Capitolo 13 (seconda parte)


La vita ogni tanto lo fa. Ti piazza davanti uno sguardo e non lo dimentichi più, anche se guarderà altrove.
(P. Felice)

Quella, per Silas, era stata una nottataccia; aveva dormito poco, e anche male. L'importante, però, era stato fare compagnia a suo fratello. Per sua fortuna, la mattinata scolastica era trascorsa in tranquillità e così, una volta riaccompagnato Salazar, si decise ad andare a fare una passeggiata.
Dopo essere passato sotto lo sguardo severo di Ludwig, che aveva deciso di dargli un'altra possibilità, uscì per andare a trovare Rose fino a casa sua; era trascorso qualche giorno da quando si erano visti l'ultima volta e non voleva che lei s'insospettisse riguardo le sue segrete attività politiche.
Ma non era solo il timore di qualche passo falso a spingerlo fin lì in un orario privo di coprifuoco, poiché anche la voglia di vederla faceva la sua parte e, considerando il loro rapporto e il continuo rifiuto di Lothar che lo buttava sempre più giù, non c'era da stupirsene; era vero: loro condividevano tutto, persino l'anima, la quale era già l'una nelle mani dell'altro. Ma non era sufficiente, non era abbastanza, e desiderava poterlo sentire tra le proprie braccia, assaporare le sue labbra, condividerci il letto per tutto il tempo che gli rimaneva da vivere. Suo malgrado, Silas doveva ammettere che non tutti potevano essere interessati sia agli uomini che alle donne, e questo lo portava addirittura a chiedersi se fosse o meno sbagliato; allora, magari, un abbraccio affettuoso di Rose avrebbe potuto risollevarlo - anche se non era Lothar, era pur sempre qualcosa.

Una volta arrivato, bussò alla porta e, prima di vedersela aprire di fronte, si sistemò appena i capelli che, a suo parere, erano un po' scomposti; non aveva uno specchio per vedersi, ma non aveva alcuna voglia di mostrarsi sciatto, perlomeno non a lei.
Poco dopo, Rose aprì e gli mostrò il sorriso più malizioso che possedeva, mentre il suo corpo, sinuoso e vestito di una camicia da notte color porpora, parlava da solo, continuando a mostrare chissà quale altro intimo succinto al di sotto della stessa.
«Dormi sempre così?» le domandò lui, tirando fuori il suo solito caratterino, lo stesso che, un po' malizioso, lo contraddistingueva nei night e l'aveva spinta ad avvicinarsi - oltre alla sua bellezza, ovviamente.

«No, non sempre; qualcosa mi ha detto che oggi saresti venuto a trovarmi» disse, sorridendo e facendolo entrare.

«Hai avuto qualche cliente stanotte? O una piacevole compagnia?» domandò, guardandosi intorno e scorgendo una casa fin troppo ordinata per presumere che avesse avuto ospiti.

«No, niente del genere. Avrei preferito che qualcuno mi facesse compagnia. In effetti, un signore si era prodigato a venire fin qui...» Si portò un dito alle labbra con fare pensieroso. «Sai, uno dei tanti ammiratori... Bhe, aveva portato una bottiglia di champagne - che è una rarità oggi giorno - e l'abbiamo stappata; il signore, però...» La sua voce si inclinò in un suono stridulo e dispiaciuto. «Improvvisamente, ha deciso di bersela da solo e così si è addormentato.» Fece spallucce; in fondo aveva raccontato la verità.

«Quindi la biancheria era per lui.» Sogghignò Silas, facendo domande e mostrando una sorta di gelosia, una sorta di finto possesso - quanto bastava per far sentire importanti donne come lei; non che a lui importasse, del resto.

«Ho messo questo completino...» disse, mettendosi a sedere sul letto e facendo sobbalzare nell'aria le ciabattine eleganti «... perché volevo bere lo champagne in un certo modo.» Fece cenno a Silas di raggiungerla sul letto e lui le si posizionò accanto.
«Certo, volevi essere elegante in onore di una bevanda pregiata» echggiò.

