Capitolo 25 (prima parte)

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.
(Veglia G. Ungaretti)

Silas non vedeva Rose dall'ultima volta che avevano stabilito quell'accordo. Era
preoccupato, perch é  sapeva che lei era in grado di fare qualsiasi cosa anche se non
sarebbe mai potuta partire senza i suoi soldi.


Quando arrivarono davanti casa  sua, Silas sospirò   e, prima di entrare, Lothar gli
poggiò una mano sulla spalla per tranquillizzarlo. Poi Rose apr ì  la porta. Non badò
minimamente alla presenza di Lohar, così  si spinse in avanti per baciare Silas.


«Forse non ci siamo capiti: la devi smettere di fare la cagna in calore quando lo vedi»
le disse Lothar fermandola prima ancora che potesse toccare Silas.


«Sei la sua guardia del corpo?» domandò lei, innervosita da quella presa di posizione;
Lothar non le sembrava così  deciso la prima volta che lo aveva visto.


«Anche fosse?» le rispose, fronteggiando il suo sguardo.


Lei fece qualche passo indietro, irritata da quel comportamento, e li lasciò entrare.
Nel frattempo, Silas le aveva lanciato qualche occhiata per accertarsi che lei non
avesse fatto sciocchezze.

«Allora, Silas... sei venuto per accertarti che la tua bestiola sia ancora qui?» 

glidomandò  ironica; in quel preciso momento aveva deciso di vendicarsi dell'affronto subito   da   Lothar:   avrebbe   fatto   sì   che   Silas   sarebbe   uscito   da   quella   casa emotivamente a pezzi.

«Sì» ammise.

«Non  ti  preoccupare,  nessuno  ha   ucciso  il  tuo  animaletto.  È  ancora  qui»  disse,
dandosi qualche colpetto sulla pancia.


« Smettila di parlare di mio figlio in questo modo» la minacciò Silas, avanzando verso
di lei.​


Lothar non lo fermò : sapeva che non le avrebbe mai messo le mani addosso, ma era
giusto   lasciarlo   fare,   che   dicesse   ciò   che   pensava,   ribellandosi   alle   violenze
psicologiche di quella donna.

«Questo   è   il   minimo!»   esclamò   lei   spazientita.  

 «È   il   minimo   che   posso   fare; maltrattarlo senza che possa sentirmi, dico. Tu vuoi tuo figlio e io lo sto tenendo.»

«Non fare la martire, ti beccherai un sacco di soldi per fare da forno» intervenne
Lothar , ormai stanco di sentire quella civetta starnazzare.


Il discorso venne interrotto, poiché  qualcuno bussò alla porta e lei andò ad aprire.
Silas non ci poteva credere, anche se in fondo se lo sarebbe dovuto aspettare: Rose
continuava a vedere i suoi clienti mentre era incinta. Si diresse verso di loro, scansò
Rose e sbatté  la porta in faccia al tale sconosciuto . «Non ci possa credere, cazzo!» le
urlò contro furioso. «Possibile che tu non riesca a stare ferma? Che problemi hai?» I
patti erano stati chiari: lei avrebbe provveduto alla gravidanza in maniera sana e loro
le avrebbero dato una somma tale da farla vivere bene e a lungo.


«Come sopravvivo io nel frattempo eh?» le urlò contro lei.  «Devo pur mangiare,
come alimenti tuo figlio? Non posso più fare la ballerina al night in queste condizioni
e l'unica cosa che posso fare è soddisfare qualche perversa fantasia! Sai, di uomini
con dei feticismi ne esistono parecchi...»


Silas era disgustato e Lothar la trovava rivoltante.


«Ti avevo avvisata a suo tempo, Rose!» la incalzò Silas.  «Ti avevo chiesto il favore
di fare le cose per bene. Io non so neanche se effettivamente è mio, eppure ti sto
aiutando...»


«Oh, ma grazie, fai il buon samaritano...»


«Basta, smettetela!» intervenne Lothar : non poteva permettere che lei lo massacrasse.


«Ecco   che   arriva   il   cavaliere   senza   macchia   e   senza   paura...»   Rose   prese   a
canzonarlo. «Fai l'avvocato adesso? Eppure quella sera alla locanda sembravi tanto
timoroso.» Si avvicinò a lui, gli toccò il viso, e Lothar scansò la mano di lei con un
gesto secco della propria.
«Levati. Mi facevi schifo quella sera e mi fai schifo adesso» le disse.


Rose lo ignorò . Poi , riportando la sua attenzione a Silas, disse:  «Sono ancora in
tempo per estirparlo, sai? » cercò un'ultima disperata mossa d'attacco.
«Fallo e poi ti cancello dall'esistenza» la minacciò ancora una volta Silas.


