Capitolo 18
O Graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
ma nebuloso e tremulo al pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'estate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri!
(Alla luna - G. Leopardi)
Non aveva mai provato una sensazione come quella. Un brivido che scivolava per tutta la sua schiena fino a scendere giù, alle caviglie, mentre il vento freddo gli sferzava addosso, sull'esile corporatura inumidita dal sudore.
Correva lungo le strade, lasciandosi dietro più rimpianti che timori. Era tempo di cambiare, così pensava, era tempo che prendesse in mano la sua vita.
Aveva indossato i soliti vestiti, portando con sé una piccola valigia con i pochi beni necessari: una vera e propria fuga; eppure, dentro di lui si agitavano sentimenti contrastanti, che andavano dalla gioia all'angoscia, dalla felicità alla paura.
Sapeva che quella era la sua unica via d'uscita e che non poteva fare altrimenti se voleva davvero cambiare le carte in tavola. E il primo posto dove andare, dove poter trasgredire la sua rigida educazione, era proprio il Dorian Gray.
Riuscì a varcare la soglia del locale senza troppi problemi e si diresse verso un tavolino, sperando di poter vedere qualcosa; la fama del Dorian lo precedeva.
Si aggiustò i lunghi capelli lisci e biondi sul davanti della giacca blu, togliendosi il cappello che aveva nascosto il suo volto. Poi si guardò intorno, gustandosi tutte le meraviglie del locale: la tappezzeria rosata, le tovaglie merlettate e frangiate d'oro, il palco dove si esibiva una bellissima cantante, perfino le luci soffuse. Oh, quanto amava quel tipo di luci, facevano da ristoro alla sua anima; ed effettivamente erano l'unica cosa che rincuorava il suo spirito quando, di notte, in solitudine, si ritirava tristemente nella sua camera e aspettava che il sonno facesse il suo corso, attendendo
l'alba, che più una rinascita sembrava un decesso.
I suoi occhi grigi perlustravano il tutto, pronti a cogliere ogni minimo dettaglio, fin quando non vide due figure, intente a parlare tra loro, che attraversavano la grande sala.
Le guardò bene: una bella donna dai lineamenti particolari, bionda, come la persona che era accanto a lei. Spalancò gli occhi per lo stupore, quando l'altra si voltò nella sua direzione, incrociando i suoi occhi per un attimo: bellissimo.
Il ragazzo che si era voltato era bellissimo. E improvvisamente cominciò a sentire una fitta al petto, qualcosa che squarciava il suo cuore e, allo stesso tempo, glielo rendeva dolce. Sembrava come se stesse fluttuando, sentiva la testa leggera e il petto pesante: un colpo di fulmine, così si disse.
Non sapeva chi fossero e di certo non si aspettava che potessero essere i fautori dei manifesti affissi in giro per la città, ma qualcosa rendeva il suo animo curioso: doveva muoversi, doveva raggiungerli, non poteva lasciarseli scappare, specialmente l'angelo che era apparso quella notte.
Si alzò di scatto, sistemando la sedia al suo posto, ancora memore di quell'orribile educazione che stava tentando di ripudiare.
Poi, con la musica che faceva da sfondo, si diresse verso i due. Eppure sembrava che il rumore dei suoi battiti cardiaci fosse ancora più alto delle vibrazioni.
S'impose di calmarsi e prese un lungo respiro. Si avvicinò ancora di più, posando una mano sulla spalla della donna; ormai era fatta, non poteva più tornare più indietro, doveva farsi coraggio.
Lei si girò mostrando i suoi strani e grandi occhi azzurri, cercando di essere quanto più indifferente e diffidente possibile.
Dal canto suo, Silas parve davvero incuriosito dalla nuova figura apparsa. Non disse una parola, si limitò a scrutarla in silenzio, mentre Agnes sollevava le sopracciglia.
«Sì?» domandò lei, perplessa e infastidita, certa che una sconosciuta le stesse facendo perdere del tempo.
«Perdonatemi, non so perché vi ho fermata, ma qualcosa mi ha indotto a farlo». Si sentiva davvero in difetto, come se avesse disturbato qualcuno in un momento cruciale.
Silas, invece, venne stuzzicato da quell'affermazione. Osservò incuriosito chi aveva di fronte e non poté fare a meno di trovarla particolare. Sembrava differente dalle altre ragazze che aveva visto fino a quel momento, così si disse.
«Chiedo ancora scusa, e forse non dovrei dirlo, ma ho pensato che questo potesse essere il posto giusto dove poter incontrare qualcuno di speciale. Non giudicatemi, ma guardando i manifesti in città, ho immaginato che qui avrei trovato i creatori.»