Lei si precipitò sulle sue labbra, baciandolo dapprima passionalmente e poi con più dolcezza, sapendo che Silas, in quel modo, si sarebbe scaldato fino a sciogliersi poco a poco.

«Tu si che mi capisci» sussurrò sul ciglio delle sue labbra, e subito lo sentì addosso alle proprie, con possesso.
La fece stendere sotto di sé per prendere ad armeggiare con il fiocco che teneva stretta la vestaglia.

Non voleva pensare a niente.

Il loro rapporto era sempre abbastanza intenso, passionale, ma per l'irruenza della consumazione in sé e non perché ci mettessero un qualche sentimento; era del tempo in cui Silas poteva allontanare i pensieri e farli sprofondare nella parte più lontana e oscura di sé, mentre per lei era un piacevole momento, uno come tanti altri, in cui poteva godere delle grazie di un bel giovane.

«Sono incinta sai?» Quando pronunciò quelle parole, lei era in piedi al centro della stanza e, seria, si stava riallacciando la vestaglia senza nulla al di sotto.

Silas era decisamente perplesso, perché lei aveva deciso di dirlo proprio a lui e, soprattutto, dopo aver consumato quel rapporto insieme.

«E con questo? Perché me lo stai dicendo?» le domandò, pensando che volesse ingannarlo a causa della ricchezza della sua famiglia.

«Perché sei tu il padre, Silas» disse schiettamente, senza girarci intorno.

«Io? Come pensi che possa credere a una cosa del genere?» chiese, accigliandosi. Era davvero arrabbiato, non voleva essere preso in giro su certi fronti.

«Puoi crederci come no; se non lo vuoi, me ne sbarazzerò senza problemi.» Lei era una donna senza scrupoli e non si sarebbe fatta problemi ad abortire clandestinamente, perché un bambino, per la sua vita, era d'intralcio. «Come ti dissi tempo addietro, sarei andata e sono andata a letto solo con te da quando ti ho conosciuto. Pensi davvero, che dopo aver incontrato un ragazzetto bello e giovane come te, per del mero piacere, sarei tornata a fare la corte a quei vecchi bacucchi?» Sentirla parlare così, sembrò generare una voragine nel suo petto. Si sentì usato, ancora una volta, pur essendo consapevole di essere il primo a cercare di passare il tempo fra le braccia di persone che non conosceva - o che frequentava a stento - pur conscio di usare e essere usato; eppure sentirselo dire gli faceva sempre male: in fondo aveva passato una vita a essere indesiderato da sua madre, la stessa che l'aveva introdotto in quel mondo di non-considerazione.

«Così ho fatto» sentenziò la donna, non ammettendo repliche, indignata nel non essere creduta - oh, si stava davvero accaparrando il diritto di ritenersi offesa. «Per sopravvivere mi bastano i soldi del night e le mance che mi danno i clienti per vedermi sculettare.» Raccontava tutto con estrema facilità, come se stesse parlando a una persona qualunque e non al presunto padre di suo figlio.
Silas, dal canto suo, non sapeva se essere più sconvolto o indignato, ma di una cosa era certo: padre o no, avrebbe fatto vivere quella creatura e si sarebbe sbarazzato di lei una volta per tutte.

«Allora facciamo così, Rose: tu partorisci e mi dai il bambino, la bambina, quello che è...» Era inorridito dalle sue stesse parole; mai si sarebbe azzardato a dire certe cose in un discorso tanto delicato, ma non poteva fare altrimenti e doveva mostrarsi deciso agli occhi della donna. «Non appena avrai partorito, faremo uno scambio.» Doveva proseguire nel suo mostruoso discorso che, dopotutto, sembrava più una compra vendita che altro; e se avesse potuto, certamente avrebbe rigettato la bile che la nausea gli stava facendo salire in quel momento.

«Che scambio?» Da sufficiente, la sua espressione divenne subito incuriosita; aveva aperto bene le orecchie, mostrando più attenzione di quanta non avesse avuto prima - perfino a letto.

