L'arresto

«Non starai esagerando col caffè?» Giusy si stirò e guardò perplessa il collega che si scolava la seconda borraccia.

«Parla la bella addormentata, non devi fare due turni dietro fila tu!» protestò Catalano pulendosi la bocca col bordo della mano. Erano parcheggiati da più di due ore nel mezzo della boscaglia a quasi un chilometro dalla strada sterrata. Avevano coperto l'auto coi rami e spento le luci. Era stato Catalano ad individuare il punto di osservazione: Giusy doveva ammettere che aveva occhio. Non era il suo primo appostamento, certo, ma la sicurezza con cui si era mosso Catalano l'aveva fatta sentire un po' una matricola.

Osservava persa le ombre degli alberi sulla strada sterrata davanti a quella barcaccia dalla sagoma scura e minacciosa: le sembrava una balena aggrappata al fiume.

Catalano appoggiò il bricco e si perse a osservare la barcaccia. «Sai cosa mi fa più impazzire? Perfino quel vecchio sa che la droga è lì e più ci penso più so che ha ragione.»

«Quanto conosce Carsi? Abbastanza da prevederne le mosse?»

«Quei due ne hanno fatte di cotte e di crude, ma questa volta qualcosa è cambiato. Lo Cascio l'ha lanciato al patibolo e questo mi ha terrorizzato più di qualsiasi minaccia. Non so come finirà, non ho buoni presentimenti. Ho paura per il brigadiere.»

Giusy corrucciò la fronte. In effetti non aveva risposto ad alcuno dei suoi messaggi sul caso e nemmeno all'ultimo che gli aveva mandato che non era affatto professionale. L'incontro con Lo Cascio doveva averlo turbato. «Fabio sa quello che fa.»

«Ah, siamo già passati a Fabio?»

«Intendevo Lanciani, che c'entra? L'ho detto solo perché eravamo io e te» Gli tirò un buffetto sulla spalla fingendo di essersela presa per la sua allusione.

Catalano la studiò per un attimo, poi pensò di avere le traveggole: Lanciani sapeva quanto era pericolosa una relazione all'interno della squadra nel mezzo di un caso del genere ed era impossibile ci fosse caduto. Gli avvocati della contro parte ci sarebbero andati a nozze e quando l'accusato era uno come Carsi, il brigadiere non avrebbe mai rischiato. Sospirò perdendosi a guardare la notte: diverse nubi stavano viaggiando sul canale oscurando a tratti la luna. Prese l'ultimo involtino primavera dal sacchetto da asporto. «Lo Cascio era convinto che la droga fosse qui. Ha detto che sarebbe il posto perfetto perché ha tre punti di fuga.»

Giusy lo guardò curiosa e benedisse la sua buona stella: Catalano per fortuna aveva cambiato argomento. «Ha ragione! Strada, fiume, ciclabile. Il canale però da qui non lo vediamo.» Catalano alzò le spalle perplesso. «I sigilli li hai controllati?» Era la seconda volta che lo chiedeva: era molto nervoso evidentemente.

«Sì, certo, come mi hai chiesto, tutti intonsi.»

«Con quei due ho imparato a diffidare di ogni cosa, sono più furbi del diavolo» disse gettando la carta nel sacchetto.

A Giusy venne da ridere.

«Che c'è?» Catalano la fissò contrariato.

«Siamo nel bel mezzo del nulla, al caldo, in una macchina con l'aria condizionata spenta, nascosti dalle frasche con le pistole nelle fondine e ti preoccupi della differenziata.

«Cosa vuoi? Mia madre è sempre stata un'ecologista, votava verde» confessò lui ridendo.

«Quant'è che non vai giù a Potenza?» chiese Giusy dal nulla visto che il silenzio perdurava.

«Un mesetto, circa. Sono andato per Pasqua. Tu?»

«Io ho parenti sparsi per mezza Italia, devo fare un po' a turno. Per le feste sono stata da mio fratello a Parma, visto che era appena nata Irene.» Le suonava ancora strano sentirsi chiamare zia. In famiglia erano tutti impazziti per quel piccolo scricciolo vestito di rosa: piangeva come un'aquila, a dire la verità, ma quando ti lanciava uno di quei sorrisi ti scioglievi. Sua madre da allora non faceva che torturarla ricordandole che suo fratello era più piccolo di lei ed era già padre; invece, lei che era donna e aveva quasi trent'anni non aveva nemmeno l'ombra di un fidanzato. "Sempri appressu o travaggiu, stai" la voce le rimbombò in testa.

«È vero, mi ero dimenticato. Ti ci vedo come zietta, hai una foto?»

Giusy estrasse orgogliosa il telefono e mostrò l'ultimo video che le aveva mandato il fratello.

«Secondo me ti assomiglia.»

«Ma no, è tutta mia madre, si vede!» sorrise Giusy riponendo il telefono.

