Capitolo 29


Non giudicare qualcosa

finché non sai com'è dentro.

Non spingermi, io mi ribellerò.

Mai cedere, mai arrendersi, no.

(B. Adams)

Ludwig, ormai, aveva capito come andavano le cose; la situazione era chiara e semplice: lui non poteva riposare. Per qualche strano disegno cosmico, appena poggiava la testa sul cuscino, qualcuno veniva a reclamare il suo aiuto. Così, giocando d'anticipo ed evitando ulteriori prese di nervi, decise di dormire quanto bastava; almeno a farlo rimanere in piedi.

Quella mattina, come le altre più o meno, era tornato verso i primi bagliori dell'alba e si era alzato verso le sette. Era stanco, ovviamente, e sarebbe stato meglio non dormire affatto. L'adrenalina avrebbe giocato a suo favore, ma a sue spese aveva imparato che la mente, almeno per poco, aveva bisogno di recuperare, di riposare.

Stranamente, quella mattina, nessuno, si era ancora appellato a lui. Approfittando della calma apparente e già vestito di tutto punto, si mise seduto sulla poltrona a leggere il quotidiano da lui definito "spazzatura di propaganda" e a bere del caffè; o quello che sembrava tale.

«Porcherie, ci fanno leggere solo e soltanto porcherie» disse tra sé e sé, avendo l'abitudine di pensare ad alta voce in solitudine.

La sua pace venne interrotta dal bussare della porta. Avevano battuto in maniera pacata: colpi secchi e decisi. Grazie a quelli aveva capito che fosse suo figlio Silas. Così, senza preoccupazione di sorta, andò ad aprire.

Ludwig guardò le ragazze che lo accompagnarono e gli prese un colpo di fronte alla moglie di Huge Ritcher. La situazione lo preoccupava, perché sapeva che da quel momento in avanti avrebbe potuto subirsi quel viscido.

«Spero che sia importante» disse secco. Fece entrare tutti e tre in casa onde evitare che qualcuno li vedesse fuori a parlare.

«Sì, papà, è una questione urgente, che Agnes stessa voleva esporti.» Silas era amorevole con i suoi amici, sempre pronto a dare una mano, ma quel giorno non voleva prendersi colpe o responsabilità che non gli competevano: aveva detto ad Agnes che avrebbe dovuto provvedere lei stessa a chiedere ospitalità e così fece, mantenne la sua parola.

«Sentiamo» rispose Ludwig. Quando parlava poco non era per scortesia, ma voleva ascoltare bene quanto gli veniva detto e, soprattutto, soppesare le parole e i bisogni nella giusta mistura.

Agnes mosse qualche passo in avanti, lasciando dietro di sé Ilia e Silas. «Herr Dubois, ho da farvi una proposta con il cuore in mano. Vorrei appellarmi alla vostra generosità per chiedervi un favore.»

Silas sospirò, sapendo che Agnes aveva già sbagliato approccio con Ludwig. Suo padre odiava essere comprato e, soprattutto, non sopportava essere considerato come tutti gli ufficiali nazisti. L'unica cosa che era rimasta ad Agnes era sperare che Ludwig non si fermasse a considerare il principio, ma che l'ascoltasse prima ancora di cacciarla di casa per l'affronto.

«Per favore, chiedimi ciò che devi senza troppi giri di parole, sii sintetica.»

«Io e Ilia, la mia qui presente consorte siamo fuggite da casa. Ho ufficialmente abbandonato il tetto coniugale informando mio marito della situazione. Ero andata al rifugio, ma io sono incinta e non volevo mettere a repentaglio la vita del bambino. Ho chiesto a Silas se voi potevate ospitarmi e lui mi ha detto che, com'è giusto che sia, avrei dovuto chiedere a voi.»

«Praticamente mi state chiedendo di nascondervi: te, la tua fidanzata e il tuo prossimo nascituro.»

«Esattamente, Herr Dubois.»

