Capitolo 12

Quella notte, Ludwig non aveva chiuso occhio. Dopo il suo crollo nervoso ed emotivo, era riuscito soltanto a non pensare a nulla e fissare quel vuoto incolmabile nella sua stanza.

Alle prime luci dell'alba, si era deciso a uscire dalla camera per darsi una sistemata; fortunatamente, quel giorno non era di servizio, tuttavia sarebbe dovuto uscire la notte per un altro giro di pattuglia – uno de tanti vantaggi di essere un alto ufficiale.

Sembrava quasi che si trascinasse: mai avrebbe pensato che sarebbe arrivato a tanto, ma Regan lo aveva portato s'un baratro dal quale non poteva fare altro che tuffarsi. Quella decisione gli era costata assai cara, però, perché aveva vissuto con quella donna per quindici anni – nonostante fossero stati soltanto due o tre quelli in cui l'amore regnava nella casa; ormai non lo ricordava neanche più.

In quel momento decise che non avrebbe più esitato, che sarebbe stato lo stesso di sempre, e che non avrebbe aspettato così tanto a lungo prima di agire, sopratutto quando gli eventi richiedevano azioni tempestive.

Non poteva immaginare, però, che la follia di Regan l'avrebbe portata a tanto. Aveva sperato, forse ingenuamente, che la vicinanza di suo figlio la potesse far rinsavire; eppure non solo lei non era cambiata, aveva fatto in modo di danneggiare anche il loro secondo figlio. In fondo, chi lo sa, magari anche Silas aveva accusato la sua assenza.

Si diresse verso la finestra, desideroso di pensare, di esplorare con i suoi occhi neri il cielo che, plumbeo, sembrava accompagnarlo nella sua desolata tristezza.

Ludwig non era dedito al fumo – per la sua concezione, essere schiavo di qualcosa era sinonimo di debolezza – ma la sua testa cominciava a mutare. E, sopratutto quando era nervoso, cedeva al vizio, conscio del fatto che avesse bisogno di qualcosa per distendere i nervi. Guardare le scie di fumo, mentre lui era poggiato con i gomiti sul davanzale, lo rilassava e lo accompagnava nei pensieri.

Quella sarebbe stata una mattina senza sole, o per lo meno così sembrava: le nuvole tenevano la stessa in gabbia e, di rimando, lui si sentiva compreso dal sole; la sua anima era stata rinchiusa per troppi anni dai demoni interiori e, finalmente, era arrivato il momento di disfarsene. Sapeva che quello sarebbe stato un cammino lungo e doloroso, ma doveva ricominciare a vivere dopo essersi abituato all'apatia. Le emozioni, dentro il suo cuore, erano delle sconosciute, anche se Aleph era riuscito a smuovere qualcosa; tuttavia, in quel momento, persino esse sembravano sbiadite e vacue – probabilmente non ci credeva neanche lui, o aveva soltanto paura. Ma la paura era umana e, in fondo, anche se apparentemente apatico, la sua umanità non si era spenta: era solo avvolta lì, da qualche parte, nel profondo del suo essere.

Il suo braccio ondeggiava avanti e indietro per portare la sigaretta alle labbra fine, aspirarne l'essenza e poi farla fluire via, come i suoi pensieri.

Quella era una terapia: guardare Berlino. Muta e gelida, deserta, senza nessuno che si affannava per scappare da chissà quale pericolo imminente – e quella visione sembrava incredibile, riusciva a trasmettergli una certa calma.

Nell'arco di un giorno era cambiato tutto: Silas era stato arrestato e interrogato, Regan era stata trasportata in un manicomio, Salazar aveva subito le angherie di sua madre.

All'alba di quel nuovo giorno, però, finalmente i suoi figli dormivano in pace nella stessa stanza, mentre lui si ritrovava da solo, affacciato alla finestra, con una sigaretta in mano.

Perse il conto dei minuti. Quando guardò l'ora sull'orologio vide che era stato quasi due ore affacciato lì.

