Capitolo 30


Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fino al primo sguardo, all'improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata.
(F. Dostoevskij)

Raggiungere il Dorian Gray era sembrato quasi un miracolo, o forse era Silas quello che si sentì miracolato. Lothar continuava a perdere sangue, ma non emetteva un lamento: era sempre così stoico nella sua forza d'animo, o semplicemente non voleva sembrare da meno agli occhi di Silas.

«Resisti, siamo quasi arrivati!» Nel dirlo non tradì la benché minima agitazione. Sapeva controllarsi, o quanto meno si obbligava a farlo per il bene dell'altro; dopotutto cercava di infondergli un po' di forza in più, di mantenerlo vigile e attento durante il tragitto. Se solo dei soldati tedeschi li avessero visti, si sarebbero insospettiti e per loro due sarebbe stata la fine.

Però avevano già superato quello scoglio: erano all'interno del Dorian Gray e non contava più niente; eccetto Lothar, che era la priorità.

«Che è successo?» domandò Agnes vedendoli entrare in quel modo: Lothar era piegato in avanti, mentre Silas lo sorreggeva tenendo la sua mano poggiata contro la ferita.

«Quel fottuto bastardo di Bruno non sa perdere, così ha pensato bene di pugnalarlo. Un'idea davvero geniale.»

Lothar sorrise nel sentirgli usare un linguaggio tanto colorito per difenderlo. Vederlo così arrabbiato gli faceva credere che Silas tenesse davvero a lui in un modo particolare.

«Va bene, stendiamolo qui...» Agnes si precipitò per sparecchiare uno dei tanti tavoli rimasti nei sotterranei. Fortunatamente quel giorno era tornata al Dorian Gray per non gravare troppo sulle spalle di Ludwig; sapeva che poteva fidarsi, sapeva che aveva un nascondiglio, ma non le sembrava giusto approfittare troppo della sua gentilezza.

Silas aiutò a stendere Lothar su quel tavolo rettangolare di legno e si disse che, per fortuna, sembrava ancora in buono stato; quanto bastava per poter sorreggere un peso simile. «E adesso?» domandò, preoccupato e spaventato, mentre continuava fare energicamente pressione con entrambi i palmi. Sentire il sangue di Lothar che gli bagnava la pelle gli faceva ghiacciare il proprio nelle vene: era come se venisse costantemente punto da aculei e percosso.

«Qui nel nostro rifugio, tempo a dietro, avevo portato un kit di pronto soccorso per ogni evenienza...» iniziò a dire Agnes «In passato mi hanno insegnato a suturare le ferite: mio padre era un valoroso soldato della Prima Guerra Mondiale. Non l'ho mai fatto, ma non vedo altre soluzioni al momento.» Anche lei, come Silas, era visibilmente agitata e voleva a tutti i costi permettere a Lothar di sopravvivere, perché sebbene il taglio non era stato inflitto profondamente, tutta quella perdita di sangue lo avrebbe potuto condurre a morte certa. Dunque si tolse la giacca del completo, sbottonò i polsini e si rimboccò le maniche fino ai gomiti. Corse a prendere il kit d'emergenza che teneva nascosto, sperando di fare il più in fratta possibile.

«Cazzo! Il cappotto buono...» bofonchiò Lothar stringendo i denti a causa del dolore.

«Ti sembra il momento di pensare al cappotto adesso? Ne comprerai un altro.»

«Silas non capisci, adesso ne posso comprare un altro, ma questo cappotto me lo regalò mia madre quando ero bambino, me lo comprò con i suoi risparmi, dicendomi che da grande lo avrei potuto indossare. Quindi, sì, quel bastardo di Bruno... pure il cappotto doveva rovinarmi!» Sbatté un pugno sul tavolo per la rabbia che, improvvisamente, era risalita dentro di lui, ma poi reclinò la testa all'indietro perché, muovendosi, la ferita gli aveva causato delle fitte allucinanti.

