Capitolo 10
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
(Spesso il male di vivere -E. Montale)
Quelle tre ore non erano state sufficienti per far riposare i due al meglio: Silas riuscì a svegliarsi senza che Ludwig dovesse chiamarlo, ma suo padre non si palesò neanche poco dopo e questo gli fece intuire che non era ancora rientrato in casa – si augurava che, perlomeno, stesse bene.
Tirandosi su a sedere, vide che Lothar non era più nella stanza e, agitato, si precipitò al di fuori della camera per vederlo spuntare di soppiatto da un corridoio con la divisa della scuola indosso.
«Dove eri finito? Mi hai fatto prendere uno spavento!» Silas era decisamente ansioso, lo si poteva vedere dalla sua espressione smarrita.
«Non volevo farti preoccupare, ma visto che mi ero svegliato prima di te, ho ripercorso la strada che abbiamo fatto ieri sera per andare a recuperare la divisa», spiegò lui, soffermandosi sulla dinamica con naturalezza e ricordando tutti i passaggi del tragitto che, appena qualche ora prima, avevano fatto assieme.
«Tranquillo, non mi ha visto nessuno», proseguì poi, cercando di rassicurare il biondo davanti a lui.
«Figurati, non è per quello che ero preoccupato: non ti ho visto e mi sono agitato.» Fu come se quella sera avessero dormito ugualmente insieme; Silas, invece che i loro corpi, aveva potuto percepire l'unione delle loro anime e, sicuramente, era una cosa a cui aveva dato più valore fino ad apprezzarla maggiormente – in fondo gli capitava raramente una cosa del genere.
«Aspettami qui. Mi do una sistemata, mi metto la divisa e torno.» Il suo tono era un po' affranto, stava ancora smaltendo quell'agitazione che lo aveva assalito e non avrebbe mai pensato che la mancanza di Lothar potesse essere così soffocante.
Quindici minuti dopo, Silas uscì dalla camera: si era dato una lavata, pettinato e messa la divisa che tanto detestava.
S'incamminarono verso l'uscita, ripercorrendo quel labirinto sotterraneo che dava verso l'uscita per raggiungere poi la strada principale.
«Trovo che il colore di questa roba sia orribile», disse all'indirizzo di Lothar non appena furono fuori.
«Di che colore la vorresti, sentiamo.» Lothar decise di assecondarlo nella sua frivolezza, anche lui, di tanto in tanto, aveva bisogno di spaziare nelle sciocchezze per spezzare tutta la tensione accumulata.
«Di un blu cobalto, o forse viola, in ogni caso starebbe bene con il mio colore di capelli.» Gli piaceva quando le persone lo assecondava in certe sciocchezze.
«Ma sentilo...» sul volto di Lothar si dipinse un leggero ma sincero sorriso. Silas sapeva dargli tanta preoccupazione quanta spensieratezza e questa cosa lo destabilizzava – ma allo stesso tempo era quello che lo teneva affianco a lui.
I due ridevano spensierati, continuando i discorsi mentre si dirigevano verso la scuola con la loro facciata da perfetti ariani, tedeschi – una maschera che pesava fin troppo.
Improvvisamente, il loro mondo crollò: il sangue si gelò nelle vene, videro avvicinarsi verso di loro un gruppo di soldati della Gestapo e Silas inconsciamente si toccò il collo, ricordandosi che la sera prima, al locale, si era ornato con il fazzoletto rosso – probabilmente se lo era levato prima di uscire dal night, per lo meno così si disse, e considerato ciò, se solo l'apnea glielo avesse concesso, avrebbe volentieri tirato un sospiro di sollievo.
Lothar, dal canto suo, li guardava accigliato e allo stesso tempo confuso, sentendo montare dentro di sé la rabbia e la paura di essere stato scoperto per i manifesti che insieme avevano appeso.
«Silas Dubois, Lothar Schröder...» li chiamò «... c'è un cambio di programma per voi: sta mattina niente scuola dovete seguirci»
Quello che parlava, a giudicare dai gradi, sembrava un sergente – almeno da quel che rammentava Silas in merito alla spiegazione che Ludwig gli aveva fatto un giorno, rimarcando tutta la gerarchia e i vari settori; ma quella volta, il biondo non era stato molto attento e per questo, in quell'istante, si maledì.
«Perché?» Silas fu impudente a fare quella domanda, ma quando si sentì stringere per le braccia mentre lo trascinavano via, la paura prese il sopravvento. Lothar, in quello stesso istante lo gelò con lo sguardo, voleva invitarlo a tacere e non a peggiorare la situazione più di quanto non fosse già.
«Devi stare zitto, le domande qui le facciamo noi», ripose sempre lo Sharfüher.
