Capitolo 48 - Avere una sorella è come avere l'anima divisa in due corpi -
Parigi, 28 maggio
Napoleone arrivò nella capitale francese esattamente un mese dopo la partenza, la causa di un simile ritardo era dovuta al caos più totale che regnava un ogni angolo della Francia, sia dal punto di vista militare, sia da quello amministrativo. Durante il viaggio si era tenuto informato circa la situazione vigente sul continente, nemmeno il resto dell'Europa era sicuro; la guerra infuriava e nonostante le difficoltà i francesi guadagnavano terreno: il 28 aprile aveva occupato i Paesi Bassi Austriaci, per impedire l'invasione del nemico da nord-est, dove si erano stanziati. Nonostante ciò l'espansione territoriale non diede i vantaggi sperati, semmai contribuì ad aumentare enormemente la confusione all'interno del Paese.
Il giovane corso stava raggiungendo il ministero della Guerra ubicato in Place Vendôme, a cavallo, evitando di noleggiare una carrozza per non alimentare maggiormente la furia del popolo. Anche se, rifletté, vedendolo in uniforme, lo avrebbero scambiato per un aristocratico, si sarebbero insospettiti e lo avrebbero fermato. Per sua fortuna nessuno lo disturbò. Decise di recarsi al ministero per controllare se realmente qualcuno fosse a conoscenza del rapporto di Maillard e avesse preso, di conseguenza, provvedimenti. Una volta accertatosi di tutto, sarebbe giunto dalla cara sorellina a Saint Cyr e riferirle di ogni aggiornamento.
Quando arrivò trovò l'immensa piazza deserta, il monumento del Re Sole a cavallo ancora intatto, vi si avvicinò per guardarlo meglio: non immaginava che fosse così mastodontica, pensò che la megalomania di quel Borbone fosse davvero esagerata, in fondo non aveva mai stimato quella famiglia. Però riconosceva a Luigi XIV il merito di essere riuscito ad impossessarsi del trono spagnolo, aumentando la sua influenza sul continente e di aver dato poco spazio ai cardinali, differentemente dal padre. Sorvolò sull'incisione latina di cui non gli importava nulla, per soffermarsi di più sulla figura in cima: il sovrano con indosso le vestigia di un imperatore romano, in posa simile a quella di Marco Aurelio presente a Roma, con i lineamenti stilizzati.
"Credo che verrà travolta dall'implacabile ira del popolo" si disse tra sé Napoleone mentre osservava la statua "Non solo perché è il simbolo per eccellenza della monarchia assoluta, ma anche perché non fu un re particolarmente amato dai suoi sudditi, del resto anche il Sole ha le sue macchie" constatò alla fine, diede una speronata al cavallo ed avanzò, lasciandosela alle spalle, apparteneva al passato. Il mondo vecchio si sarebbe sgretolato inesorabilmente e dalle sue ceneri sarebbe sorto quello nuovo.
Man mano che proseguiva, udiva il brusio proveniente dal palazzo del ministero della Guerra, farsi più insistente "Perché mi stupisco? È logico che vi sia confusione in un periodo burrascoso come questo, con il nemico pronto ad invadere il paese ad ogni minimo errore" accelerò, finché giunse all'ingresso, le guardie lo fermarono - Chi siete?
- Il tenente Napoleone Buonaparte - rispose prudente, senza accennare all'avanzamento di grado che aveva ottenuto sull'isola con l'imbroglio.
- Siete stato convocato dal ministro? - chiese una delle due al giovane ufficiale dal forte accento straniero.
- Per quel che so no - affermò prontamente Napoleone, guardando attentamente le due guardie in modo da captare i loro pensieri - Volevo solamente accertarmi della mia posizione...
Quelle si guardarono ed annuirono all'unisono, il corso alzò il sopracciglio, rimanendo taciturno - Vi diamo un consiglio, tenente - esordì una delle due, scorgendo la sua insistenza nel perseguire il suo obiettivo - Evitate di entrare, il ministero versa in uno stato pietoso ed è già la terza volta che il ministro viene cambiato, inoltre perdereste il vostro tempo anche solo per chiedere un'informazione...
- Se nessuno vi ha interpellato, significa che siete pulito - continuò l'altro, indicandogli la strada esterna alla piazza. Napoleone si voltò all'indietro e comprese che fosse l'unica cosa da fare. Ringraziò per la gentilezza dimostrata e si avviò.
Il suo cavallo, iniziò a mostrare i primi segni di stanchezza: da quando era arrivato a Parigi non gli aveva concesso un minuto per riposare e mangiare. Si piegò leggermente e gli accarezzò il manto e la criniera, incoraggiandolo - Fammi tornare all'albergo e una volta lì ti rifocillerai - gli sussurrò, rassicurandolo. Il destriero, quasi comprendendo quelle parole, mosse la testa, nitrì e compì l'ultimo tratto della giornata fino a rue du Mail, dove Napoleone alloggiava.
Nell'albergo sistemò meticolosamente tutto ciò che aveva portato da Ajaccio e fece riposare il cavallo che si era fatto prestare dai proprietari. Una volta liberatosi da ogni intralcio, si organizzò per andare dalla sorella all'istituto di Saint Cyr, gli albergatori gli proposero di usare un altro cavallo, ma Napoleone rifiutò - Ho l'opportunità di girovagare per Parigi a piedi, una camminata non mi farà male, vi ringrazio per la cortesia - uscì, pagando il servizio del cavallo.
