Capitolo 15
La carne è triste, ahimè! E ho letto tutti i libri.
Fuggire laggiù, laggiù! Io sento uccelli ebbri
d'essere tra l'ignota schiuma e i cieli!
Niente, né antichi giardini riflessi dagli occhi
Terrà questo cuore che già si bagna nel mare
O notti! Né il cielo deserto della lampada
Sul vuoto foglio difeso dal suo candore
Né giovane donna che allatta il bambino.
Io partirò! Vascello che dondoli l'alberatura
L'ancora sciogli per una natura straniera.
E crede una noia, tradita da speranze crudeli,
Ancora nell'ultimo addio dei fazzoletti!
E gli alberi forse, richiamo dei temporali,
Son quelli che un vento inclina sopra i naufraghi
Sperduti, né antenne, né verdi isolotti...
Ma ascolta, o mio cuore, il canto dei marinai.
(Brezza marina - S. Mallarmè)
Tornato a casa, Ludwig si diresse nella camera da letto e, stufo di tutte le idiozie ascoltate dai Ritcher, si promise che, l'indomani mattina avrebbe avvertito Silas delle nuove strategie ideate a quel tavolo.
Gettò il capotto della divisa sulla poltrona e poi, ancora vestito, si sdraiò sulle coperte; era troppo stanco e inorridito per fare qualsiasi cosa, non ne aveva né la voglia, né la forza. Così, appena posò la testa sul cuscino, venne colto da un sonno profondo.
Regan si mise a sedere sul suo letto con quello sguardo vuoto e triste che, nell'ultimo periodo, la contraddistingueva. Era stanca di dover vivere con un peso sul cuore, stanca di dover stare lontano da suo figlio e vicino a un bambolotto, perché quello non era affatto un rimpiazzo adeguato e nulla al mondo avrebbe potuto eguagliarlo, sostituirlo.
Chissà come, credevano che fosse impazzita a tal punto, che avrebbero potuto ingannarla e che ci sarebbe addirittura cascata; degli sciocchi, così continuava a dirsi lei, perché se aveva accettato quella bambola, era solo per via della mancanza di qualcosa da stringere. La sua bambola non era quella, ma era a casa e lontano da lei.
Con quei pensieri per la testa, quindi, si alzò e, presa da un improvviso moto di rabbia, si scaraventò come una furia contro la porta della celletta nella quale era rinchiusa. I pugni chiusi, iniziò a battere e battere con tutta l'energia che aveva in corpo, cercando il piccolo barlume che le era rimasto.
«Apritemi!» gridò, sperando inutilmente che qualcuno potesse accontentarla.
Un infermiere di passaggio cercò di rabbonirla, disse: «Regan, non è il tuo turno. Stai buona e non disturbare l'ospedale.»
«Non sono un cane, non puoi dirmi di stare buona. Voglio andare da mio figlio! Non c'è, qualcuno me lo ha sottratto!» scattò, giustificandosi. Sperò che quell'uomo capisse il suo disagio, ma così non fu.
«Ah, parli della bambola?» gli domandò perplesso, sapendo bene cosa le era successo.
«Sì, dov'è?» domandò lei.
«Stanotte, mentre dormivi, sono entrati e l'hanno presa. Era rotta, devono sostituirla.»
In quel momento, nel suo petto si ruppe qualcosa e le fece sgranare gli occhi. In un attimo, sprofondò in un oscuro abisso senza, probabile, ritorno.
«Come sarebbe a dire che devono sostituirla?» Il suo tono di voce si era nettamente abbassato, ma non perché si fosse calmata, bensì per la paura e l'angoscia che avevano preso il sopravvento dentro di lei.
«Sì, Regan... la devono cambiare, era difettosa.»
Come potevano dire che Salazar fosse difettoso? Come potevano insinuare che lei avesse rovinato la sua preziosa bambola? Questo iniziò a chiedersi, mentre il cuore prendeva a galoppare veloce dentro il suo petto.
Sebbene all'inizio non si fosse fatta influenzare dall'oggetto, a poco a poco si convinse che quel finto neonato fosse davvero lui, tanto che tornò indietro con le memorie; lo sentiva piangere, lo allattava e lo curava come se il suo bambino non avesse avuto tredici anni.
Quel posto non faceva che confondere le sue idee. Non sapeva più perché era lì, perché il marito che tanto amava l'avesse rinchiusa e continuava a domandarsi che cosa gli avesse fatto per farsi tanto odiare.
«Non è difettoso!» gridò. «È mio figlio, maledizione, e mio figlio non è difettoso.» La rabbia prese di nuovo il controllo, e quasi ringhiò al di là della porta.