Catalano studiò l'orario sul display: 23:30. La Romea ormai era molto meno trafficata, vedevano distintamente il cavalcavia dalla loro posizione ed era quasi sempre buio, a parte qualche raro camion i cui fari arrivavano ad illuminare l'acqua scura. L'odore degli alberi di ulivo attorno a loro era forte. Ormai gli mancava l'aria. Abbassò il finestrino attento a non fare rumore. Giusy lo imitò pochi secondi dopo contenta di sentire entrare un po' di brezza marina: si prefigurava un'estate davvero di fuoco.

Catalano era uno dei pochi a cui non pesava il silenzio, non sentiva l'esigenza di coprirlo, semplicemente a lui non dava affatto fastidio starsene lì ad aspettare perso nei suoi pensieri e Giusy lo conosceva bene in quel senso. Con Fabio era tutto molto nuovo invece. Doveva confessare che una parte di lei aveva temuto che il suo silenzio di quel giorno fosse dovuto ad un ripensamento, ma in realtà, dato quello che le aveva detto Catalano pensava che avesse già le sue belle gatte da pelare senza mettersi in mezzo e fare la ragazzina. Erano due adulti consenzienti. Se Fabio avesse voluto pararle l'avrebbe fatto e se ci aveva ripensato, Giusy l'avrebbe capito. Ci sono momenti sbagliati... Le dispiaceva ovviamente, ma drammatizzare la situazione non avrebbe aiutato: voleva solo saperlo.

Catalano le appoggiò una mano sulla gamba: gli occhi fissi a guardare la notte profonda. Giusy trattenne il fiato e non osò proferire parole: 23:49. Vedevano una luce avvicinarsi in lontananza, sembrava danzare nel buio in maniera innaturale. A tratti spariva, forse coperta dagli arbusti e poi ricompariva.

Giusy si ricordò dell'interrogatorio dei ciclisti: "Solo un pazzo si inoltrerebbe in questi sentieri di notte". Un pazzo o uno spacciatore di droga? La luce si fermò a poca distanza dalla barcaccia e svanì.

Catalano le fece segno di scendere. Gli sembrò che il rumore della portiera che si apriva risuonasse nella valle con un eco. Dovevano fare silenzio assoluto. Si contorse nel suo metro e ottanta cercando di uscire dalla fessura della portiera senza doverla spalancare. In quei casi invidiava il fisico di Giusy, che era già scesa dalla vettura e aveva estratto la pistola. La attese nel buio. Avanzarono di alcuni passi e si acquattarono dietro un cespuglio. La sagoma fiocamente illuminata dal faro della barcaccia attivata dal movimento non dava molto adito a dubbi: Arthur Sinani. Aveva addosso uno di quei contenitori che venivano normalmente usati per consegnare il cibo. Non era il tipo di corriere che si era immaginata.

Un attimo dopo Sinani era scomparso dalla loro vista. Catalano le fece segno di seguirlo, precedettero bassi. Udivano la ghiaia scricchiolare sotto gli anfibi. Salì le scale per primo e ricontrollò i sigilli abbassando per un attimo la pistola: intonsi. Indicò a Giusy di girare dall'altra parte e si mosse rimanendo adeso alla parete facendo luce con una piccola torcia. Sentiva dei rumori, ma non riusciva a capire da dove venissero, si sporse oltre l'angolo. Parisi aveva già coperto la sua parte di barcaccia e ora guardava giù all'altezza del bilanciere perplessa. Lì non c'era anima viva. Da dove venivano i rumori?

Giusy tornò sui suoi passi: non poteva essere fuggito! Voleva controllare che la bicicletta non fosse sparita, allora si accorse con la coda dell'occhio di un'ombra che passava nel canale sotto di lei. Rimise l'arma nella fondina e scavalcò il cordolo gettandosi nel fiume addosso al soggetto. Caddero entrambi. L'albanese sbilanciato rovesciò a terrà eiettando Giusy nell'acqua bassa. Sentì la divisa appiccicarsi al corpo e il liquido melmoso che le schizzava in faccia. Il corriere perse il carico che si rovesciò nel fiume dietro di lei. Si tuffò per recuperarlo. Certamente non conteneva cibo dallo schizzo che aveva fatto, anzi sembrava essere molto pesante. Giusy non ci pensò due volte: lo prese per una gamba e lo fece cadere a terra; allora l'uomo si girò verso di lei prendendola per le spalle e gettandola sott'acqua. Sentiva il fiato mancarle, la gola bruciarle. Assestò un calciò sul ginocchio del sospettato che lasciò la presa per un attimo. Si issò a fatica piantando gli anfibi nella melma sottostante e sprofondando. Tentò di estrarre la pistola quando un grosso peso le piovve addosso. Un dolore profondo alla testa e al naso le tolse il fiato. Finì di nuovo a fondo.

