Che dio ci aiuti!
Giusy stava correndo senza fiato guardandosi attorno perplessa. Eppure, era certa di aver visto Salvatore svoltare da quella porta. Si fermò sull'uscio: la luce filtrava a raggi dagli spifferi delle assi con cui erano barricate le finestre dell'ospedale. Quell'area era chiusa da anni: era la più spettrale e ai loro occhi di bambini anche la più irresistibile. Giusy passò la mano sopra ai raggi di luce: le sembravano i laser di un'astronave alinea.
«Vadda ca ti pigghiu!» urlò nel silenzio. Le rispose solo l'eco. Il sorriso si spense per un attimo sugli occhi della bambina. Tratteneva il fiato ascoltando il silenzio nell'aria fredda che scendeva dall'Etna imbiancato. La neve che era scesa fin sul loro villaggio quella notte sembrava aver risucchiato i rumori, i colori, il vulcano intero. Si strinse nel piumino e rabbrividì. C'era una parte di lei che aveva paura ovviamente, ma l'altra non aveva saputo resistere: fare a pallate lì dentro era quanto di meglio ci potesse essere!
«Turi*, unni si?»
Si sentirono delle risa lontane e poi dei passi attutiti. Solo allora Giusy notò la porta a vetri stranamente spalancata in fondo a quella sala. Sorrise mascherando un ghigno di soddisfazione. Uscì sulla terrazza. Le nuvole stavano ancora sbuffando in cielo sopra il pennacchio del vulcano e quel manto candido a fiocchi scendeva folto a pochi metri da lei. Se non fosse stato per la temperatura avrebbe giurato fosse cenere. In vita sua non aveva mai visto tanta neve così. Sorrise e ne prese una manata da un davanzale iniziando a preparare la sua palla.
Salvatore, intanto, si era nascosto dietro una colonna e la guardava di sottecchi. Certamente aveva già preparato un arsenale.
«Non 'nnai futtuna, Giusy!»
Lì su quel balconcino la neve era molto instabile, scivolava spesso coi piedi, ma non voleva darla vinta a Salvatore.
«Quannu saprannu ca ti mutai na 'n pupazzu di nivi, ridirannu di tia!»
«Megghiu pupazzu ca fimmina!» Il bambino uscì finalmente allo scoperto tirandole una pallata dritta in faccia. Giusy si fece prendere un attimo dal panico, tentò di aggrapparsi alle assi che sostituivano la paratia del balcone, ma il legno freddo e vecchio, coperto di neve si spezzò facendola scivolare giù.
L'urlo di lei bambina la fece rinvenire all'improvviso. In realtà nella sua testa il rumore delle assi che si spezzavano si era mischiato con un altro, molto più forte. Si stropicciò gli occhi e vide uno dei tomi che le aveva portato il commercialista di Ferrer aperto in posizione scomposta a terra di fianco a lei. Era in quella sala riunioni sommersa da quei tomi di debiti e rateizzazioni ormai da due giorni ed era crollata esausta nonostante le spettasse il turno di notte. La porta si aprì pochi secondo dopo, mentre cercava in sé la forza di raccogliere quel tomo. Si massaggiò gli occhi stupita nel vedere Fabio sull'uscio. Guardò l'orologio faticando a mettere a fuoco: cosa ci faceva in caserma alle 6:30 del mattino?
«Tutto a posto, Parisi?»
«Sì, mi scusi, brigadiere» Giusy si massaggiò la testa.
Fabio chiuse la porta dietro di sé. «Da quante ore sei su questi libri? Non hai una bella cera, sei sicura di stare bene?» Era passato al tu. Un caso?
«Ho solo un mal di testa da capogiro» confessò lei raccogliendo infine il volume da terra.
«Forse è meglio se ti prendi qualcosa e vai a riposarti un paio d'ore... È uscito qualcosa da qui questa notte?»
«Penso ci voglia un pazzo per aprire uno studio di architettura! È tutto un dilazionamento!»
«Trovato qualcuno a cui dovevano molti soldi?»
«No, piccole somme, per ora... e lei, brigadiere, cosa ci fa qui a quest'ora?»
«Dovevo rivedere la cartina degli spostamenti di Carsi anche con Chiaroni. Abbiamo un vertice al comando di Ferrara alle 9:00. In realtà non mi sarebbe dispiaciuto essere una piccola cimice questa notte e guardarti dormire su questi enormi tomi» insinuò avvicinandosi pericolosamente.