Ad Agnes quasi venne un colpo, mentre Silas sembrava eccitato da quanto stava accadendo. Lei pensava che potesse essere una qualche spia mandata alla ricerca dei colpevoli e lui che fosse semplicemente qualcuno di tanto strano da arrivare a una
deduzione più che giusta.
«Qual è il vostro nome?» domandò sfacciato, superando di un passo Agnes, la quale sospirò davanti tanta impulsività.
«Hans...» balbettò, mostrando così una contraddizione unica: quella che loro vedevano davanti a sé era una bellissima fanciulla, almeno agli occhi dell'altra donna.
«Hans...» sussurrò Silas, facendo quasi sussultare l'animo dell'altro, che arrossì vedendo il suo angelo girargli intorno.
«Perché sei vestito da donna, Hans?» domandò improvvisamente, facendolo deglutire dalla paura: Silas stava mandando a monte i suoi piani.
«I miei genitori mi hanno sempre vestito così, ignorando ogni mio desiderio.» Si portò una mano alla bocca per quanto aveva appena detto, ma come faceva a mentire davanti al suo sogno?
«Perché ti vestono da donna se sei un ragazzo?» Ancora più indiscreto, Silas aveva posto quella domanda, mostrandosi del tutto perplesso.
«Erano indecisi, signore, e hanno pensato che da femmina sarei passato più inosservato.» Hans era arrossito, aveva cambiato colore un paio di volte. Non si sentiva a suo agio sotto gli occhi indagatori di Silas e le luci che lo rimettevano, fiocamente, in risalto.
«Non mi dire che...» Il giovane rivoluzionario lo scrutò ancora meglio per confutare la sua teoria, intanto che Agnes si infastidiva sempre di più, non capendo dove volesse andare a parare. «Sei androgino?» domandò infine, sbaragliando ai quattro venti la sua teoria, senza il minimo pudore o accortezza.
Hans non rispose subito; era imbarazzato per quella situazione. La sua famiglia lo aveva fatto vivere sempre nella vergogna. Gli dicevano che era sbagliato, che non poteva essere qualcosa di indefinito. Come se non bastasse, lo avevano cresciuto fino ai quattro anni come un maschietto. A confermarlo c'era il suo nome. Ma poi, di punto in bianco, quando Hans iniziò le scuole, incominciarono a istruirlo come fosse una donna: il suo spirito doveva variare a seconda di come più conveniva ai suoi genitori.
«Sì, lo sono» affermò lui, chinando il capo.
«Meraviglioso!» esclamò Silas, diventando improvvisamente raggiante.
Il mio angelo, anzi no, Silas pensa che sia meraviglioso, pensò.
«Non credi che possa unirsi a noi? Infondo prima ha detto che gli piacciono i nostri manifesti.»
Agnes sospirò, era furibonda, ma non voleva darlo a vedere. E sopratutto si fidava di Silas, sperava solo nella buona sorte e nella capacità dell'altro nel guardare nell'animo delle persone.
Nella testa, Hans non faceva che ripetere quel nome, il suo nome, che da poco aveva scoperto, trattenendo a malapena la gioia. Aveva trovato chi aveva dato vita all'inizio di una rivolta, di una voce, e gli stavano offrendo di entrare nel loro mondo.
«Silas non pensi di essere un po' troppo affrettato?» gli domandò Agnes.
«Sai benissimo che non potrebbe raccontarlo se fosse una spia. E poi adesso scendiamo e chiediamo agli altri cosa ne pensano.»
Silas sapeva che Lothar non avrebbe mai fatto fuggire una spia, che ci avrebbe pensato lui a mettere a tacere chiunque fosse sospetto, nonostante dovesse ammettere che non amava molto quel tipo di soluzioni.
«E va bene, alla fine sai che mi fido di te.» sospirò rassegnata.
Silas prese la mano di Hans e la strinse. «Hai visto? Adesso sai che qui hai un posto dove puoi essere tutto quello che vuoi. Sii libero di essere ciò che preferisci.» Sorrise.
Hans trattenne a stento le lacrime mentre sentiva Agnes che gli diceva di mostrarsi onesto con loro, che non l'avrebbe passata liscia qualora le sue intenzioni fossero state delle peggiori.
Scesero le scale. Silas e Agnes camminavano l'uno di fianco all'altra e Hans lì seguiva, fedele: Agnes non poteva sapere che lo strano sentimento di Hans e le ultime parole di Silas gli avrebbero fatto custodire ogni segreto fino alla tomba.