Catalano era ancora sulla balconata a fianco del bilanciere quando sentì il tonfo della caduta della collega nel canale. Parisi era scomparsa, vedeva un gran trambusto in acqua. La maledisse mentalmente: un corpo a corpo con un uomo di un metro e novanta era una pessima idea! In più non era in grado di aiutarla, non poteva sparare nella mischia sperando di prendere Sinani e non lei. Non riusciva nemmeno a capire nel buio cosa fossero quei pesanti mattoni bianchi che il trafficante stava disperatamente tentando di recuperare. Con orrore vide il corriere voltarsi verso Parisi con un grosso corpo contundente e usarlo contro il suo viso della collega come un ariete. Era una mossa disperata, quanto insensata, ma pensò che dovesse fare un gran male. Il soggetto finalmente si staccò da lei lasciandola esanime nel canale. Catalano corse giù dalle scalinate atterrando in scivolata sulla strada in ghiaino. Lottò per non cadere, si mise in ginocchio, poi si rialzò e puntò la pistola contro l'uomo che aveva recuperato il suo carico.

«Non ti muovere o sparo!» Sentiva rimbalzargli nel petto, il respiro ansante.

L'albanese tentò comunque di scappare. Catalano sparò al suolo poco davanti a lui costringendolo ad arretrare verso il canale.

«Non hai scampo Sinani» disse una voce affannata dietro di lui. Si sporse un attimo prima di vedere Giusy con la faccia malconcia e piena di sangue, ma con la sua pistola puntata contro di lui. Gettò un panetto sulla riva a fianco dell'albanese, probabilmente recuperato dal fiume. Ora che la vedeva più chiaramente non aveva dubbi: era droga. Non riuscì a trattenere un ghigno di soddisfazione. Costrinse Sinani a mollare il carico e inginocchiarsi con le mani alzate. Non appena l'uomo bagnato fradicio e col volto graffiato e pesantemente segnato dalla colluttazione con Parisi si inginocchiò, non perse tempo e lo ammanetto.

«Arthur Sinani la dichiaro in arresto per manomissione di prove, spaccio di stupefacenti, resistenza a pubblico ufficiale»

Giusy abbassò la pistola e sputò sangue a terra. Aveva il naso completamente fratturato e livido. Teneva la bocca aperta come un pesce in cerca di ossigeno ed era piegata in due a pochi passi dalla riva.

«Dov'è la droga?» chiese verso l'albanese. Il corriere scosse la testa rimanendo muto. Parisi prese il panetto da terra e poi venne verso di lui. Glielo sventolò davanti alla faccia e ripeté la domanda irritata.

«Parisi, non importa, crollerà in centrale.»

«Col cavolo» Giusy arrabbiata tornò decisa nel canale seguendo le orme del terrorista. Individuò la sua torcia che galleggiava nell'acqua melmosa. L'afferrò e svanì dietro la barcaccia.

«Parisi dove vai?» urlò Catalano.

«Tu pensa a quell'uomo, io alla droga.»

Catalano respirò a fondo e si sgranchì le mani per normalizzare il battito del suo cuore. Quindi prese la ricetrasmittente e notificò alla centrale dell'arresto. Disse che avevano bisogno di rinforzi e di un'ambulanza.

«Agente ferito al volto» riferì soltanto o comunque Giusy non udì di più. L'acqua le arrivava ben oltre la cintola e sprofondava con gli anfibi nella melma sottostante, si aggrappò alle palafitte del bilanciare e studiò lo scafo della barcaccia. Si sentiva un po' stordita; il naso non smetteva di sanguinare e pulsava, ma non voleva darsi per vinta. Infine, vide una botola parzialmente coperta dal livello del canale. Tastò con le mani, ma c'era un pesante lucchetto. Tornò sui suoi passi decisa.

«Dammi le chiavi» disse rivolgendosi all'albanese.

Lui scosse la testa impaurito.

«Voglio quelle chiavi!» gli urlò contro agitata puntandogli la pistola.

«Parisi che stai facendo?» Catalano allontanò il sospettato da lei.

«L'ho persa, ok? Non ce l'ho più, è finita nel fiume» rispose l'uomo stordito.

Catalano sospirò rinfrancato, ma Giusy sembrava una furia: non riusciva a calmarsi.

«Parisi, non ti preoccupare, la scientifica troverà la droga!»

«Portalo in macchina» ripeté Giusy tornando nel fiume.

«Parisi!» le urlò dietro Catalano, poi scalciò la ghiaia scocciato.

Si sarebbe fatta ammazzare quella ragazza se non si dava una calmata. Spinse l'albanese verso la macchina. In lontananza si sentivano le sirene che si avvicinavano sulla Romea. Giusy si aggrappò nuovamente al pilone, incastrò la schiena contro di esso, prese un bel respiro e sparò alla botola. Nella notte il colpo di pistola rimbombò come un fulmine: la serratura si ruppe e cominciò ad ondeggiare, allora Giusy guardò soltanto dentro e si mise ridere. Si lavò la faccia e tornò verso Catalano soddisfatta.

«Ci sono più di trenta chili là dentro.» disse infine mettendogli una mano sulla spalla.

Lui si voltò verso di lei stupito. Catalano consegnò l'albanese ad un altro agente e corse anche lui dietro la barcaccia. Giusy franò a terra esausta sulla riva e si perse a guardare l'acqua di quel fiume lasciando infine che il suo cuore rallentasse lentamente come un treno in corsa in vista della stazione. Ora voleva proprio vedere cosa si sarebbe inventato quel bastardo di Carsi.


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