«Ti darò dei soldi, così tu potrai comprarti un biglietto e andartene da qui.» Aveva cominciato con esplicare il suo piano, mentre lei già sentiva l'acquolina in bocca alla parola contanti e l'estasi di un suono inesistente che quei fogli di carta avrebbero scaturito al contatto con le sue mani. «Saranno abbastanza da poterti mantenere senza lavorare per qualche anno e vivere in un altro paese, sempre che tu non ti scialacqui tutto subito.» Il tono di Silas era diventato apatico e crudele: l'orrore che gli aveva procurato quella donna lo aveva reso quasi un automa, ma doveva resistere per il suo bene e quello del nascituro.

«Mi piace come ragioni, biondino, sai?» Ed eccola lì, meschina e crudele, in tutto il suo splendore: un'arrivista dei bassifondi che aveva appena tirato fuori il peggio di sé. «Io avrei abortito in ogni caso, così, invece, ci guadagno anche dei soldi.» Stava ragionando a voce alta, mentre si portava una mano al viso e assumeva la classica posizione di chi stava ponderando bene l'idea. «Forse dovrei anche ringraziarti.» Avvicinò una mano al viso di Silas, come se volesse comprarlo maggiormente, ma questi si scansò prontamente; se non fosse stata incinta, oltre che a voltarsi dal lato opposto, avrebbe schiaffeggiato anche quella mano indegna. Non voleva essere più toccato da un simile essere umano: una sola carezza aggiuntiva lo avrebbe fatto sentire come sviscerato da un'arpia.

«Adesso me ne vado.» Esclamò improvvisamente, non essendo tanto sicuro di riuscire a trattenere i conati ancora per molto. «Ricordati di questo patto, Rose, e non fare sciocchezze, perché sai che ho modo di trovarti.» La stava minacciando e non se ne stava pentendo: l'unica cosa che veramente gli interessava era quella creatura che lei portava in grembo e che ancora non si era neppure formata.

«Si lo so: tuo padre mi ucciderebbe.» Lei gli fece l'occhiolino, lasciandolo andare, emozionata per l'idea che nell'arco di otto mesi avrebbe avuto tanti soldi. Sarebbe diventata finalmente ricca e, assurdamente, sembrava che il sogno di una vita si stesse avverando.

Silas uscì da quella casa con il tumulto nel cuore e i pensieri che sembravano scorrere come un fiume in piena.

Come era possibile che tutto stesse accadendo così velocemente? Ripensò alle parole che quella donna aveva pronunciato e, sentendo una morsa alla bocca dello stomaco, si fermò nella convinzione di dover rimettere tutta la sua disapprovazione; ma fu un conato e nient'altro. Non rigettò nulla, anzi. A quel punto avrebbe ricacciato tutto in gola pur di non dare soddisfazione a nessuno, neanche alla sua eccessiva sensibilità.
Prese a pensare alle tempistiche e si disse che, forse, era rimasta incinta nel loro ultimo incontro, quando aveva portato anche Lothar con sé.
Ecco, Lothar. Una morsa gli strinse il cuore. Ogni volta che il suo nome gli baluginava nella testa, una fitta al petto gli faceva girare la testa.

Sentì le lacrime bagnargli le ciglia, ma fermò anche queste, come se anche lui stesse intraprendendo lo stesso cammino di suo padre e, cercando di reprimere ogni cenno di debolezza, si trovò a parlare con se stesso:

Guarda cosa combini... sono allo sbando per colpa tua, solo perché non mi vuoi.
Non fece in tempo a formulare quelli che apparentemente potevano sembrare capricci, che si sentì chiamare esattamente da quella voce:

«Silas!»

Quel tono caldo e profondo, ancora troppo poco maturo, lo avrebbe riconosciuta tra mille; e più volte, Silas, si era fermato a immaginare come sarebbe diventata alla fine della sua crescita.

