi parlò: «È sempre così schietta tua moglie?»

«Si è anche contenuta.»

«Questa giornata è iniziata davvero con il piede giusto.» Asserì Ludwig parlando tra sé e sé.

«Dunque, Miriam, vuole seguirmi? Aleph è in casa?»

«Sì, Herr, glielo chiamo subito.»

Ludwig notò delle stranezze nella donna, uno sguardo particolare, quasi di sfida: lo stava forse affrontando?

Miriam chiamò Aleph, gli disse qualcosa, lo vide chiaramente. Aleph annuì, ma appena arrivato nella stanza dove Ludwig era presente sembrava aver mandato a farsi benedire ogni buon proposito o promessa.

«Ludwig, buongiorno!» Vederlo ogni giorno gli dava la conferma che fosse ancora vivo e ciò lo rallegrava.

«Buongiorno.»

Si fece seguire dai due fino al tavolo più vicino, quello del salotto, liberò gli abiti dalla carta e glieli mostrò.

«Questi sono per il nostro piano, non mi dovete niente, ve li sto offrendo, semplicemente.»

«Non li possiamo accettare!» tuonò Miriam.

«Come dite?»

«Avete sentito, Herr Dubois. Non li possiamo accettare.»

«Vi illustro la situazione, magari vi sembrerà più chiara: ho rischiato la vita per voi, per lei e per vostro figlio, vi ho fatto visti e documenti falsi, vi ho offerto un rifugio e costruito un alibi e voi osate dirmi che non li potete accettare, quando questi fanno parte del piano che, insieme, abbiamo concordato?»

«Mi dispiace, Herr Dubois, non voglio essere né scortese, né ingrata nei vostri confronti, ma vede questi vestiti vi saranno costati un sacco di soldi di questi tempi.»

«Vi fate un problema per i soldi?» Si trattenne dal far uscire dalla sua bocca qualsiasi forma di pregiudizio, ma era stanco e seccato da tutta quella situazione.

«Non vorremmo essere un peso troppo eccessivo per voi.»

«Vedete io non voglio che vostro figlio muoia o che venga deportato in qualche campo di prigionia, né che lo siate voi, come non voglio finire davanti la corte marziale, né che la mia famiglia venga sterminata. Vi è chiaro? Quindi voi accetterete questi abiti, non accetto negazioni.»

«Mamma, forse, il colonnello ha ragione, non credi? Ci ha procurato i documenti di gente più o meno facoltosa, noi come potremmo sostenere tale piano con i pochi abiti che abbiamo? Tutto o quasi è stato perso e...»

Con un gesto della mano Miriam lo fermò.

Ludwig si sorprese della presa di posizione di Aleph: era dolce, ma pur sempre un'imposizione. Aveva intravisto del potenziale in lui, e a quanto pareva non si era sbagliato. Le loro lunghe chiacchierate erano servite a qualcosa.

«Sentite, Ludwig » lo appellò per nome, ormai a conoscenza del rapporto che c'era tra lui e Aleph.

«Dite, avanti...» la invitò a proseguire. Ammirava il coraggio, ma detestava gli affronti.

«So che tipo di rapporto c'è tra voi e mio figlio: non mi piace la questione, ma so che Aleph è felice, e almeno sono certa del fatto che voi lo proteggete; tuttavia questi vestiti sono le ultime cose che accetterò da voi.»

«Prego? Non avete più paura della divisa adesso? Solo perché vostro figlio vi ha detto che prova un sentimento nei miei riguardi. Sappiate, allora, che dovrete accettare da qui in avanti, sia la mia presenza che quello che vi porterò proprio per il suo bene. Dovrete farlo, perché non voglio assolutamente che accada nulla alla mia di famiglia, o quanto è vero che porto questa divisa sarò io stesso a compiere il lavoro.»

«Per favore calmatevi, basta!» esplose Aleph, aveva paura di perdere le uniche due cose più care al mondo che gli erano rimaste.

«So bene, mamma, come ti senti. Devo averti deluso e non mi piace per niente tutto questo, ma Ludwig è una brava persona, accetta cosa ti dice per il nostro bene; quanto al nostro rapporto non te ne farò più parola.»

«Il vostro rapporto...» cercò di intromettersi Miriam, ma Aleph la interruppe di nuovo:

«Il nostro rapporto, sì: posso prometterti di non fartene parola. Ma non chiedermi di spezzare il nostro legame, mi renderebbe infelice.» Davanti all'espressione afflitta e alla sincerità delle parole di Aleph, Miriam prese i vestiti di entrambi e si fece da parte. Diede le spalle a Ludwig, non lo salutò neanche, ma in quel momento poco importava per lui, bastava che fossero salvi.