«Eccomi!» Agnes posò subito la valigetta sul tavolo e l'aprì. Lo sguardo verso Silas, disse: «Quando te lo dico io, togli le mani dalla ferita, aprì il cappotto e la camicia, ma attento a non tirare con questa i lembi della carne recisi.»

Silas annuì: era inquieto, ma in certi casi riusciva a tirare fuori un sangue freddo, paragonabile solo a quello di suo padre.

Agnes tirò fuori un laccio che a breve avrebbe stretto intorno l'addome, sopra la ferita per evitare la fuoriuscita maggiore di sangue. Lothar era già evidentemente provato, aveva la fronte imperlata di sudore e il battito cardiaco che sembrava decelerare sempre di più.

«Silas, mi raccomando, ogni cinque minuti devi sciogliere il laccio e poi aspettare qualche istante. successivamente devi riallacciarlo e ripetere tutto questo fin quando non avrò finito di cucire la ferita.»

«C'è qualcosa che posso stringere tra i denti prima che tu mi ricucia come un calzino?»

Agnes si guardò intorno. Vicino a lei c'era solo il lembo di una tovaglia: lo prese, tagliò con le forbici e tirò via il restante con le mani, prima di arrotolarlo e passarlo a Lothar. Lui serrò bene la sua morsa, pronto a sopportare il dolore.

«Silas è ora di togliere le mani!»

Alle sue parole, lui lo fece, aprì il cappotto e la camicia, stando molto attendo. Il sangue continuava a sgorgare e Agnes, prontamente, chiuse a monte la ferita. La lesione era ben visibile, più profonda di quello che credevano; il cappotto lo aveva protetto un poco, tuttavia non così tanto.

«Ora stringi bene quel drappo tra i denti, Lothar!» Agnes bruciò l'ago per le suture con un accendino; doveva quantomeno disinfettarlo. Cercò il filo nella valigetta, lo preparò e, pronta, tirò un bel respiro. «Al mio tre, ragazzi, partiamo.» Guardò per un momento Silas negli occhi: lo vedeva visibilmente in ansia e sembrava quasi che, con una muta preghiera, la stesse scongiurando di salvarlo...

«Allora: uno...» Cercò di far passare il proprio tremolio alle mani dovuto alla tensione, voleva essere più precisa e più indolore possibile «due...» un altro respiro profondo per richiamare a sé la forza. Silas le fece un cenno di incoraggiamento.

«Tre!» Agnes avvicinò l'ago a forma di uncino al primo lembo di carne, serrandolo contro l'altro. Doveva essere meticolosa, ma veloce, perché non avevano molto tempo.

Lothar strinse gli occhi dal dolore, mentre i suoi denti affondavano nella stoffa. Sentiva l'ago penetrargli le carni e poi riuscire al fastidioso passaggio del filo di sutura: sarebbe voluto svenire. Emise un altro urlo strozzato, mentre Silas, dopo i primi cinque minuti, sciolse quel laccio.

Agnes aveva quasi finito, e il sangue scorreva poco e lentamente. Silas richiuse il laccio e Agnes, ancora una volta, penetrò le carni con quell'ago trapassandole con il filo.

Non sapendo a cosa aggrapparsi, per il dolore, Lothar intruppò la mano di Silas e l'afferrò senza esitazione. La strinse e la strinse forte, ogni volta che Agnes rifaceva il solito passaggio. Lui stringeva la mano a Silas e questi gliela restringeva di rimando: voleva sorreggerlo, sostenerlo in qualche modo.

Silas tolse il laccio definitivamente, mentre Agnes si premurò si pulire l'addome da tutto il sangue che la ferita aveva tirato fuori, poi lo fasciò ben stretto in modo tale che la sutura non si riaprisse, non cedesse. Lothar si sarebbe dovuto medicare spesso, se non voleva rischiare una setticemia.

«Sarebbe meglio se riposasse adesso...» suggerì lei; ma Lothar aveva già chiuso gli occhi per la stanchezza: di lì a poco si sarebbe addormentato a causa degli stenti. «Se hai bisogno di qualcosa, Silas, sono di sopra. Te lo affido.» Gli sorrise e si congedò verso quella parte del Dorian Gray aperta al pubblico.

