Capitolo 31


Credo nella grande scoperta.

Credo nell'uomo che farà la scoperta.

Credo nello sgomento dell'uomo che la farà.

(Scoperta. W.Szymborska)

24 Agosto 1941

Chi decideva per la vita o per la morte? Chi era colui che si affibbiava il compito di poter scegliere chi valeva oppure no, chi si sostituiva alla scienza, a Dio, alla morte stessa interrompendo il suo disegno?

Chi era così crudele da poter mettere fine alla vita di un bambino solo perché nato diverso?

Il tonfo sordo della porta chiusa con rabbia arrivò presto alle orecchie di Natthasol, che si accorse subito di come qualcosa fosse andato storto; così si precipitò nel salotto, aspettando che Ludwig si palesasse. Quando lo vide arrivare, sembrava essere frustrato e sicuramente combattuto, come se qualcosa lo tormentasse.

Ludwig lo era davvero. Aveva perfino lanciato il cappotto militare contro il divano, non ne voleva più sapere. Ma era proprio quello che lo turbava: quel cappotto sarebbe stata una seconda pelle ancora per molto tempo.

«Ludwig che succede?» gli domandò ansioso Natthasol.

«Ho dovuto emettere l'ennesima sentenza di morte. Sono un essere umano che si trascina cadaveri, non ne posso più!» Ludwig si nascose il viso tra le mani e si strofinò le tempie come se volesse estirparsi i sensi di colpa.

«Devo ordinarlo, perché a mia volta mi è stato ordinato da chi è più potente di me. Non credo di poter sopportare uno scempio simile ancora per molto.»

«Cosa è successo questa volta?» Il volto di Natthasol era pieno di tristezza e dolore. Non poteva minimamente immaginare come si sentiva suo fratello. Secondo lui, poi, non aveva ancora del tutto superato la perdita di Regan. Era dovuto andare avanti senza neanche permettersi il lusso di analizzare e comprendere le proprie emozioni.

«Non dovrei parlartene, non l'ho fatto fino adesso, ma credo che sia arrivato il momento, perché sto per scoppiare... e scusami Natthasol, ma temo che dovrò condividere questo fardello con qualcuno.»

«Dimmi, Ludwig. Sono qui per questo.» Natthasol gli avrebbe preso le mani, fatto sentire tutta la sua vicinanza e il suo conforto, ma non lo fece. Si limitò ad ascoltare, invece, sapendo che suo fratello avrebbe apprezzato di più.

«Hitler ha ordinato la sospensione del programma T4.»

«Ovvero?»

«Il programma eutanasia. Hanno portato via tutte le persone affette da malattie genetiche, mentali, disabili... insomma tutti quelli non idonei per la gloriosa razza germanica, affinché potessero nascere solo essere perfetti, senza alcun difetto umano.»

Natthasol si portò una mano alla bocca in un moto di terrore e disgusto. «Ma è terribile Ludwig...»

«Lo so. Oggi ha proclamato la sospensione del programma. Gli ingenui penseranno che si sia messo una mano sulla coscienza e che, effettivamente, abbia smesso di mandare a morte degli innocenti. Invece no. Ci ha incaricato di ingannarli dicendo loro che sarebbero stati lasciati liberi. Li abbiamo fatti passare per un'uscita alternativa, ma era un vicolo cieco. L'uscita dava su un cortile interno, dove ad aspettarli non c'era che un autocarro, che li avrebbe condotti o nei campi di lavori forzati, o dritti verso la morte stessa.»

«Che intendi?»

«Dentro il mezzo, una volta pieno, viene rilasciato del gas per ucciderli all'istante. Così fino all'esaurimento.

Non ce la faccio: ricordo ogni volto, ogni faccia ed espressione innocente che lì, in fila, aspettava l'arrivo della bugia imminente; e io non ho potuto fare niente. C'è qualcosa di tremendamente oscuro in tutto questo. Lo sappiamo che sono dei mostri, lo sappiamo perfettamente, ma gli alti vertici si stanno spingendo davvero oltre ogni limite, non quello che può immaginare un essere umano civile.»

«Ludwig ma se non hai potuto fare niente non è colpa tua...»

«Li ho visti andare verso la morte e non ho potuto fermare nessuno. Il tutto perché è messa alla prova la mia fedeltà al Reich; e se io facessi un passo falso, non ci metterebbero niente a uccidervi tutti quanti. Quelli sono dei folli con la divisa. Non è la morte la peggiore delle idee da loro contemplate, ma tutto il resto! Sono abominevoli, e spregevole è il loro pensiero, che li spinge a tanto.» Ludwig sospirò affranto. Suo fratello non avrebbe potuto fare niente, ne era consapevole, ma almeno si era liberato di un fardello.

