Capitolo 13 (prima parte)

L'idea di essere liberi terrorizza la gente che si aggrappa alle proprie catene e alle regole e

avversa chiunque tenti di distruggerle. Sono la loro sicurezza.

(J. Morrison)

Continuare con quei sotterfugi era davvero pesante, un enorme dispendio di energie. Agnes, però, non poteva tirarsi indietro, non quando sembrava che il suo gruppo si fosse alimentato di altri compagni. Sopratutto, non poteva abbandonare le sue ragazze che, con tanta fiducia, l'avevano seguita.

Era preoccupata per Silas e stava cominciando a chiedersi che tipo di problema avesse avuto, perché quella notte aveva visto arrivare soltanto Lothar, il quale, dal canto suo, era stato incaricato dall'amico per farne le veci - o almeno così le aveva riferito; dalla bocca del moro non era trapelato null'altro, e tutto quel mistero non aveva fatto che agitarla ancora di più: sapeva che i due ragazzi erano fedeli alla loro causa, così come il resto del gruppo, ma non avere la questione sottocchio la faceva sentire sospesa, come se non avesse con sé tutti i pezzi del puzzle.

Alle sette del mattino, sperando che suo marito dormisse ancora o che, semplicemente, non fosse rientrato, Agnes fece ritorno a casa.

Giunta dinanzi alla porta, la donna si portò una mano al viso e, dopo essersi asciugata il sudore dalla fronte, passò le dita attorno alle orecchie per nascondere le ciocche di capelli, che, ribelli, si erano spostati in avanti. Infine si controllò allo specchietto, notando il rossore che le sue guance avevano assunto, consapevole che fosse un altro aspetto per il quale avrebbe dovuto cercare una spiegazione; allora si sbrigò ad aprire la porta con le chiavi che aveva preso dalla borsa.

Il rumore metallico della chiave nella toppa, quel click che emetteva sempre, non fece che farla sobbalzare tanto era nervosa. Quindi sospirò, cercando di trovare una sorta di finta pacatezza, un qualche assurdo contegno; e suo marito, in quello stesso momento, uscì dalla porta della camera da letto - Huge aveva un udito finissimo.

Nel vederla, questi sorrise malevolo e, chiaramente intenzionato a tormentarla anche quella mattina, si avvicinò a lei con numerose domande per la testa, certo che sarebbero state in grado di farla dannare in virtù del proprio divertimento.

Indossava ancora la divisa, cosa che lasciava intendere quanto da poco fosse rincasato, e forse, in quella minuzia, Agnes riuscì a vedere una speranza.

«Mia cara, dove sei stata fino adesso?» Era dubbioso sugli spostamenti di sua moglie, perciò non le avrebbe creduto ugualmente. Nessuna spiegazione da lei fornita sarebbe stata sufficiente a sanare i suoi dubbi; anzi, si può dire che non l'avrebbe neppure ascoltata, perché voleva solo tenderle quei nervi già tesi.

«Avevo dato male le indicazioni alla cameriera per stasera e le ho fatto comprare una pagnotta di pane in meno, così sono scesa io a prenderla.» Agnes cercava di tenere la solita e frivola calma che era propria di tutte le mogli del suo tempo, che, interessate solo alla famiglia e a qualche pettegolezzo, non potevano lavorare o tantomeno badare agli affari dei mariti - figurarsi se potevano essere delle rivoluzionarie.
«Immagino che i panifici siano aperti anche a quest'ora.» Era scettico su quello che gli stava dicendo, ma era curioso di assecondare il suo gioco e vedere fin dove si sarebbe spinta per tenere al sicuro il suo segretuccio, pertanto non mancò di sfoderare una velata ironia, conscio che i fornai, malgrado dovessero preparare il pane, non potessero aprire al pubblico al di là degli orari imposti dal Regime.

«Fortunatamente ho trovato un fornaio aperto. Anche se, caro, i prezzi stanno salendo davvero alle stelle» disse lei, mantenendo un tono quasi civettuolo, come se non sapesse che suo marito fosse perfettamente consapevole dell'inflazione che andava crescendo in Germania. Solo a quel punto pensò al fatto che la sua scusa potesse compromettere la vita dell'uomo che le aveva venduto il pane, ma si appellò al sadismo che suo marito provava nei suoi confronti e si convinse che avrebbe sostato proprio lì.