Hans aveva emozioni contrastanti, era pervaso da curiosità e timore allo stesso tempo. Intorno a lui c'era quello che aveva tutta l'aria di essere un rifugio, un luogo dove si poteva cospirare alle spalle di uno stato infettato.
Le persone, però, lo scrutavano; o meglio, la scrutavano, perché Hans, vestito da donna, non sembrava minimamente un ragazzo e solo Silas era riuscito a cogliere quel dettaglio.
Per loro era un'intrusa, ma sarebbe stata ben accetta dal gruppo femminista di Agnes qualora lei garantisse per la recluta.
Si trovava decisamente a disagio con tutti quegli occhi puntati contro. Non era abituato a tanta gente, era stato sempre piuttosto solitario, ma quel brivido di ansia e paura, in un certo senso, lo scuoteva: finalmente stava facendo qualcosa di diverso e, sopratutto, di sua iniziativa.
Agnes si mise a parlare alle sue compagne, spiegando la situazione. Ancora una volta, queste non erano molto convinto delle decisioni prese su due piedi da Silas, ma si fidavano di Agnes e sapevano del suo buon intuito. Pertanto, come sempre, l'avrebbero seguita senza farsi mancare qualche espressione di disappunto.
Silas si guardava intorno per cercare Lothar. Sapeva che era lì, ma non riuscì a scorgerlo fin quando non lo vide al di fuori del gruppo, intento a fumare.
Era enormemente in disaccordo: già odiava il fatto che suo padre fumasse, non voleva che lo facesse anche lui; ma di certo, come ben sapeva, non avrebbe potuto fare nulla per impedirglielo.
Gli si avvicinò con il suo solito sorrisetto sul volto e, pronto a spiegargli del nuovo acquisto, immaginò che non avrebbe digerito la cosa.
«Ciao, amico mio» disse, catturando la sua attenzione, mentre sul volto manteneva
quell'espressione felice ed entusiasta.
«Qualcun'altra è incinta?» domandò sardonico Lothar, facendo uscire, quasi come se stesse sbuffando, il fumo dalla bocca.
«No, affatto.» Alzò gli occhi al cielo; il suo sarcasmo lo infastidiva sempre, specie se era così fuori luogo.
«Piuttosto ti devo parlare di una novità!» affermò, tornando con il sorriso.
Lothar fece un cenno con la testa per fargli intendere che era pronto ad ascoltarlo.
«Vedi quella ragazza laggiù? » gli indicò Hans.
«Una tua nuova fiamma?» rispose ancora Lothar rincarando la dose.
Al che Silas sospirò, cercando di arrivare alla fine del discorso. «No, perché in realtà è un ragazzo. È vestito da donna, perché è androgino. E ho pensato che potesse tornarci utile.»
«Tu fai entrare una persona nel gruppo così? Senza chiedergli niente, senza sapere nulla. Sei forse diventato scemo tutto insieme? Oppure ti manca un androgino alla lista?» Era chiaro che Lothar fosse nervoso ancora per quanto riguardava la storia di Rose. Era nervoso, perché ultimamente era corroso da pensieri che non sembravano appartenergli e ciò che più detestava era la confusione in testa, quella sensazione sfuggente che i pensieri gli regalavano ogni giorno: detestava quella situazione.
«Ascoltami bene...» prese a parlare Silas, deciso a chiarire una volta per tutte quella situazione.
Lothar inarcò un sopracciglio pronto a sentire cosa aveva da dirgli, forse anche incuriosito dalla sua reazione.
«Non devo aggiungere nessuno alla lista; tra l'altro è un ragazzo e non ho ancora intenzione di concedermi così. Se sono così dissoluto secondo i tuoi canoni, ho i miei motivi, come ho un motivo in particolare se non sono andato ancora con nessun ragazzo, nonostante mi piacciano» disse abbassando il tono della voce anche se era piuttosto adirato. «Infine ho pensato che il suo potersi camuffare potesse esserci d'aiuto, specie quando dobbiamo viaggiare in treno. Sai che non controllano le donne.»
Silas non era così sprovveduto come sembrava agli occhi degli altri, anche se a volte le sue azioni potevano mostrarsi sconsiderate. Aveva voluto mettere tutto in chiaro, sperando che Lothar capisse un concetto nello specifico, perché non considerava ciò che era accaduto con Friderich alla festa come un vero e proprio concedersi a un uomo.
«Silas, devi comunicarci qualcosa?» La voce di Agnes arrivò alle sue orecchie, allorché si allontanò da Lothar per mettersi al centro della sala facendo in modo che tutti potessero ascoltare ciò che aveva da dire.
Hans era attentissimo.