Un suono fragile e dolce distolse l'attenzione di Ludwig e di rimando lo fece sorridere.

«È la mia nipotina quella che sento?» domandò a Natthasol.

«Sì, è lei. Deve essersi svegliata e sembra voler richiamare la nostra attenzione.»

Ludwig si alzò dal divano dirigendosi verso la culla della bambina. La vide e le sorrise. Si chinò verso di lei, la prese in braccio e la cullò appena, cercando di sostenerla al meglio e di ricordarsi come si faceva. Amava i bambini, ma non aveva avuto la possibilità di fare altri figli: erano passati anni da quando ne aveva tenuto uno in braccio. Stringerla a sé, lo fece sentire subito meglio, quasi rilassato, come se il suo obbiettivo fosse il bene dei suoi cari. Il resto era quasi superfluo.

«Chissà che fine ha fatto quel debosciato di tuo padre.» Ludwig scosse la testa. Erano ormai cinque giorni che la pargoletta era stata lasciata a lui. Silas ebbe giusto il tempo di vederla, di tenerla stretta a sé per poi sparire di nuovo, impegnato con la sua rivolta.

La bambina in tutta risposta alzò una manina, attratta dai bottoni della giacca che aveva davanti.

«Così piccola e già interessata ai dettagli!» disse di rimando a Natthasol, che si era avvicinato a sua volta.

«Ludwig, ma sappiamo il nome della bambina?»

«No. Se Silas non si decide a tornare a casa e a dircelo, credo proprio che non lo sapremo mai.»

«Parli del diavolo e spuntano le corna...» disse rivolgendosi a Silas non appena lo vide. Sembrava stanco, ma con sorpresa di Ludwig si diresse immediatamente verso di loro, come se la sua priorità fosse quella di andare verso la culla di sua figlia ancor prima di salutare tutti. Questo lo rese orgoglioso. «Devono essere state giornate stressanti, immagino. Agnes e Ilia non hanno ancora fatto ritorno.»

«Loro stanno finendo le ultime cose al Dorian Gray. Agnes mi ha lasciato tornare a casa prima, ma a breve usciranno anche loro.»

«Capisco... » Ludwig vide Silas muovere le braccia nella direzione della bambina come se volesse prenderla in braccio, ma non lo lasciò fare e disse: «Come minimo ti devi lavare le mani, farti un bagno e cambiarti i vestiti e poi, potrai prenderla in braccio. Ma prima, dovrai dirci come hai intenzione di chiamare tua figlia.»

«Giusto! Il nome, sono mesi che ci penso. Ho quello perfetto per lei!»

«E sarebbe?»

«Castaldia!»

«Castaldia?»

«Sì. Volevo darle un nome da eroina romantica, magari che ricordasse un quadro preraffaellita. »

«Immagino che volessi fosse assolutamente non comune. Spero di riuscire a giustificare il suo nome come un'origine germanica...»

«Vado a fare il bagno, così poi posso prendere in braccio la mia bambina!»

«Fuggi, fuggi che io ho un altro problema in più da risolvere.»

Qualche ora dopo, come d'accordo, Lothar si presentò a casa Dubois: doveva riportare a Silas gli ultimi dettagli, ma visto che si era spinto fino a li e che ormai certi pensieri lo tormentavano da mesi, si decise di dirgli ciò che pensava veramente. Aveva paura che Silas potesse odiarlo, sapeva a cosa sarebbe potuto andare incontro e forse lo avrebbe perso, forse non sarebbe più stato considerato il Lothar di sempre, ma era importante che gli comunicasse ciò che davvero pensava.

Così, dopo aver preso un amaro sospiro non proprio liberatorio, bussò alla porta.

«Ehi, ti stavo aspettando.» Silas lo fece entrare e Lothar si accorse subito che c'era qualcosa di diverso in lui. Chissà: un profumo, o forse qualche capo d'abbigliamento più elegante di quello che portava al Dorian Gray.

«Devo farti conoscere una persona» gli disse sorridendo, spingendosi verso la culla di Castaldia.

«Un altro ipotetico fidanzato che si è rivelato essere un cavallo?»

«Deve averti colpito quella situazione.» Silas rise, non riusciva a comprendere totalmente le sfumature di Lothar, ma forse era questo che tanto lo affascinava di lui: la stessa ideologia, ma mondi completamente opposti e, probabilmente, complementari.

«Non capita a tutti conoscere il ragazzo di un altro ragazzo, che per giunta è un cavallo: bizzarro accoppiamento non trovi?» Lothar cercava di non sembrare teso, altrimenti Silas avrebbe mangiato la foglia prima del tempo, ma quello che vide in quel momento, gli fece spalancare gli occhi stupendolo totalmente.

