Capitolo 11
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
(G. Leopardi)
AVVISO: In questo capitolo si tratterà un argomento delicato, ovviamente legato alla trama, quale l'abuso psicologico e fisico da parte di una madre nei confronti del proprio figlio (per l'esattezza si tratta di Regan e Salazar). Ci tengo a precisare che la scena in questione non è stata inserita per provare il prossimo a riprodurla nel mondo reale, ma perché il personaggio in questione soffre di gravi disturbi psicologici, che comunque non ne giustificano l'azione. Qualora non vi sentiate di proseguire con la lettura del capitolo, siete pregati di saltarlo e procedere tranquillamente con il prossimo, grazie.
Ludwig si trovava a combattere contro le sue emozioni: da una parte, sia per la stupidità di Silas che per il suo arresto, la rabbia lo sormontava; dall'altra, invece, provava una sorta di angoscia – una di quelle che non ti lasciavano andare più via.
Nel petto sentiva come l'amara sensazione di qualcosa che stava per sfuggire. Tuttavia, non c'era niente intorno a lui; solo suo figlio e i due secondini che li stavano scortando fino a casa.
Li avevano lasciati andare, ma avevano ugualmente l'incarico di guidarli affinché potessero dimostrare del tutto la loro innocenza. Nessuno di quegl'individui voleva brutte sorprese, pertanto era meglio mettere le mani in avanti e condurli fino a casa onde evitare qualche strano colpo di testa.
Solo una cosa aveva comunque insospettito Ludwig: lui e suo figlio erano stati gli unici a essere scortati, mentre Lothar e suo padre, invece, erano stati liberi di andare da sé. C'era sicuramente sotto qualcosa. Quell'uomo, colui che aveva interrogato suo figlio, lo detestava di sicuro e ancora di più di prima – probabilmente avrebbe pagato oro pur d'incastrarli.
Non parlò per tutto il tragitto e Silas, dal canto suo, proseguì a testa bassa, ancora rammaricato per quanto accaduto; non solo aveva messo a repentaglio la sua vita e quella dell'amico, ma aveva addirittura dovuto attendere il soccorso di Ludwig. Si sentiva un perfetto idiota, umiliato nel profondo e nell'orgoglio, ma non poteva che prendersela con se stesso: era troppo avventato e, in qualche modo, doveva smussare il suo comportamento. Non credeva di dover cambiare nelle sue idee – quello no! – ma quantomeno di modellare i suoi atteggiamenti affinché potesse diventare quel salvatore che sperava – senza far pesare su di sé una condanna a morte, ovviamente.
Ciò che più gli faceva male, tra l'altro, era l'espressione cupa e triste sul volto di suo padre: ancora una volta non era stato in grado di farlo sorridere, ancora una volta gli aveva dato ansie e dispiaceri, ancora una volta, nonostante avesse già tante cose a cui badare, aveva messo a repentaglio la sua vita.
Quella mattina, come se non bastasse, Regan sentì assente e vaga la sua mente – era come se non percepisse nulla dal mondo esterno; ma, dopo essersi spaventata in un primo momento per l'assenza di pensieri riconosciuti, comprese che fosse colpa del silenzio e se ne rallegrò: avrebbe potuto passare un po' di tempo con il suo figlioletto prediletto e senza seccatori tra i piedi, no?
Si alzò, si vestì e, dopo essersi pettinata, si decise a spingersi fino alla camera di Salazar per poterlo svegliare; così, dopo aver aperto e chiuso la porta con cura, s'intrufolò lentamente all'interno della stanza per non destarlo di soprassalto.
«Tesoro, è ora di svegliarsi.» Gli passò una mano tra i capelli, pronunciando parole dolci che molti avrebbero decretato materne o amorevoli; tuttavia, quella che sarebbe potuta sembrare solo una carezza innocente non era altro che il tocco di una predatrice. Così facendo, Regan marchiava il suo territorio: solo lei poteva accarezzare la sua amatissima bambola di pezza.
Salazar mugolò infastidito, per nulla incline a volersi svegliare e sopratutto a vederla; dopotutto, ogni volta che la guardava o che lei si avvicinava, lui sentiva come una sorta di inquietudine e sapeva che al suo fianco non era più al sicuro – non voleva passarci un solo istante, ovviamente, ma cosa poteva fare? Aveva solo tredici anni e la sua mente era già abbastanza problematica di suo.