«Senti, sta' buona. Quando sarà il tuo turno, parlerai con il medico: va bene?»
«Voglio uscire adesso! Voglio andare dal medico adesso! Voglio mio figlio adesso!» s'impose.
Ai suoi ordini, però, non rispose più nessuno. L'infermiere era andato avanti, stanco di assecondare le folli richieste di una pazza, che non poteva aspettare di avere un'altra bambola.
E Regan rimase incollata là, a quella porta, aspettando che qualcuno le desse una qualsiasi risposta. L'orecchio poggiato contro la superficie gelata e metallica, pronta a scattare al primo sospiro.
Attese due ore, poi sentì la chiave entrare nella toppa della porta e scattare.
La porta si aprì.
Gli infermieri, però, non fecero in tempo a prenderla, perché lei sgattaiolò via, correndo a piedi nudi: una furia, alla folle e sfrenata ricerca della sua bambola.
Quando arrivò nella sala centrale, nonostante ci fosse il sole che irradiava la stanza, lei vide la tenebra circondarla. Allora si accorse che il suo prezioso oggetto era stato fatto a pezzi da chissà quale altro pazzo.
Urlò, e lo fece così forte da far portare le mani alle orecchie di chi si trovava all'interno di quella stanza, infastidendo i più.
Gli infermieri che l'avevano seguita si apprestarono a catturarla, ma lei s'inginocchiò a terra, quasi chiudendosi a riccio, gridando ancora e tirando fuori tutto il dolore che, per anni, aveva alienato.
«Salazar!» Aveva preso a chiamare suo figlio, dopo che le grida vennero sostituite dalle lacrime.
Riuscirono facilmente a tirarla su, e lei, incapace di ribellarsi e di scalciare si risparmiò la camicia di forza.
«Non fare tutte queste storie, su» le disse un'infermiera. «Dopo te ne daremo un'altra.» Sorrise, ma nel guardare i suoi occhi pieni di dolore, si ammutolì subito.
Era confusa, dannatamente confusa, mentre i ricordi la sommergevano e sballottavano. Improvvisamente fu come se avesse preso coscienza degli anni trascorsi accanto a suo figlio, di come avesse trascurato suo marito e Silas. «Un mostro...» sussurrò appena, con la voce tremante, mentre gli infermieri la tiravano ancora su, perché si era fatta cadere a peso morto.
«No, no, non sei un mostro» le disse l'infermiera, convinta di poterla confortare in qualche modo.
«Un mostro!» gridò Regan, placandosi subito dopo; stava dando i peggiori segni di squilibrio, un crollo vero e proprio.
Gli infermieri la gettarono sul letto dopo averla riportata in stanza. «Ci credo che suo marito l'ha fatta chiudere qui» disse uno, spietato. «È una pazza in piena regola...»
Uscì dalla stanza; e Regan chiuse gli occhi, cercò di allontanare i pensieri, di serrarli chissà dove.
Quelle parole, la colpivano più di qualsiasi altra malattia.
Crollò in un sonno profondo e si spense.
Al suo risveglio, in piena notte, i suoi occhi sembravano non volersi aprire. Dovette compiere il suo ultimo gesto di forza per socchiuderli sempre di più fino a raccapezzarsi nel buio della notte.
Si alzò dal letto, prese l'unico lenzuolo che c'era e ne misurò il diametro intorno al collo. Poi se lo tolse, fece un nodo stretto e si avvicinò alla sedia, quella di fronte alla scrivania. La tirò in avanti, raggiungendo la finestrella, e salì, legò l'estremità libera del lenzuolo a una delle sbarre degl'infissi.
Sospirò e si mise l'altro estremo intorno al collo. «Mi dispiace così tanto, mi dispiace andarmene così, ma che senso ho d'esistere qui? Lontano da te, amor mio, lontano dai miei figli, lontano dalla mia vita. Addio: che tu possa vivere felice, e che il dolore che ti ho procurato presto si dissolva.» Pronunciò quelle ultime parole, come se Ludwig potesse sentirla, sperando di arrivare in qualche modo a lui. Infine calciò la sedia sotto di sé e la gravità fece tutto il resto.
Il ventidue Dicembre 1940, Regan si spense e dedicò alla sua famiglia l'ultimo barlume della sua lucidità.
Quanto si era accanito, il destino con quella famiglia? Aveva fatto soffrire i suoi cari per tredici anni, rendendosi conto, poi, in manicomio, di quello che aveva fatto. L'attimo che Ludwig attese per tutti quegli anni, lei lo aveva vissuto lontano da tutti loro, uccidendosi a causa del peso della sua coscienza.
