Alla buon'anima di Ferrer

Si era sempre sentito una boa sbattuta dal vento. Dopo tanta bile, pensava davvero di essersi meritato una possibilità di sganciare finalmente quell'ancora dal terreno dissestato dalla palude in cui era nato e prendere il largo. A cinquant'anni suonati non gli sembrava di chiedere troppo. Massimiliano Carsi studiava con le folte sopracciglia i nuvoloni che si stavano addensando sopra di lui. Leggeva il vento come un marinaio, anche se in mare non c'era mai andato, al contrario del padre. Non era stato certo quell'uomo violento e arcigno ad avergli insegnato a farlo. Ognuno si fa la sua esperienza come può. I sogni mutano, si ridimensionano. Il carcere l'aveva profondamente cambiato: oltre ad appassionarsi alla meteorologia, aveva capito che il cielo sulla testa è un bene anche più prezioso dell'oro o della droga ed era qualcosa a cui lui non era più disposto a rinunciare. Prese un profondo tiro dalla sigaretta e si massaggiò la pelata.

Sentiva le corde delle barche ormeggiate al canale di Casalborsetti stridere e strappare tirate dal vento. Odiava quella casa anonima, tinta di verde oliva come il colore di quel mare che stava brontolando all'orizzonte. Era stato Arthur a trovarla: era abbandonata da anni ed era sicura. Non avevano più molte altre possibilità, non dopo che i carabinieri avevano messo sotto sequestro la barcaccia e installato le telecamere alla sua cascina. Quel maledetto sbirro! Questa volta, però, non era colpa sua se il suo piano stava andando in frantumi. Avrebbe tanto voluto avere tra le mani gli aguzzini di Ferrer! Gettò con stizza la sigaretta a terra. A parte che era un'ottima persona... Proprio lì dovevano ammazzarlo? Gli era stato simpatico fin dal loro primo incontro: si era fermato a guardare la loro macchina sportiva fuori dallo Sphere, intanto, che aspettava Yatima staccasse.

Quella sera, mentre girava attorno all'auto stupito, gli era caduto a terra dalla sacca un tubo di cartone, sicuramente contenente disegni. Carsi aveva pensato: "un uomo vecchio stampo". A vederlo da lontano sembrava un po' un barbone con quei capelli troppo lunghi, ma aveva un sorriso sincero. Carsi conosceva Yatima da prima di finire dentro, le lasciava sempre la mancia quando la incontrava al bar dello Sphere. Se lei si fidava di quell'uomo, poteva farlo anche lui: era una brava ragazza che faceva tre lavori per mantenere suo figlio. Ce ne fossero di genitori così! Non come suo padre che si beveva sempre metà dello stipendio e l'altra sua madre doveva sottrarla con l'inganno per mandarli a scuola e mettere qualcosa in tavola. In un altro mondo, una ragazza del genere sarebbe finita sulle copertine dei giornali, ma l'Italia non era più il paese di una volta. Ferrer voleva farne la sua regina e lui non ci vedeva nulla di male. Ognuno cerca la sua felicità come può.

Aveva scoperto in fretta, quella sera, che Ferrer aveva bisogno di soldi e che non poteva chiederli alla banca. Non gli aveva mai chiesto a chi li dovesse e per quale motivo. Carsi aveva proposto all'architetto un anticipo per sistemare la barcaccia: marcia com'era, appena ci avessero messo dentro il loro tesoro, se lo sarebbero ritrovato sparso per i setti lidi o sul fondo di qualche canale o in bocca a un pesce cane. Ferrer aveva portato a termine un bel lavoro, di classe. Doveva solo tenere buoni i suoi creditori un altro pochino e sarebbero stati tutti ricchi. Calciò la terra: non sapeva davvero chi l'aveva ammazzato. Se avesse avuto tempo di trovarli, avrebbe fatto loro una bella visitina informale, di quelle che lui e Vitaliano riservavano agli amici migliori. Il ricordo dei bei tempi andati gli strappò un sorriso.

Purtroppo, ora era quasi senza droga, con quel bastardo di Lanciani alle sue calcagna e per cosa? Solo perché quel poveraccio si era fatto ammazzare proprio sulla loro barcaccia. Si appoggiò desolato per un attimo al tronco della quercia che copriva con le sue ombre l'intera catapecchia. Capirai se Lanciani non aveva puntato subito contro di lui! Quel furbetto del brigadiere! Se l'erano legata entrambi al dito. Si era pentito di non aver sparato a quel carabiniere quando ne aveva avuto l'occasione, ma a lui non piaceva ammazzare la gente. Aveva sbagliato e aveva pagato. Ora erano anni che preparava quel colpo e c'era andato talmente vicino che Lanciani non aveva la minima idea. Non voleva ancora arrendersi.

Rientrò in casa. Arthur era al telefono e sembrava avesse visto un fantasma. Doveva tenerlo d'occhio. Era bravo e onesto, ma non era molto esperto di affari loschi. Non aveva la furbizia che lui si era fatto negli anni, rischiando e buscandole anche, in diverse occasioni. Il mondo della droga non era affatto facile, ma tra fare il ragioniere e l'impresario, lui non aveva mai avuto dubbi. Non ci stava a farsi un mazzo tanto e rischiare comunque la galera per qualcuno che si sarebbe goduto i soldi al posto suo. Era il suo momento di fare una barcata di euro. Stava giocando una partita a scacchi molto pericolosa e dalla faccia dell'Albanese indovinò che il brigadiere avesse fatto una bella mossa, ma non ancora lo scacco matto. Pensare che aveva tutto lì, proprio sotto il suo naso. Finché il brigadiere non ci arrivava e non capiva che aveva già portato al mare la droga da Ravenna avevano ancora una possibilità.