«Mamma, perché mi hai svegliato? Stavo bene lì: non volevo aprire gli occhi, non volevo vedere ancora.» Protestò. Salazar cominciava ad avere percezioni alterata della realtà. I suoi sensi, nei sogni, erano meno percettibili e sentiva come se tutto fosse ovattato, avvolto in un fazzoletto. In quel mondo spirituale, a differenza di quella stanza, non si sentiva oppresso.
«Cosa stai dicendo? Sei forse impazzito?» Non poteva concepire quelle cose: come si permetteva, suo figlio, di desiderare la morte senza il suo consenso? Lei aveva rischiato la vita per generarlo e lui voleva andarsene, sprofondare in un eterno sonno.
Regan si sentì scavalcata, improvvisamente privata della sua autorità che, bene o male, aveva sempre avuto sul figlio.
«Forza, alzati!» Gridò imperiosa, tirando via le coperte con prepotenza e afferrandolo per il braccio per trascinarlo via da quel giaciglio – in fondo, almeno ai suoi occhi, il letto di Salazar aveva assunto le sembianze di una tomba.
«Mamma...» sbiascicò lui, cercando di rimanere ancorato lì nonostante fosse privo di ogni forza di reazione – fluttuava nella sua mente, galleggiava inerme e contento di essere trascinato da un flusso di pensieri privo di qualsiasi senso, ma che, in qualche modo, lo rilassava.
«Salazar, smettila di fare il bambino e scendi giù dal letto.» Ordinò, sorpresa da quell'atteggiamento. Salazar non era più un bambino di cinque anni, lei ne era più che consapevole, ma non faceva il minimo sforzo per comprendere che quello che faceva era errato: non si impegnava, né si sforzava di contrastare quel male oscuro che l'attanagliava. Tuttavia, nonostante lei fosse al corrente della reale età di suo figlio, lo trattava come se ancora fosse un cucciolo, forse anche indifeso; ma in quel momento non stava mostrando la pazienza che si dovrebbe avere con un figlioletto, anzi, pretendeva che lui crescesse improvvisamente e che diventasse uomo.
«Va bene, mamma.» Si alzò dal letto controvoglia, ma lui sapeva come trattare con quel mostro: se faceva come diceva lei, di certo, se la sarebbe cavava con poco; disobbedirle, invece, avrebbe significato assistere alle sue crisi isteriche senza fine e pregare che suo padre arrivasse presto per farla smettere.
«Andiamo, forza. Sei tutto sporco, devi fare il bagno.»
Non sapeva dove lei vedesse la sporcizia: aveva fatto il bagno prima di dormire, per rilassare i nervi – almeno così gli aveva consigliato Ludwig, concedendogli brevi momenti di pace prima di uscire per il pattugliamento – ed erano solo le otto del mattino. Era pieno autunno, non aveva sudato e profumava ancora di sapone.
La violenza di Regan lo aveva portato a provare un certo disgusto nei suoi confronti, una sorte di orticaria verso le donne o, più generalmente, al riguardo di tutti gli esseri umani. Non sapeva se essere arrabbiato e indignato oppure sprofondare dentro quel letto che ormai era diventato un sepolcro.
«Siediti qui.» Gli disse lei quando ormai furono entrati nel bagno.
Lo fece sedere su uno sgabello, mentre faceva scorrere l'acqua dai rubinetti all'interno della bella vasca.
Salazar chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare nel suo mondo grazie al rumore impetuoso dell'acqua che, inconsciamente, gli fece da tramite. Era spaventato e non voleva accorgersi di nulla, per questo andò a rintanarsi lì, dinanzi alla porta del suo posto fittizio.
Quando riaprì gli occhi era catatonico. Fissava l'acqua scrosciante e non sentiva più nulla – né fisicamente, né sentimentalmente.
«Adesso sì che l'acqua è al punto giusto.» Esultò la donna con soddisfazione, incurante del fatto che l'acqua non arrivasse neanche a metà della vasca – dopotutto, per lei sembrava perfetta.
Salazar era ancora inerme, fissava una lieve cascata inesistente, quando Regan lo aveva afferrato per il braccio; allorché, senza avere ulteriori proteste da parte del giovane, prese a spogliarlo.