«Come potrete notare, c'è un nuovo membro a far parte del nostro gruppo. Si chiama Hans ed è un ragazzo.» Non disse nulla sul suo sesso, preferiva dire che fosse un
ragazzo facilmente camuffabile.
Hans arrossì di rimando alle sue parole. Provava vergogna e non sapeva fino a dove si sarebbe spinto.
«Lui è decisamente in grado di passare per una ragazza grazie ai suoi dolci lineamenti, per cui ho pensato che potesse esserci d'aiuto, specie per trasportare i volantini al di fuori di Berlino».
Ancora una volta le guance di Hans s'imporporarono: Silas aveva detto che lui possedeva lineamenti gentili e quel complimento lo rese stranamente vulnerabile.
«Siccome le nostre compagne devono occuparsi della città e del locale, ci serviva una ragazza in grado di superare i controlli senza problemi!»
Lothar e Agnes lo stavano ascoltando, incuriositi dal suo piano, così come tutti gli altri. Allora lui si prese un attimo per ponderare bene le mosse e poi riprese il discorso.
«Quando raggiungeremo il treno per Monaco, Agnes e Hans, vestito da donna naturalmente, prenderanno il vagone opposto al nostro, saliranno senza problemi, e con loro porteranno i volantini. Io e Lothar saliremo superando i controlli con i nostri documenti. Qualora ce lo chiedessero, diremmo che ci stiamo recando a Monaco per un compito scolastico: visitare la città e trarne ispirazione per un tema.»
Il piano sembrava a tutti abbastanza strutturato e privo di falle, ma Lothar doveva accertarsi che sarebbe andato tutto liscio.
«Se ci chiedono il tipo di tema?» domandò, incrociando le braccia al petto.
Silas sorrise nella sua direzione. «Ho pensato anche a questo. La risposta sarà esattamente quello che ci hanno dato in classe: racconta la tua gloriosa madre patria.»
«E noi diremo che, per fare un tema esemplare in onore del nostro paese era nostro dovere visitare qualche altra città o paesaggio al di fuori di Berlino.»
«Esattamente, Lothar.» Silas sorrise, era felice della loro intesa.
Hans era meravigliato e affascinato del modo in cui affrontavano la cosa, sembrava che non avessero paura di nulla e questo lo spronava a seguirli, anche se ancora non aveva ben fisso nella mente quanto avrebbe rischiato già alla sua prima missione.
Ludwig era riuscito a tornare sano e salvo da quella fuga. Era riuscito ad assicurarsi un riparo per Aleph e sua madre, pertanto non gli restava che sperare sui documenti, auspicandosi che questi non destassero sospetti per un bel po'.
Quella notte non era riuscito a dormire e grazie alla compagnia di suo fratello non era rimasto da solo, ma al contrario, aveva potuto scambiare qualche parola con lui, spiegandogli bene la sua situazione famigliare e quanto stava succedendo in quei giorni. Il tempo era volato e lui, come suo solito, si era ricomposto presto, assicurandosi che entrambi i suoi figli raggiungessero la scuola.
Si era svegliato, o meglio alzato, di buon'ora anche suo fratello e lo aveva fatto per aiutarlo.
«Devi scrivere una lettera?» gli chiese Natthasol, vedendolo seduto alla scrivania.
«Sì, esattamente, devo scrivere a un mio amico che so che potrebbe aiutare me e sopratutto Silas».
«Tale padre... tale figlio» disse Natthasol, ridacchiando e pensando ai racconti del colonnello, ricordandosi com'era Ludwig in gioventù.
«Cosa vorresti dire?» Si voltò dalla sua postazione per fissarlo meglio, cercando di comprendere la sua affermazione.
«Che è scapestrato, proprio come te. Vuoi passare come il non ribelle o quello che tiene le redini in disparte, invece copri tuo figlio e fai fuggire un ragazzo ebreo, insieme a sua madre, lo nascondi, gli dai dei nuovi documenti, perché ovviamente ne sei interessato. Quando avevi la sua età, e io avevo già dieci anni, quindi sfortunatamente per te ero in grado di capirti, tu uscivi di nascosto, proprio con il tuo amico falsario, per andarti a divertire. Ti sei ribellato a nostro padre più di una volta e... devo continuare?» Poggiò una mano sulla spalla del fratello.
«Natthasol, dovrebbero assumerti: la tua strategia del terrore farebbe impallidire anche loro.» Suo fratello aveva colto in tutto, ma lui stava puntualmente divagando, pronto a ignorare il suo discorso.