Non era la sede adatta, quella, per parlare; così vennero portati nell'Ufficio centrale della sicurezza del Reich, luogo che Silas aveva riconosciuto prima ancora di averlo dinanzi, imboccandone solo la via – avevano svoltato per Prinze-Albrecht-Straße, dopo tutto.
Sapevano che dovevano giocarsela bene, sperando che nessuno dei due tradisse l'altro, ma Silas si fidava del suo compagno e lo stesso valeva per Lothar.
Li tenevano ben stretti, in modo che non potessero scappare; eppure, solo un pazzo avrebbe tentato la fuga in quel momento, perché avrebbe significato solo una cosa: la morte.
Silas e Lothar camminavano spintonati dalle gambe delle guardie – non si capiva perché dovessero usare tutta quella violenza, visto che neanche avevano opposto resistenza, ma Silas smise subito di farsi certe domande per considerare invece il tipo di persone con cui stava trattando.
Il biondo si era fermato un attimo, visto che, dopo l'ultimo strattone al braccio, una scossa lo attraversò per tutto il corpo fino a tendere i suoi muscoli all'unisono; un soldato, però, lo spinse ancora per farlo camminare – non doveva e non poteva fermarsi.
Lothar voltò di scatto la testa, vedendo come quel bastardo aveva spintonato il suo compare e comprendendo che, se solo avesse potuto, gli avrebbe staccato la testa di netto: nessuno doveva toccarlo; eppure, un membro della scorta lo costrinse a guardare dall'altra parte, davanti a sé, perché non gli era permesso di interagire in nessun modo con l'altro.
I due prigionieri furono separati: Silas venne portato in una stanza per gli interrogatori e Lothar in un'altra.
Quando il biondo entrò, venne fatto sedere non proprio educatamente sulla sedia che era lì al centro, davanti a una scrivania.
Le guardie si posizionarono accanto a lui, aspettando che un superiore li raggiungesse per dare il via all'interrogatorio; così passarono dieci minuti e la porta si aprì per accogliere un uomo più o meno alto con indosso la divisa della Gestapo e dal tipico aspetto germanico che tutto sembrava, eccetto ariano.
Al suo arrivo, i due soldati fecero il saluto Nazista:
«Heil Hitler, Obersturmführer.» Le loro voci risuonarono forti come il rumore dei loro tacchi una volta scattati sull'attenti. Il tenente salutò i suoi uomini e si andò a posizionare davanti a Silas che, inconsapevolmente, sembrava averlo irritato solo a causa dei suoi capelli biondi.
Era un cittadino tedesco, proprio come il tenente, ma aveva una chioma da perfetto ariano – l'esemplare prodotto germanico – a differenza di quello che, nonostante la parvenza, ricopriva un'alta carica per il suo paese.
L'irritazione gli fece assumere subito un'espressione superiore e fastidiosa, una di quelle che spesso erano indossate da chi aveva – o meglio, credeva – di avere il mondo in mano. Un uomo che pensava e pretendeva di essere portavoce di quella verità decantata negli anni era pronto a ingiuriare Silas in qualsiasi modo la mente potesse suggerirgli per farlo capitolare, inciampare nel più banale errore che, fatale, lo avrebbe certamente condotto in prigione.
Silas lo aveva osservato e subito aveva avuto modo di notarne anche i gradi: se la sua memoria non lo ingannava per la seconda volta, quello che aveva davanti era un tenente della Gestapo – e Ludwig gli aveva detto che, la Gestapo, era un'ala sottoposta in ogni caso alle SS in quanto, grazie a Himler, il loro controllo era passato direttamente alle SS.
In qualche modo stava sperando un intervento da parte di suo padre, considerato il fatto che, probabilmente, fosse l'unico in grado di salvarlo da quella brutta situazione; eppure, se anche avesse avuto modo di aspettare, avrebbe dovuto cavarsela da solo fino al suo arrivo.
«Lei è Silas Dubois.» Con quella frase era iniziato l'interrogatorio. L'uomo si era seduto sul bordo della scrivania davanti a lui, cominciando a provare un piacere sadico e perverso nel trovarsi davanti il figlio di un suo superiore per il quale non nutriva nessuna stima o simpatia.
«Sì», rispose semplicemente in maniera affermativa, guardando con i suoi occhi cristallini in quelli scuri dell'altro.
Silas aveva paura, riusciva perfino a sentire il cuore battergli in gola e nelle tempie, ma non doveva mostrarla: sapeva che ogni accenno di terrore sarebbe stato giubilo per loro.
«Sa perché è stato condotto qui?» Domandò il tenente con un sorrisetto lieve sul volto.