Ludwig si svegliò di soprassalto, quasi ansante per la paura e il dolore. Subito pensò che quel sogno fosse stato realistico, forse anche troppo. Le ciglia bagnate dalle lacrime, si strinse i vestiti all'altezza del petto, come se sentisse ancora la morsa delle fitte pervaderlo; in realtà, stava pregando con tutto sé stesso che quello fosse soltanto un incubo.
Guardò l'ora dall'orologio che aveva al polso, capendo di essersi svegliato più tardi del solito, alle sette del mattino. Così si tirò su, si diresse verso lo specchio e in un lamento disse: «Fantastico, guarda che occhiaie!» Si asciugò il viso, poi si ravvivò i capelli per darsi una sistemata, quantomeno per essere decente. «Oh, Regan... spero tu non abbia fatto una cosa del genere» sussurrò. Nella sua testa rimbombavano ancora le parole che lei gli aveva dedicato prima d'impiccarsi.
Uscì dalla stanza, cercando di sistemarsi la divisa con la quale aveva dormito e solo allora, lungo il corridoio, intravide Silas.
«Proprio te cercavo» lo chiamò con un gesto.
Lui si voltò, guardandolo. A giudicare dal tono di voce che aveva adottato, sembrava che non avesse certo bisogno di contraddizioni, così si disse, e chissà, forse aveva dormito male. «Dimmi papà» mormorò, avvicinandosi e aspettando di sentire cosa avesse da dirgli.
«Abbiamo ristabilito i pattugliamenti. Ritcher e Wolf hanno voluto che io ideassi una nuova sorveglianza.»
«Scheiße!» imprecò Silas, sapendo che avrebbe dovuto cambiare le strategie a sua volta.
«Io avevo proposto un pattugliamento di un gruppo da tre per ogni fascio di vie, ma quel figlio di un cane di Huge, ha voluto proporne cinque.» Nel pronunciare nuovamente quell'accordo, Ludwig sembrava ancora più alterato della sera precedente; dopotutto, sapeva che ci poteva andare di mezzo suo figlio.
«Ma come, papà... Herr Ritcher e Herr Wolf non sono tuoi amici?» lo canzonò Silas, troppo divertito e insolente per poter tenere a freno la lingua.
«Invece di dire idiozie, Silas, dovresti ringraziarmi del fatto che ti avviso di tutto questo» scattò. Non aveva certo bisogno del sarcasmo di suo figlio, non in quel momento. «Ringraziami, piuttosto, e ringrazia il fatto che io non sia un pazzo megalomane, perché ti posso garantire che ci sono stati alcuni che non hanno esitato a sparare in fronte ai propri figli» concluse.
Il discorso venne interrotto da un fragoroso bussare alla porta, che svegliò Salazar e che lo portò a raggiungere gli altri.
Ludwig alzò gli occhi al cielo non immaginando minimamente chi potesse essere a quell'ora del mattino; una qualche altra seccatura, forse, o almeno così si disse mentre andava ad aprire.
Vide un secondino che fece il saluto nazista, riconoscendo i gradi sulla sua divisa. Poi si lasciò porgere un telegramma e mancò un battito. Quasi si sentì smarrito, immaginando cosa fosse quel foglio; tuttavia non volle crederci fino alla fine.
Richiuse la porta in silenzio e fece cenno ai figli di avvicinarsi.
Egregio Standartefuher Ludwig Dubois, la informiamo che vostra moglie Regan Schulz si è tolta la vita questa notte.
Le nostre più sentite condoglianze.
Mentre Ludwig e Silas si dirigevano al manicomio per verificare la questione, Salazar corse via; non potevano certo immaginare che sarebbe esploso.
Entrò nella sua camera e prese ad urlare così forte da farsi male alla gola, alle corde vocali. Ma non gli bastò e prese a lanciare in aria gli oggetti che gli capitavano sotto tiro. Tutto cadde sotto la sua mano impietosa: i fogli sulla scrivania, via, lanciati in aria, i libri buttati in terra, il cuscino preso a calci, la sedia presa a calci, il letto preso a calci. Salazar era in preda a una crisi psicotica e non sapeva come fermarsi; mentre dentro di lui un mostro lo stava divorando prendendone possesso, lui se ne stava rintanato in qualche angolo della sua mente terrorizzato a morte.
Era arrivato perfino a graffiare le pareti, a farsi sanguinare le dita tanto era preso dalla furia.
Chissà quando si mise sul suo letto. Di colpo, all'improvviso, rannicchiato su se stesso, tenendo le braccia intorno le gambe, come se così potesse fermarsi.
