Capitolo 27

Leggi - Caro - come altri - lottarono -
Affinché noi - diventassimo più forti -
A cosa essi - rinunciarono -
Affinché noi - fossimo meno timorosi -
Quante volte essi - diedero testimonianza di lealtà -
Affinché noi - fossimo aiutati -
Come se un Regno - avessero difeso!

Leggi poi - della fede -
Che brillò sul rogo -
Limpidi suoni di Inni
Che il Fiume non poté soffocare -
Valorosi nomi di Uomini -
E Celestiali Donne -
Promossi - dagli Annali
Alla - Celebrità!

(E. Dickinson)

Huge si era nascosto dietro una delle colonne portanti per tendere un agguato a sua moglie. «Agnes...» La chiamò uscendo allo scoperto

Lei si spaventò a morte e sobbalzò al punto da portare una mano al petto. «Sì?» domandò, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«È successa una cosa strana questa notte, sai?» Cercò di mantenersi sul vago, conscio del giochetto che stava mettendo in atto.

Rimase sul vago: «Cosa?» Aveva come la bruttissima sensazione, l'amara certezza che suo marito avesse scoperto tutto. Ed era chiaro che stesse sospettando di lei.

«Ah, non lo sai? Strano, dal momento che sono le tredici del pomeriggio. Mi è parso, però, che tu fossi rincasata alle dieci questa mattina. Quindi deduco che tu sia uscita subito dopo. Non è forse così?» Huge continuò a fare finte di niente, serpentino come al solito. Aveva tutte le intenzioni di farla cadere in trappola, perché quella notte erano rimasti uccisi quasi tutti i suoi uomini e il forte era stato derubato. Era del tutto convinto che fosse stata lei, naturalmente insieme a qualche altro invertito.

«Sono stata fuori» rispose. «Tu dove sei stato?» A quel punto lei si vide costretta a indietreggiare, perché lui le avanzava contro e senza la ben che minima voglia di fermarsi. «Quale giro di puttane hai frequentato questa volta?» Si era fatta coraggio e aveva tirato fuori tutta la rabbia che aveva nei suoi confronti: avrebbe potuto anche metterla con le spalle al muro, ma nonostante la paura non si sarebbe mai fatta sottomettere.

Sul volto di Huge si palesò un'espressione indignata, funesta, perché sua moglie aveva colto nel segno; e se lui non si fosse allontanato, di certo i ribelli non avrebbero avuto la meglio. Così, incontrollato, addirittura furioso del fatto che le cose non fossero andate secondo i piani, la spinse e la fece cadere in terra. Quasi rischiò di farle battere la testa, ma nemmeno se ne accorse. «Da quale delle tue cagne mi hai fatto seguire?» ringhiò. Si abbassò per guardarla negli occhi e le affermò i capelli strattonandoli all'indietro. Vederla con il volto dolorante non lo fermò affatto, anzi. «Cosa credi, che mi basti il nostro incontro settimanale? Credi che basti la tua misericordia per soddisfare i miei appetiti di ufficiale nazista?»

«Sapevi a cosa andavi incontro, sapevi chi stavi sposando. Pensavi di potermi curare? So perfettamente che mi hai sposata per mero edonismo. Hai sempre pensato che io potessi essere il tuo gioco, la tua bambola da esibire, ma ti sei sbagliato, mio caro. E credo che tu te ne sia accorto» gli rispose disgustata.

Le iridi slavate di Huge sembravano davvero un mare in tempesta. «Mia cara Agnes...» disse, riprendendo il discorso con toni calmi e pacati. Le lasciò addirittura i capelli, sistemando di riflesso i propri, che si erano scompigliati durante il litigio. Si avvicinò di nuovo, le prese il mento tra le dita e la costrinse quasi contro il proprio naso. «... lo sai che devi tutto a me, vero? A partire dalla tua stessa vita.»

Dopo quell'affermazione seguitò il silenzio. I secondi si alternavano uno dopo all'altro. Quello era il tempo in cui Agnes avrebbe deciso della propria sorte, così si fece coraggio e, con tutto il suo amor proprio, gli sputò dritto in faccia.