«No.» La risposta fu negativa, sebbene in lui si stesse accendendo il sospetto che qualcuno potesse averlo denunciato per via dei manifesti; eppure non era l'unico cruccio a cui far fronte: la questione del night, per esempio, lo rendeva più che esposto a causa dell'età inferiore a quella consentita per frequentare posti simili. Non poteva dire nulla e non lo avrebbe fatto, non era quel tipo di persona che confessava su due piedi; perciò avrebbe negato qualsiasi accusa mossa contro di lui, senza contare che dovesse preoccuparsi anche di Lothar. Si sarebbe dovuto mantenere il più lucido possibile, facendo affidamento anche s'un po' di fortuna per tirare fuori la stessa versione del compagno.
«Ne è sicuro?» Incalzò ancora l'altro mentre incrociava le braccia davanti al petto.
«Più che sicuro, ne sono certo.» L'insolenza di Silas si faceva avanti, non riusciva a mordersi proprio la lingua.
«La inviterei a non rispondere in questa maniera, altrimenti sarò il primo a insegnarle l'educazione che le manca.» L'uomo continuava a dargli del lei per una questione di etichetta, non arrivando mai al voi –sarebbe stato troppo di rispetto nei confronti di Silas, considerato il fatto che fosse paragonato alla feccia dal tenente.
A quelle parole, il biondo si sarebbe voluto alzare in un moto di violenza, conscio che quello stesse insultando suo padre – ed era proprio una cosa che non riusciva a tollerare; eppure, nonostante il suo iniziale spirito di ribellione, Silas dovette calmarsi alla svelta: i due uomini erano armati e non avrebbero avuto remore nell'usare ciò che imbracciavano.
«La mia educazione c'è ed è presente. Non le sto mancando di rispetto affermando la mia innocenza», disse di rimando, innervosendolo ancora di più con quella sua fermezza e lasciandogli il tempo sufficiente per programmare il suo crollo nel momento fatidico.
«Lei sa che se nella denuncia non ci fosse stato un motivo reale e concreto per interrogarla non sarebbe qui?»
Negli uffici centrali delle SS e della Gestapo arrivavano tutti i giorni numerose denunce e segnalazioni, perciò era molto plausibile che spesso riportassero solo battibecchi o incomprensioni fra vicini e raramente venivano trascritte reali minacce per la nazione negli atti.
«Io mi limito ad andare a scuola tutte le mattine e a studiare nei pomeriggi come tutti i ragazzi del Reich.» Avrebbe preferito mordersi la lingua piuttosto che dire certe cose, ma in quel momento doveva decidere se mettere da parte un po' della sua dignità oppure giocarsi la libertà.
«Lei dice? A noi risulta altro.» L'uomo era allusivo ma cercava di non specificare dove volesse andare a parare, cosa che stava facendo dare di matto il biondo nella sua incuranza dell'accusa; eppure, il tenente cercava di metterlo con le spalle al muro senza dargli alcuna possibilità di difesa.
«Io sono sicuro di essere un fedelissimo ragazzo del Reich!» Cercò di metterci il giusto patos in quello che stava dichiarando, ma doveva modulare la voce per non far trapelare la paura, perché un tono troppo acuto sarebbe sembrato una menzogna alle orecchie del tenente.
«Se lei è sicuro di essere un fedelissimo ragazzo del Reich, come può spiegare i suoi capelli?»
L'uomo non solo era invidioso del colore fantastico della sua chioma – dopotutto era ricercata in tutta Europa dai tedeschi – ma anche di quella lunghezza e morbidezza che si poteva constatare già al primo sguardo.
«Mi sembra di avere i capelli che il Führer, nostro salvatore, richiede.» Silas faceva il finto tonto per cercare di raggirare le sue domande accusatorie, sapendo che il colore dei suoi capelli era quello tanto elogiato dal partito – e in fondo avrebbe potuto benissimo rappresentare l'emblema divino della cultura pagana-germanica.
«Sta dicendo che io, dunque, non sono adatto a prestare servizio al Führer?» L'uomo dai capelli neri pensò bene di cogliere la palla al balzo e, con le stesse parole del biondo, volle provare a piegarlo psicologicamente per farlo inciampare nella sua stessa sconsideratezza.
«No signore, non sto dicendo questo. Può ripetere la domanda?» La sua fu una richiesta innocente, voleva solo che la ripetesse per guadagnare un po' di tempo alla ricerca della risposta giusta; ma il tenente non la prese bene, captandola anzi come una minaccia e fece un cenno con il volto a uno dei due uomini che di rimando lo colpì sulla spalla con il dorso del mitra leggero – l'MP40 a braccio.
