Capitolo 25(seconda parte)


Avevano trascorso l'intera giornata all'interno del Dorian Gray. Trovare una strategia d'attacco, specialmente se poco equipaggiati, non sembrava affatto facile; ma erano consapevoli delle eventuali perdite e per questo decisero di agire. Si erano incoraggiati a vicenda, l'uno con l'altro. Orami non c'erano più fazioni, non esisteva il gruppo di Agnes e quello di Silas: la paura li aveva coesi.

La loro azione procedeva secondo i piani. Aspettavano, sparpagliati in gruppi dietro le siepi e i convogli, avrebbero avanzato in serie e non tutti insieme, proprio perché avevano in mente uno schema specifico.

Silas e Lothar si sarebbero mossi per ultimi; probabilmente a loro era toccata una delle parti più rischiose del piano, ma era stato proprio Silas a proporsi e di conseguenza Lothar. Erano ben nascosti dietro le siepi: Lothar era tesissimo e serrava la mascella come un predatore pronto ad avventarsi sulla sua preda, mentre Silas percepiva ogni singolo suono e non sapeva più se, spesso e volentieri, i rumori erano reali o frutto delle sue paure.

«Forse dovreste essere meno tesi, avete ancora tempo per preoccuparvi.» A intromettersi nella loro tensione fu Agnes che, poco distante, decise di distrarli per farli rilassare un po' prima dell'attacco.

«Spiegaci come facciamo a rilassarci...» Lothar le rispose seccato.

«Non aveva un comportamento scostante nei miei confronti. Se sprechi tutta la tua rabbia adesso, al momento dell'azione cosa farai? La rabbia va covata; e poi mi servi lucido per dopo.»

Lothar schioccò la lingua irritato, poi si decise a non risponderle più e a fare come lei suggeriva. Puntò lo sguardo verso Silas, che sembrava davvero essersi catapultato su di un altro pianeta. Allungò una mano verso di lui, esitando appena con questa sospesa nel vuoto e poi passò all'azione: gli toccò una ciocca di capelli, ne arricciò un boccolo e ne sentì la consistenza. Erano davvero morbidi e ben curati, così si disse, e sorrise di rimando, perché non si aspettava altro da Silas.

«Sono morbidi vero?» gli domandò Silas improvvisamente, facendolo arrossire di rimando.

Imbarazzato, Lothar si accigliò e lo spintonò leggermente affinché lui non lo guardasse in faccia. «Non mi interessa se sono morbidi o meno, io non ti ho toccato!» esclamò perentorio.

«A me è sembrato decisamente il contrario. Mi è parso che tu abbia arricciato, con le tue dita, una ciocca dei miei capelli.» Silas sorrise sornione anche se Lothar non poteva vederlo.

«Non siamo qui per parlare dei tuoi stupidi capelli.»

Silas ridacchiò appena e Lothar sospirò, lieto del fatto che si fosse distratto un poco. Lo maledì mentalmente, però, perché sembrava essere ancora più sensibile e con i sensi acutizzati. Lothar aveva fatto un dannato errore di calcolo, o si era semplicemente lasciato andare?

Aspettarono dietro i posti pianificati fino alla fine della cena. Avrebbero approfittato del riposo delle guardie per attaccare, così da trovarsene soltanto quattro di fronte al forte, sfruttando di quei secondi in più che gli altri avrebbero impiegato per svegliarsi all'interno della cascina.

Silas era visibilmente agitato, nonostante sapesse che il piano proposto fosse uno dei migliori. Questo non gli impediva di far sì che tutto gravasse sulla sua coscienza. Doveva smaltire la tensione: eppure non bastava sospirare e sbuffare, non bastava, perché riusciva a percepire anche il nervosismo di Lothar. L' agitazione era nell'aria ed era nell'aria era palpabile.

Agnes si voltò e Silas la guardò negli occhi. Lei annuì. A breve avrebbero proceduto come da piano. Non gli restava che osservare e sperare che tutto andasse per il meglio. Ai primi due ragazzi che dovevano muoversi, vennero consegnate le armi rubate grazie al piano di Ludwig e alla complicità di Nail. Questi con la sola speranza a cui aggrapparsi e le pistole nelle mani, si erano spinsero fino al retro del fortino. Avrebbero dovuto sparare alle due guardie e rubare le mitragliette in modo da possedere altre armi per passare alla parte successiva del piano. Silas li vedeva muoversi veloci e silenziosi nell'oscurità di quella sera.

Erano vicini a quegli uomini, uno di loro due sparò troppo presto e colpì il nemico, ma l'altro aprì il fuoco di rimando. Prontamente. Silas spalancò gli occhi quando vide uno dei suoi compagni cadere in terra senza vita, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Lothar gli posò una mano sulla spalla e a quel punto decise di resistere.

La ragazza superstite si spostò in avanti, mentre gli altri due, della seconda fila, si mossero verso la parte anteriore del forte. Lei aveva sparato all'altra guardia e preso le armi dei defunti soldati, oltre ad aver recuperato la pistola dell'amico.

