1 - Tell Them Not to Fear No More

Canzone: The Masterplan, Oasis.

Uscii di casa come ogni mattina, il cappotto scuro che mi riparava dall'aria gelida e frizzantina e un grosso piccone sulla spalla. Lanciai un'occhiata lugubre al luogo dove abitavo: le case di un deprimente colore grigiastro con minime variazioni, i sacchi di spazzatura agli angoli delle strade, il fumo scuro delle industrie che invadeva il cielo già uggioso...

Bussai alla porta subito dopo la mia e mi appoggiai al muro scrostato mentre aspettavo. A quale dei miei amici avessi bussato non faceva alcuna differenza, le nostre case erano tutte identiche, omologate nel piccolo quartiere industriale che era la nostra sede da sempre.
Dalla porta gialla fece capolino la bellissima moglie di Phil, una donna esile dai lunghi capelli color del miele. I suoi due bambini le corsero intorno alle gambe mentre lui salutava la moglie con affetto. Tuttavia quando si voltò e chiuse la porta il suo volto pallido era cupo come sempre.

"Deve piovere, soffocheremo nelle cave." Borbottò una voce profonda dalla terza villetta a schiera. Era Josh, con la sua inconfondibile coppola sul capo e un piccone in mano.

"Non è la giornata degli stipendi? Ci devono dare i nostri soldi!" Esclamai io, sconcertato ed inorridito da quella funesta notizia, siccome quando di solito ci consegnavano la paga non eravamo tenuti a lavorare. Mi interruppi solo per osservare Tony sbattere la porta con violenza, urlando qualcosa alla moglie. Mi parve quasi di vederla, con il loro bambino avvolto in alcuni stracci che lo riscaldavano. Piangeva.

"Non te lo hanno detto? Arriveranno fra una settimana" mi rispose a mo' di saluto, infilando il suo piccone in un grande sacco di tela, tutto sporco e strappato.

"Una settimana? E come faremo? Voi avete una famiglia, ed Henry con le sue medicine? Vi siete dimenticati che è da tre dannate settimane che è a casa malato?"

Il rancore e l'amarezza mi erano uscite di getto in quelle parole. Josh mi tirò uno schiaffo in pieno viso. Era la prima volta che lo faceva, anche se spesso ci rimproverava.

"Charles, prega Dio che ce li diano, quei soldi!" Sbottò. Nel frattempo Tony era già partito alla volta della miniera e Phil guardava il cielo plumbeo, convinto che sarebbe piovuto di lì a poco.
Ci mettemmo in marcia, camminando quasi come fantasmi nelle strade già piene di auto e persone che passeggiavano, le spalle curve sotto il peso dei nostri attrezzi.
Era ancora molto presto, ma il traghetto che ci portava al lavoro era spesso in ritardo e per di più il tragitto durava una mezz'ora abbondante.

Tony lanciò uno sguardo acido ad un barbone che lo fissava implorante, come per chiedergli anche solo un penny. La siringa che aveva usato per chissà cosa giaceva nascosta dal suo logoro pastrano. Io sbuffai e gli lanciai un'occhiataccia. Lui mi rispose con un gesto poco educato.

Giunti sul ponte della piccola imbarcazione, mostrammo al conducente i nostri pass lavorativi e ci sedemmo in un piccolo gruppo di panchine scolorite, che davano sul fiume scuro, carico di schiuma. Josh prese un sassolino in mano, lo soppesò e infine lo tirò fra le ondine impetuose, creando una serie di cerchi concentrici nell' acqua.

"Una nave di speranza. Come no" lesse Phil dal giornale che solitamente portava arrotolato in tasca. Ci mostrò la pagina ed aggiunse: "I nostri soldi potrebbero essere finiti nel rinnovo di questa nave, chi lo sa."

"Non è servito a molto, il rinnovo" commentai, rivolto al lugubre scafo scrostato che si affrettava a salpare. "È lurida e distrutta come sempre"

"C'è il circo?!" Tony soffiò via un ricciolo castano che gli era caduto sugli occhi e strizzò lo sguardo, interrompendo gli amici. In lontananza aveva visto una serie di piccole tende molto colorate. "Fanno davvero ancora il circo, qui?"