Silas strinse appena gli occhi dal dolore.
«Questo è per informarla che le domande le faccio io, le è chiaro?» Silas si ammutolì per qualche istante, rispondendo affermativamente alle sue parole. «I suoi capelli non sono conformi al Reich», ripeté nuovamente, così da sanare il cruccio primordiale del giovane e mostrandosi più tranquillo e rilassato nel poggiare le menai sui fianchi. Era convinto di averlo ormai in pugno e pregustava il dolce sapere della vittoria.
«Non capisco...» Stava prendendo tempo, si sentiva confuso e disorientato e di certo non sapeva che intenzioni avesse l'ufficiale.
«Bhè se è così...» Mosse nuovamente il viso in un cenno e l'uomo armato colpì di rimando sulla stessa spalla.
«Non capirò di certo in questo modo!» Aveva parlato d'istinto e la sofferenza lo fece esprimere bruscamente; allorché, l'uomo dietro di lui non esitò a colpirlo ancora e il busto di Silas si piegò in avanti.
«Vedi di non scherzare con me, ragazzino», ringhiò il tenente, afferrandolo per i capelli e tirandolo su come carne da macello.
Lothar aveva subito la sua stessa sorte: era stato condotto in un'altra stanza per essere interrogato e questa appariva non diversamente dall'altra, spoglia e decorata solo con le effigi naziste nel cui centro si trovava una scrivania e una sedia.
L'ufficiale incaricato per quell'interrogatorio considerava Lothar innocuo, valendo meno di zero per via delle sue origini – suo padre non era altro che un operaio arricchito e di conseguenza non aveva alcuna importanza in un simile ambiente.
«Lei è Lothar Schröder?» Domandò il sergente maggiore.
«Sì, sono io.» Lothar appariva attento e preciso, fermo nella sua compostezza che lo faceva concentrare energicamente in un tentativo di creazione che fosse affine a quello progettato dalla mente di Silas.
«Sa perché è qui?»
«No, non so perché sono stato condotto fino a qui.»
«Lei può affermare di seguire la retta via del Reich?» Il soldato si era approcciato a Lothar con una dinamica piuttosto comune. Capitava che certe volte ci fossero persone che, impaurite dalla divisa, confessassero prima ancora che qualcuno gli ponesse una domanda.
«Sì, sono un onesto e fiero cittadino del Reich: indosso la divisa di una delle scuole ariane più prestigiose del Paese, mio padre è un fervente sostenitore e ascoltiamo sempre ogni cosa che ci dice il nostro amato Führer, il salvatore.» Lothar dovette trattenere i conati per quanto aveva appena detto, ma il suo pensiero in quel momento era uscire da lì sano e salvo; per questo motivo, le sue parole sembrarono tanto vere e sentite alle orecchie del sergente maggiore.
«La denuncia dice che lei è stato coinvolto in una rissa, per giunta a scuola, è così?» La buona propensione di Lothar aveva indotto il soldato a partire subito con le domande riferite alla questione.
«Non mi pare di essere stato coinvolto in una rissa, semmai ho evitato che questa iniziasse, invitando l'altro ragazzo a smetterla con le offese.» Lothar poté tirare un sospiro di sollievo nell'aver inteso che c'era Bruno dietro tutto quello.
«Ci risulta il contrario, nella denuncia viene riportato che il ragazzo è stato offeso da lei», disse il sergente maggiore, avendo la fortuna di trovarsi davanti un uomo non propriamente dotato di polso o caratterizzato da chissà quale astuzia – tutt'altro: era uno di quei casi umani che preferiva incutere terrore mediante minacce o percosse piuttosto che rigirare la frittata con una conseguente confessione.
«In realtà, il ragazzo in questione stava attaccando briga verso il figlio di un vostro superiore e ufficiale. Io e il mio amico siamo intervenuti per difenderlo.»
Nell'udire quelle parole il sergente maggiore trasalì: adesso era lui che si ritrovava dalla parte del torto, probabilmente.
«Se le cose stanno così, ci può raccontare la sua versione?» Domandò il sergente maggiore.
«Eravamo in cortile quando abbiamo visto il ragazzo offendere Salazar Dubois, figlio di Herr Standarteführer Ludwig Dubois.» Davanti ai nomi e i cognomi non potevano pensare che Lothar se lo stesse inventando.
«Vada avanti», lo incoraggiò a continuare.
«Silas Dubois, il mio amico, è intervenuto per fermare il ragazzo che stava infastidendo suo fratello e giuro sul Reich che Silas Dubois non ha alzato una mano contro il nostro accusatore.»
Il sergente maggiore si sarebbe mangiato le mani a quel punto, considerando il fatto che si fosse fatto fregare da un ragazzino di soli sedici anni.