Giusy trattene il fiato. Rimase immobile con quel tomo in mano che le pesava sulle braccia, non osando nemmeno poggiarlo sul tavolo. «Fabio ne abbiamo già parlato.» Era così vicino! Non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi suadenti e sinceri, verdi come il peccato.
Lui le prese il volume di mano e lo poggiò sul tavolo. «Sono due settimane che agogno il momento in cui il tuo naso non farà più male» aggiunse prendendola per la vita.
«Se entra qualcun, siamo entrambi deferiti.»
«Un solo bacio» la pregò Fabio.
«Il mio naso è orribile.» Nascose la faccia con le mani.
«Vorrei tanto che lo fosse in questo momento!» disse Fabio trattenendo un fremito. Le prese una molletta dei capelli liberando un ricciolo selvaggio che le scivolò sul viso.
«Fai piano, però.»
Fabio le sorrise e le baciò le guance, la fronte, la faccia. Il ricordo delle sue labbra su di lei era un fremito che respingeva con tutte le sue forze da quella sera sullo scooter; eppure, quella mattina si sentiva così fragile. Forse era per quel sogno che la tormentava da anni. Stava per arrivare alla bocca, ma il telefonino del brigadiere prese a suonare all'improvviso facendoli sobbalzare entrambi. Fabio urtò per sbaglio il naso di Giusy, che si ritrasse dolorante cercando di non urlare per non farsi sentire da qualcuno in caserma, magari appena sveglio.
Fabio, dal canto suo, dopo essersi scusato, le fece segno di fare silenzio e lesse il numero della chiamata; quindi, alzò gli occhi verso di lei perplesso. Salzi? A quell'ora? Cosa voleva? Dovevano vedersi a Ferrara in poco meno di due ore.
«Maresciallo, buongiorno. La riunione è stata anticipata? Siamo già operativi...sì, Signore. Cosa? La raggiungiamo io e Chiaroni, quaranta minuti al massimo: ha detto Via Ravenna?» chiese conferma prima di chiudere il brigadiere. Alzò gli occhi allucinato verso Giusy. «C'è un altro cadavere e si tratta del nipote della anziana signora che Carsi aveva ucciso.»
«Vuoi che venga con te?»
«No, voglio che tu ti prenda un antidolorifico e vada a letto e quando riprenderai turno, vedremo. Il maresciallo ha chiesto di me e Chiaroni, hai sentito!»
«Tu hai proposto di andarci con Chiaroni.»
Fabio mise i suoi occhi a fessura fingendosi irritato. Poi inspirò e si guardò le mani. «Ho le gocce in macchina, tranquilla, andrà bene.»
A Giusy sembrò quasi che volesse convincere sé stesso più di lei.
«Devo scortarla in camera sua, Parisi?» la provocò Fabio sorridendo. Giusy scosse la testa, impilò i tomi e si diresse verso la porta.
Prima che potesse aprire Fabio le sorrise e le disse: «Mi devi ancora un bacio, non te lo dimenticare, Parisi!».
Giusy lo salutò con la mano e chiuse l'anta dietro di sé; quindi, si massaggiò la testa dolorante e si diresse al piano superiore.
Quaranta minuti più tardi il brigadiere fermò l'auto di ordinanza nella via della Carrozzeria Fanti. Sulla scena del crimine c'erano ben due pattuglie dei vigili del fuoco, ancora impegnate negli ultimi focolai, una squadra della scientifica pronta ad intervenire. Il nucleo investigativo di Ferrara era presente in pieno spolvero e la polizia locale si occupava di fermare la strada a curiosi e giornalisti.
"Un modo molto teatrale di andarsene, probabilmente non per sua decisione" pensò Lanciani scendendo dal mezzo. Chiaroni lo precedeva di alcuni passi.
Salzi era seduto su una scala all'angolo dell'edificio col cappello appoggiato a fianco a lui e una targa tra le mani. Sembrava aver visto qualcosa che non avrebbe facilmente dimenticato. Lanciani gli fece un cenno e si avvicinarono mettendosi sull'attenti. L'ufficiale in comando alzò gli occhi su di lui e gli gettò il pezzo di metallo contorto ai piedi. Chiaroni lo raccolse stupito, poi lo porse a Lanciani. Fabio invece non aveva nemmeno bisogno di leggerlo: era lì in piedi, grazie alle gocce, ma dentro il suo cuore digrignava.