"Non è un circo, idiota" ribatté Josh. "È solo quel lavoratore che se ne va, con il suo bel vestitino pulito e la sua ricerca di libertà!" Spiegò con disprezzo.

Io grugnii in mio disappunto e ripresi in mano il piccone, attirando i miei tre compagni.

"Non siamo arrivati" obiettò Phil guardandomi con i suoi occhi verdi.
"Lo so, lo so" presi il sacco di tela e lo gettai sulle spalle, cercando di alzarmi il bavero fino al mento. "Sto morendo di freddo."

Tony allora si sfilò il giubbotto scuro e me lo fece scivolare addosso. Ero basito.

"Sai che io ho sempre caldo" disse con semplicità, il volto rivolto al paesaggio circostante. "Basta che me lo riporti quando fa davvero freddo."

La nave attraccò nel piccolo porto dell'isoletta, facendo come al solito un discreto fracasso. Le enormi pile di carbone che minavamo luccicavano in risposta al flebile riflesso delle acque tortuose del fiume. L'imbocco della cava non era che un buco abbastanza grande da passarci in due contemporaneamente, buio come poche altre cose al mondo.
Prima di andare a lavorare passammo dagli spogliatoi per infilarci tuta e caschetto. Da quando c'era stata la crisi i padroni della miniera non si fidavano più a lasciarci gli indumenti lavorativi. Qualcuno avrebbe potuto bruciarli o farne coperte, chissà.
Josh e Bucky, un nostro collega, non avevano ancora trovato il modo di intascarsele.

Risparmiammo il fiato per entrare nella cava, a due a due. Solitamente passavo con Phil, ma stavolta il più grande dei quattro mi tenne indietro.

"Charlie, ti prego, oggi in cava non parlare di soldi o stipendio." Bisbigliò, con espressione triste.
"Va bene, Jo. Se ti fa stare meglio me ne starò zitto" promisi, ma quando pronunciai quelle parole la mia voce mi suonò fredda, metallica. Decisi quindi di introdurmi in quel piccolo inferno senza proferire ulteriore parola.

Eccola lì, la nostra piccola dannazione eterna: l'aria soffocante, davvero poco respirabile, e le luci soffuse delle torce che diffondevano sulle pareti diseguali una luce tremolante e poco rassicurante. Phil era già sul fondo a scavare, Tony sul lato destro, su un cunicolo appena aperto. Io mi dedicai all'angolo di sinistra; Josh rimase qualche secondo in piedi sull'entrata, soppesando la situazione, poi abbassò il capo e iniziò anche lui a picconare.
"Come mai c'è così tanto silenzio?" Domandai all'improvviso, facendo addirittura vibrare le luci. "È strano essere da soli qua dentro."

"Siamo gli unici a non essere andati a festeggiare quel tizio, Charlie" il paio di occhi di Tony brillò da sotto la fuliggine che gli ricopriva completamente il viso. Josh si sistemò meglio il caschetto lasciandone scivolare fuori i ciuffi corvini, mentre sbuffava.
Lavorammo una buon'ora, in poco scavammo una montagna di carbone. La fatica era ricompensata dalla musica che ascoltavamo: il ritmico ticchettio del metallo sul minerale.

Stavamo continuando a svolgere il nostro compito, quando sentimmo un distinto grido dal fondo della miniera.
"Non ce la faccio più! È la quarta dannatissima caverna che mi cade in testa!!"
"Phil?" Borbottai, avvicinandomi cauto al tunnel, seguito in breve dai miei amici.
L'uomo era seduto contro la parete finale, una piccola frana che gli spingeva contro. Aveva lanciato lontano il suo caschetto: infatti lottava per trattenere lacrime di rabbia che alla fine divennero righe salate sulle sue guance.

"Philip, datti una calmata, adesso ti liberiamo" lo blandì Tony, smuovendo con circospezione la frana. Ma il minatore non dava segno di volersi rilassare.
"Sono stufo, non ce la faccio più! Non riesco più ad andare avanti così! Preferisco morire!" Gridò. La prima cosa che Josh fece fu farlo alzare in piedi e dargli un rude ma affettuoso abbraccio, io invece ero rimasto impietrito.
"Allora, siccome stiamo lavorando solo noi, ci meritiamo almeno oggi una pausa. E vi faccio fare un gioco." Ordinai riscuotendomi dalla trance. Phil si sedette fra me e Tony; quest'ultimo gli poggiò una mano sulla spalla.