Si voltò, pensando che non fosse un'allucinazione, e lo vide subito, dietro di sé.
«Stamattina, a scuola, non abbiamo avuto occasione di parlarci: ho visto che eri con tuo fratello, quindi non mi sono avvicinato.» Considerando il trambusto dell'interrogatorio, Lothar, non aveva voluto disturbarlo e, sapendo che avrebbe potuto rintracciarlo facilmente per aggiornarlo con tutte le notizie che si era perso, si era riservato il diritto di non sembrare inopportuno.

«Scusami, mi dispiace, dovevo badare a mio fratello.» Le parole uscirono dalla sua bocca con una tristezza tale che riuscì a farlo accigliare; allora lui, volendo capire più a fondo la questione, si mostrò subito preoccupato. «A proposito: è andato tutto bene lì?» Non fece nomi, non fu specifico, certo del fatto che Lothar avrebbe capito.

«Sì, tutto bene, e non gli ho detto nulla, proprio come hai chiesto tu» affermò.
«Dopo mi farai un resoconto, allora.» Ancora una volta, Silas adottò un tono spento,

che lo fece apparire ben lontano dal tipo carismatico che era sempre stato.

«Ehi, cosa c'è che non va?» indagò; vederlo così lo disarmava, non era abituato.
«Niente, va tutto bene, ho solo scoperto che avrò un figlio e che, se non lo avessi saputo, sua madre lo avrebbe ucciso. Non so come dirlo a mio padre.» Vuotò il sacco lì, in mezzo alla strada, con gli occhi smarriti e vacui, persi nel vuoto - fortunatamente per lui, a quell'ora c'era poca gente in giro.

A Lothar quasi prese un colpo; Silas gli riservava sempre delle sorprese in grado di scuoterlo come se fosse un panno steso nel bel mezzo della bufera. Lo prese per un braccio, tirandolo fin dietro a un vicolo, dove nessuno poteva vederli né sentirli, o almeno sperava che fosse così; allora lo fece fermare e lo posizionò davanti a sé, lasciando che posasse la schiena contro il muro e che non potesse scappare. Gli doveva delle spiegazioni, così si disse. «Dimmi bene cos'e successo. Cos'è questa storia?» Era serissimo, pronto a non usare mezzi termini per la sua imprudenza.

«Te la ricordi Rose?» gli domandò, non riuscendo a guardarlo in faccia.

«Sì, la simpaticona, me la ricordo.» Arricciò il naso, il solo pensarci gli fece accapponare la pelle; non gli era mai piaciuta, non si fidava di lei e, probabilmente, anche Silas condivideva i suoi stessi sentimenti al riguardo. A differenza sua, però, aveva perso tempo a giocarci, e quelli erano i risultati.

«Ecco, è lei a essere incinta» proruppe tutto d'un fiato, come un dardo scoccato dal proprio arco.
Lothar se lo aspettava, eppure non ebbe il tempo necessario per abituarsi a un simile colpo: sgranò gli occhi, non potendo fare a meno di chiedersi come fosse stato possibile che lui si fosse fatto fregare a quel modo, perché a parer suo era impossibile che avesse commesso una simile leggerezza. I pugni lungo i fianchi, un forte bruciore all'altezza del petto, si sentì improvvisamente come quella notte al night, come la prima volta in cui lo aveva aspettato mentre si stava divertendo con Rose e s'infischiava della sua silenziosa gelosia. «Non le crederai, vero?» gli domandò ancora, incredulo, appigliandosi all'unico spiraglio che poteva avere per fingere che quella non fosse la realtà. Per un attimo aveva abbassato lo sguardo, rituffando i suoi occhi color corteccia in quelli cristallini di Silas.

«Diciamo che mi ha fornito motivazioni per crederci, anche se non so se è effettivamente mio oppure no.» Era restio a tirare in ballo la parte più dura di quel racconto, ma sembrava che Lothar volesse in qualche modo spronarlo a farlo alla svelta.

«Stai scherzando...» Non poteva credere a quello che stava sentendo: come poteva essersi rincretinito così all'improvviso?