«Immagino bene.» Sembrava davvero attento a quella questione, ma non era di certo un tipo parsimonioso e, per quanto lo riguardava, sua moglie avrebbe potuto spendere anche una fortuna per quella semplice pagnotta.

Piantato nel centro del salotto, Huge rispondeva al sorriso di sua moglie e, tenendo le braccia conserte, sembrava quasi ignorare la questione dell'illegittimità di apertura di un forno che, tutto sommato, avrebbe anche potuto essere chiuso; se solo si soffermava a riflettere un po', infatti, l'idea che Agnes avesse comprato quella pagnotta nel pomeriggio tardo, quando era uscita, non era poi così strana - così facendo, infatti, la donna avrebbe avuto la scusa già pronta, ma ciò conseguiva a una premeditazione.

«Tu, caro, sei rientrato adesso?» gli domandò, sorridendo ancora una volta al suo indirizzo, mentre continuava a cercare di essere convincente.

«Sì, poco fa, da circa una mezzora. E tu ancora non c'eri.» Le sue labbra s'inclinarono dal lato sinistro, saettando verso l'alto in quello che poteva sembrare il ghigno di un malefico predatore. Metterla in trappola era qualcosa che sembrava piacergli molto: lasciarle credere che la stesse facendo franca, che ci stesse riuscendo, per poi serrarle la gola, ancora una volta, con il suo sporco ghigno di soddisfazione.
«Mi dispiace tanto, caro, ma sono scesa subito, malgrado fosse ancora prestissimo, quando ho visto la spesa fatta ieri dalla domestica.» Cercò di dire la cosa più plausibile, considerando l'espressione di suo marito, il quale, oltre a essere un tipo eccessivamente spregiudicato, era anche un grandissimo insensibile - un vanesio ed edonistico essere umano che, fra tanti, risultava pieno di difetti anziché pregi.

«Non potevi mandare la domestica?» Si stava divertendo. Per lui, quello, era un gioco: metterla in evidente difficoltà era la cosa che più adorava, ma non era certamente il tipo che avrebbe fatto arrestare sua moglie - salvo reati gravi - la quale, dopotutto, era stata scelta proprio da lui.

Semplicemente, amava metterla in imbarazzo e si eccitava a giocare con lei in quel modo, nonostante Agnes fosse all'oscuro di quel suo lato tanto perverso che, almeno in potenza, le permetteva di non abbassare mai la guardia; la rendeva attenta a ogni dettaglio, riflessiva e ben coscia di quante vite erano in ballo assieme alla sua.

«Ma no, ma no! Si sarebbe perso troppo tempo, e lei avrebbe dovuto preparare tutto il giorno il pranzo e la cena. In fondo non mi sono rovinata le mani a comprare una pagnotta, no?» Non sapeva più su che specchio arrampicarsi e sperava che, tirando fuori discorsi frivoli come quelli, suo marito si convincesse a lasciarla stare. «Inoltre so che quella di questa sera è una cena importante per te, no? Ho pensato di non distrarre la cameriera con nulla.» Fece spallucce e gli sorrise di rimando.

«Dovrebbe essere una cena importante anche per te, tu non vuoi scoprire i traditori della patria?» domandò subdolamente, considerando quanto fosse divertito dalla questione.

«Certo, amore, ma acciuffare i traditori è solo compito tuo e degli altri ufficiali come te» disse, dirigendosi verso la cucina per raggiungere la cameriera e darle la pagnotta che aveva comprato; e lui, ovviamente, la seguì. «Del resto io sono solo una donna, posso solo starti accanto.» Si voltò appena per guardarlo, come se volesse stregarlo, convincerlo, tanto che per ammaliarlo ulteriormente e gli accarezzò la guancia ben rasata con il delicato palmo della mano.

«Spero che per stasera sarà tutto in ordine e tu, ovviamente, sarai presente.» La sua non sembrava una richiesta, quanto più un ordine.

«Certo, caro» gli disse mentre si sentiva stringere in una sorta di abbraccio. Poi, però, gli posò le mani sul torace e, delicatamente, si sottrasse da questo. «Devo portare il pane a Ghertrud, altrimenti sarà inutile che l'abbia comprato, no?» Mosse ancora una volta qualche passo in direzione della cucina; allorché, sentendosi seguita, la paura prese a strozzarla. «Non vorrai che un ufficiale o sua moglie restino senza pane, vero?» Lei parlava troppo; non che fosse una donna silenziosa, si disse, ma lui poteva sentire la sua agitazione lontano un miglio, quindi fu proprio in quel momento che gli baluginò in mente il lampo di genio.