"Dovete dirmi cosa vorreste essere. Vi fa schifo questa vita, giusto? Allora che vita vorreste avere?" Chiesi, lasciando che fosse il silenzio a parlare subito dopo.

"Beh, io..." il castano parve imbarazzato.
"Tranquillo" dissi.
"Io...vorrei lavorare in radio. E avere una casa con la televisione che funziona sempre, così che Natalie e Sam si possano divertire. E con i soldi per prima cosa comprerei dei vestiti caldi e il riscaldamento, così il piccolo non soffrirà più il freddo" raccontò, gli occhi persi nel bagliore della luce.

"Ok. Voi?" Mi sentivo carico di determinazione. Per troppo tempo avevamo vissuto una vita triste e misera: il primo modo per risollevarla era capire cosa desiderassimo.

"A me piacerebbe lavorare in un ufficio come dice sempre Bucky" sorrise Josh, la coppola che gli cadeva di lato. "Avere una camicia veramente bianca e le scarpe lucide, con quella stupida ventiquattrore che in realtà non contiene mai nulla..."
Ridemmo tutti alla stupidità che aveva appena detto, leggeri come piume.

"Invece sapete no che a me piace cantare, vero?" Phil ci fissò gelido per controllare che non stessimo ridendo. Effettivamente cantava spesso, ma la maggior parte erano ninna nanne per i suoi figli.
"Ecco, so che molti operai cantano... ma non nei cori della chiesa o roba così. In quei gruppi di quattro casinari" sventolò una mano per indicare ciò di cui stava parlando. Personalmente non capii di che stesse parlando, ma mi trovai d'accordo.

"Bene, volete che questi sogni si avverino?"
"Aspetta un momento, prima di fare il filosofo" scherzò Jo, tornando serio. "Ma tu, tu cosa vuoi diventare?"

Mi avevano colto alla sprovvista. Non avevo mai pensato a delle alternative, non avendone. "Con voi voglio essere sincero. Non ne ho idea" rivelai, riprendendo subito la parola.
"Ma prima che Jo mi interrompesse, stavo dicendo che se vogliamo raggiungere questi obiettivi non dobbiamo mai mollare. Dobbiamo crederci fino alla fine" mi alzai in piedi, il piccone fra le mani.

"Si, porca miseria!" Esclamò Tony.
Con quel pensiero fisso nel cervello, tutti e quattro facemmo il doppio del nostro solito quantitativo di lavoro, fino a che non giunse il momento di uscire.

Mi stavo arrampicando sull'uscita quando udii uno scalpiticcio e guardando di sotto, vidi con la coda dell' occhio Tony accasciato per terra.

"Ton, che diavolo ti è successo? Ti sei fatto male?" Strillai per farmi sentire.

"Ti prego, dammi una mano a salire" pigolò con voce sottilissima.
Scesi le ripide scalette di pietra e lo aiutai a rialzarsi. Aveva preso una storta davvero brutta e ogni volta che poggiava il piede a terra non poteva fare a meno di gemere per il dolore.
"Piano qui, così" lo tranquillizzai. Mi parve quasi di soffocare sotto il peso suo e del mio piccone sulla schiena, ma riuscì a farlo uscire.
Alla luce del sole mi accorsi di quanto fosse spaventato: sotto la patina nera sul volto aveva gli occhi lucidi, era sudato e in qualche modo pareva congestionato.

"Tony? Aspetta, questo lo tengo io" Josh gli prese il piccone che portava sulla schiena e lo pose sull'altra spalla, piegato in due e carico come un mulo. Io e Phil lo aiutammo a camminare fino al traghetto e poi fino a casa.

"Voi quattro! Le tute devono tornare agli spogliatoi! Volete un ripassino delle regole?" L'acida voce del supervisore ci colse da dietro. Phil si sporse e gli fece un gestaccio. Mi affrettai a dargli un tirone per costringerlo ad andare più veloce.
Stavo ridendo come un pazzo.