Silas lo stava vegliando, controllava che stesse bene durante il suo riposo. Fino a quel momento gli sembrava tutto regolare: respirava bene, non si lamentava nel sonno. Tirò un sospiro di sollievo.

Quel giorno aveva avuto una grandissima paura, avrebbe potuto perderlo e non se lo sarebbe mai perdonato, non osava immaginare come avrebbe reagito, sarebbe stato in grado di dare fuoco a Berlino stessa per il dolore.

Si alzò dalla sedia dalla quale lo teneva d'occhio, mosse qualche passo avanti e indietro nervoso: lo aveva osservato per così tanto tempo che adesso avrebbe saputo disegnarlo, ritrarlo a occhi chiusi; e si sentiva così male nel sapersi lontano da lui, così lontano da come avrebbe voluto. Ormai era arrivato a una consapevolezza.

Si avvicinò al ragazzo e gli diede un'occhiata veloce per accertarsi che stesse ancora dormendo, gli era venuta un'idea furbetta in testa e voleva metterla in atto.

Così si sfregò le mani per scaldarle e le posizionò sugli occhi di Lothar, certo che la prudenza non fosse mai troppa. Poi si avvicinò al suo viso, il cuore che batteva all'impazzata. Quasi gli girava la testa per l'emozione.

Era a un passo dalle sue labbra. Deglutì a vuoto, ma poi, finalmente, le poggiò contro le sue. Con suo grande stupore, entro pochissimo tempo, Lothar prese a ricambiare il bacio. Si sentì come avvolto, improvvisamente, da un calore, un affetto, mai conosciuto fino a quel momento; e fintanto che gli teneva obbligatoriamente gli occhi chiusi, tutto quello gli sembrava normale, non strano, non anti convenzionale.

Silas lo avrebbe voluto continuare a baciarlo per ore, ma doveva dirgli qualcosa, perciò si ritrasse e si fece coraggio.

«"Capitano a volte incontri con persone assolutamente sconosciute a noi solitamente estranee, per le quali proviamo interesse fino al primo sguardo, all'improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata"»

Il cuore di Lothar aveva preso a battere più forte di prima, ma non a causa dell'eccitazione dovuta dal bacio, bensì per l'emozione, la commozione quasi di quelle parole. Quella di Silas era appena stata una dichiarazione bella e buona.

«Citi Dostoevskij adesso? Sei proprio un sovversivo» rise appena.

«Eh sì!» Non riuscì a pronunciare nient'altro, la gola gli si era seccata: l'ansia, la paura lo stava divorando.

«Silas per quanto ancora hai intenzione di tenermi al buio?» domandò riferendosi al fatto che stesse ancora con le mani poggiate sui suoi occhi.

«Altri cinque secondi!» esclamò quasi con tono squillante. Era completamente arrossito, e non gli era mai successo nella sua vita; forse perché non si era mai veramente innamorato. «Uno...» Cercava di ispirare ed espirare profondamente per cercare di calmarsi, per ritrovare il controllo, un contegno. «Due...»

«Silas, ne sono passati già dieci mentre tu conti come una lumaca.» Lothar lo rimbeccò, punzecchiandolo bonariamente e immaginando che fosse in imbarazzo.

«Tre e quattro...» Un ultimo respiro, la resa dei conti. Il cuore non voleva saperne di calmarsi, perciò non gli restò che farsi coraggio, ispirare ancora profondamente e lasciarlo andare. «Cinque!» Silas tolse le mani dal volto di Lothar e Lothar lo guardò un momento.

Era così bello vedere Silas: aveva temuto di non poterlo vedere mai più. «Allora sai contare fino a cinque!» rise, punzecchiandolo ancora una volta.

Ma Silas lo voleva mettere a tacere e così fece, gli prese il viso tra le mani e ancora una volta lo baciò.

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