Scosse il capo, sospirando e constatando che doveva sbrigarsi – anche se il pianto del giorno precedente lo aveva profondamente scosso e svuotato. Si tirò su le maniche della camicia, spense una delle sigarette che aveva fumato nell'arco di quel tempo e si passò una mano sul viso come per darsi una sorta di carica, prima di andare a chiamare il figlio più grande.

Avanzò verso la camera di Salazar, dove Silas stava dormendo per vegliarlo. Aprì la porta e lì vide: dormivano uno vicino all'altro, sfiorandosi appena con la testa, e le loro espressioni erano serene. Ludwig si rincuorò almeno per quello. I suoi due amori gli avevano strappato un sorriso di gioia, facendogli capire che quel matrimonio aveva fruttato qualcosa di positivo.

«Silas» bisbigliò appena, sapendo che l'altro aveva il sonno leggero. Attese qualche istante per chiamarlo una seconda volta, fin quando non vide la testa del biondo alzarsi.

«Che c'è papà?» domandò, cercando di svegliarsi, mentre si stropicciava l'occhio destro con la mano. Era ancora rintronato per il sonno e confuso per quanto successo la notte prima. Aveva seguito tutta quella vicenda con immenso dolore, come se gli aerei pilotassero le emozioni, e, improvvisamente, avessero lanciato delle bombe, stravolgendo il suo cuore e la sua anima.

«Sono quasi le sette, devi sistemarti per andare a scuola» lo avvisò.

«Mein Gott» imprecò come di solito succedeva quando sentiva pronunciare il nome scuola. Il sol pensiero di doversi mettere quella divisa lo faceva sempre innervosire, ma doveva farlo, e adesso più che mai doveva ingoiare bocconi amari per il bene di tutti quanti, proprio come faceva suo padre.

«Esci dalla stanza e non fare casino» gli ordinò, mentre Silas faceva di sì con la testa e gli diceva di attendere con un cenno della mano.

Si sottrasse da quel letto lentamente, per non svegliare suo fratello, e al suo posto avvicinò un pupazzo di pezza per non fargli sentire la mancanza di quel calore che lo aveva abbracciato tutto il giorno.

Questi usci dalla stanza e Ludwig chiuse la porta.

«Salazar non va a scuola oggi?» domandò quasi ingenuamente il ragazzo.

Ludwig rifletté bene su quelle parole prima di rispondere in qualsiasi modo. «Non lo so, ho paura che abbia una crisi.» Ricordava ancora quella che aveva avuto durante il ballo in maschera.

«È pur vero che restando a casa non farebbe che pensare a quello che è successo. Ormai presumo che se ne sia reso conto.» Ludwig sperava che non fosse così, ma conosceva la meccanica celebrale di suo figlio - prima o poi, i frammenti dei ricordi gli sarebbero tornati alla memoria.

«Posso badare io a lui, se ti fidi di me, papà.» Silas lo guardò con i suoi occhi celesti e ancora rammaricati. Esitò nel dire quelle parole, ma doveva avere coraggio, perché suo padre ammirava quel tipo di uomini.

«Mi fido di te e fai in modo che non gli accada nulla: tienilo d'occhio, per favore.» Erano state rare le volte in cui pronunciava certe parole, sopratutto verso i suoi figli, ma Ludwig si era reso conto che da quel momento in poi avrebbe dovuto far affidamento anche su di loro.

La porta della stanza si aprì ancora e da questa uscì Salazar, poiché anche lui si era svegliato. «Silas sei qui» affermò, preoccupatosi di non averlo visto al suo risveglio.

Lui annuì, mentre Ludwig, inginocchiato per essere alla sua altezza, gli chiese: «Ti senti bene?»

Salazar adorava i modi che suo padre aveva con lui e per questo gli sorrise. «Ho fatto solo un brutto sogno, credo di stare bene.» Sapeva che non era stato un sogno e al sol pensiero gli saliva la nausea, ma anche lui si era deciso a essere più forte.