«Pensi di farmi paura?» gli domandò retorica per provocarlo.


«Dovresti averne. Ormai, quella creatura è mio figlio. Se tu gli fai del male in
qualche modo, se solo ci provi, sappi che alla prima opportunità  ti faccio fuori.» 

Non stava mentendo: il suo sguardo era serissimo e si poteva scorgere la verità  della sua
minaccia.


«Non farò niente alla tua bestia» disse lei seccata. « Andate via!» concluse.


«Ti ho avvisata!» le intimò dandole le spalle. « Andiamo Lothar, usciamo da questa
casa» gli disse, prima di vederlo annuire.
Lothar   non   lo   aveva   mai   visto   così :   conosceva   il   suo   lato   ribelle,   quello   più
ideologico, quello libertino, quello più infantile; eppure quel giorno aveva intravisto
anche la sua parte più profonda. Quel giorno fu davvero fiero di Silas. Ma non glielo
avrebbe detto, no, non in quel momento, almeno.

Agnes  aveva   appena  fatto  ritorno  a  casa.   Sgattaiolò  nello  studio  di  suo  marito,
aprendo piano la porta. L'ansia aveva preso a farle battere forte il cuore: se suo marito
l'avesse trovata lì   dentro, avrebbe passato dei brutti momenti. Si fece coraggio e
proseguì  in punta dei piedi, poi si avvicinò alla scrivania e, prendendo la chiave dal
suo nascondiglio, aprì  il cassetto. Fece appena in tempo a riporre le cartine che venne
colta di sorpresa: suo marito aveva fatto il suo ingresso.


«Buongiorno   mia   cara,   come   mai   sei   qui?»   le   domandò   sorridendo,   anche   se
l'irritazione sembrava essere la più prepotente tra le sue emozioni.


«Stavo cercando della carta...» rispose Agnes.


«A cosa ti serve la carta?» la incalzò Huge, avanzandole contro .


«Volevo scrivere la lista della spesa per Ghertrude e poi, se fosse avanzata, fare un
disegno.» Abbozzò un sorriso.


«La nostra domestica può imparare a memoria cosa ci serve. Inoltre, qualora si
dimenticasse qualcosa, potremmo sempre punirla affinché   non ci sia una prossima
volta.» Huge rispose così e si passò una mano tra i capelli. «Per di più non credo che
potresti sprecare della carta, quando già   scarseggia: è un bene prezioso» affermò ,
avvicinandosi ancora una volta verso di lei baciandola.


Agnes era disgustata come sempre: ogni contatto con quell'uomo la repelleva e la
mortificava, visto che nel suo cuore c'era già  qualcun altro.
«Vorrei solo trovare un modo per non annoiarmi. Non disegno da quando ti ho
sposato» si lamentò , cercando di improvvisare un qualche discorso frivolo; doveva
pur giustificare la sua presenza all'interno dello studio.


«Sono irritato, sai?» fece retorico Huge per poi proseguire:  «sono irritato, perché
abbiamo trovato volantini e manifesti contro il Reich, carta preziosa rovinata da dei
vandali. Tu, invece, mia cara e ingenua moglie... cosa vorresti fare? Disegnare?»
Huge ridacchiò , beffandosi di lei.


«Non   sapevo   che   avessi   trovato   queste   cose,   mi   dispiace,   altrimenti   non   avrei
chiesto...» Agnes si finse dispiaciuta, quando in realtà  il cuore le era saltato in gola:
temeva per il peggio, temeva che suo marito avesse scoperto tutto quanto.


«Ovvio che non potevi saperlo, sei solo una sciocca donna, anche se sei sposata con
me» le rispose umiliandola. Era l'unica cosa che poteva fare: deriderla e maltrattarla,
sentendosi in competizione con la vera natura di sua moglie.  «A questo punto...»
Sogghignò nella sua direzione e l'afferrò per i polsi.


«Smettila! Che vuoi fare?» gl ' intimò Agnes, cercando di divincolarsi dalla sua stretta.
«Devi solo fare silenzio, non ci vorrà   tanto...» rispose Huge, sussurrando quelle
parole.
«Non mi importa se ci vorrà  poco o no : non ho voglia di farlo e tu mi devi lasciare
andare!»
«Non sembravi così  ritrosa le altre volte sai?» Huge, sapeva di colpirla dove le faceva
più male, ma voleva piegarla, annichilirla, annientarla, se fosse stato possibile. La
spinse in avanti facendola finire contro la scrivania e si fermò   solo   quando sentì
bussare alla porta dello studio.​


«Scusatemi,   signori,   se   vi   disturbo,   ma   è   pronta   la   colazione».   Ghertrude,  in
corridoio, era riuscita a intervenire giusto in tempo.
«Prego, cara Ghertrude entra pure. Puoi posare il vassoio qui sulla mia scrivania.»
Huge la invitò a entrare molto cordialmente; tuttavia   lei   si scambiò uno sguardo
spaventato con Agnes.