Pianse, pianse senza interruzione, chiamando sua madre. Era profondamente arrabbiato con lei. Non dispiaciuto per la sua morte, ma furibondo per il fatto che adesso non le avrebbe più potuto restituire ciò che lo aveva difettato; come se questo, del resto, fosse possibile.
Tremava e dondolava allo stesso tempo, mentre il suo sguardo era rivolto in chissà quale punto immaginario. Si era chiuso in uno dei suoi tanti mondi, rifugiatosi lì per paura. Cercava di placare tutti quei suoi strani atteggiamenti, ma non ci fu verso fin quando non furono loro stessi a cessare. Solo allora si alzò, andò verso il bagno e, perso ancora in chissà quale oscuro meandro, fece scorrere l'acqua per riempire la vasca.
Arrivati al manicomio, Ludwig e Silas vennero condotti fino alla camera mortuaria.
Silas teneva la testa bassa, tanto era triste nell'aver perso, effettivamente, sua madre; per quanto lei fosse stata assente, sapeva che comunque c'era, che esisteva, che respirava la sua stessa aria, ma da quel giorno in poi non ci sarebbe stata più.
Ludwig, invece, camminava fiero, a testa alta, mentre il groppo in gola lo stava soffocando. Gli altri non dovevano accorgersene, così continuava a dirsi. I sensi di colpa avevano già preso a logorarlo, ma quella scelta era stata necessaria e lo sapeva: cacciare lei, o lasciare che suo figlio venisse rovinato sotto i suoi occhi. Quest'ultima cosa non poteva permetterla, non se la sarebbe mai perdonata.
Camminavano fianco a fianco, padre e figlio. Ludwig gli porse la mano e Silas l'afferrò; amava le sue silenti manifestazioni di sostegno e affetto: in un modo o nell'altro, Ludwig sapeva sempre quando era il momento di supportarlo, d'incoraggiarlo, e Silas ammirava questa dote di suo padre. Si domandò, a quel punto, se pure lui con il suo futuro nascituro, sarebbe stato così capace oppure no.
Arrivarono alla camera e Silas strinse più forte la mano del padre. Ludwig non la lasciò, anzi la tenne stretta alla sua.
E poi la videro. Regan era stesa su uno dei lettini metallici dell'obitorio, con il lenzuolo bianco che la copriva fino al collo.
Ludwig lo abbassò di poco, vedendo il segno viola che il lenzuolo le aveva causato: era tutto come aveva sognato.
Silas lo guardava, non riusciva a capire come facesse a restare così impassibile, così fermo, senza crollare; ma poi lo guardò negli occhi e vide tutto il suo dolore, perché in realtà non era insensibile dinanzi alla sua defunta moglie.
Le sue ciglia erano colme di lacrime e lui le stava solo trattenendo.
Silas aveva il volto rigato, stava piangendo, ma senza emettere un suono; era terribilmente triste e nessuno gli avrebbe mai ridato sua madre. Ma in fondo una madre non ce l'aveva mai avuta, così si disse. «Perché?» bisbigliò tremolante.
Ludwig lo stava ascoltando, ma preferì non dire nulla; non avrebbe potuto dire nulla, era giusto che suo figlio si sfogasse come meglio credeva.
«Saluta tua madre» gli disse dolcemente, e Silas gli lasciò la mano solo per abbracciare il gelido corpo di Regan.
«Auf Wiedersehen, Mom.» Detto ciò, si ritrasse e, singhiozzando ancora, uscì dalla camera per lasciare Ludwig nella giusta intimità; sapeva che, altrimenti, non sarebbe stato se stesso in presenza d'altri, anche se quegli "altri" era soltanto suo figlio. Infatti, una volta solo, Ludwig si inginocchiò all'altezza del corpo, le portò una mano alla testa e le carezzò una ciocca di capelli. Guardandola, chissà come, riuscì a sorridere. «Cos'hai combinato, tesoro mio, cos'hai combinato?» Quasi si sentiva un
ipocrita a pronunciare quelle parole. Ma come poteva sottrarsi a tutto quello, davanti alla sua morte?
Non riusciva a smettere di guardarla, voleva imprimersi la sua immagine nella testa, ricordarla per sempre. Le accarezzò il viso, passando i polpastrelli sopra la voglia rosea che aveva sulla guancia; dettaglio d'imperfezione che era sempre piaciuto a Ludwig.