Non sapeva mai come agire d'innanzi a certi suoi atteggiamenti, non riusciva mai a comprendere quali fossero le sue reali intenzioni; lei, invece, sapeva bene come muoversi.
Era ammaliata dal corpo del suo giovane figlio: anche se lei si ostinava a trattarlo come un infante bisognoso di ogni cura, anche se ormai aveva superato quella che poteva definirsi pubertà, Salazar era cresciuto.
Era ormai perso in chissà quale meandro della sua mente e si muoveva a ogni indicazione della madre.
Passo dopo passo, come se stesse camminando su quella stessa acqua che gli aveva fatto da conduttore, venne fatto entrare nella vasca e riuscì a percepire il calore tiepido dell'acqua pulita che sembrava attendere solo lui.
La pelle di Salazar si intirizzì ovunque, piena di brividi a causa dell'aria fredda dell'ambiente circostante che, di certo, non si sposava bene con l'acqua sottostante.
Lei sorrise soddisfatta nel vedere la sua bambola seduta nella vasca, così prese un guanto morbido e cominciò a passarglielo sulla schiena. Lui non si mosse, ancora statico: fissava chissà cosa davanti a lui ed era perfino raro che battesse le palpebre – si era bloccato in un istante di tempo pur di non sentire e vedere ciò che stava per accadergli e di cui, purtroppo, era pressoché certo.
Il vorticare perpetuo dell'acqua arrivava alla sua mente come un ricordo ormai soffuso.
Salazar si era completamente lasciato andare ai richiami della fantasia, come se questa l'avesse avvicinato con un canto di sirena, perciò si era rinchiuso lì, al sicuro da tutto e, soprattutto, da ogni emozione, cercando di non lasciarsi trasportare dall'altra voce che lo chiamava; si era serrato dietro una barricata, una trincea di difesa che lo allontanava da chi non sapeva amarlo e custodirlo con affetto e dignità.
L'incanto, però, finì quando la voce prepotente di lei cominciò a farsi sentire più forte:
«Sei impazzito? E adesso come facciamo, eh?» Gli gridò contro la donna, cominciando a scuoterlo per le spalle. E lui non reagiva, ancora attanagliato dal torpore. «Salazar, diamine! Fai schifo, diamine!» Gridò in preda a una delle sue crisi – una un po' diversa dal solito, forse più assurda delle altre.
L'interpellato continuava a rimanere lì, statico e fisso, sentendo solo un'eco lontana che proveniva dal mondo esterno – ma lui era ancora una bambola.
Lo scosse ancora più forte, tirandolo anche per i capelli.
«Non ignorarmi, non devi ignorarmi.» Gli urlava contro. «Tu non devi ignorarmi, non voglio che tu m'ignori! Salazar, avanti, non fare il demente! Avanti.» L'offese e, mentre gli gridava contro di tutto, continuava a scuoterlo; così, lui cominciava a poco a poco a riprendere possesso delle proprie capacità cognitive e mentali. «Razza di figlio degenere, lo sai che ho dato tutto per te, no? Perché non rispondi?» In quel momento una lacrima solcò il viso di Salazar e questa venne raccolta dallo schiaffo lanciato da Regan: il suo palmo si scontrò sonoramente con la guancia del ragazzo.
Nello stesso frangente, giusto in tempo per vedere quella scena ai suoi occhi disgustosa, Ludwig fece irruzione nella stanza e, dopo aver sbattuto la porta sul suo uscio, si precipitò verso Regan. L'afferrò per i capelli e la tirò via da quella vasca.
«Ludwig sei forse impazzito?» Gli gridò contro, forzando il capo in una posizione piuttosto scomoda per rivolgergli uno sguardo fatto d'odio e indignazione.
Nonostante quel malsano rimprovero, Ludwig sapeva di essere arrivato al limite: non poteva più tollerare certi atteggiamenti da parte di sua moglie, specialmente dopo aver lanciato uno sguardo fugace nella vasca.
Ormai erano finiti i tempi in cui la sua mente poteva definirla una povera donna afflitta dal peso della sterilità.