Ludwig si prese un momento di pausa, le guardò: prima Agnes, poi la ragazza e infine Silas; guardò suo figlio severamente, stanco di tutti quegli intrighi, ma non sapeva mai come affrontare quel carattere tanto pericoloso che si ritrovava, perché in cuor suo, per quanto rischioso, quanto aveva fatto lo riteneva un atto onorevole.

«Papà io so che la situazione in casa non è delle migliori, ma loro sono mie amiche e non mi sento con la coscienza a posto a saperle in pericolo» Silas interruppe il silenzio, forse troppo presto, forse non lasciando lo spazio necessario a Ludwig per pensare.

Di fatti suo padre lo guardò severamente ancora una volta e gli rispose seccato senza troppi giri di parole: «Sta zitto!»

«Papà per favore!»

«Ti ho detto di stare zitto!»

Quel momento di tensione, prima che Silas potesse incaponirsi sulla presa di potere, venne stemperato dall'entrata in salotto di Natthasol che, con in mano un vassoio, avendo sentito parlare, pensò ingenuamente che ci fossero degli ospiti. «Qualcuno vuole una fetta di Strudel?» domandò, porgendo in avanti il vassoio.

Ludwig si voltò a guardarlo e Natthasol comprese che forse aveva sbagliato momento.

«Veramente io ne vorrei una...» si fece largo Silas per sorpassare tutti e prendersi la sua fetta di dolce.

Ludwig scosse la testa. «Non ti ho proprio insegnato niente.» Rassegnato tacque, conoscendo ormai la natura troppo poco conforme di suo figlio. Di tutta sorpresa per il colonnello fu Agnes che raggiunse Silas per prendersi due fette: una per lei e una per Ilia. Forse era la gravidanza e l'appetito aumentato che l'aveva spinta a tanto.

«Sembrerebbe che i vostri istinti vi abbiano fatto dimenticare il serio motivo per il quale eravate venuti qui.» Ludwig era seccato, gli sembrava che non rispettassero affatto la sua autorità.

Silas dal canto suo smise di masticare con le guance ancora gonfie per la troppa foga con la quale stava ingurgitare il dolce. «Scusaci papà» rispose, con ancora la bocca piena e poi deglutì.

«Anche con la bocca piena parli adesso?»

Silas non ne faceva una giusta, ma la sua passione per i dolci lo faceva sragionare. «Scusa...»

«Vi dirò quello che ho deciso per voi due. Io provvederò alla mia famiglia e solo alla mia famiglia. Esclusivamente alla mia famiglia. Voi non fate parte di questa. Vi offro il nascondiglio e il vitto. Ma tu, Agnes, baderai alla tua salute e a quella della tua fidanzata, per il resto mi sono già spiegato.»

Ad Agnes sembrò un buon compromesso, così accettò. Allungò la mano per stringere quella di Ludwig e suggellare così il patto.

«Così, Natthasol, adesso avrai motivo di cucinare per un esercito. Ultimamente hai cominciato a rimpizzare Silas, e si vedono i risultati.»

Silas sgranò gli occhi. Non poteva aver messo su così peso da essere notato a occhio nudo. Giurò a se stesso che non avrebbe mangiato più così tanti dolci, certo che avrebbe infranto il giuramento molto presto, ma conscio del fatto che valeva la pena provare.

«Sono felice, Ludwig! Così potrò cucinare per tutti voi e fare in modo che Nail non si mangi gli impasti di nascosto. Perché lo vedo che lo fa, lo so!»

Nail, che era sceso poco prima dell'arrivo di Natthasol, aveva già cominciato a bere nel vedere come la situazione si era fatta astiosa in casa, si strozzò, tossì per giunta quando Natthasol lo accusò di quel crimine.

«Non è affatto vero!» Negò anche se più di una volta scendeva di notte a mangiare.

Silas aveva trafugato due fette di Strudel per potarne una anche a Lothar. Voleva farsi perdonare, anche se non aveva niente per cui scusarsi.

Non riusciva a tollerare il muso di Lothar, il suo dolore. Vederlo rattristarsi per una sua notizia lo faceva stare male: lo addolorava, profondamente. Così sperava che potesse perdonarlo, che potessero fare pace e tornare gli amici e compagni di sempre.