Le sentinelle davanti si erano già allarmate, muovendosi verso di lei che sparò, ma venne ferita al braccio, di rimando, però gli altri due erano intervenuti giusto in tempo. E le due guardie caddero a terra insieme al ribelle.

Silas chiuse gli occhi, li strinse. Il dolore che stava provando e il senso di colpa era troppo per lui.

A quel punto scattarono la terza fila e con loro, subito dietro, Agnes e Hans. Loro due si preoccuparono di guardare le spalle agli altri, che si erano premurati di serrare le uscite della cascina dei soldati affinché potessero guadagnare tempo. Due pistole e quattro mitragliette: avevano armi a sufficienza per restare lì davanti a quel casolare così da aprire il fuoco appena fosse stato necessario.

«Andiamo...» bisbigliò Silas in direzione di Lothar, vedendolo annuire. Con se aveva la chiave del forte, che avevano recuperato tramite il calco fatto giorni prima. Silas sudava freddo, il cuore gli batteva all'impazzata e sentiva fitte ovunque, in ogni parte del corpo. Era evidente che fosse terrorizzato, ma deciso ad andare fino in fondo.

Avevano perso già troppi compagni di squadra e non avrebbe mai sprecato le loro vite. Così loro due, seguiti da altri, entrarono nel forte e cominciarono a caricarsi armi di ogni genere, tutto quello che riuscirono a trattenere addosso.

Ma quel trambusto svegliò gli altri soldati all'interno della cascina.

Agnes deglutì nervosa. «Avanti ragazzi, tenetevi pronti: a breve dovremmo fare fuoco» cercò d'incoraggiarli come poté, mentre Hans provava a rimanere calmo, anche se con scarsi risultati.

Le porte tennero bloccati i soldati all'interno di quel locale solo per pochi minuti. Qualche istante dopo, questi ruppero le finestre e, armati fino ai denti, iniziarono a sparare dall'interno.

«Scheiße!» esclamò Agnes. Aveva appena premuto il grilletto. «Nascondetevi dietro gli alberi e non fatevi prendere. Fate uscire questi bastardi da quella fottuta casa» disse. Fu poco dopo, però, che le schizzò il sangue in faccia di una sua alleata.

A quella vista, Hans rimase sconvolto.

«Non c'è tempo per perdersi d'animo, Hans!» Agnes, raccolta tutta la sua forza, cercò di richiamarlo all'ordine.

Tutto quel movimento non aveva fatto altro che innervosire Lothar ancora di più. L'agitazione era visibile a causa dei suoi movimenti veloci e repentini, nonché da tutte le imprecazioni che uscivano dalla sua bocca. «Silas, esci da qui, muoviti!» gli intimò, timoroso di poterlo perdere. Non avrebbe sopportato di assistere alla sua morte.

«Scordatelo. Sono tutti lì fuori e noi siamo ancora qui dentro. Tutti noi.» disse guardando i suoi compagni.

«Non mi interessa un accidente di quanti siamo qui o lì. Esci da qui subito maledizione!»

«Usciremo da qui quando avremo finito.»

«Sei un fottuto testardo lo sai? Vuoi che ci accerchino? Che chiudano questo dannato forte, lasciandoci una granata all'interno?»

«No. Non voglio abbandonare i miei compagni.»

Lothar guardò Silas negli occhi e si accorse di quanto fosse serio. La sua lealtà gli faceva onore, ma Lothar sapeva che per gli altri non era lo stesso. Non tutti erano come lui, non tutti ci avrebbero pensato due volte ad abbandonare ogni cosa pur di salvarsi la pelle.

«Esci tu, va tu» gli disse Silas mentre raccoglieva delle granate da una postazione, mettendole nella borsa.

«Non credo di poter prendere questa cosa in considerazione» rispose Lothar. Se non se ne fosse andato prima Silas, allora sarebbe uscito con lui.

«Ti ho detto di uscire. O vuoi che veda altri morire?» gli domandò retorico guardandolo minaccioso negli occhi.

«Ragazzi sbrighiamoci a prendere le ultime cose e a uscire da qui» disse Lothar agli altri.

La loro attenzione venne catturata da un proiettile che si schiantò nel suolo. Li fece sobbalzare tutti.

«Sbrigatevi, uscite da qui. Tutti quanti! Dal retro, forza!» Silas cercò di potersi avanti provando a rompere la catena che teneva serrata la porta interna. Lothar intervenne, insieme a un altro compagno di squadra: riuscirono ad aprire la porta.

Una volta liberi cominciarono a correre, mentre i soldati gli stavano alle calcagna. Non avevano tempo di pensare anche gli altri che erano rimasti lì fuori, ma si fidavano di Agnes e speravano che lei avesse un piano altrettanto efficace.

Silas stringeva gli occhi a ogni sparo che sentiva, benedicendo la sua fortuna per ogni proiettile mancato, mentre Lothar serrava i pugni per la frustrazione; fosse stato per lui si sarebbe fermato e avrebbe sparato a ogni singolo soldato che gli si fosse posto davanti.