«Te la sentiresti di andare a scuola?» gli chiese direttamente. Voleva essere sicuro che stesse bene prima di affidarlo al fratello maggiore.

«Sì, papà, perché non dovrei?» Gli sorrise, ed era così raro vederlo con quell'espressione.

Ludwig era orgoglioso dei suoi figli: il primo si era dimostrato obbediente e coraggioso, mentre il secondo sembrava caratterizzato da una forza d'animo a lui sconosciuta prima. Ai suoi occhi, improvvisamente, quel giorno apparve bello.

«Allora andatevi a lavare e vestire, così potete andare a scuola» disse, sorridendo a entrambi e facendogli un gesto scherzoso con la mano per incitarli ad andare verso il bagno.

Quando li vide allontanarsi si poggiò contro il muro e tirò un forte sospiro. L'ansia che provava dentro al petto era devastante e ogni atto di forza che mostrava non faceva che sottoporlo a continue prove. Il dolore lo stava logorando e distruggendo, ma doveva sostenere quel ritmo per sorreggere quel che restava della sua famiglia – adesso più che mai.

Dopo una mezz'oretta entrambi uscirono dal bagno puliti e sistemati. «Allora, papà, noi andiamo.» Silas gli sorrise e sembrava davvero convinto di non volerlo deludere.

«Mi raccomando, Silas, mi fido di te» gli ripeté prima di vederli uscire dalla porta di casa e avviarsi verso l'istituto.

Era da solo e doveva pensare: come avrebbe potuto mandare avanti tutto da solo? Come avrebbe fatto se lui la notte o il giorno era in giro per la città e il paese a causa del suo lavoro? Doveva chiedere aiuto a tutti i costi, era necessario. Era giunto il momento di affidarsi a suo fratello. Così si mise a sedere alla scrivania per scrivergli una lettera e sapeva che su di lui poteva contare.


Caro Natthasol, fratello mio, come stai?

Fra poco è Natale: vuoi davvero passarlo a casa tutto da solo?

Vienici a trovare, sicuramente passeremo una festa più bella se saremo insieme.

A proposito, noi stiamo bene.

Ultimamente lavoro tanto, sai? Non faccio che lavorare, però mi sono detto che del tempo per mio fratello potevo trovarlo, e quindi eccomi qui, alle otto del mattino, a scriverti questa lettera - che più che una lettera sembra un invito. In fondo è questo l'intento, no? Vogliamo che tu ci raggiunga.

Dammi tue notizie.

A presto,

tuo fratello Ludwig.


Quando scriveva quelle lettere sembrava tutta un'altra persona: sapeva benissimo che la posta era controllata, e inoltre era a conoscenza del fatto che, durante il Natale, nonostante la Germania volesse imporre la sua vecchia religione pagana, tutto il mondo si fermasse; quindi, non c'era nulla di strano in quanto aveva scritto. Era solo una normale lettera a suo fratello.

Chiuse la busta e incollò il francobollo, sperando che Natthasol comprendesse il messaggio nascosto tra quelle righe; ma lui lo conosceva bene, perciò era certo che avrebbe capito la situazione.

Si tirò su, andando verso il bagno e incontrando l'unico oggetto che non voleva vedere: lo specchio. Guardando i suoi occhi riflessi, vide l'immagine perduta di uomo che si sentiva tremendamente in colpa, che non poteva tornare indietro. Si sentiva patetico e si disse che avrebbe potuto agire prima e che, ormai, pagava le conseguenze della sua debolezza. «Calmati, Ludwig, devi calmarti. Se rimarrai agitato non andrai da nessuna parte» si disse tra sé e sé, decidendo di legarsi i capelli in una piccola coda per poi sciacquarsi il viso subito poco. Improvvisamente, dopo essersi asciugato, sentì battere alla porta.