L'uomo in divisa lasciò Lothar nella stanza insieme agli altri due soldati che erano incaricati di controllarlo, procedendo nella direzione dell'altro ufficiale per conferire in merito alle novità ottenute dall'interrogatorio preventivo; allorché quello, non appena lo vide arrivare, fece il saluto nazista che l'altro non tardò a ricambiare.
«Sturmescharführer, mi dica: il prigioniero ha parlato?» Il suo tono di voce era perentorio e non sembrava voler ricevere risposte negative. Quei due uomini, piuttosto che sembrare valorosi soldati, apparivano semplicemente come due deboli mammolette, poiché uno agiva nella più totale cattiveria, mentre l'altro si serviva della violenza.
«Lothar Schröder ha confessato riguardo la rissa, ma ha praticamente detto l'opposto di quanto riportato nella denuncia.»
«Sarebbe a dire?» Sollevò un sopracciglio contrariato nell'udire quelle parole del tutto inaspettate – loro non potevano sbagliare, erano sempre nel giusto, anche se nelle denunce c'erano soltanto menzogne.
«Ha detto che lui e Silas Dubois sono intervenuti per fermare la rissa e non per aizzarla. Hanno fatto il loro ingresso per salvare Salazar Dubois...» Il sergente maggiore spiegò per filo e per segno la dinamica dei fatti confessata da Lothar.
«Sei un idiota!» Ringhiò l'altro al suo indirizzo. Aveva per le mani il figlio di Ludwig e non si poteva far sfuggire l'occasione di piegare quell'uomo nel dolore.
«Ma signore...» replicò subito l'altro senza riuscire a finire la frase, anche perché sarebbe stato inutile visto l'espressione furibonda dipinta sul volto del tenente.
«Nessun ma, da quando ti fai sottomettere da un ragazzino? Gonfialo di botte, percuotilo se necessario, ma deve confessare almeno la prossima accusa.» Gli sarebbe bastata una sola confessione, anche inventata, per incastrare il biondo che lo stava aspettando nell'altra stanza.
«Sì, signore.» Scattò sull'attenti, aspettando l'ultimo cenno da parte dell'altro uomo in divisa.
«Chiedigli se sa qualcosa al riguardo della presunta omosessualità di Silas Dubois. Con un'accusa del genere possiamo distruggere tutta la famiglia.» Era quello che voleva: distruggere la famiglia di Ludwig – e sarebbe stato tutto possibile grazie a quell'interrogatorio.
«Sì, signore», rispose ancora affermativamente, girando poi i tacchi e facendo ritorno nella stanza in cui lo aspettava Lothar, così come l'Obersturmführer aveva fatto nella direzione opposta.
Entrò chiudendo la porta piano, facendo sentire bene il lieve rumore prodotto dal montante e dalle sue calzature per svegliare meglio i nervi del ragazzo che già era stato abbastanza pressato dagli altri due individui.
«Ci è giunta voce...» Cercò di dare un tono gravoso alla cosa «... che lei ha tendenze particolari, è così?» Era ripartito alla carica, cavalcando le onde di quell'oceano di insinuazioni e saltando tutta la parte della rissa, che lui reputava banale e inutile al fine del Reich; differentemente, invece, era l'omosessualità o la presunta tale di uno dei figli dei suoi superiori, poiché una simile constatazione lo avrebbe portato all'avanzamento di carriera tanto auspicato.
«Non so di cosa sta parlando.» Silas continuava sulla sua linea, pur immaginando che il suo aspetto potesse apparire più delicato rispetto a quello di molti altri – già tra lui e Lothar si poteva notare questa differenza, in fondo – ma non si sarebbe arreso alle affermazioni minacciose mosse dall'altro.
«Lei fa finta di non capire.»
«Io non capisco di cosa sta parlando e qualsiasi cosa le dicessi lei non mi crederebbe.» L'ultimatum: con quelle parole, Silas aveva chiaramente dichiarato che non avrebbe rivelato nulla e che non si sarebbe venduto; aveva capito che quell'individuo davanti a lui voleva una dichiarazione a tutti i costi e lui non gliel'avrebbe concessa.
«Perché lei non dice la verità.» Era un discorso che rimbalzava schietto tra due muri e probabilmente avrebbe vinto il più disonesto, perché l'ufficiale continuava ad incalzare con la sua fermezza riguardo la questione.
«Quale verità dovrei dire se lei non è chiaro in proposito?» Silas restrinse lo sguardo, accigliandosi per quella carogna che aveva dinnanzi: era profondamente arrabbiato e gli avrebbe volentieri staccato la testa dal collo, ma non poteva farlo.