«Mi può spiegare, Brigadiere, come ha fatto un evaso, con la targa segnalata ad arrivare fino a qui dai lidi, torturare e ammazzare quest'uomo, disfarsi della macchina, unica traccia che avevamo e andarsene lasciando la radio accesa al massimo volume, dopo aver mandato in fumo un capannone senza far scattare l'allarme o essere visto da nessuno?»
Lanciani rimasi in silenzio poiché, francamente, non sapeva cosa rispondere.
«Come pensa se ne sia andato? A piedi!?» L'uomo gli prese la targa dalle mani e la gettò a terra. Chiaroni fece per protestare, ma Lanciani scosse la testa. Il maresciallo aveva ragione. Carsi era sempre stato diversi passi avanti a loro e, in tutto onestà, lo avrebbe capito se gli avesse tolto quel caso.
«Signore, se vuole il nostro aiuto, siamo a disposizione.»
«Non mi servite a nulla qui, scoprite che mezzo ha preso quell'uomo! Avete una settimana per arrestarlo o tutto l'incartamento passa a Ferrara! Sono stato chiaro!»
«Sì, signore» scattarono entrambi sull'attenti. Chiaroni deglutì a stento. Non l'aveva mai visto così adirato.
«Maresciallo, c'è qualcosa che dovrebbe vedere. L'abbiamo trovata nel deposito, nascosta nell'incavo di alcuni pneumatici.» Un carabiniere del nucleo investigativo passò lui un panetto di cocaina imbustato.
Lanciani guardò quella droga colpito. Allora Vitaliano aveva ragione! Non era per 300 euro o per rubare in casa che Carsi aveva ucciso quella vecchina, era per la droga che il nipote aveva trovato nel pollaio della nonna e che invece di denunciare aveva provveduto a far sparire, nascondendola in mezzo agli pneumatici della sua officina.
Anche una chioccia diventa un drago se le portano via dalla tana i pulcini. Carsi si era vendicato ed era venuto a riprendersi la loro vecchia droga, ora che avevano messo sotto sequestro le sue scorte. La vera domanda era quanta ne aveva trovata in quel deposito? Se Carsi ora aveva di nuovo cocaina, poca o tanta che fosse, allora era pronto per la stagione estiva e questo proprio non ci voleva.
«Brigadiere, venga con me» annunciò Salzi lasciando nelle mani di un Chiaroni piuttosto stupito quel panetto di cocaina.
Lanciani seguì mestamente l'ufficiale dentro l'officina. L'odore di fumo era ancora molto forte. Presero entrambi una mascherina che diede loro un uomo della scientifica.
«Voglio che lo veda. Giuro, in tanti anni di carriera, non ho mai visto qualcosa di simile.». Si fermò davanti all'auto e gli mostrò il volto carbonizzato di Giorgio Fanti, poi inaspettatamente lo prese per le spalle. «Ti prego, Fabio, quell'uomo è senza scrupoli, agghiacciante e certamente fuori controllo. Probabilmente ha terminato farmaci e ora è una mina vagante. So che è complicato per te, lo capisco, ma credimi, se c'è qualcuno che può prenderlo quello sei tu. Sei l'unico che può prevederne le mosse.»
«Sospenderemo tutti i turni, maresciallo, questo fine settimana batteremo quei locali a tappeto, è una promessa!»
«Ottimo, brigadiere. E che dio ci aiuti!» disse battendogli sulla spalla e scomparendo verso l'esterno.
Fabio rimase per un attimo a fissare gli occhi vitrei di quell'uomo: sembrava stesse guardando l'inferno. La bocca spalancata in un fremito di agonia estrema. Lasciò dietro di sé quell'orrore conscio del fatto che il maresciallo gliel'aveva mostrato ben sapendo che non avrebbe mai più potuto toglierselo dalla testa. Mentre Chiaroni silenziosamente guidava di nuovo l'auto verso i lidi e Fabio pensava a come prendere quel trafficante, un pensiero doloroso lo trafisse: la sospensione dei turni valeva per tutti, Giusy compresa. Non poteva più continuare così! Quel fine settimana sarebbe stato l'ultimo che passava come suo superiore e questo non era più negoziabile, che prendessero Carsi o meno. Guardò la boccetta delle gocce tra le mani tremanti, poi la rimise dentro il vano porta oggetti. Doveva solo fare in modo di essere lui in prima persona ad affrontare Carsi. Ma come?
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