Si era diretto al Dorian Gray. Dovevano vedersi lì prima di andare al locale abbandonato citato da Bruno. Sapeva che, nonostante tutto, lo avrebbe trovato lì, perché Lothar non era tipo da ritirarsi davanti a una sfida.

«Tieni, ti ho portato una fetta di torta.» Silas gliela porse, lo guardò appena con lo sguardo del tutto simile a un cucciolo di cane bastonato.

Lothar era poggiato a una colonna del sotterraneo, aveva appena spento una sigaretta e prese il pacchetto in mano. Lo osservò, vide la carta da pacchi e lo spago con il quale aveva formato un fiocco. Tipico di Silas essere sempre attento ai dettagli.

«Una fetta di torta?» disse aprendo il pacchetto.

«Strudel, per l'esattezza. Ne ho una fetta anche io!» E tirò fuori un altro pacchetto, questa volta, incartato alla buona.

«Mi sembrava brutto fartela mangiare da solo e così, anche se avevo giurato di non mangiare più dolci, l'ho portata con me. Ma questa è l'ultima!»

«Tu, smettere di mangiare dolci? È come dire a Hitler di smettere di essere Nazionalsocialista!»

«Non essere crudele!»

«Sono onesto.»

Silas sopirò, ma poi prese coraggio e gli disse ciò che aveva in mente. «Volevo chiederti scusa se l'altro giorno ti ho fatto rabbuiare, non era mia intenzione.»

Lothar aveva scelto il momento giusto per cominciare a mangiare la fetta di Strudel, così da non poter rispondere frettolosamente a Silas. Come avrebbe potuto dirgli che era la gelosia la causa della sua tristezza? Come avrebbe potuto impedire a Silas di fare qualsiasi cosa se lui non si decideva?

«Non ti devi scusare. Mi è passata.» Non gli era passata, dentro di sé provava ancora risentimento per quella donna che portava in grembo il suo secondogenito e per quella natura ribelle e libertina di Silas.

Silas sorrise e in un certo senso quel sorriso scaldò il cuore di Lothar, in fondo gli bastava vederlo stare bene e, d'altronde, lui era ancora troppo codardo verso se stesso per farsi avanti. «Com'è la torta?» domandò Silas.

«Buona» rispose mandando giù l'ultimo boccone.

«L'ha fatta zio Natthasol, me la sarei spazzolata via tutta!»

«Non ho dubbi in merito!»

Quella era la routine per Lothar: punzecchiarlo sui suoi difetti e vederlo ribattere con quella feroce forza d'animo che lo contraddistingueva.

La serenità, per essere gustata del tutto, doveva durare sempre poco; e la loro era stata sostituita con l'ansia, mentre attendevano Bruno.

Bruno non si presentò da solo: si era portato dietro i suoi scagnozzi, la banda che gli stava sempre attaccata al sedere.

«Allora non vi siete pisciati sotto! Ma tanto è con l'uomo che devo scontrarmi, non con la donnetta.»

Silas scattò in avanti e venne fermato da Lothar. Non voleva perdere l'occasione di maciullarlo sotto i colpi dei suoi pugni.

«Non ti preoccupare, ci penso io.» Si voltò verso Silas e si scambiarono un breve sguardo d'intesa.

«Saliamo sul ring o dobbiamo ascoltare ancora qualche tuo monologo, Bruno?» domandò Lothar.

Bruno sputò in terra poi fece strada ai due all'interno del posto abbandonato.

«Questo posto è stato lasciato a marcire come minimo per dieci anni» disse Silas nauseato dall'odore di chiuso.

«Undici per l'esattezza. Era un piccolo ristorante, ma poi ha chiuso. Gli amanti delle scommesse hanno costruito un ring alla buona per gli incontri» gi spiegò Bruno mentre si fasciava le nocche delle mani.