Si diresse verso di essa senza neanche rendersi conto di essere quasi impresentabile, indossando solo pantaloni e camicia - e non era proprio da lui essere sciatto. Quando l'aprì, il cuore gli morì in gola.

Aleph era andato da lui.

Si era completamente dimenticato che era giorno delle lezioni.

«Buongiorno, Ludwig.» Sorrise questi, sciogliendolo letteralmente.

Ogni tensione parve quasi passare in un istante, anche se l'amaro era sempre dietro l'angolo. «Buongiorno a te. Prego, entra pure.» Lo fece accomodare e, quando Aleph lo vide, capì subito che c'era qualcosa che non andava in lui. Non lo aveva mai visto privo di divisa o vestito così semplicemente; senza contare - non che lo sapesse con certezza, ovviamente - che aveva come l'impressione che avesse fumato, perché l'odore del tabacco si era ormai impregnato nei suoi vestiti. Eppure, discretamente, decise di non fare domande. Capì che fosse turbato, che gli fosse accaduto qualcosa.

Ludwig, invece, quando lo guardò, poté notare che con se avesse una custodia, la quale, a giudicare dalla forma, sembrava contenere un violino. «Devi stare attento anche se hai i documenti falsi. Se giri con quello...» disse, indicandola. «... Di certo non avranno difficoltà a fare due più due.» Ci mise anche un po' di cinismo nel pronunciare quella frase, ma, all'istante, si diede dell'idiota e cercò di rimediare alla sua impulsività con uno: «Scusami, sono solo preoccupato.»

Aleph gli sorrise e gli rispose sincero, dicendo: «Non preoccuparti.» Un altro sorriso e poi giunse il silenzio; Ludwig gli fece strada, conducendolo alla biblioteca. «Ludwig...» lo chiamò appena, una volta arrivato lì.

Questi si voltò per guardarlo, arrestando la sua avanzata.

«Prima di continuare le nostre letture, vorrei farti sentire una cosa» fece, aprendo la custodia ed estraendo il violino. «So che ti piace la musica, tu stesso mi hai detto che suoni il piano, per cui io vorrei ringraziarti, suonando una cosa per te, oggi.» Gli sorrise allontanandosi di poco e posizionando il violino sotto al volto in quella che era la classica posizione che un violinista doveva mantenere.

E Ludwig rimase seduto ad osservarlo. Senza parole, non gli rispose. Voleva godersi a pieno il momento. Aveva riconosciuto quella custodia, e lui amava i violini, perciò non aspettava altro che attendere il dolce e armonioso innalzarsi della musica.

Aleph, muovendo l'archetto, iniziò a suonare.

Ludwig lo guardava rapito, quasi estasiato; e dire che lui aveva appena cominciato. Fu in quel momento che si rese conto di essersi innamorato. Più lo guardava e più non riusciva a spostargli gli occhi di dosso.

Era una cosa sola assieme alla musica, e Ludvig ne percepiva l'unione, riusciva quasi a vederla, a immaginarla. Loro due, insieme, formavano un'unione memorabile, così si disse.

La cosa bizzarra fu che Aleph suonò il Notturno di Chopin, brano che Ludwig amava particolarmente e che, di certo, non poteva immaginare.

Perciò sorrise, tenendo gli occhi socchiusi, in completa estasi. Di tanto in tanto, attraverso le ciglia, guardava il volto di Aleph, che si corrugava nelle sensazioni e nei sentimenti che quelle note gli donavano. Lo vedeva perfettamente, sapeva che ne era pervaso. E, forse, pensò che loro due avevano lo stesso modo di percepire l'arte, le emozioni. Erano perfetti, erano fatti l'uno per l'altro, solo non lo avevano ancora scoperto.

