Capitolo 14 (seconda parte)
Viviamo in tempi infami
dove il matrimonio delle anime
deve suggellare l'unione dei cuori;
in quest'ora di orribili tempeste
non è troppo aver coraggio in due
per vivere sotto tali vincitori.
Di fronte a quanto si osa
dovremo innalzarci,
sopra ogni cosa, coppia rapita
nell'estasi austera del giusto,
e proclamare con un gesto augusto
il nostro amore fiero, come una sfida.
Ma che bisogno c'è di dirtelo.
Tu la bontà, tu il sorriso,
non sei tu anche il consiglio,
il buon consiglio leale e fiero,
bambina ridente dal pensiero grave
a cui tutto il mio cuore dice: Grazie!
(Viviamo in tempi infami - P. Verlaine)
Raggiunta la cucina, Franz osservò Friederich per un istante, lo vide guardarsi attorno, cercare qualcosa di dolce da poter mangiare dopo la cena a causa del borbottio del suo stomaco; così abbozzò un sorriso e richiamò la sua attenzione. Dapprima lo chiamò per nome, poi si ammorbidì, bisbigliando un: «Mio caro...».
Lui, vedendolo, esultò. «Franz!» E sentì subito il suo palmo posarsi sulle labbra, si sentì ammutolire. Di certo, si disse, non potevano rischiare di farsi scoprire. «Mi hai seguito?» chiese poco dopo, libero da quella presa. Le labbra schiuse, quasi estasiato e rivitalizzato; era trascorso tanto tempo da quando erano riusciti a incontrarsi da soli.
«No, tua madre mi ha detto di controllarti.» Gli sorrise, e Friedrich si sciolse a quella vista, adorando la percezione della sua dentatura bianca celata da quelle labbra semi carnose.
«Franz, sto morendo...» sussurrò, vedendolo quasi trasalire dallo spavento.
«Cosa intendi dire?» gli domandò preoccupato.
«Che se non mi baci, morirò qui e adesso. Ne necessito più dell'aria!» si lamentò, avvicinandosi a lui e stringendo tra le mani il tessuto pesante della giacca nera che stava indossando.
«D'accordo, ma solo uno» gli concesse, ricordandosi subito dopo quanto fosse catastrofico e capriccioso. Si voltò per controllare che non ci fosse nessuno, per
assicurarsi che la via fosse libera. E non fidandosi comunque, lo tirò giù, nascondendolo sotto il tavolo coperto da una lunga tovaglia bianca.
I due, sorreggendosi sulle proprie ginocchia, avevano preso a rimirarsi negli occhi, quasi esitanti, fin quando Franz gli prese il viso tra le mani, beandosi di quella vicinanza e ammirando le sue iridi azzurre, cristalline, tanto lucide e desiderose.
Sembrava esitante, eppure Friderich era a portata di mano; non faceva che perdersi in quei fugaci contatti, in quelle semplice carezze sulle guance.
Allora schiuse le labbra, lo baciò. E lui non esitò un secondo a ricambiarlo. In un attimo, Franz si ritrovò a essere divorato dalla passione e dalla fretta di quel piccolo principe.
«Ich liebe dich, mein süßer Herr» sussurrò Franz sul ciglio delle sue labbra.
Friederich si sciolse a quelle parole, perché mai si sarebbe immaginato che lui potesse definirlo: suo dolce signore. Sentì mancare un battito nel petto, arrossendo e lacrimando per la commozione, ma Franz, prontamente, baciò e catturò anche quelle lacrime prima che potessero scivolare lungo il suo volto. Così, emozionato, lo tirò a sé. Lo afferrò per la giacca e finì in terra; fortunatamente il tavolo era abbastanza grande da riuscire a celarli anche in quella posizione.
«Fermati! Friederich, sta fermo» gl'intimò, sentendo le sue mani insinuarsi all'interno dei pantaloni, dopo aver sorpassato con abile destrezza i bottoni che lo proteggevano.