Lo stesso fece Lothar cercando di proteggersi le mani come meglio poteva: avrebbe dovuto portare i guantoni, ma sapeva sin dall'inizio che Bruno non sarebbe stato così scrupoloso.

Bruno salì sul ring, seguito da Lothar.

«Come vuoi svolgere l'incontro?» domandò Lothar, auspicandosi che ci fossero delle regole, almeno le basiche.

«Di norma dovrebbero essere tre riprese no? Ma noi ne faremo una! Il primo che viene buttato al tappeto perde.»

«Il primo che viene massacrato vuoi dire...»

«Come vuoi tu, Lothar.»

Lothar scosse la testa, Bruno gli aveva proposto uno scontro su qualcosa che neanche conosceva.

«Quindi non ci serve neanche un arbitro.»

«Così è più semplice no?» Bruno fece spallucce, si avvicinò a Lothar e si mise in posizione, la guardia alta, forse troppo.

Lothar, invece, conosceva quella giusta, quanto bastava per proteggere parte del volto e del torace, quanto bastava per non scoprire punti deboli all'avversario.

Bruno scattò verso Lothar con un Gancio a vuoto. Lothar approfittò della situazione per sferrargli una serie di montanti sulle parti scoperte che fecero indietreggiare Bruno.

Bruno si fermò a prendere fiato poggiato alle corde, guardava Lothar con aria di sfida, quasi gli stesse promettendo che lo avrebbe ucciso.

«Cos'è adesso non prendi più in giro la gente?»

Bruno si scaraventò ancora una volta verso Lothar, cercando di effettuare qualche spostamento, andando fuori dall'attacco dell'avversario. Un passo diagonale e un altro ancora, per cercare di confondere Lothar che lo seguiva con lo sguardo attentamente.

Bruno sferrò un gancio, ma Lothar chiuse i pugni, per proteggersi dal colpo, davanti al viso.

«Fottuto bastardo!» ringhiò Bruno.

Lothar sogghignò in tutta risposta: aspettava che si avvicinasse; la sua idea era quella di colpirlo con un'altra raffica di montanti per poi finirlo e metterlo al tappeto con un gancio.

Bruno si mosse ancora diagonalmente, ma decise di optare per alcune mosse diverse dal solito. Colpì Lothar a un fianco mozzandogli il respiro, così lo distrasse e lo colpì sotto la cinta. Lothar finì in ginocchio e Bruno lo picchiò in pieno volto. Cadde in terra, ma era ancora cosciente.

Silas trasalì, in quel momento si preoccupò per Lothar: aveva il cuore a mille e l'ansia che faceva da padrona.

«Giochi sporco, eh...» Lothar sputò il sangue in terra, quello causato dal pugno di Bruno. Si aggrappò alla corda, come consentito, e si tirò su.

Silas esultò quando lo vide in piedi.

Fece cenno a Bruno di farsi avanti, il quale non perse occasione.

Questa volta fu Lothar a muoversi diagonalmente, era più veloce di Bruno, scorse il suo lato scoperto e cominciò con la sua tattica. Montanti, uno dietro l'altro. Poi, il gancio finale.

Bruno cadde in terra. Non aveva preso così tanti colpi da essere finito, ma Lothar lo aveva colpito in modo tale da stancarlo e da mozzargli il respiro.

Lothar attese i fatidici dieci secondi prima di dichiararlo sconfitto. Ma Bruno, seppur cosciente, era decisamente troppo frastornato e poco allenato per potersi rialzare dopo un colpo del genere.

Lothar lo lasciò marcire sul ring, mentre lui scese dallo stesso e raggiunse Silas. «Sono stato bravo?» domandò Lothar scherzoso contento di aver vinto.

«Bravissimo!» Silas era estasiato.

Lothar si tolse le fasciature, aveva un po' le mani indolenzite e qualche nocca ferita, niente di grave per un pugile. Sentì il rumore delle corde, probabilmente Bruno si era rialzato. Prima di andarsene però, lo attese, non voleva congedarlo senza dirgli niente.

Ci pensò lo stesso Bruno a raggiungerlo dopo essersi sistemato anche lui.