Quando rimasero da soli, Ludwig accarezzò dolcemente la guancia di Aleph, il quale sorrise e poggiò la testa contro di lui. Sospirò poi, era pensieroso, forse un po' avvilito per il comportamento della madre, ma ciò che contava in quel momento era il caldo abbraccio di Ludwig.

Ludwig, lungo il tragitto verso casa, ripensò all'atteggiamento della madre di Aleph, e si sentì quasi preso sotto attacco. Se fosse stata un'altra persona, l'avrebbe considerata un'ingrata. Poi si fermò a riflettere: cosa avrebbe fatto lui, se qualcuno sembrava mettere a repentaglio la vita o la morale di suo figlio? Probabilmente avrebbe reagito anche peggio. Forte di questi pensieri, sospirò e lasciò correre: non poteva biasimarla in fondo.

Rientrò in casa e Nail si accorse subito del tonfo sordo dovuto alla porta che si richiudeva; quando Ludwig non c'era, lui diventava un segugio. Lo lasciò fare, mentre lo indagava con lo sguardo: sembrava essere scosso, a parte l'aria stanca che lo contraddistingueva. Così aspettò che si togliesse il cappotto, guardò Natthasol con attenzione nel momento in cui questi gli chiese se volesse qualcosa di caldo da bere, dopodiché lo seguì con lo sguardo e attese di essere raggiunto da Ludwig con la speranza di tirarlo un po' su di morale. «Ludwig!» lo richiamò incuriosito e spazientito allo stesso tempo; avrebbe voluto solo sentire il rumore del silenzio in quel momento.

Stava per rispondere, quando Natthasol, tornato con una del tè caldo troppo inglese, gli fece venire in mente come i suoi colleghi avrebbero potuto dissentire riguardo tale gesto; ma nessuno lo vedeva e aveva proprio bisogno di qualcosa che lo ristorasse nel profondo.

Si aggiunse al gruppo e portò presto la tazza alle labbra. Ne bevve un sorso, ancora un altro, ma rischiò di soffocarsi quando sentì la domanda postagli da Nail:

«Ci facciamo le confidenze da bricconcelli? Da scapestrati veri e propri.»

«Vuoi ricordarmi la mia condotta o rammentarmi di quanti avessero da ridire sul mio freddo raziocinio?»

«Di più, Ludwig, di più.»

«Quando ti ho rivisto eri sorpreso di come io potessi provare certi sentimenti per un ragazzo...»

«Appunto, sentimenti! Quello che si faceva in trincea non preclude la sessualità di nessuno, in fondo, dai... amico mio, o c'era quello che offriva la trincea, o c'era quello che offriva la trincea.»

«Condivido: non mi sono fatto sfuggire nulla. Ma dimmi, quali sarebbero questi argomenti scabrosi che vorresti affrontare?»

«Visto la trincea e visto il tuo rapporto con Aleph, ti è mai passato per la testa di essere passivo durante un rapporto?»

Ludwig strabuzzò gli occhi: come gli era venuto in mente di fare una domanda del genere? «Hai dato praticamente per assodato il mio ruolo, quindi. Perché mai dovrei pensare si sottopormi al contrario? Comunque no, mai passato per il cervello, mai avuto desiderio simile.»

«Come sei serio... integerrimo su tutti i fronti!» Soffocò una risata.

«Non lo faresti anche tu, ne sono certo! Se mi fai questa domanda per Natthasol... stai pur certo che non devi avere di queste preoccupazioni, affatto.»

«Indaghi pure sulla tua vita sessuale di tuo fratello?» Rise.

«No, è l'unica cosa su cui non mi intrometto, ma temo di conoscerlo, credo che neanche ce l'abbia una vita sessuale. A occhio e croce posso come permettermi di dirmi che non è lui quello che prenderebbe l'iniziativa, su ogni fronte, intendo.»

«Praticamente mi hai scoperto... ma visto che siamo in ballo, balliamo! Cosa posso fare per attirare la sua attenzione?»

«Come corteggeresti una prima donna, vergine, e per di più un po' ritrosa?»

Nail si passò la mano sul viso, sulla fronte e poi tra i capelli, sospirò. «Ahi, ahi, Ludwig, è più difficile di quanto sembri, temo che dovrò faticare parecchio.»

«Lo temo anche io.» Finì di bere il suo tè e poi riprese a parlare: «Se vuoi un consiglio, io non aspetterei il suo muto consenso, né un cenno, nulla. Sembrerebbe già colpito, ti sta solo mettendo alla prova, dovresti fare un'azione, qualcosa che lo lasci di stucco e che, allo stesso tempo, lo convinca a lasciarsi andare.»

Per quanto Nail, ormai, fosse vissuto su tutti i fronti, fare quel discorso in presenza di Ludwig, per lo più riguardo suo fratello, cominciò a metterlo in imbarazzo, così si decise a virare altrove. «Piuttosto, dimmi: sembravi scosso quando sei rientrato, cosa è successo?»