«Non posso lasciarti andare in queste condizioni, cosa direbbero?» Ogni scusa era buona pur di unirsi anche per un solo istante.
«Lo capisco, ma cosa direbbero se entrassero?» gli domandò di rimando, cercando di mantenere un certo contegno, nonostante quelle carezze stessero cominciando a sortire un certo effetto.
«Se dovessimo sentire dei passi, ci fermeremo per un istante. Tanto non ci vorrà molto, no?» Gli rivolse un sorrisetto beffardo, quasi derisorio.
«Molto spiritoso, davvero» si lamentò, ritrovandosi a reprimere un piccolo sospiro di piacere.
Friderich fece scivolare via una delle sue mani, superando il lembo della tovaglia, per ricercare, sopra il tavolo, un fazzoletto che presto gli sarebbe servito.
«Franz, dimmi ancora quello che mi hai sussurrato poco fa» mormorò, guardandolo negli occhi e prendendo a strusciarsi contro di lui come se quella mano dispettosa non fosse già abbastanza.
«Ich liebe dich, mein süßer Herr.» Riuscì a sussurrarle appena, quelle parole, sentendo arrivare il culmine di quella dolce morte.
Friederich si impegnò a far diventare quei tocchi più decisi e persistenti affinché Franz potesse cedere velocemente.
«Sei incorreggibile» disse Franz, ancora scosso.
«Facile lamentarsi adesso» lo canzonò.
«Ora, esci prima tu, poi io ti seguirò poco dopo» gli impartì Franz in un guizzo color miele, pensando alla soluzione migliore da adottare per non destare alcun sospetto.
Friederich, quatto quatto, sgattaiolò fuori dal tavolo, dirigendosi immediatamente nella sala da pranzo.
Ludwig, che nel frattempo aveva raggiunto la cucina, alzò gli occhi al cielo e intuì cosa fosse potuto succedere - era sinceramente stufo di incappare sempre in quei due. «Franz, esci da lì» disse, aspettando sull'uscio della porta.
L'Unterscharführer uscì immediatamente, imbarazzato.
«Ti ho già avvisato una volta, questa è la seconda, se vi ribecco, sarò io stesso a denunciarvi.» Non l'avrebbe mai fatto, ma doveva intimorirlo per il suo bene affinché non facesse sciocchezze. «Siete stati fortunati che sia stato io a venire qui» lo rimproverò ancora, poiché la situazione gli risultasse chiara. «Dobbiamo discutere delle faccende lavorative adesso. Seguimi» ordinò perentorio.
«Ja, Herr Standartefuhrer» rispose a testa bassa, ancora imbarazzato e mortificato per il modo in cui era stato scoperto.
Tutti gli uomini competenti si riunirono nello studio di Huge Ritcher per discutere delle faccende politiche, specificatamente dei controlli che avrebbero dovuto intensificarsi a favore della caccia ai sovversivi.
«Cosa proponete Herr Standarteführer?» domandò il padrone di casa, pronto ad ascoltare il nuovo piano di attacco.
Ludwig guardò la cartina della città, ponderando sul da farsi, considerando che avrebbe dovuto attingere a tutta la sua abilità strategica per evitare d'incappare in suo figlio durante qualche pattugliamento.
«Dunque...» Si portò una mano al mento, continuando a pensare, adocchiando la cartina dall'alto della sua postura.
«Penso che se imboccassimo da questa via...» Ne indicò una con le dita, tracciando i punti da cui potevano entrare con i soldati. «E ci dividessimo in piccoli gruppi da tre, potremmo percorrere tutte le stradine interne, così da poter arrestare anche il più piccolo topolino.»
In quel modo avrebbe potuto avere il controllo della città e delle truppe, sapendo già che, una volta tornato a casa, avrebbe riferito a Silas tutto quanto.
«Sembra una buona strategia, ma siete certo che tre uomini bastino?» domandò Herr Wolf, seguito da Huge:
«Se fossero armati?»