Vide Silas prendere la bambina in braccio, cullarla appena e sorriderle dolcemente. Lothar lo trovò bellissimo, quasi più adulto. In quel momento si sentì terribilmente fuori posto, come se stesse desiderando di essere il padre di quella bambina, ma ciò era un sogno assurdo, come tutti gli altri.

«Tua figlia?» domandò sorpreso, come se non lo sapesse.

«Sì, lei è Castaldia.» Silas prese la mano della bimba e la mosse in cenno di saluto verso Lothar.

«Nome singolare.»

«Non ti piace?»

«Da te non mi sarei aspettavo diversamente.» Lothar sorrise quasi amaramente.

Silas sorrise, Lothar non sapeva dire perché, ma quel giorno lo trovava più radioso, più bello, forse era l'amara consapevolezza che lo avrebbe perso per sempre.

«Mi dispiace chiedertelo, visto che devi badare alla bambina, ma dovrei parlarti... fuori. Non riguardo il Dorian Gray. Ho una confessione da farti.» Lothar aveva abbassato lo sguardo, e a Silas quello non sembrava un bel segno.

Deglutì a fatica e fece un lieve cenno con la testa, prima di poggiare delicatamente la bimba nella culla. Le rimboccò la copertina ricamata, infine seguì Lothar al di fuori della casa, nel giardino, dietro al vialetto.

«Sono passati sei mesi da quando mi hai detto quelle cose...» Lothar aveva cominciato a parlare, e a ogni parola il cuore di Silas aumentava di un battito, poi due, poi tre. «Però ci ho pensato: non credo di essere in grado di darti quello che vuoi, non credo neanche che tu faccia sul serio.»

Il volto di Silas si incupì. Si sentiva indignato, oltraggiato, quasi ferito nel profondo, perché Lothar aveva messo in dubbio ciò che provava veramente per lui. «Perché credi questo? Perché credi che io voglia prenderti in giro? Posso capire che tu non possa ricambiare, ma non capisco perché tu pensi questo.»

«Perché so come sei fatto Silas. Probabilmente per te sono solo un capriccio, una semplice meta da raggiungere, qualcosa da avere e poi dimenticare, non lo so.»

Si sentì ferito: come poteva pensare una cosa del genere? «Mi dispiace che tu pensi questo, ma non è come così.»

«Chi può garantirmelo?»

«Io» rispose seccato.

«Silas, a scuola parlano di te senza sapere tra di loro che sono state con lo stesso ragazzo: ti lasci dietro cotte e invaghimenti di ragazze semi sconosciute. Le conosciamo solo perché frequentano la nostra stessa scuola. Come faccio io a pensare che non sarebbe lo stesso con me, che non hai già fatto così con qualche ragazzo incontrato in un locale?»

«Io credo che tu abbia semplicemente paura, Lothar.»

«Può darsi. Può darsi che io abbia paura, che io sia un codardo, ma non sopporterei di vederti con altri, qualora tu scegliesti me.»

«Ma io ti ho già scelto, e te l'ho detto sei mesi fa. Tu mi stai lasciando andare in questo momento, te ne rendi conto?»

«Perfettamente.» Lothar gli avrebbe voluto gridare qualsiasi cosa: di restare con lui, di rimanere, di dimostrargli la veridicità di quanto aveva detto; eppure, ancora una volta, decise di lasciarlo andare.

«Ci vediamo domani al Dorian Grey, poi a scuola. Se non hai altro da dirmi, torno a casa da mia figlia.» La voce di Silas era fredda, ridotta quasi al silenzio tanto era il dolore che provava nel petto. Chiunque avrebbe potuto sentire il suo cuore infrangersi in mille pezzi, forse anche Lothar. Non voleva darlo a vedere, però. Non voleva dimostrare a Lothar tutto il suo dolore. Sarebbe potuta sembrare una prova, una manifestazione della sua realtà, ma in quel momento Silas decise di rispettare il proprio dolore, di non correre dietro le paure di Lothar. Era già stato ferito da quello che aveva tutto l'aspetto di un altro abbandono.


Silas era rimasto fuori fino all'imbrunire. Sarebbe dovuto tornare da Castaldia, ma non voleva trasmetterle il suo dispiacere: quella creatura non lo meritava.

Era rimasto fuori per riflettere, appartato con i suoi pensieri e la sua anima; ma il coprifuoco era vicino e lui sarebbe dovuto rincasare. Quando accadde, però, venne colto da una situazione molto curiosa: vide Friederich allontanarsi dal vialetto. Non sapeva perché si fosse recato lì, certo era che avrebbe chiesto spiegazioni, seppur non in quel momento. No, non era una sua priorità: in quel frangente stava provando emozioni così forti e autodistruttive da non interessarsi neanche alla sua salvezza. Qualsiasi cosa fosse accaduta, l'avrebbe accettata quasi stesse soccombendo al suo dolore.