«Non ti sfugge nulla!» rispose con sarcasmo, canzonandolo.

«Andiamo... non fare così, sono solo preoccupato.»

«C'è qualcosa che, forse, mi spaventa più della guerra.»

Nail sembrò perplesso dalla cosa, immaginare Ludwig spaventato lo reputò quasi impossibile.

«Cosa?»

«La furia di una madre!»

«Mi stai dicendo che...»

«Sembrerebbe che Aleph abbia detto a sua madre almeno quello che prova nei miei confronti, non oso immaginare tutto il resto, né tantomeno se lo sappia. Non voleva neanche accettare i vestiti che avevo portato per loro, almeno dopo si è convinta.»

Il discorso tra i due venne interrotto da Silas, appena di rientro. Il suo primo sguardo, salutò e pensiero, come sempre da quando era arrivata, andò a sua figlia, poi pensò agli altri: «Ciao papà! Nail...» Sorrise, un sorriso di quelli che voleva nascondere guai e comunicare beatitudine angelica, come se avere in braccio una neonata lo rendesse ancora di più inattaccabile.

Ludwig rispose al suo saluto, senza indagare: a quel punto era meglio non sapere. Salutò anche Agnes, che era entrata poco dopo lui.

«Ti dipingeranno come la beata vergine Maria!» esclamò Nail.

«Blasmefo!» lo rimbeccò Silas divertito, prima di posare Castaldia nel suo lettino. Le sorrise e le accarezzò una guancia: sembrava assonnata.

«A proposito, Lud, ma l'altro erede lo adotterai tu?» chiese Nail preoccupato, più che incuriosito.

«Posso riconoscerlo come mio in quanto ho promesso loro che il bambino avrà il nostro nome. Penseremo poi a passare la patria potestà a Silas quando tutto questo sarà finito. Per quanto riguarda lo stato penseranno che ho avuto un incontro con una donna visto la mia defunta moglie. Secondo Himler l'esemplare ariano deve avere almeno quattro o cinque eredi, purché siano tedeschi.»

«Secondo lo stato sei a quota quattro» ribatté Nail divertito.

«Un uomo modello non trovi? Due figli, una bambina adottata per la patria e per il sogno della razza, e un altro ragazzino uscito da chissà dove. Un uomo perfetto proprio» commentò, sostenendo il gioco del suo amico.

Di rimando Silas si sentiva sempre più in colpa: non voleva dare pensieri aggiuntivi a suo padre, non voleva gravare sulle sue spalle più del necessario; ma Ludwig sembrava piuttosto convinto e fermo sulla decisione di non fargli sposare quella donna.

«Che ti prende?» domandò Agnes, sedendosi accanto a Silas e attirando la sua attenzione.

«Perché?»

«Non solo solita vederti con il muso, anzi, tutto il contrario: avanti, dimmi cosa c'è che non va.»

«Sono preoccupato per Castaldia e per il bambino che deve nascere. Castaldia è in casa con me, posso tenerla sott'occhio e ci siamo tutti noi a proteggerla, ma per quanto riguarda il nascituro non so quante volte potrò fargli visita. spero il più possibile.»

«Tutto qui? Questo è quello che ti preoccupa?» gli domandò Agnes, sapendo che Silas non era abituato ad aprirsi molto con gli altri.

«Mi chiedo che padre io possa essere...» Il suo sguardo era colmo di preoccupazione e malinconia.

«Questa, Silas, è una preoccupazione che hanno tutti» Si portò, inconsciamente, le mani al grembo per essere certa che il suo bimbo fosse ancora lì con lei.

«L'idea che Castaldia possa passare quello che ho passato io mi fa venire i brividi. Provo rabbia nei confronti della gente che c'è lì fuori. Dovrò farla sottoporre all'identificazione della razza e accettare tutto di buon grado.»

«Una volta accertatisi della sua perfezione la lasceranno stare, pensa a questo»

«Quanto è ridicolo ciò che fanno? Catalogare la tipologia di una persona, la sfumatura dei capelli e quella degli occhi! È assurdo, tutto ciò è assolutamente assurdo e privo di alcun senso.»

Agnes gli prese le mani, le strinse tra le sue e lo guardò fieramente negli occhi, con quella fiamma di convinzione ardente. «Stiamo combattendo tutto questo e ce la faremo!»

Silas annuì convinto all'affermazione della sua amica.

«C'è solo un problema...»

Silas batté le palpebre perplesso. «Quale?»

«Non vogliamo un leader con il broncio!»

Silas rise. «Giusto! Dovremmo fare qualcosa che ci faccia pensare ad altro, magari qualcosa di bello che ci faccia dimenticare tutto questo!» Si alzò di scatto folgorato da un'idea. «Seguimi!» Gli tese la mano e Agnes l'afferrò, seguendolo curiosa per il suo cambio repentino. «Che intenzioni hai?» chiese divertita.