«Non credo che un gruppo di sovversivi possa possedere delle armi da fuoco. Se appendono manifesti, considerato che porteranno con loro degli oggetti - sia il materiale che la carta - un'arma sarebbe troppo pesante, oltre che d'intralcio.»
«Possibile, resta il fatto che tre uomini, a parer mio, siano pochi. Consiglio un massimo di cinque» propose Huge, per farsi vedere intelligente e risoluto agli occhi
di Ludwig.
«Penso che possa andare. Non credo che il Führer possa concedere altri uomini per il bene della città» asserì Ludwig per non destare sospetti - bene o male, finché c'era lui a guidare quei pattugliamenti, poteva sempre stravolgere tutto all'ultimo momento.
«Allora è accordato» disse Wolf.
Ludwig annuì. «Domani farò io stesso la richiesta.»
Poi, Huge considerò concluso l'accordo e l'invitò tutti a uscire dallo studio.
«Avete già finito, miei distinti signori?» domandò Lida.
Sia lei che Agnes erano riuscite a origliare gran parte della conversazione e quest'ultima sperava di poter contare sia su Silas, sia su quello che, di li a poco, suo marito le avrebbe probabilmente confidato; dopotutto, lo sapeva, lui amava vantarsi delle loro strategie di attacco.
«Quando si tratta di uomini decisi come noi, ci vuole davvero poco a mettersi d'accordo» iniziò lui mostrandosi fiero e spavaldo nell'accarezzarsi la giacca della divisa. Si voltò, e subito disse: «Allora, Ludwig, alla prossima cena.» Lo salutò, intanto che Ludiwg si riappropriava di cappotto e cappello. «Vieni, Franz, andiamo.» ordinò il colonnello. Prima di uscire, salutò il padrone di casa e seguitò con tutti gli altri ospiti.
Franz dal canto suo, poté solo lanciare un'occhiata fugace a Friederich per congedarsi.
Silas gli aveva fatto cenno per essere seguito di seguito, imponendosi perfino un indice dinanzi alle labbra e inducendolo al silenzio. Poi lo aveva condotto ancora una volta in quelle stesse vie sotterranee che avevano attraversato qualche giorno prima e lo aveva condotto lì, nel giardino sul retro.
La prima cosa che Lothar fece, fu strabuzzare gli occhi. «Perché siamo usciti in giardino?» chiese.
«Perché così possiamo parlare meglio.» Gli sorrise, voltandosi.
In tutta risposta, ricevette una muta espressione perplessa. Credeva davvero che Silas si fosse ammattito; come avrebbe potuto parlare di quelle cose all'aperto?
«Ti ha dato di volta il cervello o ti è evaporato quel poco che ti è rimasto?» Lo afferrò per il braccio, arrestando la sua camminata, decisosi a farsi ascoltare una volta per tutte.
«Perché? Sono nella mia proprietà e posso stare all'aperto, se dovessimo sentire la sirena, entreremo dentro il rifugio. Stai tranquillo.» Fece spallucce, scrollandosi di dosso la sua presa fastidiosa.
«Come facciamo a parlare qui fuori all'aperto?» insistette, sapendo bene che era del tutto impossibile affrontare certi discorsi fuori.
«Possiamo!» rispose convinto, portando ancora l'indice alle labbra con fare pensieroso.
«Silas, smettila di fare il cretino; che ti prende?» Lo fermò del tutto, afferrandolo per entrambe le braccia e tenendolo con una presa salda, come se volesse scuoterlo.
«Scusa» disse d'un tratto. «Non parliamo di quello che mi sono perso l'altra sera al Dorian. Adesso vorrei svagarmi, vorrei liberarmi la mente.»
Sospirò appena, probabilmente sentiva l'assenza di sua madre più di quanto non la sentisse prima. Almeno, un tempo, si consolava con il suo fantasma, augurandosi che lei potesse tornare ad accettarlo e illudendosi con la stessa speranza con la quale si illudeva suo padre.