«Sai, però, che non lavorerei con loro, che non farei mai come quel degenerato di nostro fratello. Per quanto riguarda te, so che sei costretto, quindi non ti giudico.» Natthasol era dolce, ma sapeva come essere schietto e sincero con le parole, andava dritto al punto, lo faceva ogni volta.
«Oggi hai deciso di uccidermi, ne sono lieto. Adesso devo scrivere questa lettera però.» Si voltò di nuovo, pronto a calarsi nei suoi pensieri. Era un po' confuso in quel momento, ripensava alle parole di suo fratello, ma improvvisamente venne interrotto da un brusco bussare alla porta. «Chi diavolo sarà adesso?» domandò retoricamente, sapendo che non poteva essere Aleph; ormai riconosceva il suo modo di palesarsi alla porta. Si alzò, lasciando che suo fratello lo seguisse e aspettandosi di tutto.
Non si sarebbe mai immaginato che fosse proprio lui dietro la porta, e quasi gli venne da ridere, perché proprio non riusciva a concepire come diamine avesse fatto ad avere quel tempismo.
«Amico mio, non mi fai entrare?»
Ludwig si scansò e lo fece passare, mentre lui, con un poco più di fatica nel normale, si addentrò nella casa.
«Bella divisa!» gli disse sorridendo, avvicinandosi.
«Neanche sei entrato e già ti beffi di me.» Era ovvio che stesse scherzando. Anzi, Nail aveva portato un po' di allegria in quella mattinata che non sembrava essere iniziata molto bene. Ludwig lo abbracciò, dandogli un'amichevole pacca sulla spalla: era tanto che non si vedevano e, in fondo, gli era mancato. «Stavo giusto per scriverti, sai? Il tuo tempismo mi sorprende sempre.»
«E a che dovevo l'onore di una tua lettera?» domandò poggiandosi poi una mano
all'inizio della gamba sinistra.
«Mi serve il tuo aiuto, amico mio».
«Allora lo sentivo nell'aria!» Nail era abitato da un forte sesto senso e un grande intuito. E nonostante fosse parecchio tempo che non aveva contatti con Ludwig, qualcosa gli aveva suggerito di passare per controllare e vedere se avesse bisogno di qualcosa; in fondo gli era debitore.
«Ludwig, puoi spiegarmi?» Natthasol era curioso di sapere chi fosse il nuovo arrivato, che all'udire della sua voce, si voltò rimanendo quasi incantato da lui.
«Sono la sua medaglia all'onore» rispose Nail, prima ancora che Ludwig potesse intervenire e parlare a sua volta.
Natthasol sapeva che suo fratello aveva ricevuto una medaglia d'onore per aver salvato la vita a un suo compagno d'armi, ma non essendo un uomo che si vantava per questo, non era mai sceso nello specifico.
«Quindi tu sei l'uomo che mio fratello ha salvato durante la guerra?» chiese Natthasol, mentre Nail aveva preso a mangiarselo con gli occhi, senza che neppure se ne accorgesse.
«Già... e la mia gamba ne è testimone» rispose, ma poi tossì, perché Ludwig pensò bene di dargli una gomitata sulle costole a causa della sua insistenza. «Prima mi salva e ora tenta di uccidermi» disse, cercando di darsi un contegno.
«Siediti e fai il bravo, adesso» Ludwig lo guardò serio. Sapeva quanto potesse essere ingenuo suo fratello, in grado di non accorgersi anche delle avances più spietate.
Nail alzò le mani in segno di resa e si sedette su una poltrona vicino a lui.
«Va bene, va bene, basta che non ti innervosisci così, Ludwig, ché poi il tuo viso assume strane espressioni e non vorrei che tuo fratello si spaventasse.» Poi, una volta seduto, sospirò, perché il dolore alla gamba era lancinante.
Ludwig era riuscito a salvarlo da morte certa, lo aveva spinto via durante l'esplosione di una granata. La fortuna, però, non gli era stata del tutto favorevole, perché una scheggia lo aveva raggiunto una gamba, colpendolo. Estrarla sarebbe stato troppo pericoloso. Perciò, da quel giorno era stato costretto a convivere con quella e con il dolore.
Ludwig voleva rivolgersi a lui, perché a causa di quell'incidente, non era stato arruolato per la nuova guerra, ma era comunque ritenuto merito di rispetto visto che, nonostante tutto, era un soldato eroico.
Sapeva dunque, che con lui al fianco, avrebbe potuto aiutare sia lui che Silas perché nessuno lo avrebbe considerato una persona sospetta.
Buongiorno miei adorati biscottini friabili! Eccovi il nuovo aggiornamento! Entrano in scena ben due nuovi personaggi, cosa ne pensate?
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