«Ma vedi... lei ha detto che avrebbe ucciso quella creatura. E se fosse veramente mio non voglio vivere con questo rimorso.» Il suo volto era mutato improvvisamente a quell'idea: da che sembrava triste e apatico, si era deformato in disperazione pura. Era serio, sembrava davvero un'altra persona, ed era preoccupato per tutto quello che

stava accadendo.

«Secondo me ti sei bevuto il cervello, Silas.» Lothar sarebbe potuto sembrare un vero insensibile nel pronunciare quelle parole, ma in realtà si stava preoccupando per lui, perché ne aveva molto a cuore le sorti.

«Lothar» lo richiamò, accigliandosi. «Io non voglio che una sciacquetta qualunque uccida un bambino che potrebbe essere mio solo perché ha voglia di farsi fottere senza rogne in giro per la casa» esplose improvvisamente. Non si era di certo bevuto il cervello; anzi, si stava assumendo una responsabilità più grande di lui che, come al solito, non lo avrebbe visto come unico protagonista.

Forse era stato più egoista del previsto, o forse no, perché quella sarebbe stata un'equazione d'analizzare: da una parte c'era lui, che avrebbe messo in mezzo anche suo padre, il quale avrebbe dovuto badare a una creatura in più, e dall'altra ci sarebbe stata la sua più totale noncuranza, il suo più becero menefreghismo che, rimanendo impassibile davanti alla morte di un suo presunto figlio, sarebbe stato fin troppo lampante per essere sopportato. Non era poi così cinico come sarebbe potuto sembrare a volte, anzi: era un'anima sensibile e fragile che pochi riuscivano a intravedere.

«Salvare la vita a quel bambino è un bel gesto.» Lothar ingoiò le sue idee solo perché lo aveva visto a quel modo. Aveva inteso che il suo compagno aveva pensato molto bene alla questione, anche se era certo del fatto che avesse deciso tutto molto in fretta, pertanto non poté far altro che evitare di specificare l'appartenenza dell'infante e dirgli almeno una parte di ciò che pensava.

Improvvisamente, Silas si sentì tirare e affondò tra le braccia di Lothar, che lo abbracciò; vederlo così spaurito e confuso lo aveva spaventato a sua volta e, in qualche modo, avrebbe voluto consolarlo o farlo sorridere, dato che le lacrime stavano nascondendo il ragazzo che lui conosceva.

«Non ti abituare agli abbracci, eh!» gli disse, stringendolo con tutto l'affetto o l'amore che era in grado di dargli.

«No...» mormorò dolcemente, mentre a poco a poco si calmava nell'udire il battito del suo cuore. «Lothar...» lo chiamò, scostandosi appena dal suo abbraccio per fissarlo negli occhi qualche istante.

«Si?» Lo guardò perplesso e, sbattendo appena le palpebre, restò in attesa di sentirgli dire qualcosa.

«Non è che sei un pochino geloso?» domandò, ridacchiando.

«Falla finita!» Lo spinse via, forse arrossendo anche un po', mentre riprendeva a maledirlo, vedendolo tornare il birbante di sempre; ma forse era contento che un solo abbraccio avesse avuto tutto quel potere.

«Ci vediamo stasera a casa mia: ci siamo solo io e mio fratello, visto che mio padre deve andare a una cena.» A quel punto lo salutò con un gesto della mano, come fosse una sorta di loro messaggio in codice, facendo intuire che Ludwig, quella sera, avesse

una cena a casa di alte sfere del Reich.

«Così mi aggiorni su quello che mi sono perso» disse infine, mentre si incamminava verso l'uscita del vicolo, preso da altri pensieri.

Avrebbe dovuto affrontare Ludwig e raccontargli di tutta quella situazione.


Ciao a tutti lettori belli, finalmente sono riuscita a postare la seconda parte! Fatemi sapere che ne pensate, se volete e se vi è piaciuto il capitolo lasciate un commento o una stellina ❤️

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