«I suoi atteggiamenti non mi piacciono sa? Lei sta eludendo le mie domande, non mi risponde.» Il soldato stava cercando di mantenere la calma, insistendo con quel gioco sadico e perverso basato solo sull'invidia e sull'antipatia che provava verso il colonnello.
«Lei non sta facendo domande.» I suoi nervi cominciavano a vacillare, pertanto gli uscì quella frase pronunciata con un tono molto aspro, frase che gli costò un altro colpo dietro la spalla. Ci mise poco, però, a murare quell'espressione di dolore in una fiera, segno che non avrebbe mollato.
«Non ci siamo intesi, credo. Il soldato comincia a spazientirsi e, stanco di tutta quella tiritera, non poté far altro che sperare che Silas si tradisse da solo per mettere fine a tutta quella pagliacciata.
Il biondo annuì semplicemente alle parole dell'altro, addolorato, mentre la schiena diventava un ammasso di muscoli tirati e contratti – avrebbe scommesso che i lividi fossero già apparsi prepotenti.
«Dunque, lei ha tendenze particolari?» Ormai insisteva solo su quella domanda, voleva spingerlo a confessare.
«No», affermò schietto e conciso. Lui non aveva strane tendenze o inclinazioni particolari, amava amare, semplicemente, e dare quello che non gli era mai stato concesso; per lui, amare indifferentemente dal sesso non equivaleva ad avere tendenze particolari, ma essere semplicemente umano.
«Lei ne è sicuro? Eppure è stato accusato di far parte di quello sporco spazio di mondo chiamato omosessualità.» La voce dell'uomo era quasi diventata cantilenante ed era andata scemando nell'orrore a causa di quella parola considerata da lui tanto abbietta.
«Non diciamo assurdità!» Aveva sbattuto le mani contro le proprie ginocchia tanto si era scandalizzato d'innanzi a tale discriminazione. Il principio non era lui in quel momento, ma tutt'altro: voleva che le persone non fossero discriminate a quel modo e più quello parlava, più lui provava disgusto – i nazisti avevano piantato radicalmente il germoglio della discriminazione per tutta Europa e lui non riusciva a tollerarlo.
Nel vedere tanta sfrontatezza, quello diede l'ordine di colpire nuovamente Silas e il dolore si specchiò immediatamente nell'espressione del giovane che, d'altro canto, non sapeva spiegarsi come facessero a colpire sempre gli stessi punti già indolenziti – forse era un talento.
«Vediamo se così le torna la memoria...» soffiò cinicamente.
«Lei non può negare, lo si vede lontano un miglio che è omosessuale.» Spazientitosi, il soldato alle sue spalle parlò, mostrando che tipo di dichiarazione volesse dal biondo.
«Vogliamo vedere come mi fotto sua sorella, invece?» Scattò l'interrogato, lasciandosi sopraffare dall'istinto; allorché il tedesco gli tirò un manrovescio, indignato per l'orrore di ciò che aveva appena udito e riuscì a fargli voltate il viso.
Il sangue si propagò a macchia d'olio all'interno della bocca del biondo e il pizzicore alle labbra s'ingigantì subito, schiettamente, a causa del morso che si era inflitto per via del colpo.
Nello stesso arco di tempo, il sergente maggiore si trovò a dover ammettere a sé stesso che quel ragazzino fosse in grado di mettergli soggezione. Solitamente, tutti erano abituati a crollare davanti a lui, ma Lothar no, Lothar si era mostrato sempre fermo e impassibile davanti ogni minaccia.
«Purtroppo per lei, ragazzo, non è finita qui la questione.» Fece una piccola pausa per cercare di intimorirlo; ma Lothar non si scomponeva minimamente – non è che non avesse paura, chiunque l'avrebbe avuta con due uomini armati e pronti a sparare; ma lui aveva sangue freddo e aveva capito ormai come agire con loro: se non altro, questi non avevano nulla a cui appellarsi.
«Ci è giunta voce, sempre tramite la denuncia, che il suo amico, ha particolari tendente. Su di lui grava una grande accusa, quella di omosessualità. Sa che se è vero è un traditore del Reich? » L'uomo sollevò il viso serio, cercando di appellarsi al cinismo in quanto unica arma che gli era rimasta.
«È un'accusa davvero molto strana a mio avviso, veramente. Silas è sempre circondato da ragazze ariane, chiunque nella nostra scuola potrebbe confermarlo e poi non mi sembra mai di aver visto strani atteggiamenti da parte sua.» La sua risposta piombò secca e decisa contro il sergente maggiore: il moretto lo aveva messo alle strette.