Quando la melodia s'interruppe, Aleph abbassò il violino e guardò Ludwig con un po' d'imbarazzo, emozionato al contempo. Aveva imparato, in quel breve tempo, che lui era un uomo rigoroso e che non tollerava errori; tuttavia lo sapeva: non ne aveva commesso nessuno. Per questo rimase perplesso quando non gli sentì dire una sola parola. Poi lo vide avvicinarsi e, pieno d'emozione, smise di capire ogni cosa, mormorando solo il suo nome: «Ludwig...»

«Siediti» gli disse perentorio, desideroso di allungare quel momento fatto d'eccitazione e paura, sicuro che il rosso la stesse provando.

Aleph, dal canto suo, cominciò ad essere perplesso a causa di quel tono. La sua mente venne avvolta dai dubbi, tuttavia fece come gli era stato richiesto e e si sedette lì, sulla panca, laddove Ludwig gli aveva indicato, timoroso che potesse fargli qualcosa di male.

Era spaventato e, pur non dovendo, parlò lo stesso: «Ludwig, io...» ma non riuscì a finire ciò che aveva da dire, perché Ludwig lo attirò a sé, prendendolo per il bavero della giacca.

E, dopo averlo strattonato si chinò verso di lui, baciandolo sulle labbra.

Quello fu il primo bacio per Aleph, il primo dato a un uomo e il primo in assoluto; mentre per Ludwig fu l'essenza dell'amore dopo anni che non ne saggiava più il gusto né l'armonia.

Era rimasto letteralmente senza fiato, addolcendosi tra le sue braccia, mentre le ciglia ramate gli carezzavano le gote bianche. Chiuse forte gli occhi, poi, abbandonandosi a quel contatto e cercò di ricambiarlo come possibile, dolcemente, con passione

Ludwig, dal canto suo, stava morendo contro la sua bocca. La baciava e l'assaporava dolcemente. Non era un bacio violento, né tantomeno vigoroso, ma amorevole: il bacio di una persona che non toccava altre labbra, che non saggiava altre bocche da tredici, lunghi anni. Era come se il gelo della sua anima si stesse lentamente sciogliendo in quell'abbraccio.

Aleph gli cinse il collo con le braccia per potersi sorreggere meglio, mentre con una di queste stringeva ancora il violino per non lasciarlo cadere. Un bacio a suon di musica, come un'Appassionata.

Adesso, non poteva più essere diffidente nei suoi confronti, non voleva più esserlo, perché non pensava che questo sarebbe riuscito davvero a spezzargli il cuore compiendo un simile gesto. Si ritrovava tra le sue braccia e si sentiva protetto. Non aveva mai provato quella sensazione meravigliosa, e Ludwig gliela stava donando; lui, invece riceveva tutto quel calore e quel coinvolgimento che negli anni gli era venuto a mancare. Non aveva ancora smesso di baciarlo, prendendo aria quando poteva sul ciglio delle sue labbra per poi rituffarsi ancora su di esse. Era vero che quello era stato un contatto dolce e passionale, che nonostante tutto ci stava mettendo tutta la grazia di cui poteva disporre, ma era la sua stretta a tradirlo, stringeva la giacca di Aleph in una morsa ferrea, senza fargli male ovviamente, ma quel bacio aveva appena segnato un confine, marchiando un territorio del quale sarebbe stato fortemente geloso da quel momento in avanti.

Lo guardò, dopo quel bacio, osservandolo e contemplandolo con i suoi occhi neri per poi perdersi in quelli chiari e cristallini. Sorrise, quando lo vide arrossire. Sapeva che, oltre all'imbarazzo, il ragazzo aveva provato emozioni che solitamente non provava e se ne era accorto da come questo si era impegnato a ricambiare il suo bacio in maniera maldestra; ma Ludwig avrebbe ricordato quel contatto, quell'unione, per il resto dei suoi giorni.

Gli portò una mano ai capelli, sistemandogli una ciocca ramata dietro l'orecchio.

Quel gesto così accorto quasi gli fece tremare le gambe, facendolo sorridere imbarazzato. Chiuse gli occhi per bearsi al meglio delle sue dita che gli sfioravano la pelle, che si muovevano appena.