La gioia che per poco mi aveva pervaso durante quella specie di rocambolesca fuga svaporò quando i primi goccioloni iniziarono a cadere dal cielo. Eravamo quattro poveracci: a vederci, uno che quasi crollava sotto il peso che portava sulla schiena e altri due che sostenevano il terzo, fradici come pulcini, passanti nelle più piccole e malfamate viuzze con i simboli dell'anarchia sui muri scrostati, c'era veramente da vergognarsi.
Sulla porta di casa c'erano sia Natalie che Jenny, entrambe sorridenti per il ritorno dei mariti. Anche la loro felicità se ne andò quando ci videro trascinare Tony praticamente in braccio.
"Ha preso una storta" spiegò rapidamente Josh, poggiando i picconi contro il muro. Dal canto nostro, aiutammo la donna a portare il marito in casa; lui era troppo preso dal dolore.

"Ragazze, noi andiamo a trovare Henry" annunciò Phil, lasciando una leggera carezza sul volto di Jenny.
"Sì... arrivo anche io, aspettatemi" borbottò l'infortunato, tentando di rimettersi in piedi.
"No, rimani qui" lo bloccò Jennifer. "Finché non ti mettiamo un po' di ghiaccio non ti faremo stare in piedi. Henry lo andrai a trovare un'altra volta." Si allontanò per prendere la borsa del ghiaccio, e Natalie si limitò a dire: "Salutatecelo".

"È permesso, Henry?" Bussò il più grande di noi, stretto sotto la tettoia. Ad aprire fu Melanie, la fidanzata del nostro amico.
"Ciao ragazzi! Grazie mille per essere venuti!" Ci accolse gioviale, facendoci entrare e conducendoci alla camera del nostro amico.

Era lì, seduto fra le coperte sottili: stava molto meglio dei giorni precedenti, aveva ripreso la sua carnagione accesa e gli occhi violetti erano vispi come non mai.

"Ciao, è andato tutto bene oggi?" Sorrise, poggiando sulla stoffa del copriletto il giornale spiegazzato che stava leggendo.

"Sì, tutto bene" Phil aveva gli occhi persi nel vuoto e le sopracciglia aggrottate. Intuì subito a cosa era rivolta la sua mente.

"Henry, oggi in cava abbiamo pensato ad un fatto. Se tu potessi avere una vita bella, come la vorresti davvero, quale sarebbe questa vita?"

"Ma Charlie" ribatté con espressione enigmatica. "A me questa vita va già benissimo così!"

"Anche se ci pagano poco, ci spacchiamo la schiena a minare carbone e i vostri figli muoiono di freddo?" Aggiunse Josh con ironia.

"Quello non conta. Conta chi hai di fianco. Io ho una stupenda ragazza, degli amici, un figlio... cosa potrei volere di più?"

"Aspetta un momento... un figlio, hai detto?!"

"Sì" Mel raggiunse l'uomo e si sedette di fianco a lui, stringendogli la mano. "State per diventare zii, di nuovo."

"Congratulazioni!" Esclamammo tutti e tre, alzandoci in piedi per abbracciare Henry.

"E fra un paio di giorni tornerò a lavorare, non siete contenti?" Una giornata partita in un modo così orribile era diventata di colpo un concentrato di stupende notizie.

"Ok ok, però prima riposati ancora. Noi togliamo il disturbo" Phil abbracciò ancora una volta i due amici, seguito a ruota da noi.

Usciti dall'appartamento di Henry e Melanie, ognuno tornò a casa propria per mangiare e dormire.

Al buio della notte, l'insonnia che mi trascinava fra le lenzuola, pensai a quella infinita giornata.
E mi tornò alla mente quel discorso, quella domanda di Josh: "Ma tu, tu cosa vuoi diventare?"
Ero preoccupato, perché come avevo risposto, non avevo bene idea di cosa fare. Ero spaventato un po' dal fatto che i miei amici se ne andassero e io rimanessi da solo in quella buia città, con il mio pesante lavoro di minatore.
Con quei pensieri non proprio confortanti, mi addormentai.