«Vieni, sediamoci qui.» riprese, indicando un pezzo di terreno.
Il verde dell'erbetta era stato oscurato dal buio, mentre la pallida luce rischiara appena la terra.
Silas si sedé e fece cenno a Lothar di seguirlo. Non appena questi si mise al suo fianco, lui si sdraiò, le braccia incrociate dietro la nuca.
Tutto quello sembrava davvero strano agli occhi di Lothar, ma ormai iniziava a conoscere le sue stranezze, anche se non le comprendeva molto bene. La sua imprevedibilità era l'unica cosa di cui era certo, la caratteristica che più gli piaceva e riusciva al contempo a spaventarlo. «Davvero non ti interessa sapere?» gli domandò serio mentre, con lo sguardo, studiava la sua figura ordinata.
«Certo che mi interessa...» sospirò senza aggiungere altro.
Nel guardarlo, Lothar intravide la stanchezza sul suo volto. Non sapeva cosa gli stesse succedendo; Silas sembrava tenersi sempre tutto per sé, ma alla fin fine nessuno dei due parlava molto. Era raro che si confidassero i loro problemi, perché entrambi volevano essere forti l'uno per l'altro.
«Va bene, te lo dirò un'altra volta. Comunque nulla di nuovo, cose che già sai.» Lothar mise fine al discorso, intuendo che, probabilmente, l'altro avesse davvero bisogno di allentare la presa, di staccare la spina, almeno per una volta. «Silas...» lo chiamò, mentre sembrava essersi perso con gli occhi rivolti al cielo. «Ti piacciono le stelle...» asserì scioccamente, sorridendogli.
«Sì, mi rendono nostalgico; in senso buono, ovvio» disse, assumendo tutta l'aria di chi sembrava voler continuare il discorso. «Non ho bei ricordi, anzi non ho proprio ricordi da associare alle stelle. Spero che questo possa essere un momento che io possa ricordare.» Voltò il capo verso di lui per guardarlo negli occhi e sorridere al suo indirizzo.
«Ora non cominciare a provarci, che tanto lo hai già capito che non attacca con me.» Lothar si crucciò appena nel sentire le parole di Silas; tutto quel discorso sulle stelle lo aveva stranito.
«Non ci sto provando.» Silas si rabbuiò. «Non posso avere un ricordo carino da condividere insieme al mio compagno d'avventure?» Gli fece l'occhiolino, questa
volta appositamente per infastidirlo.
«Smettila.» Lothar gli portò una mano al volto per nascondere il suo viso ai suoi occhi - in fondo, tutto quel suo modo di fare lo imbarazzava ed era per quello che aveva deciso di nasconderlo alla sua vista.
Se per Lothar quella fu una carezza volta in suo soccorso, per Silas fu una carezza rovente che quasi lo fece avvampare.
«Va bene, va bene la smetto» disse mentre la sua risata cristallina si liberava nell'aria notturna. Lothar, per lui, era davvero un mondo strano, un mondo a parte, e forse era proprio quell'emisfero chiamato amore.
Come rideva con lui, non rideva con nessuno; e allo stesso tempo, come lui lo faceva soffrire, nessuno ci riusciva: il suo compagno rivoluzionario arrivava a toccare le corde più profonde del suo spirito.
«Allora dimmi: quali sono i tuoi sogni?» Proruppe così con una domanda dall'apparenza semplice, ma alla quale era davvero difficile rispondere.
Sembrò pensarci un po', mentre scrutava con lo sguardo tutta la volta celeste. «I miei sogni? Dunque...»
«Vorrei che le persone potessero mostrarsi per quelle che sono, senza doversi nascondere da chissà quale mostro in agguato. Vorrei, che l'amore sia semplicemente amore e che possa essere vissuto a prescindere da chi lo vuole vivere, uomo o donna che sia. Vorrei che le persone potessero passeggiare di notte, magari sotto le stelle, senza coprifuoco, senza paura, senza dovere, che potessero camminare semplicemente per il puro piacere di farlo: libere.» S'interruppe pensando che, forse, stava parlando un po' troppo - considerando che fossero all'aperto - ma Lothar lo stava seguendo attentamente, non badando al fatto che avrebbero potuto sentirli.