«Come fa ad affermarlo?» Chiese ancora, ormai stanco di arrampicarsi sugli specchi.
«Posso affermarlo con certezza, perché più volte mi ha parlato di quanto gli piacessero e gli piacciano le ragazze. Più di una volta ha fatto specifici apprezzamenti s'una fanciulla, per giunta, deciso a prendere moglie dopo la scuola.» Lothar stava mentendo, era evidente – e mentire andava contro ogni sua etica, ma cosa poteva fare? Non poteva mettere a repentaglio la vita di Silas.
«E se l'avesse detto per mettersi al sicuro? Per paura che qualcuno prima o poi lo scoprisse?» Incalzò.
«Credo di essere costretto a ripeterle che ciò che lei sta affermando sia impossibile, perché lui dice ogni cosa che gli passa per la testa.» Lothar era inarrestabile e in un certo senso, per lo meno in quel caso, aveva detto la verità.
Il sergente maggiore a quel punto dové sfogare la sua frustrazione, così decise di dare l'ordine a uno dei due suoi uomini: uno l'afferrò per la parte più lunga dei capelli – per quanto questa potesse essere afferrata – mentre il soldato accusatore si avvicinò a lui.
«Questo è un avvertimento: se ci stai mentendo faremo arrestare te e la tua famiglia», lo minacciò più per rabbia che per altro.
«A tal proposito, il suo genitore verrà chiamato in quanto lei è minorenne.»
Sicuramente temeva più il rimprovero di delusione da parte di suo padre – convinto sostenitore del partito – piuttosto che il minaccioso uomo davanti a lui.
Quella notte, Ludwig non aveva fatto ritorno a casa, ma si era recato direttamente nell'ufficio amministrativo per scrivere il rapporto riguardo i pattugliamenti della sera. Era agitato, non sapeva il perché di quell'angoscia, eppure c'era qualcosa – forse il suo istinto – che sembrava volerlo mettere in guardia; allora si mise a cercare, spostando da una parte all'altra documento dopo documento e d'un tratto ne lesse uno che non gli piacque affatto fino a scoprire l'amara verità: suo figlio era stato denunciato, accusato di aver dato inizio a una rissa all'interno della sua scuola e non solo, perfino di presunta omosessualità.
Il colonnello era furioso, ma non riteneva suo figlio così sciocco da farsi beccare in pieno giorno, nel cortile della sua scuola, in una condizione tanto gravosa per la sua situazione; perciò uscì dalla stanza in fretta e furia, lasciando il documento lì dov'era e ritenendolo quasi di poca importanza. Probabilmente, Silas si trovava sotto interrogatorio e per di più nelle mani di un individuo che sarebbe stato in grado di prendersela con lui senza davvero indagare sulla faccenda – dopotutto ne aveva letto il nome sul foglio.
Ci mise davvero poco a raggiungere quella camera, sapendo che l'altro svolgeva sempre lì i suoi interrogatori e non si premurò di bussare; anzi, fece irruzione nella stanza, spalancando la porta, e ciò che vide non gli piacque per niente: l'uomo, suo sottoposto, aveva appena ferito suo figlio e questo gli fece restringere gli occhi dalla rabbia.
Doveva mantenere un contegno però, perché mai e poi mai sarebbe dovuto passare dalla parte del torto, sopratutto se voleva portare in salvo Silas.
«Cosa sta succedendo qui?» Disse all'indirizzo di quell'uomo che conosceva fin troppo bene – il loro odio era antico e risaputo, oltre che reciproco.
«Non lo vedete Standartefüher?» Rispose ironico il tenente.
«Sì. Non vedo un interrogatorio, ma vedo qualcuno che sta torturando mio figlio.» Su quelle cose non transigeva, perché la violenza gratuita gli faceva salire il sangue al cervello, in special modo quando toccavano suo figlio.
«No, è un banale e normalissimo interrogatorio, colonnello.» Sul suo viso si dipinse un sorrisetto beffardo mentre faceva spallucce per togliersi di dosso qualsiasi colpa.
«Veramente? Eppure io non sono abituato a interrogare la gente in questo modo, ma evidentemente, tenente, voi siete un barbaro e io no. Ricevere delle confessioni dopo aver sfinito gli accusati con le percosse non è certo il metodo più adatto, non ve lo hanno insegnato all'addestramento?» Fu lui a quel punto ad essere subdolo, andando a mirare proprio sull'addestramento reclute e puntando sulla sua sofferenza e sulla sua evidente stupidità.
«Se vostro figlio è qui, sicuramente è per un motivo più che fondato.» Si era fatto minaccioso dopo le offese di Ludwig, visto che queste erano riuscite a colpire un nervo scoperto fino a farlo infuriare – ed era per quello che lo odiava: aveva sempre la risposta pronta e la capacità di insinuarsi lì dove era impossibile agli altri.