Huge ne rimase sconvolto, si portò una mano al volto per pulirlo, poi si tolse i guanti, la guardò in faccia. Attese, facendo in modo che la paura crescesse dentro di lei, infine le sferrò un manrovescio. Fu così forte e violento che lei si riversò del tutto in terra, urtando contro le mattonelle. Il sangue le macchiava le labbra e lui, incurante di tutto, senza indagare oltre, decise di uscire. Di certo non si preoccupò che fosse svenuta.


Come previsto, Silas si era incontrato con i suoi compagni nel sotterraneo segreto del Dorian Gray; tuttavia era facile notare la mancanza di un membro importante.

«Che strano...» bofonchiò Silas tra sé e sé.

«Ti riferisci all'assenza di Agnes?» Anche Lothar se ne era accorto.

«Sì, non è da lei. Ho paura che le sia successo qualcosa.»

«Forse ha avuto solo un impedimento e non ha potuto avvisarci. Ad ogni modo non possiamo andarla a cercare, perché daremmo solo nell'occhio.»

«Lo so, hai ragione» rispose Silas serio e pensieroso.

Di quell'affermazione si stupì anche Lothar: Silas gli aveva dato ragione senza contraddirlo neanche una volta, nemmeno per divertimento. Doveva essere seriamente preoccupato.

«Così facendo non andremo mai avanti.» Una voce distrasse i due. Anche Hans e Stella si voltarono. A parlare fu l'unico superstite del gruppo di Silas, un certo Dirk.

«Roma non è stata costruita in un giorno» gli rispose Silas sorridendo.

«Silas, tu giochi a fare il rivoluzionario, il condottiero, ma qui noi moriamo, e come mosche tra l'altro. Ti atteggi a vero capo, quando in realtà non sei niente.»

«È la paura che ti fa parlare» rispose calmo, cercando di non innervosirsi ancora di più.

«Potrebbe anche essere la paura, ma fatto sta che sono morti praticamente tutti. Anche la povera Stella è rimasta sola!» Dirk sembrava agitato e sconvolto. Forse era davvero la paura a farlo parlare, ma non era additando Silas, o minacciandolo, che avrebbe riportato in vita i suoi amici.

Per quanto riguardava Lothar, tutto quell'atteggiamento era solo vile e patetico, non era degno neanche della sua attenzione.

«Io non sarò niente come hai detto, ma tu sei uno sprovveduto. Non ho costretto nessuno, a differenza di altri. Ognuno di noi sapeva e sa a cosa va incontro.» Silas cominciava ad agitarsi: lo aveva toccato nel profondo. Era passata una sola notte e lui non si era ancora ripreso. Come sarebbe stato possibile, del resto? Dirk stava facendo lo stesso lavoro dei suoi sensi di colpa e pareva che ci riuscisse anche molto bene.

«Ti sbagli. Noi andavamo incontro a morte certa, non tu e nemmeno Lothar!» Dirk sbottò.

Lothar, dal canto suo, continuava a fumare. Hans era preoccupato e dispiaciuto. Sarebbe voluto intervenire, ma non vedeva un modo per potersi mettere in mezzo.

«Hanno sparato addosso anche a me. Non è colpa mia se mi hanno mancato.»

«Siete restati dietro fino alla fine, quando ormai i giochi erano fatti!»

«Non mi risulta dato che tu eri nel capanno con noi. E poi erano tutti d'accordo, quando ho proposto il piano!»

«Avranno avuto paura a parlare!»

Silas si alzò di scatto dalla sua postazione. Ne aveva fin troppo delle accuse che Dirk stava muovendo contro di lui, gli sembravano ingiuste. «Di questo non ho colpe. Io ho dato la possibilità a tutti di parlare e ognuno può esprimere la propria opinione in ogni momento, come tu stai facendo adesso!»