«Vorresti un sacco di cose, insomma. Beh, lo immaginavo; viziato come sei...» gli disse bonariamente.
«Tu mi hai chiesto quali sono i miei sogni» ribatté deciso, assumendo un'espressione un po' snob e facendo finta di essersi offeso.
«Ti ho chiesto i tuoi sogni, non cosa vorresti» precisò Lothar.
«Fiscale!»
«Allora?»
«Credo che i sogni siano un po' come delle chimere, forse irraggiungibili, ma se così non fosse, non avrebbe senso chiamarli sogni, no?» Ci stava letteralmente girando attorno, non voleva mostrarsi debole agli occhi di Lothar. Chissà come non riusciva a credere che sarebbe sembrato più umano e che, così facendo, avrebbe potuto condividere qualcosa, avvicinarsi veramente a lui.
«Sì, ma non mi stai dicendo nulla comunque.» Lothar sembrava non voler desistere.
«Ho sognato per molto tempo che mia madre mi potesse dare quell'affetto che non mi ha donato quasi mai. Ora lei è ricoverata in ospedale e quindi questo mio sogno non sarà mai realizzabile.» Un sorriso malinconico si posò sulle labbra di Silas che,
ormai, si era rassegnato, nonostante quella ferita continuasse a scavargli dentro.
Lothar deglutì. Cominciava a sentirsi inadeguato mentre, con le mani, stringeva l'erba fresca. Lo aveva fatto rattristire quando in realtà voleva semplicemente farlo rilassare.
«E i tuoi sogni, Lothar?» domandò di rimando Silas. Forse aveva captato il suo imbarazzo e voleva togliere tutti e due da quella scomoda situazione.
«Sogno la vita, semplicemente. Questa non è vita, giochiamo a sopravvivere, perché loro ci vogliono vedere come topi che si nascondono per il proprio divertimento. Vivremo semplicemente quando saremo liberi. Noi stiamo lavorando per questo, no?» Fu lui a fargli l'occhiolino in segno d'intesa, e Silas annuì, riuscì perfino a sorridere.
«Un sogno grande e semplice, proprio come te» disse.
Lothar rimase perplesso, non pensava che Silas potesse avere una così grande considerazione di lui.
Un sogno grande e semplice, proprio come te: quelle parole gli avrebbero scavato dentro per tutto il resto della sua vita.
Silas si alzò con una semplice gesto della mano, tornando sulla posizione eretta. «Vieni, torniamo dentro.»
«Vuoi tornare dentro?» domandò Lothar con fare dubbioso.
«Sì, torniamo dentro, staremo più al sicuro.» Mosse qualche passo verso la direzione di casa. Cominciava a non sentirsi più tanto protetto lì fuori, e casa sua gli sembrava l'unico rifugio degno di essere chiamato tale.
Lothar scosse la testa, ormai rassegnatosi all'imprevedibilità di Silas, alle sue stranezze. Poco dopo si alzò anche lui, decidendo così di seguirlo.
Una volta in casa, Silas lo invitò in camera sua, indicandogli la poltroncina, sapendo che l'avrebbe gradita di più rispetto al letto. E rimase molto stupito quando lo vide andarsi a sdraiare lì, dove la volta precedente non aveva voluto.
Dopotutto, Lothar sapeva che quella volta avrebbe potuto fidarsi di lui, che Silas non avrebbe fatto nulla. E una volta stesi, entrambi si misero a parlare dei manifesti, di quello che era successo la volta precedente al Dorian Gray.
Salve ragazzuoli spero di non avervi fatto attendere troppo ù.ù la situazione comincia a incasinarsi hahaha. Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina o un commentino ù.ù
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