Gli si posizionò sotto al viso, ancora con aria di sfida.

«Non ti sono bastate quelle che ti ho dato?» gli disse Lothar.

«Semplice fortuna. Semplice fortuna. Ma non pensare che la passerai liscia, questa me la pagherai.»

«Non fai che minacciare e non ritenerti all'altezza delle tue stesse minacce. Magari vuoi denunciare anche questo di scontro, no?»

«Potrei...» rispose Bruno con un sorriso sghembo. «Lo sai bene che esaltano il pugilato e la lotta come attività da veri uomini! Per questo ho sfidato te e non questa specie di frocetto che ti porti dietro.»

Silas alzò gli occhi al cielo non ne poteva più di essere appellato a quel modo solo per il suo aspetto.

«Hai agito da codardo sul ring barando, parli da codardo, vivi come un codardo, non vedo un vero uomo.»

A quell'affermazione Bruno divenne torvo, quasi s'imbufalì. Avrebbe voluto ucciderlo. Strinse la stoffa delle tasche con le mani e si accorse di avere un coltello con sé. Uno di quelli a scatto, portatili che suo padre gli aveva regalato. Il freddo della lama lo riscosse e gli diede la possibilità di cercare di realizzare il suo sogno. Lo afferrò e senza scrupolo alcuno lo affondò contro l'addome di Lothar. Spinse il coltello più in fondo, perché questo era stato ostacolato dalla stoffa del cappotto pesante. Poi estrasse il coltello.

Lothar cadde sulle proprie ginocchia.

Silas sbiancò, sembrava un vero cadavere in quel momento. Si mosse verso Bruno: avrebbe voluto farne poltiglia di lui, ma prima ancora che potesse raggiungerlo, questi e la sua banda erano già scappati. Così si chinò verso Lothar, gli poggiò lui stesso la mano sulla ferita per cercare di tamponarla.

«Speriamo che non sia molto profonda, il cappotto un po' ti ha protetto» gli disse cercando di rassicurarlo.

«Dici?» Dal canto suo, Lothar sentiva un dolore atroce, la carne gli era stata lacerata da una lama, che prepotentemente, si era fatta spazio dentro di lui.

Si teneva la ferita come poteva, sentiva la mano di Silas che spingeva contro le proprie, avrebbe voluto ringraziarlo, ma sembrava che le sue palpebre fossero più pesanti del solito e tutto arrivava ovattato alle sue orecchie.

«Ti devi alzare» gli disse Silas cercando di incoraggiarlo. «Ti devi alzare, ti porto al Dorian Gray. Sono certo che Agnes possa darci una mano.» Parlava, perché Lothar non doveva perdere i sensi.

Cercò di sollevarsi e le gambe vacillarono per qualche istante, poi si isso con il suo braccio sulle spalle di Silas.

Silas cercò di sorreggerlo come poteva, lo sistemò meglio e cominciò a muovere qualche passo. La sua preoccupazione era quella di essere scoperto. Nessuno avrebbe creduto alle blande scuse che avrebbero potuto mettere su, nessuno avrebbe pensato a un incidente vedendo un ragazzo accoltellato per strada.

«Sai che tutto sudato sei bello?» continuava a dirgli di tutto pur di farlo rimanere cosciente; Silas aveva il cuore a mille, aveva paura di perderlo.

«Almeno quello» rispose sarcastico Lothar. Stanco. Sperava solo di riuscire ad arrivare al Dorian Gray prima di morire dissanguato.


Blatericcio Autrice!

Lo so che mi avete dato per dispersa, ho visto  persone che hanno messo la ballata in "storie non finite", ma, ragazzi, chi ha mai detto che la ballata non finisce? XD Sono al capitolo 48 vanno solo controllati e postati, ma: fa caldo, ho da lavorare, da vivere, da scrivere e niente... 

Ps: Quello in foto, tra l'altro non ricordo se l'ho postato già o meno, è come vedo Lothar, il suo prestavolto, solo che il mio Lotthy ha gli occhi scuri <3


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