«Bene, allora ti dico quello che penso: tu vuoi proteggere a tutti i costi la tua pelle e quella di Lothar, perché ormai avrà fatto di te la sua puttana!»

Lothar, profondamente irritato da tutto quel discorso, spense la sigaretta con rabbia. Vide Silas scattare verso Dirk e a quel punto si mosse anche lui, lo fermò. «Lascia che la feccia si infanghi da sola. Non toccarlo.» Lo guardò e lo vide annuire. Sarebbe stato meglio per tutti rimanere calmi. «Quanto a te...» si rivolse a Dirk «... se vuoi andare, vattene, ma vedi di far morire con te ogni forma di pettegolezzo su questo posto: mi aspetto che manterrai il silenzio, altrimenti le SS che tanto temi ti sembreranno come zucchero al confronto.»

Dirk guardò con rabbia prima Lothar e poi Silas. Passò in rassegna tutti i volti turbati presenti, perfino quelli di Hans e Stella. «Andate al diavolo!» schioccò, deciso ad abbandonare il gruppo.

Rammaricata di essere stata messa in mezzo, Stella volle intervenire per parlare agli altri ragazzi. Ormai portava dentro di sé il lutto, la perdita della sua compagna, che era stata atroce per lei; ma le ore si susseguivano frenetiche e aveva come l'impressione di non potersi far risucchiare dal dolore. «Ragazzi, siamo rimasti praticamente in cinque e non sappiamo dove sia Agnes. Non possiamo andare avanti in questo modo, dobbiamo trovare qualcuno che possa sostenerci e, a questo proposito, vorrei chiedere a mia cugina di unirsi. Non è come me e Agnes, ma è comunque fedele alla nostra causa per quanto riguarda liberare il paese.»

«Va bene, se lei vuole unirsi a noi, per me va bene. Tu, Lothar? Hans? Che ne pensate?» domandò Silas agli altri compagni.

«Io credo che dovremmo incontrarla, ma nella parte pubblica del locale, così da farci un'idea. Se saremo tutti d'accordo, allora la faremo scendere qui.»

«Io credo che vada bene e che sia prudente fare come ha detto Lothar. Poi provvederemo a riferire tutto ad Agnes» concordò Hans.

«Certamente.» Lothar si accese un'altra sigaretta, perché quella di prima gli era andata di traverso a causa di Dirk.

«O magari gliela presentiamo direttamente!» dichiarò Silas con enfasi.

«Ti dicono che c'è una donna e non ci capisci più niente, vero?» fece retorico Lothar guardandolo di sguincio, ormai arresosi all'atteggiamento di Silas.

Silas si limitò a sorridere sornione facendo spallucce.



Erano entrambi usciti dal Dorian Gray e dovevano tutti fare ritorno a casa: soprattutto Silas, dato che non voleva rischiare un'altra aggressione da parte di Salazar.

«Credi che abbiamo fatto bene a lasciato andare?» domandò questi, preoccupato sulla faccenda riguardante Dirk.

«Sì» annuì Lothar «di certo non potevamo tenerlo con noi. Sai che bella serpe in seno?»

«Immagino!» Silas ridacchiando.

«Ad ogni modo, meglio così. La paura lo avrebbe portato a tradirci, e noi non possiamo permetterci questo.»

«Già, lo penso anche io. Alla fine era una sua scelta. È stato libero di andarsene.» Detto ciò udì una voce non troppo distante:

«Guarda, guarda chi abbiamo qui... Silas il rivoluzionario.»

Proveniva da un gruppetto di ragazzi, precisamente da Bruno, che se ne stava là con la sua banda di amici della Gioventù Hitleriana.

«Cosa vuoi?» lo provocò Silas. «Deluso di vedermi a piede libero?» Se c'era un individuo con il quale non riusciva a mantenere la calma, questo era proprio lui.

«Tuo padre avrà pensato sicuramente a un modo per farti evitare la prigione» gli rispose indignato, disgustato dal fatto che un essere umano come Silas potesse camminare liberamente per le strade di Berlino.