«Io sarei impazzito?» Disse, facendo diventare la sua stretta ancora più ferrea. La tirò un po' verso l'alto facendole sentire il dolce piacere della sofferenza, dolore che a lui aveva arrecato per tutti quegli anni – in quel momento non stava vendicando solo suo figlio, ma anche se stesso: era forse ingiusto?
«Ludwig, mi stai facendo male: smettila! Cosa ti è successo? Tu non fai del male alle persone che ami.»
Ludwig scoppiò a ridere – ed era raro che ridesse in quel modo; trovò la cosa molto divertente: come poteva, lei, dire una cosa del genere?
«Stai zitta, cagna.» Le disse, tornando improvvisamente serio, mentre prendeva a trascinarla fuori da quel bagno; procedette con passo lento, attorcigliando i capelli di Regan intorno al polso. «Come puoi accusare me di tale mancanza? Sei stata la prima a dimenticarti di ogni cosa.
Tu sei solo feccia, Regan, e sai una cosa? Mi dispiace, mi dispiace che tu non sia stata abbastanza forte da non farti mangiare da quel mostro che avevi nell'anima. Tu non sei la donna che io ho sposato, pertanto non recriminare il mio amore.» Il tono della sua voce era modulato ma sofferente, calmo e tagliente; nonostante ciò, se Ludwig avesse potuto gridare, probabilmente lo avrebbe fatto: tutto il dolore che era stato protagonista della sua vita, adesso cominciava a scalpitare per uscire allo scoperto una volta per tutte.
«Ludwig...» Pronunciò dolorante; dopotutto, la testa cominciava a farle male.
Sebbene Ludwig avesse riconosciuto in quel tono la vecchia Regan, però, non ebbe esitazione.
«Ti ho dedicato il mio amore fin troppo, adesso basta.» Quella sentenza proclamata gli costò davvero molto. Aveva amato quella donna intensamente e aveva continuato ad amarla anche negli anni successivi, senza pensare a sé stesso, mettendo da parte ogni istinto e ogni desiderio.
Tutto, all'esterno, sembrava calmo. Era come se il tempo si fosse fermato e gli unici rumori che si potevano udire erano i gemiti doloranti di Regan e il cuore di Ludwig in mille pezzi – aveva sofferto troppo e troppo a lungo.
All'inizio aveva sperato che lei potesse riprendersi, eppure non era accaduto: Regan si era fatta inghiottire da un mostro più grande di lei e lui non era riuscito a salvarla. Non aveva potuto fare niente, solo guardare, inerme, tutto ciò che accadeva; tuttavia, le aspettative di un miglioramento erano andate all'aria, perché neppure la vicinanza di suo figlio aveva giovato ai problemi della donna, anzi.
La trascinò per tutto il corridoio, mentre Silas, ancora attonito, assistette e ascoltò tutto quanto; solo in quel momento si rese davvero conto di tutta la sofferenza che suo padre celava dentro di sé e si sentì profondamente ingrato per quanti dispiaceri e preoccupazioni gli aveva dato.
Una volta arrivato a destinazione, Ludwig aprì la porta e chiamò a sé i due soldati che li avevano scortati fino a casa.
«Prendete questa donna e portatale in qualche manicomio. Non è sana, sta danneggiando i suoi figli che sono anche membri del Reich, per cui nuoce di rimando alla nazione. Fatene ciò che volete: è un ordine.»
Non aspettò molto, si accertò soltanto che gli uomini facessero quanto detto e poi richiuse forte la porta.
«Che tu sia maledetto Ludwig, che tu possa essere maledetto!» Quelle furono le ultime parole che sentì pronunciare da sua moglie nei suoi riguardi.
Sospirò, constatando che non sarebbe riuscito a reggere quell'aria così sofferente e tesa ancora per molto.
Silas era rimasto come impietrito: non riusciva a muoversi, non sapeva più come doversi destreggiare – dopotutto era ancora sottopressione per l'interrogatorio subito e la guancia offesa, come se non bastasse, glielo avrebbe ricordato per un bel po'.
Spostò lo sguardo verso suo padre e lo vide impassibile, scorgendo ugualmente il dolore nei suoi occhi lucidi da cui, per paradosso, nessuna lacrima sembrava voler scendere.