«Mi sono arrivate le tue scuse, sai?» Stava parlando con un cadavere, se ne rendeva conto, ma sperava che potesse sentirlo almeno quanto lui aveva sentito lei. «Non ti devi preoccupare di nulla...» Con ancora le dita tra i capelli, si piegò su di lei e poi scivolò con la testa sul suo ventre. Lì, ancora in ginocchio, si lasciò andare al pianto. Le mani strette sul lenzuolo, prese a chiamarla, soffocato dai singhiozzi: «Regan...» Pianse per il dolore che quella morte gli aveva inflitto, per l'abbandono, per i sensi di colpa. Pianse semplicemente per lei.
Infine, dopo interminabili minuti, si avvicinò al suo orecchio e, prima di andare via, le sussurrò le sue ultime parole: «Gute Reise, mein süßes Braut.»
Quando tornarono a casa, si precipitarono subito da Salazar; lo avevano lasciato solo, troppo presi dalla fretta di andare al manicomio.
Ludwig corse verso la sua camera e quello che vide lo fece quasi morire dal terrore: le pareti erano graffiate, sporche di sangue e tutto era alla rinfusa. Si fermò un attimo per pensare, cercando di restare il più calmo possibile, invece di farsi sopraffare dal panico. Poi scattò verso il bagno, e Silas gli fu subito dietro.
Entrambi si sentirono gelare alla vista di Salazar che se ne stava sotto la superficie dell'acqua.
Pareva che avesse tentato il suicidio. Soffocato sotto di essa, non essendo in grado di intendere e di volere, era immobile.
Ludwig si catapultò verso la vasca, tirando su suo figlio e ignorando l'acqua tinta di rosso, per non cadere ancora di più nel panico.
Lo adagiò in terra, verificando come prima cosa che non si fosse tagliato i polsi. Fortunatamente, si rese conto che il sangue proveniva dalla dita che si era ferito quando aveva grattato le pareti.
Allora cominciò a praticargli una leggera pressione all'altezza del petto per fargli riprendere i sensi, desideroso che sputasse l'acqua il prima possibile; a stento respirava: ancora qualche minuto e sarebbe morto.
Gli chiuse il naso con le dita e continuò a con la respirazione artificiale sotto lo sguardo sbigottito di Silas, che rimase impietrito sul posto, con gli occhi puntati sulla scena.
Aveva perso sua madre, non poteva permettersi di perdere anche suo fratello, così continuava a dirsi. Ma per quanto il suo spirito fosse indomito, il panico lo aveva letteralmente paralizzato.
Ludwig, invece, seppur distrutto, aveva quell'incredibile forza di reagire, quella capacità di distaccarsi emotivamente per essere il più tempestivo possibile per destreggiarsi in ogni situazione, anche la più tragica.
Solo quando Salazar prese a tossire, Silas si riprese dal suo torpore. Gli vide espellere l'acqua con un singulto e poté tirare un sospiro di sollievo. Bianco come un cencio, notò come il viso di suo padre riprendeva colore dopo lo scampato pericolo.
«Va tutto bene tesoro, sta tranquillo» mormorò subito, tremante, abbracciandolo con quanta più delicatezza potesse; sapeva che era ancora scioccato e fragile.
Salazar ricambiò quel contatto. Nonostante fosse debole, voleva stringere a sé suo padre e ringraziarlo silenziosamente per averlo salvato. Gli accarezzò i capelli, e Ludwig si lasciò andare, sedendosi per terra, prendendolo meglio in braccio.
Silas guardò i due per un istante senza riuscire a fare niente, ma poi si avvicinò e accarezzò a sua volta la testa di Salazar per fargli capire che lui non era solo e che nessuno lo avrebbe abbandonato.
Questi posò la testa contro il petto di Ludwig e, sentendosi al sicuro, si addormentò poco dopo.
Allora lui, già sfinito per quella giornata, poggiò la testa sul bordo della vasca. E Silas, che si era seduto accanto a loro, si accucciò contro la sua spalla.
Ludwig era una colonna, fin troppo crepata, sulla quale contavano anche troppe persone. In quel momento capì, ancora più di prima, che non poteva permettersi di crollare e che dopo quella strana paura, quello strano modo di rilassarsi e di confortare i suoi figli, sarebbe iniziata, per lui, la vera lotta: un vero e proprio gioco di resistenza che doveva fare con se stesso.
- Gute Reise, mein süßes Braut = Buon viaggio, mia dolce sposa.
Se avete letto fino alla fine questo capitolo allora niente potrà più spaventarvi! Questo è un capitolo emotivamente molto profondo, spero che vi sia piaciuto.
Se così fosse lasciate una stellina e ditemi cosa avete pensato riguardo Regan e alla reazione degli altri.
Per il resto spero che stiate bene e che le letture che state facendo siano belle ù.ù
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