«È invidia la tua? Perché papà potrebbe pensare anche a te e alla tua famiglia, così come a quelle dei ragazzi qui presenti.» Sorrise sornione, pungente, ricordando loro quanti debiti stessero accumulando per mantenere la facciata da ricchi borghesi.

Quell'affermazione non andò affatto giù a Bruno, tant'è che afferrò Silas per i rever del cappotto e lo tirò a sé. «Pensa anche a tua madre?» gli domandò retorico, ridacchiando.

Il volto di Silas si contrasse dalla rabbia, tanto che Lothar lo guardò inquieto, immaginando una sua possibile azione sconsiderata. «Nomina ancora mia madre, anche una sola volta, e sei morto!» sibilò; le minacce di Silas non erano mai da prendere sotto gamba, ma Bruno non sembrava essere convinto di questo, pertanto, come se non bastasse, si rivolse a Lothar per provocare il secondo can che dorme.

«La femminuccia, qui, mi ha minacciato» disse «hai sentito, no? O sei sordo?»

«Ci sento benissimo» replicò «e sì, ti ha minacciato. Fossi in te lo ascolterei» rispose calmo Lothar.

«Senti, senti... cos'è, anche tu ti sei dimenticato cosa significa essere un vero uomo? Stare dietro a lui ti ha rammollito?» domandò Bruno.

Lothar si obbligò a non ascoltarlo. Tutte quelle insinuazioni non facevano che riportarlo indietro. Ogni volta che si convinceva di provare qualcosa per Silas, tentennava e diventava un granchio.

«Smettila, Bruno! Ti ho già detto di lasciarci andare» tuonò Silas.

«Non prendo ordini da te: Urning!»

Quell'esclamazione così discriminatoria fece imbestialire Silas, che serrò i denti e contrasse i muscoli del viso.

Bruno rinserrò la presa e fece per colpirlo, ma Lothar si frappose tra loro e, dopo aver colpito Bruno con una leggera spinta sulla spalla, gli fece abbandonare la presa sui rever di Silas. «Non toccarlo, altrimenti ti stacco la testa dal collo.»

Era infuriato, con le sopracciglia aggrottate. Mosse qualche passo indietro e gli diede ascolto, ma azzardò una proposta: «Visto che fai tanto lo spavaldo, che ne dici di incontrarci nel locale abbandonato? Così ci saremo solo io e te sul ring.» Sì, lo aveva appena sfidato a un incontro di pugilato, totalmente ignaro delle doti di Lothar e certo delle sue.

«Accetto!» confermò senza pensarci due volte.

Silas lo guardò esterrefatto e di conseguenza arrabbiato, frustrato, sentendosi come umiliato dalle parole di Bruno. Voleva spaccargli la faccia lui stesso.

«Allora ci vediamo dopodomani sera alle nove. Mi raccomando, non rammollitevi all'ultimo momento.» Bruno richiamò a sé la banda e se ne andò senza dire altro.

«Che diavolo ti è saltato in mente?» sbottò Silas in direzione di Lothar.

«Dovevo lasciare che ti picchiaste in mezzo alla strada? O meglio, dovevo lasciare che voi due vi ammazzaste in mezzo alla strada? Perché, per quanto mi riguarda, lui può anche morire, ma eviterei di farci arrestare.»

«Non sto dicendo questo, ma un incontro clandestino?»

«Anche se ci fomentano alla lotta, anche se per loro questa è un'attività da veri uomini, non credi che avremmo dato un po' nell'occhio? Poi come l'avrebbe presa tuo padre? Per non parlare del mio... Se è clandestino, nessuno saprà niente.» Lothar cercò di rassicurarlo; tuttavia comprendeva bene la rabbia generata dall'atteggiamento di Bruno.

«Avrei voluto spaccargli la faccia io stesso» ringhiò «avrei voluto picchiarlo, fargli sputare sangue e con quello tutta la sua idiozia!»

«Magari arriverà quel giorno» rispose Lothar «ma adesso andiamo a casa.»

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