Salazar, rimasto impietrito, non era affatto in grado di muoversi in quel momento; così, Ludwig lo tirò su dalla vasca e, avvolgendolo in un asciugamano, cercò di risvegliarlo da quel torpore in cui si era calato.
Una volta asciugato con cura, lo prese in braccio e, all'interno della sua camera, lo vestì.
«Salazar.» Bisbigliò piano, cercando di riportarlo sul quel pianeta e aiutandolo a riprendere coscienza. «Salazar, torna tra noi, avanti.» Disse, scuotendolo appena.
Salazar sentiva ancora il forte scrosciare dell'acqua che prima lo aveva condotto all'interno di quel precipizio e che al momento, pian piano, cercava di farlo uscire prepotentemente di lì: lo scaraventava nel suo mondo come un'onda violenta.
Quando si sentì accarezzare i capelli dal padre, il ragazzo scattò e colpì il braccio per rivolgergli un'occhiata terrorizzata.
«Salazar, stai tranquillo: non ti faccio niente.» Non lo toccò più, non cercò neppure di rassicurarlo con i gesti – non in quel momento, per lo meno; allora Salazar si guardò intorno: sua madre non c'era, finalmente, e lui era nella sua stanza con addosso dei vestiti diversi da quelli che indossava prima. Avrebbe voluto parlare, ma nulla riuscì a emergere dalla sua gola. «Stai tranquillo, tua madre non può farti più del male: non è più in casa con noi, l'ho mandata via.» Asserì Ludwig per tranquillizzarlo, spiegandogli semplicemente quanto fosse successo.
Gli occhi di Salazar presero a lacrimare, lasciando che il volto si contraesse in una smorfia dolce e umida, mentre Ludwig lo guardava silente e con una stretta al cuore: aveva capito che suo figlio gli era riconoscente, che lo stava ringraziando in qualche modo, perciò prese un fazzoletto di stoffa pulito dalla divisa e lo avvicinò al viso di Salazar, attendendo un cenno di assenso da parte sua, ovviamente, prima di procedere.
Il moretto annuì e Ludwig gli asciugò amorevolmente il viso – quelle carezze erano certamente diverse da quelle di Regan.
«Ora riposati, va bene? Cerca di dormire un po', sdraiati se vuoi...» Il tono di Ludwig era sempre calmo e paziente con lui, dolce e comprensivo.
«Ti sei bevuto il cervello, ammettilo!» Poco dopo essere uscito dall'altra camera, Ludwig scoppiò su Silas. Non urlò, mantenendo invece un tono di voce piuttosto basso e deciso, sia perché la rabbia lucida lo faceva diventare un triste calcolatore, sia perché non voleva turbare ancora di più le sorti di Salazar. Guardava Silas, però, in modo che capisse già dai suoi occhi quanto era furibondo nei suoi riguardi – e, di certo, tutti quegli eventi non gli avevano disteso i nervi accumulati. «Se vuoi morire a quindici anni è una scelta, ma non puoi decidere di trascinare tutti con te.» Proseguì lapidario; effettivamente non avrebbe mai voluto la morte di suo figlio, ma sembrava che lui stesso ci tenesse a condursi tra le braccia dell'oscura signora di sua spontanea volontà.
«Papà... ma..» Silas era sconvolto. Non riusciva a crederci: suo padre non lo aveva mai rimproverato in quel modo; era sempre stato severo con l'etichetta, ma non era mai stato così diretto e schietto.
«Sta zitto! Abbi almeno la compiacenza di stare zitto, soprattutto dopo questo disastro.» Scoppiò Ludwig ancora una volta. L'insolenza di Silas gli aveva fatto andare il sangue al cervello, ma era normale, alla fin fine, che il biondo cercasse una scappatoia.
«Papà, sei ingiusto.» Silas esplose con quell'affermazione, colpendo suo padre e non rendendosi conto di quanto stesse affermando. Si morse la lingua solo dopo aver visto l'espressione funesta e delusa che si dipinse sulla faccia di Ludwig.
«E tu sei un ingrato, sei un irresponsabile ingrato. Se io fossi ingiusto non ti starei sgridando! Se lo sto facendo è perché tu capisca che sei in pericolo e, con te, tutti noi.» Sembrava non volere altre battute da parte del figlio. Silas doveva solo piegare la testa e ascoltare, doveva imparare ad stare attento affinché capisse e apprendesse cosa era giusto fare e cosa no.