Aveva imparato in carcere a riparare biciclette, ma era stata una volta uscito che gli era venuta l'idea: rispolverare il percorso dei canali da Ravenna ai Lidi Ferraresi. Aveva portato la droga a destinazione senza perdere nemmeno una derrata, in silenzio assoluto, in meno di un mese e l'aveva fatto gratis. Le mountain bike le aveva prese dal noleggio. A volte rimaneva solo la sera a chiudere, le faceva sparire per qualche giorno e poi le riportava. Un paio alla volta, mai di più. In un mese con due complici con le spalle forti, due contenitori da delivery e tre, quattro biciclette avevano battuto le ciclabili sui canali e avevano trasportato il più grosso carico che avesse mai avuto fino al mare e ora stavano iniziando a distribuirlo e facevano un sacco di soldi, solo che i depositi temporanei si stavano esaurendo e sotto la barcaccia, anche se il brigadiere non c'era arrivato, c'era il resto del carico.

«È andata da mia moglie la polizia!» stava urlando contro agitato Arthur.

«Sono i carabinieri. Stai tranquillo, non hanno niente, ancora. Non ti fare prendere dal panico» gli disse Carsi sospirando.

«Avevi detto che lei ne stava fuori!»

«Nessuno penserà che tua moglie sia complice, sta tranquillo.» Lo prese per le spalle e lo obbligò a sedersi.

«Avevano un mandato.»

«Certo che ce l'avevano, loro ci giocano a carte, capirai!» se la rise Carsi.

«Max ha ragione» disse ridendo Bunga, l'altro loro complice. Vedere quel nigeriano di un metro e novanta con un grembiule addosso, alle prese sui fornelli lo faceva sempre sorridere. «Metto pomodoro?» chiese l'africano indicando la pasta che stava per scolare.

«Abbonda» rispose Carsi deciso stappando una bottiglia di vino.

«Arthur, prendi, bevi... Senti, lo so che sei preoccupato, ma a tua moglie non fa niente nessuno. Ora spegni il telefono, così non ti rintracciano e domani ne prendiamo un altro nuovo e la chiami tu, ok?» Il trafficante gli parlava in tono canzonatorio, come fosse ordinaria amministrazione. Per l'albanese ovviamente non lo era: era solo un corriere. Doveva ammettere che nel tempo l'aveva stupito; era sveglio a contare i soldi e non si faceva mai fregare nelle consegne: aveva talento. Avrebbe imparato a gestire gli sbirri.

L'albanese bevve tutto in un sorso, nel frattempo Bunga portò a tavola la pasta. La finestra sbatté in quel momento e l'africano si allungò a fermare gli scuri.

«Aria di tempesta» sospirò Carsi.

«La macchina è in garage?» chiese l'albanese preoccupato.

«Sta tranquillo, nessuna te lo tocca il tuo bonus» Carsi gli diede una pacca sulla spalla. Cominciarono a mangiare in silenzio. «Hai sentito il tuo amico a Ravenna?» domandò a Bunga con la bocca ancora piena.

«Riescono a darci massimo un kg.»

«Un kg è troppo poco. Non copriamo nemmeno il prossimo fine settimana. Dobbiamo tornare alla barcaccia a prenderne un po'.»

«È sotto sequestro!» ricordò Arthur.

«Bunga è entrato e uscito senza che nessuno lo vedesse l'altra sera.»

«Eh, eh. Io sono nero come la notte!» se la rise Bunga. Poi però guardò Arthur e schioccò la lingua. «Questa volta, tocca a a lui. Non è giusto che lui va in giro con la macchina e a me rimane sempre il lavoro sporco» protestò versandosi un bicchiere di vino. Parlava con Carsi, ignorando volutamente Arthur. Quella banda non era una democrazia: sua l'idea, suo il comando, sua la fetta più grande.

«Ha ragione, Arthur, un po' per uno, pensa al tuo bonus!»

«C'è solo un foglio, non ti mangia!» rise Bunga.

«A volte si ferma la polizia» obbiettò Arthur.

«Se passano, te la svigni, ti nascondi e quando se ne vanno, rientri» alzò le spalle Carsi lottando con una penna ribelle che non voleva farsi prendere. «Che olio ci hai messo?» chiese stupito verso il cuoco.

«Olio» minimizzò Bunga.

«Non è che l'hai preso dal garage?» Arthur sputò una penna spaventato.

Bunga scoppiò a ridere, aveva le lacrime agli occhi e Carsi non poté che imitarlo. «È una vera sagoma!» riuscì solo a dire piegato in due dalle risate.

«Allora, signori, propongo un brindisi, alla buon'anima di Ferrer, che riposi in pace ... e alla nostra ricchezza che spartirsi la sua parte non sarà un problema» aggiunse alzando il bicchiere al cielo. Gli altri due commensali lo imitarono facendo cozzare i loro calici. Poi il suo volto si adombrò all'improvviso.

La grandine aveva cominciato a battere sulla finestra. Il sole di poche ore prima era scomparso nel nulla. Detestava i forti temporali, fin da bambino, e non riteneva certo una coincidenza che il giorno del suo arrestato fossero scesi chicchi che parevano palle da baseball. Nel lampo che balenò alla finestra gli sembrò di vedere gli occhi di Lanciani infossati di odio nel buio della sua vecchia cantina. Si massaggiò la gamba rimasta zoppa dal colpo con cui il brigadiere l'aveva immobilizzato a terra. Quel carabiniere pensava di stare chiudendo il cerchio, ma lui era sempre un passo avanti. Quando fosse giunto il momento non avrebbe esitato, non avrebbe sbagliato, non questa volta.

«A noi due, brigadiere» sussurrò alzando il bicchiere in direzione della finestra con un ghigno beffardo disegnato sulla faccia.


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