Capitolo 2

Sedevo ammanettato a una sedia, in una stanza vuota, davanti a un tavolo vuoto. Fissavo il muro davanti a me da alcuni minuti. Anche qui pareti bianche e asettiche. Aspettavo.

Quell'attesa mi snervava, nella mia testa milioni di pensieri si accavallavano. Chi era Carlos Santiago? Come potevo essere lui? E, soprattutto, perché ero lì?

Con un rumore sordo la porta venne aperta. Si immise una giovane donna vestita in modo elegante, con una borsa in spalla e una piccola cartella sotto il braccio. Teneva in mano due bicchieri di carta fumanti. Ne poggiò uno sul tavolo.

«Io sono Madeleine Johnson, dello Studio Harrison&McLean. Sono il suo avvocato, signor Santiago».

«Io non ho un avvocato, e non sono Santiago», rimarcai con convinzione.

«Il nostro Studio è stato incaricato dalla Procura per la sua difesa», allungò verso di me il recipiente che teneva in mano. «Caffè?»

Guardai i polsi legati alla sedia.

Lei seguì i miei occhi e notò le manette. Impallidì notando la gaffe.

«Mi scusi», disse, «non pensavo fosse ammanettato».

«Dicono che sono pericoloso», feci spallucce.

Dopo un attimo di esitazione la donna fece il giro del tavolo e, ponendosi alla mia destra, mi portò il bicchiere alle labbra. Mandai giù il primo sorso della fragrante bevanda, quasi in estasi. Poi l'avvocato si accomodò dinanzi a me.

«Dobbiamo preparare la sua difesa, signor Santiago».

«Le ho già detto che non sono Santiago».

«Senta, questa stanza non ha microfoni. Tutto ciò che mi dirà resterà tra di noi. Sa, il famoso vincolo del segreto professionale», disse ammiccando.

«Non sto mentendo. Io non sono Carlos Santiago».

Cercavo di mantenere la calma, ma sentivo il battito cardiaco aumentare e il tremore sopraggiungere.

«Allora mi dica il suo nome».

«Lo ignoro. I miei ricordi iniziano il giorno del mio arresto. Della mia vita precedente la memoria mi lancia solo immagini confuse».

«Forse crede che questo atteggiamento le servirà a farsi concedere l'infermità mentale?» Mi guardò duramente. «Non serve far credere che lei sia pazzo o che soffra di doppia personalità, per cavarsela. Lei è accusato di numerosi reati, tra cui l'omicidio di un agente federale. Quindi, signor Santiago, o come diavolo vuol farsi chiamare, è meglio che cominci a dirmi la verità. Altrimenti niente e nessuno potrà evitarle la pena di morte».

"Pena di morte? Omicidio?"

«Sto dicendo la verità!» sostenni per l'ennesima volta. «Non ricordo come mi chiamo, ma so di non essere Santiago».

«Questo è impossibile. Come può non conoscere il suo nome, ma sapere al contempo di non essere Santiago?»

Continuava ad attendere una risposta, ma io non avevo più nulla da dire a mia discolpa.

«Se questa è la sua linea di difesa, non so se accetteremo l'incarico».

«Non è una linea di difesa. È la stramaledetta verità! Non so cosa sia successo, sto cercando, mi sto sforzando, sto provando a ricordare per non impazzire», abbassai lo sguardo. «Ma non trovo niente. Sarebbe molto più semplice dire a tutti che sono Santiago, ma non sarebbe vero».

Avevo gli occhi gonfi di lacrime. «Giuro che la faccia che vedo allo specchio non è la mia».

La dottoressa restò in silenzio per qualche minuto, poi chiamò la guardia che mi liberò dalle manette. Mi mise davanti una matita e un block notes.

«Scriva la sua storia».

«Cosa?» chiesi stupito.

«Ciò che mi ha appena raccontato. Tutto quello che ricorda, qualunque cosa le venga in mente. Come era il suo aspetto, ad esempio».

Iniziai a scrivere.

"Avevo folti capelli, barba e baffi, avevo una dentatura sana, senza capsule, non avevo cicatrici o tatuaggi da nessuna parte..."

«Si fermi», ordinò, «mi dia il foglio».

«Ma non ho ancora finito», obbiettai.

«Per oggi sì», disse lei, «continueremo domani».

Mi strappò dalle mani il documento e lesse con la fronte corrugata, come fosse in preda a un'improvvisa preoccupazione. Raccolse velocemente le sue cose e fece per uscire. Mi guardò come se mi vedesse per la prima volta.

Ero sbigottito. Cosa aveva provocato quell'enorme cambiamento nelle sue reazioni?

«Ci vediamo domani», disse in un sussurro, e si defilò lasciandomi nella stanza vuota.

Le guardie mi riportarono nella solita cella. Percorremmo corridoi angusti fino a raggiungere una porta di ferro spalancata, pronta a richiudersi alle mie spalle. Quella scatola di cemento sarebbe diventata per sempre la mia dimora? Stesse mura, stessa branda.

Stesso specchio.

Entrai con un profondo senso di angoscia. Sedetti nel lettino, mentre l'inspiegabile espressione dell'avvocato iniziava a perseguitarmi.

"Sono Carlos Santiago!

No, non posso essere lui...

Allora chi sono? Se non sono Santiago allora sono pazzo!

No! Non voglio esser pazzo... il volto che vedo nello specchio a chi appartiene? Se è il viso di Santiago, allora sono lui... no!

Non sono Santiago... chi sono io?"


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