«Certo, signore» rispose facendo un lieve e rapido cenno con il capo. Avanzò di
qualche   passo   verso   la  scrivania,   ma   non  la   raggiunse,   perché   Huge   le   fece   lo
sgambetto e lei fin ì  in terra con tutta la colazione.


Agnes si portò una mano alla bocca preoccupata. Ghertrude si sbrigò ad alzarsi,
spaventata della reazione che avrebbe potuto avere il suo padrone.  «Perdonatemi
signore, è colpa mia» disse pur sapendo che non era affatto così .


Agnes   era   furiosa. Serrava   i   pugni,   quando   invece   avrebbe   voluto   picchiarlo   e
scatenarsi come una furia contro di lui.


«E di chi altri sennò .» Huge fece spallucce. Scavalcò le tazze e il cibo riverso in terra
per far si che la domestica potesse raccogliere il tutto. « Credo che mia moglie debba
farti un elenco. Tu lo imparerai a memoria, perché  non abbiamo carta da sprecare per
una stupida lista» spiegò.


Agnes si schiarì  la voce con un colpo di tosse, giusto perché  l'ansia aveva preso a
mozzarle il respiro, poi elencò:  « Mi servirebbe del pane, delle uova e qualche pezzo
di carne, se riesci a trovarlo...». Furono le prime cose concrete che le vennero in
mente .


«Tutto qui?» domandò Huge .  «Volevi fare una lista per queste cose?»


«Sì ... avevo timore che potesse dimenticarsi.»


Huge scattò improvvisamente verso Agnes e la prese per i polsi, stringendoli forte e
tirandola   a   sé .   «Credi   davvero   di   prendermi   in   giro?»   le   domandò   furioso,
improvvisamente mutato, quasi una bestia.


«Perché  dici così ... non voglio prenderti in giro» cercò di giustificarsi.


«Perfino un bambino lo capirebbe. Comincia con il dirmi cosa ci facevi nel mio
studio»  ordinò perentorio.


Agnes fronteggiò il suo sguardo: era spaventata, molto, ma non voleva soccombere
del tutto, perciò ripose di getto: « Te l'ho già  detto, mi sono stancata di ripeterlo: ti ho
fornito una spiegazione, ti ho fornito una lista...» Non riuscì  a finire la frase, perché
lo schiaffo di Huge la colpì  in pieno volto.


«Signore!» lo chiamò Ghertrude a gran voce; e Agnes, nel frattempo, si portò una
mano al viso.


La guancia le faceva davvero male. Non se lo aspettava, l'aveva colpita con così  tanta
forza da farla cadere.


«Fa silenzio, tu! »  ordinò anche a lei, poi proseguì:  « Raccogli tutto, non voglio più
vedere nulla in terra. A questo punto pulisci anche il tappeto. Al mio ritorno il mio
studio deve essere uno specchio.» Uscì  dalla stanza.


Ghertrude si accertò che fosse andato via di casa prima di avvicinarsi ad Agnes . 

Le portò   una   mano   al   volto   e   le   scostò   i   capelli,   portandoli   delicatamente   dietro
l'orecchio, poi una carezza gentile. «Agnes... quel bastardo...» avrebbe continuato la
frase   se   solo   lei   non   l'avesse   baciata.   Avevano   sempre   così   poco   tempo   da
condividere insieme, stavano sempre sull'attenti.​


«Ilia, non ti preoccupare per me. Lo ha fatto, perché  cerca di domarmi. Ho sbagliato
io: lo conosco, so che dovrei controllarmi; conosco le sue reazioni, ma non ce la
faccio... non posso. La mia dignità  me lo impedisce.» Sembrava avvilita e affranta,
costretta a fare la vita che mai si sarebbe immaginata. Voleva essere una pittrice
prima ancora dell'attivista ribelle, eppure non lo era.


«Sai anche che non dovresti chiamarmi così. » Ghertrude rise. Sentire il suo nome di
battesimo le faceva sempre piacere.


«Perché   no? Solo perché   lui ha voluto darti un altro nome per prenderti in casa?
Adesso non c'è. Tu sei Ilia, la mia Ilia, dagli occhi ossidiana.» Fu lei a scostarle una
ciocca di capelli neri dal volto mentre si perdeva nelle sue iridi.


«Adesso devo pulire tutto il suo maledetto studio...»  sbuffò   Ghertrude : odiava la
tirannia di quell'uomo.


«Non ancora...» sorrise  maliziosa Agnes, prima di stenderla contro la superficie
morbida del tappeto.

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