Riuscirono a seminare le guardie sparpagliandosi per le stradine del bosco li vicino, nascondendo dietro gli alberi. E se una di quelle SS avesse trovato Silas, questi sarebbe stato costretto a sparare prima ancora che potesse vederlo in faccia. Non doveva rischiare che qualcuno lo riconoscesse come il figlio del Colonnello Ludwig Dubois. Ma l'ipotesi si trasformò presto in una realtà e lui fu costretto a farlo davvero, senza esitazione. L'idea di poter perdere suo padre e le persone a cui teneva gli fecero premere il grilletto. Solo dopo si rese conto del peso della sua azione. E con il fiato corto, ancora una volta, Silas puntò la pistola in direzione dei nuovi passi che aveva sentito.

«Calmati, sono io» gli disse Lothar. Si fece avanti, si mostrò nella luce pallida della luna.

Silas sospirò sollevato. «Gli altri?» chiese preoccupato.

Lothar scosse la testa. In quel momento non avrebbe saputo dire cosa gli spezzò di più il cuore, se la perdita dei suoi compagni o lo sguardo pieno di dolore di Silas.

«Agnes e Hans?» domandò ancora.

«Non ho notizie di loro. So solo che i compagni che erano entrati nel forte con noi, non ce l'hanno fatta. Io sono riuscito a recuperare le armi e quelle dei bastardi che ho fatto fuori.» Lothar non aveva lasciato impunita la morte dei suoi amici.

«Dobbiamo tornare nel luogo di partenza. Ci siamo accordati così con Agnes ricordi? Se è viva ci starà aspettando lì» gli disse Silas colto da un barlume di lucidità.

Per tutto il tragitto, Silas non pronunciò una parola: era troppo addolorato, sconfortato e dispiaciuto per poter aprire bocca. L'unico sollievo fu quello di trovare Agnes e Hans dove si aspettava.

Hans gli corse incontro per abbracciarlo. «Sei vivo!» esclamò.

Silas sorrise appena e gli accarezzò la testa. «Sì, io sono vivo.» Volse, poi, lo sguardo verso Agnes, notando che aveva il viso sporco di sangue. «Stai bene?» le domandò lui.

«Sì, io sto bene. Siamo rimasti praticamente in sei, Silas. Non so dove troveremo altri ribelli.»

In quel momento le sembrò quasi di ghiaccio. Se si fermava a pensare che tutto quello era stata colpa sua, veniva sopraffatto totalmente dall'ansia.

«Ehi, guardami!» esclamò deciso Lothar.

Silas si voltò smarrito.

«Non è colpa tua.»

Batté le palpebre, era sorpreso: Lothar sapeva leggergli dentro così bene da lasciarlo di stucco ogni volta.

«Tutti noi abbiamo deciso di seguirti perché abbiamo una causa in comune. Anche se in maniera incosciente, magari, sapevamo che era pericoloso. Ma ascoltami quando ti dico che non è colpa tua.»

«Non è colpa mia...» sussurrò appena Silas.

«No» confermò Lothar.

«Non è colpa mia...» disse ancora. Sembrava essersi perso ancora una volta.

Lothar gli poggiò le mani sulle spalle, lo guardò fisso negli occhi e poi parlò: «Che cosa avrebbe fatto tuo padre? Come si sente lui ogni volta?»

«Non lo so...»

«Per quanto Ludwig possa sembrare impassibile e distaccato, so che non è così. Si sentirà esattamente come te. Ma lui non è colpevole e tu non sei colpevole. Ti ha mai parlato di questo, tuo padre?»

«Ogni volta mi dice che essere a capo di un gruppo di persone ne porta di conseguenza un peso. Se il capo fallisce, loro falliscono. Ma dice sempre che se il fine è stato raggiunto per il bene del gruppo allora era un sacrificio necessario.» Silas stava cercando di ricordare quelle parole che non gli erano mai piaciute: non perché reputasse suo padre un uomo crudele, era vero il contrario, ma perché per lui ogni singola vita era importante; e sapere che c'erano stati dei morti a causa sua non riusciva a farlo ragionare lucidamente.

«Non avremo potuto agire diversamente. Eravamo in minoranza numerica, praticamente disarmati. Sono morti in tanti è vero, ma quasi senza armi siamo riusciti a prendere tutte le altre, a conquistare un forte.» Lothar cercò di spiegargli l'impresa che grazie a lui avevano compiuto, ma nonostante ciò Silas annuì semplicemente e non riuscì a sentirsi meglio.

Tutti i superstiti erano rimasti molto scossi dall'accaduto. Avevano perso molti dei loro amici e compagni. E la ragazza appartenente al gruppo di Agnes, aveva lasciato la sua amata consorte in quel campo sporco di sangue.

Camminavano a testa china, trascinando con loro le armi. Lothar aveva poggiato un braccio intorno le spalle di Silas per sostenerlo. Sapeva che si sarebbe ripreso, ma che sarebbe stata solo questione di tempo.

«Dobbiamo tornare ognuno alla propria casa. Se fanno qualche controllo ci troveranno lì e non potranno accusarci.» Nonostante il dolore, poco dopo giunse il nuovo ordine di Silas: l'ultima parte del piano, quella che lo mostrava come il leader in cui tutti credevano.

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