Ludwig lo guardò, cercando d'imprimere nella sua memoria ogni più piccolo dettaglio del suo viso - ogni cosa, persino quale ciocca di capelli fosse più chiara delle altre a causa del bacio del sole; e giurò di poter scorgere qualche lentiggine sul suo viso, dettaglio che lo fece sorridere, addolcendolo ancora di più. «Aleph...» sussurrò il suo nome vicino a lui, accucciandosi alla sua altezza, visto che lui era ancora seduto.

Questi poté sentire il suo respiro. Pensò che lui fosse meraviglioso, perché, in fondo, si era avvicinato a lui in un modo che sperava, ma che non immaginava.

Aveva gli occhi socchiusi, e Aleph vi lesse una lucentezza particolare; sembrano risplendere, perché era innegabile, per Ludwig, l'eccitazione.

E non solo i suoi occhi lo stavano tradendo. Di certo, in quel momento, non avrebbe potuto nascondere nulla, a differenza della volta precedente. Ma, considerato il loro contatto appena scambiato, non si preoccupò più di tanto e si beò, anzi, del rossore esploso sulle guance del giovane seduto. «Puoi alzarti» gli disse, sempre perentorio. Ormai, purtroppo, era abituato a usare quel tipo di tono anche quando non aveva necessità di ordinare nulla a nessuno.

Aleph abbassò gli occhi cercando di evitare con lo sguardo l'intera figura di Ludwig, e si alzò, anche se sentiva le gambe tremare appena.

«Non ti reggi in piedi?» gli chiese, deridendolo dolcemente, mentre sorreggeva delicatamente tra le sue braccia. Allora gli portò una mano al mento, glielo sollevò e posò ancora le proprie labbra sulle sue, sentendole morbide e appena umide.

Aleph, chiuse gli occhi, lasciandosi andare, beandosi di quel bacio più dolce e più fugace del primo, e riaprì gli occhi soltanto quando sentì la stretta di Ludwig farsi più debole.

«Aleph puoi togliermi una curiosità?» sospirò questi sulle sue labbra.

«Dimmi» feec lui sorpreso mentre sbatté per un istante le palpebre, colto alla sprovvista.

«Perché vuoi fare lo scrittore?» Non sapeva perché gli era venuta in mente una domanda del genere, ma quando provava certe sensazioni, certi sentimenti, Ludwig era come se tornasse indietro nel tempo, rivivendo l'amore nel modo in cui lo vivono gli adolescenti: profondo e passionale. Voleva, ancora una volta, sapere tutto dell'altro, ma lasciandogli quel velo di mistero che lo avrebbe sempre stuzzicato.

«Voglio entrare dentro le parole e vivere attraverso di esse. Anzi, voglio che loro stesse vivano attraverso me, che captino le mie emozioni, così da poter emozionare gli altri.» I suoi occhi presero a brillare - erano sempre lucidi quando esprimeva ciò che pensava riguardo la scrittura; e il fatto che Ludwig glielo avesse chiesto lo rendeva terribilmente felice.

«Sarai un ottimo scrittore, allora.» Sorrise, e sta volta fu Aleph che, alzandosi sulle punte dei piedi, si lanciò, leggiadro, verso le labbra di Ludwig, per catturarle ancora una volta, dolcemente, in un breve e altrettanto fugace bacio.

«Dici davvero?» gli domandò felice.

«Me lo sento.»


Note: Salve a tutti fanciullini/e come state? Ci ho messo un po' di tempo per aggiornare questo capitolo, ma abbiate pazienza! Spero che questa svolta tra il rapporto di Ludwig e Aleph vi sia piaciuta, che vi abbia colpiti, forse stupiti no, magari ve lo aspettavate!
Se il capitolo vi è piaciuto, per favore, lasciate pure un commento o mettete una piccola stellina!
Scrivetemi anche se non vi è piaciuto!
Bacini a tutti, alla prossima!

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