Quando finalmente entrò in casa, vide il volto sereno di Aleph che era intento a lucidare e pulire il suo violino, cosa che lo fece sorridere malinconicamente. Aleph gli piaceva: era contento che fosse vicino a suo padre, faceva bene a entrambi e perfino a Salazar; la dolcezza di quel ragazzo ebreo aveva conquistato tutti.

Si sedette davanti a lui, desideroso di abbandonarsi alla struggente melodia del violino, piuttosto che rifugiarsi tra le braccia di qualche sconosciuta.

«Aleph, suoneresti qualcosa per me?» gli domandò.

«Certo, cosa preferisci?» Sorrise, posizionandosi già pronto per suonare.

«Qualcosa di sofferente, ma che allo stesso tempo sia in grado di ristorare l'anima, come un balsamo che lenisca.»

Alpeh non sapeva cosa avesse procurato tale tristezza in Silas, ma dopo qualche secondo riuscì a trovare nella sua memoria la melodia adatta alla situazione. Sorrise ancora una volta e cominciò a suonare.

Durante l'esecuzione del brano, Silas si lascio incantare da quei movimenti delicati e ipnotici, dalla sua espressione dolce. Era una melodia ritmata, a tratti malinconica, poi di nuovo gioiosa: sembrava una litania, una nenia agrodolce.

Aleph aveva azzeccato in pieno ciò che gli aveva chiesto. Quella melodia che solo dopo un dolore riesci a comporre. Era stato lui a scriverla, l'aveva composta dopo la morte di suo padre.

Quel brano attirò l'attenzione di Salazar e Natthasol che, osservando in solitudine i due, si avvicinarono per gustare a pieno la musica.

Salazar si sedette accanto a suo fratello, poggiando la testa contro la sua spalla: gli mancava Silas, e quei rari gesti lo dimostravano; Silas, però, aveva allontanato la mente da tutto. Esistevano solo lui e la musica. Sapeva che intorno a lui c'erano persone che lo adoravano, che gli volevano bene, ma in cuor suo, nella sua anima, sentiva quella solitudine ruggente, che non lo avrebbe mai abbandonato. Era parte del suo essere, la solitudine, una condizione che lo aveva sempre accompagnato: l'unica che, probabilmente, non lo avrebbe mai abbandonato.

Friderich si era scapicollato verso casa e, dopo essere salito nella sua camera, si chiuse perfino dentro a chiave. Voleva leggere in tutta intimità la lettera che gli aveva scritto Franz. Lì da solo, geloso anche di un singolo sguardo. Non avrebbe mai ringraziato abbastanza Ludwig che, dopo suppliche e suppliche, aveva accettato di fare da tramite: Franz avrebbe inviato le lettere a lui per fuggire alla lettura forzata della Gestapo affinché Friderich sarebbe stato in grado di averle.

Febbricitante aprì la busta, tirò fuori il foglio totalmente scritto e lo spiegò. Le mani gli tremavano, il cuore gli batteva all'impazzata e curioso si precipitò a leggere.

Amore mio,

Sei mesi lontano da casa, sei mesi lontano da te.

Questa attesa è quasi insopportabile, ma devo fare il mio dovere qui, in Francia.

Ci sono stati dei disordini, ultimamente, ma nulla di preoccupante. O meglio, sì, ma niente che abbia messo a repentaglio la mia vita.

Sono un compagno perfetto, faccio lavoro e albergo ogni sera, mentre gli altri si ritirano a bere; ma io non voglio cadere in tentazione, perché so che tu sei a casa ad aspettarmi.

Ci sono anche linee telefoniche molto buone qui, ma non so quando posso chiamarti a casa. Anzi: credo che sia proprio impossibile; e tu ne conosci il motivo.

La Francia è un posto molto bello, ha dei bei paesaggi. Alcune città sono più noiose di altre e, magari, un giorno la visiteremo insieme, magari quando, vittoriosi, avremmo vinto la guerra.

Spero che tu stia bene, che mantenga il sorriso di sempre, quello di cui mi sono innamorato.

Fammi avere presto tuo notizie.

Con amore,

tuo Franz.

Friderich tirò un sospiro di sollievo, strinse la lettera al petto, la lesse più volte per imprimerla nella mente. Nei giorni l'avrebbe imparata a memoria, gli avrebbe risposto sperando che le lettere potessero arrivare più in fretta, desideroso di sentire in silenzio, almeno nella cuore, la voce del suo amato; a lungo, per sempre.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top