Cinque Anni Dopo◾

"Hey giovanotto! Rallenta un po' con quel trabbicolo, tuo padre non sarà contento se ti schianti!" Esclamai, rivolto al piccolo Samuel. Stava guidando la sua nuova biciclettina rosso fuoco a zig zag, ma nel bel mezzo della strada.

"Sì, zio Charlie" Mi rispose il bimbo rapido, quasi per evadere l'affermazione. "Che fate di bello al lavoro oggi?"

"Usciamo due ore prima" spiegai, affiancandomi alla bici del bimbo, che mi seguiva per il tragitto fino alla cava.

"Perché?"

"Perché sono il responsabile, lo sai" ridacchiai, dando una leggera pacca sulla spalla di Sam.

"Sì, sei bravissimo" Mi sorrise lui, il volto aperto e gentile identico al padre.

"Bene, Sam, ti lascio. Non fare tardi a scuola, mi raccomando!" Lo salutai, infilando una viuzza stretta.

"Certo! E tu controlla che il babbo lavori bene!" Si raccomandò il ragazzino, sistemando il casco in testa, diretto alla scuola.
***
"Buongiorno capo!" Lo salutò una figura bionda abbastanza riconoscibile: Henry in cinque anni era rimasto pressoché identico.
"Ciao, Hen" Charlie gli diede una pacca amichevole. "Vado in ufficio a fare una telefonata, poi torno subito. Oggi lavoriamo due ore in meno"

"Certo, dico con gli altri di cominciare già!" Fuggì via, il caschetto che gli traballava sul capo e il piccone stretto in una mano.

Raggiunsi il mio piccolo ufficio, arredato in modo semplice: una scrivania, una poltrona e una serie di libreria tutt'intorno. Perlomeno avevo un telefono fisso dall'aria antiquata, con cui composi un numero.

"Pronto? Sto cercando Josh Endssom, qualcuno sa se è lì?" parlai rivolto all'apparecchio. Il mio interlocutore era una giovane donna, quasi di certo una segretaria.

"Sì, glielo passo." Sentii una sorta di distacco, poi la voce profonda del mio vecchio vicino di casa si rifece sentire.

"Hey Charles! Hai sentito Phil, di recente?" No, non lo avevo sentito, era in tour con un gruppo di "quattro casinari", li aveva definiti lui stesso così.

"Effettivamente no, ma lo vedo spesso al telegiornale" ammisi. "Dovresti sentire come ne parlano alla radio!" Le interferenze di un apparecchio radiofonico che tornava in vita vennero trasmesse anche attraverso la chiamata.

"Buongiorno gentili signori e signore! A parlarvi è Tony Halliday, vostro per oggi. Le principali notizie sono..." A quel punto Josh abbassò appena il volume, rendendomi impossibile ascoltare le parole del mio vecchio amico.

"Charlie, scusami, ma devo tornare a lavorare. Qui in ufficio non ti concedono nemmeno il tempo di una telefonata!" brontolò, salutando però con affetto l'amico. 

Erano distanti, ma la loro duratura amicizia si faceva ancora sentire. E così non era solo fra Charles e Josh, ma anche con Tony, Phil ed Henry. Quel giorno, iniziato come tanti altri, gli aveva fatto capire cosa volesse veramente dire credere in qualcosa.

"Dance if you want to dance
Please brother take a chance [...]

Please brother let it be
Life on the other hand won't make us understand
We're all part of the masterplan"

The Masterplan, Oasis (1995)

*Spazio Autrice*

Ve la aspettavate questa cosa?

Ogni lunedì pubblicherò una piccola storia tratta da un canzone, in base alle sensazioni che mi ispira. Non so se lo farò, ma quasi quasi farò un libro dedicato.

Per cominciare abbiamo The Masterplan, canzone meravigliosa degli Oasis (E chi sennò?!). Grazie al video e alla tristezza che mi trasmette, forse perché è sul finale del trailer del film Supersonic, mi è venuta in mente questa storiella strappalacrime. L'idea era carina, ma sinceramente non mi convince :'')

C'è pure il disegnino, lo farò per ogni capitolo.

Che canzoni dovrei fare la prossima volta? Pensavo o Staying Power dei Queen o Bullet With Butterfly Wings degli Smashing Pumpkins. 

Consigliatemi voi!!!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top