«Io...» Cercò di parlare, ma alla fine lo interruppe subito Ludwig proseguendo il suo discorso e lo fermò prima che il biondo potesse dire ancora qualcosa di sgradevole e fuori luogo.
«Silas, ascoltami bene: sai cosa penso? Forse sono stato troppo morbido con te, forse non ti ho saputo educare bene. Sei irriverente e ribelle. Io ho cercato di darti un'educazione, ma dov'è finita? Ti sei fatto malmenare da un tenente della Gestapo, ti rendi conto?» Ludwig si fermò un attimo. Le parole gli erano uscite come un fiume in piena e forse, in altre circostanze, non le avrebbe neanche dette, ma era bene che suo figlio si spaventasse – avrebbe evitato di lasciarlo morire. «So che tu hai voluto difendere tuo fratello, questo ti fa onore, ma devi anche stare attento a quelli che ti metti contro. Questa volta era un tuo compagno di scuola, un ragazzino a cui hanno dato adito per una cosa da lui riportata, che non so neanche se sia vera o no – non mi interessa, lo sai, non sono ipocrita. Devi comprendere, per favore, che se fai qualcosa rischi di mettere a repentaglio la vita di tutti quelli che sono collegati o ricollegabili a te.» Sembrava aver ottenuto una qualche calma dentro di sé, ma in realtà quella di Ludwig era una rabbia silente che, invece di dirompere, ristagnava esibendosi e mascherandosi da pacatezza a causa di ciò che gli era stato insegnato.
«Sì, papà.» Silas aveva il capo chino.
Non disse più nulla in sua discolpa, sapendo che suo padre aveva ragione, ma il suo buon cuore e il suo istinto, spesso, lo facevano agire per il verso sbagliato.
«Adesso va da tuo fratello, veglialo e, se ha bisogno di te, stagli vicino.» Quella fu la sua ultima richiesta, almeno per quel giorno. Ludwig era davvero stanco e provato e sentiva la necessità di doversi ritirare nella sua stanza insieme ai suoi pensieri.
Dal canto suo, Silas annuì con la testa e si diresse nella camera del fratello, sdraiandosi accanto a suo lui. Nel sonno, Salazar sembrava sereno; Silas, invece, una volta accucciatosi accanto all'altro, si mise a pensare alle parole che suo padre gli aveva rivolto e decise, quindi, di farne tesoro per cercare di imparare e migliorarsi.
Nella sua camera, Ludwig si lasciò andare non appena chiuse la porta dietro di sé: scivolò lungo la porta e le lacrime sgorgarono violente dai suoi occhi. Quello fu un pianto senza controllo, lacrime trattenute per anni. Pianse, ma nonostante volesse gridare, dovette strozzare le urla nel profondo della sua gola; così si morse il labbro inferiore, prendendo a singhiozzare sommessamente.
Si stava sfogando così tanto violentemente che quasi gli sembrò di sognare. Tutta la sua sofferenza stava sgorgando fuori da lui e, allo stesso tempo, mentre il dolore scivolava via, sentiva il vuoto della pace farsi largo.
Si portò le mani al volto per coprirsi, dopotutto non era abituato a tali reazioni e si vergognava di se stesso pur sapendo di aver bisogno di piangere.
Era stato costretto ad allontanare Regan e non sapeva se fosse la solitudine reale o il dolore causato ai suoi figli che lo avevano fatto capitolare a quel modo. Per tutti quegli anni, sebbene Regan fosse stata sempre distante, si era illuso che lei potesse tornare come era un tempo; tuttavia, così facendo aveva rovinato entrambi i suoi figli.
Si diede la colpa di tutto, persino della malattia di Regan – purtroppo, in quel momento non era lucido, e il rimorso lo avrebbe accompagnato da lì in avanti, soprattutto per quanto era capitato a Salazar.
La sensazione più brutta era quella che il suo cuore gli dava: sembrava come se si ricostruisse ogni volta che andava in mille pezzi e, secondo Ludwig, era già capitato tre o quattro volte in quel lasso di tempo.
Era decisamente esausto, i suoi nervi erano crollati, e quello sfogo non sembrava voler smettere – probabilmente sarebbe proseguito per tutto il giorno.
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