«Non potrei mai, Agnes, ormai sei come una sorella per me.»

«Eppure ci provasti quella sera alla festa» rise.

«Chissà dove ci avrebbe portato l'accettare le mia avance.» Rise e poi continuò a parlare: «Comunque voglio mostrarti delle cose.» Aprì la porta della sua camera e le fece spazio per farla entrare.

Entrando, Agnes sembrò quasi perdersi in un mondo totalmente diverso da quello che c'era fuori. Non era in contrasto con lui, pensò, poiché lo rappresentava a tutti gli effetti: le pareti, il pavimento e gli arredi erano completamente maschili, si vedeva che era stata arredata per un figlio maschio, ma poi subito contrastavano con lo specchio e il letto a baldacchino che aveva splendide tende di colori chiari, sovrapposte e leggere.

Pose lo sguardo meglio sullo scrittoio, c'erano colori sparsi, alcuni nuovissimi, altri di dimensioni ridotte; quasi lo avessero accompagnato per tutta l'infanzia. E poi carta, libri, tutto quello che rappresentava le sue passioni e i suoi studi.

«Agnes!» la chiamò.

Si voltò verso Silas e lo ritrovò davanti il suo armadio, aveva aperto le ante e le suggeriva di avvicinarsi.

«Questi sono i miei abiti, ma non è per questo che ti ho fatto venire qui, bensì per questi!» Gli indicò una seria di abiti femminili conservati perfettamente.

«Li indossi?» Gli domandò ingenuamente.

«No, certo che no. questi fanno parte della mia collezione. Una delle mie più segreti e oscure passioni!» Intonò la frase con fare misterioso, rise.

Agnes si mise a curiosare attentamente tra gli abiti appesi alle grucce, tutti tenuti con estrema cura e rimase meravigliata quanto sbalordita d'innanzi a tanta bellezza.

«Questo è uno Chanel!» Lo riconobbe, dato che Chanel, insieme ad altri, aveva dato libertà alle donne.

«Ho sentito storie scandalose su questo, io non ne ho avuto mai il piacere di vederne uno, ma certe donne hanno parlato così male di questo povero tubino nero.» Si mise a ridere.

«Questo invece lo conosco e l'ho visto!» Lo prese tra le mani, la consistenza era fantastica, manifattura d'alta moda, ne era certa. «Elsa Schiaparelli, Trompe-l'oeil!»

«Sei bravissima! Sono davvero meravigliato e felice del fatto che tu la conosca.»

«L'ho visto indosso alla madre di Huge, ma lui ha pensato bene di ordinarle di sbarazzarsene, troppo francese per i suoi gusti.»

«Non mi pare che con Madame Chanel si siano fatti tanti scrupoli!» Agens e Silas risero insieme.

«Ho sentito delle voci in giro a riguardo, un vero scandalo. Ottima stilista, ma scarsa etica.» Proseguì Agnes.

Silas annuì, poi proseguì con il discorso: «A proposito di voci, dovremmo far sentire la nostra, forte e chiara! Ho un'idea, questa sera, faremo una riunione al Dorian Gray, una volta che tutti saremo lì.»

«Cosa hai in mente?»

«Lo scoprirai anche tu.» Silas gli fece l'occhiolino come se volesse rassicurarla.

«Spero sia qualcosa di buono.» sospirò Agnes.

«Te ne accorgerai!»


Info:

Il pervitin era l'anfetamina che Hitler dava ai suoi soldati per far sì che fossero sempre pronti ed efficienti in caso di attacco, specie quando dovevano invadere qualche nazione, ovvero per renderli invincibili.

Questa droga permetteva di restare svegli per più di tre giorni e di non sentire il morso della fame e, sopratutto, più se ne prendeva, meno si aveva lucidità di giudizio.

Venivano consegnate in tubetti facendo credere ai soldati che fossero una sorta di vitamine/caramelle.

Il tubino nero di Chanel è il più famoso nel suo genere, uscito per la prima volta nel 1926, Chanel è famosa per aver liberato la donna dai corsetti e da tutte le strutture che ne costringevano il corpo, l'ha emancipata. Quanto ai discorsi di Silas e Agnes, Chanel ha avuto una relazione con un soldato Nazista, ecco a cosa fanno riferimento.

Elsa Schiapparelli era una stilista romana divenuta famosa in Francia, famosa per i suoi abiti artistici e surrealisti, spesso in collaborazione con Dalì. Il capo di abbigliamento a cui faccio riferimento è il Golf Trompe-l'eoil, è la tecnica di ingannare l'occhio, su questo Golf c'era un fiocco che sembrava fare un giro intorno al collo, quando invece era solo un effetto ottico, un inganno.

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