«Ne siete sicuro? Dove avete le prove che la denuncia riporta?» Disse infine Ludwig. Era vero: non avevano alcun tipo di prova e per lui era più che chiaro che si stessero approfittando della questione per manipolare Silas.
Il tenente rimase spiazzato dal fatto che Ludwig avesse trovato la denuncia.
«Sono sicuro che mio figlio vi ha detto tutta la verità. Chi altro è stato prelevato per questa falsa?» Domandò Ludwig, sapendo che Lothar era sempre al fianco di suo figlio.
Forse, in quel caso avrebbe dovuto addirittura ringraziarlo: aveva come il sospetto che, essendo il loro un gruppo di rivoluzionari, si sarebbero protetti vicendevolmente, senza contare che Lothar non gli aveva mai dato l'impressione di essere un traditore.
«Lothar Schröder.» Avrebbe dovuto aggiungere la parola signore alla sua risposta, ma il disprezzo nei confronti di Ludwig glielo impediva. Desiderava distruggerlo e un giorno lo avrebbe fatto, perlomeno così continuava a dirsi. «Colonnello, voi non potete difendere vostro figlio: è colpevole.» Si fece avanti, ormai certo di aver perso quella battaglia.
«Non ha riportato nessun segno di colpevolezza in entrambi i casi: mio figlio è controllato. La stessa scuola che frequenta si è presa la briga di contattarmi il giorno della rissa per dirmi che uno studente aveva aggredito il mio secondo figlio; quindi, tenente, se ci tenete al vostro posto e non volete essere spedito in qualche paese dell'est, vi consiglio di lasciar andare mio figlio e il suo amico.»
Il tenente non poté fare altrimenti, costretto dalla rigidità delle parole e dell'autorevolezza altrui, perciò lo lasciò andare e Ludwig si rammaricò solo di non poter aiutare Silas: in quel momento, anche se la sua bocca doleva a causa dello schiaffo, non potevano mostrare nessun tipo di debolezza o gentilezza; eppure, usciti dalla stanza, il colonnello gli porse silenziosamente un fazzoletto e lo guardò in modo da poterlo fulminare sul colpo.
«Non pensare che sia finita qui, a casa facciamo i conti, ragazzino.» Schietto e conciso gli comunicò le sue intenzioni; allorché la sua preoccupazione virò appena, concentrandosi su Lothar, ma spingendo oltre lo sguardo, Ludwig notò che anche il padre di quello era stato chiamato e al momento era proprio lì, a umiliarsi di fronte al sergente maggiore.
«Speriamo che vostro figlio non si immischi più in certe faccende. Stavolta abbiamo capito che era innocente, ma la prossima volta non saremo così clementi.»
«Certamente, avete ragione.» Il padre di Lothar era rimasto tutto il tempo con il capo chino come per ringraziare l'ufficiale che aveva risparmiato suo figlio, prendendosi ogni tipo di lamentela riguardo il suo comportamento, ma s'un tratto venne riscosso dalla sua supplica sotto il suono dell'attenti in cui si erano messi sergente maggiore e le due sentinelle.
«Posso parlare con vostro figlio?» Chiese il colonnello al padre di Lothar che, d'altro canto, raggelò per un istante.
Non conosceva Ludwig e non poteva immaginare le sue intenzioni, sperava solo che fosse clemente, visto che, a quanto gli aveva detto Lothar, andava spesso a studiare a casa sua con Silas.
«Prego, fate ciò che dovete», gli rispose, volgendo successivamente lo sguardo verso Lothar per accertarsi che anche lui sapesse cosa fosse giusto fare; così seguì Ludwig, andandosi ad appartare in un angolo affinché nessuno potesse sentirli.
«Ascoltami bene, Lothar: il nostro primo incontro non è stato tra i più piacevoli e non ti vedo di buon occhio, ma sono certo che oggi hai contribuito a salvare la vita di mio figlio. Ho un debito con te, sappi che potrai contare sul mio aiuto.» Lo guardò fieramente, conscio del fatto che Lothar non fosse uno stupido e che avrebbe capito e apprezzato le sue parole.
«Salverei sempre la vita a vostro figlio, mi è molto caro», rispose lui, altrettanto convinto e fiero.
«Per questo te ne sarò sempre grato», fece Ludwig; allorché l'altro poté giurare che sul viso del colonnello si stesse increspando su sorriso.
Lothar aveva appena avuto la conferma che Ludwig era davvero come lo descriveva Silas e aveva capito che l'amore che provava per i suoi figli era immenso.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top