Huge si mostrò calmo e tranquillo, incline ad aver bevuto ogni scusa, e di certo non si preoccupò dell'eventualità che Agnes avesse un amante e che dovesse nascondere la

relazione adultera dietro una stupida pagnotta - conosceva bene la sua omosessualità, ma era un ostinato stimatore delle cose belle, pertanto sapeva di poter sorvolare quel dettaglio. Inoltre l'aveva sposata ancora prima delle famosi Leggi contro l'omosessualità, quindi l'avrebbe difesa almeno in quello, continuando a considerarla come una sua cosa, a predarla tra le mura di quella casa.

Si poggiò contro lo stipite della porta della cucina, guardando come Ghetrud si stesse abilmente districando tra i fornelli.

«Mi raccomando Ghertrud, voglio che sia tutto perfetto e delizioso.» Aveva ordinato alla domestica una cena esemplare, perciò non avrebbe mai ammesso errori.

«Sì, signore» rispose lei, attenta e scattante.

Le mani di Ghertrud si muovevano rapide mentre preparava l'impasto dello Strudel che, quella sera, avrebbe servito come dolce.

Lei fu la prima e ultima domestica che i coniugi Ritcher presero al loro servizio: si era mostrata sempre molto laboriosa e fedele ai due, inoltre era di umile estrazione tedesca e quindi perfetta per quel tipo di famiglia.
Huge si sentì persino misericordioso nell'aver dato lavoro a una persona bisognosa che, per di più, era sua compatriota.

«Ascoltami bene, Ghertrud: cosa ti aveva detto Agnes riguardo la spesa?» domandò, beffardo, cercando di mettere in difficoltà sua moglie, la quale, invece, spalancò gli occhi con terrore e, indirizzandoli verso la domestica, pregò che capisse al volo la sua perplessità e il suo timore - dopotutto era una donna di famiglia, ormai.

Ghertrud, fortunatamente, avendo visto la pagnotta, riuscì a intendere più o meno quello che la donna aveva potuto dire a suo marito.

Era avvezza ai giochetti di Huge ed era certa che, ancora una volta, stesse mettendo alla prova sua moglie; ciò non toglieva che lei, prima di Agnes, doveva stare attenta a non infastidirlo o a farlo sentire troppo preso in giro.

«Sua moglie, la signora, mi aveva incaricato di prendere il pane, ma molto sbadatamente abbiamo entrambe fatto male i conti per questa sera.» Cercò di far intendere a Huge che anche Agnes avesse pensato alla lista per la spesa, e il fatto che la colpa non pendesse né da un lato né dall'altro avrebbe permesso a qualsiasi scusa della padrona di casa di andare bene.

«Mi ha detto, infatti, che mancava una pagnotta» disse lui a quel punto, intenzionato a farsi una dormita dopo aver messo fine al suo gioco perverso.

«Sì, e anche volendo, signore, non avevo abbastanza ingredienti per fare io stessa il pane. Senza contare che ci sarebbe voluto troppo tempo per la lievitazione...» cercò di giustificarsi e salvare entrambe come meglio poteva.

«Non ti preoccupare, in fondo la signora si sarà potuta sgranchire un po' le gambe.»

Sorrise di rimando alla moglie. «Bene... ora vorrei riposare: non chiamatemi prima dell'ora di pranzo.»

Huge aveva lavorato tutta la notte, superando anche l'alba, e ora, soddisfattosi con quel suo giochetto, voleva godersi il meritato riposo.

Se c'era una cosa che lo allettava più di tutte, questa era sapere che Agnes amava le donne e che, nonostante tutto, dovesse adempire ai suoi doveri coniugali - oh, questo gli dava una forte carica di adrenalina, perché non solo aveva una bella moglie, ma era riuscito anche a piegarla ai suoi voleri.

Hola fanciullini belli adorati e profumati! Eccovi l'aggiornamento della ballata, qui i guai aumentano e le situazioni si complicano, voi che ne pensate? Esprimete pure il vostro giudizio! Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina o scrivete un commentino ù.ù io ne sarei felice, molto, molto, molto felice!
Al prossimo capitolo, spero in tempi brevi ù.ù bacini!

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