Mentre s'incamminava verso la meta, con il passo svelto e cadenzato, le braccia allacciate dietro la schiena e la testa bassa, ripensava a ciò che gli era accaduto in quei mesi, si rese conto di quanto fosse stato fortunato: era scampato più volte alla morte e al disonore. In un periodo come quello gli sembrò davvero incredibile essere ancora vivo e in carica, ricordò anche di quando sua madre si era sentita risollevata nel vederlo sano dopo la battaglia di Ajaccio "Il Signore ha ascoltato le mie preghiere" rimbombò nella testa. Napoleone non volle smorzare il suo entusiasmo, seppur non lo condividesse. Per lui era solo il disegno del destino, chissà cosa gli aveva riservato...
Nel vedere un gruppo di popolani organizzarsi in un assalto, il corso si fece più attento, cercando di capire dove avrebbero attaccato. Accorto si avvicinò, evitando di fare rumore con gli stivali, rimanendo nella penombra, sfruttando anche il suo fisico sottile per mimetizzarsi - Attaccheremo qualche palazzo nobiliare! È tempo di riprendersi i soldi che ci hanno rubato! - urlò il capogruppo, sporco e vestito di stracci, armato di fucile, probabilmente rubato.
- Hai ragione, Jacques quei ladri - esordì un altro, peggio vestito, agitando una forca - Riempivano i loro stomaci con il nostro lavoro! Ma ora gli faremo vomitare tutto quello che hanno mangiato, anche con il forcone infilato nel culo, se è necessario...
- Sì Jean - ridacchiò il capo conoscendo l'esuberanza del compagno - E poi prenderemo le loro teste e le porteremo in giro a dimostrare la nostra forza, non abbiamo paura di nessuno! - confermò alla fine, alzando il fucile, sparò e guidò il suo gruppo disordinato e furioso nella direzione opposta a quella che Napoleone avrebbe preso.
Quest'ultimo, appoggiato al muro, aveva udito, condividendo parte della loro rabbia, per quanto non fosse molto propenso a sostenere il basso popolo, in quanto sapeva che la plebaglia non era in grado di controllarsi e capire per cosa davvero combattere, si lasciavano guidare dalla pancia, piuttosto che dalla testa.
Ancora una volta la sorte gli fu favorevole, seppur avesse già calcolato un piano per depistarli, se lo avessero scoperto: bastava semplicemente accondiscendere alle loro parole, mostrando coraggio e, al tempo stesso, pacatezza. In Francia preferì non peccare di eccessiva arditezza e presunzione quanto, invece, era senz'altro meglio sembrare un ufficiale modello. In Corsica lo conoscevano tutti e poteva muoversi come voleva, mentre sul Continente non era nessuno. Inoltre la Francia sarebbe stato l'unico posto in cui avrebbe potuto scappare, assieme alla famiglia, se la vita sull'isola fosse divenuta insostenibile.
Una volta lontani Napoleone, pacato, riprese il suo cammino e raggiunse, finalmente l'istituto. Poteva rivedere, dopo tanto tempo, la sua cara sorellina Elisa.
- Madamoiselle Buonaparte - cominciò la madre superiora, responsabile dell'istituto, dopo essere entrata nella sua stanza - C'è vostro fratello, Napoleone che è venuto a farvi visita - rivelò poi sorridendo.
Elisa si voltò incredula e dopo aver visto la signora annuire, s'illuminò, il suo fratellone era venuta a trovarla, chissà com'era cambiato e soprattutto se era giunto lì per riferirle qualcosa di importante, era a conoscenza degli eventi cruciali accaduti ad Ajaccio e temeva che quella visita fosse un cattivo presagio. Scosse il viso, allontanando quel terribile pensiero, si sistemò la veste scura e corse da lui, lo vide: era di spalle, in piedi, con le mani dietro la schiena, scrutando il cielo - Nabulio - soffiò la quindicenne avvicinandosi dolcemente.
Il fratello, scosso da un brivido, tornò in sé e voltandosi si trovò davanti la sua amata sorellina, era cresciuta così tanto che per un istante non l'aveva riconosciuta, ma poi quello sguardo e quei lineamenti leggermente mascolini gli fece ricordare e disse in italiano - Sorella mia - prese la mano e la baciò, come un vero gentiluomo - Stai diventando una bellissima donna - si complimentò, fissandola con i suoi grandi occhi grigi.
La sorella arrossì violentemente, non prevedendo un simile complimento da parte sua e nascose il viso tra le mani - Grazie... ma non devi... - riuscì a dire solamente. Rise amorevolmente e ciò confortò l'animo indurito di Napoleone, il quale riscoprì quel calore familiare che aveva già sperimentato molti anni prima con lei, quando era un semplice studente. Si sentì a suo agio - Perché sei venuto qui, fratello? - lo interrogò, ricomponendosi aggraziata.
- C'è un posto dove possiamo parlare da soli? - chiese a sua volta, guardingo. La ragazzina annuì e lo condusse nel cortiletto, si accomodarono su una panca, a quel punto Napoleone gli spiegò nel dettaglio le vicende familiari - Temevo che l'istituto fosse stato attaccato e così mi sono precipitato - emise gesticolando ardimentoso. Elisa lo guardava e intravide l'espressione malinconica che lo accompagnava da sempre ormai, persino le labbra sottili e difinite rivelavano una dolcezza nascosta.
- Grazie al Cielo nessuno ci ha ancora attaccati, almeno non in maniera decisa - precisò la ragazzina.
Napoleone spalancò gli occhi, intuendo che un assalto c'era comunque stato, si accigliò leggermente - Quindi ne avete subito uno...
- Sì - ammise la sorella - Ma non fu nulla di grave, solo una semplice marmaglia che si scagliò all'entrata
- Non l'hai mai accennato... - fece lui impiensierito, il volto teso e le labbra serrate. Calò una fitta ombra sul suo viso scavato.
- Non volevo generare altre preoccupazioni alla mamma e a voi altri, fratelli miei - sospirò abbassando la testa, afferrando le delicate mani del fratello maggiore, erano così belle e definite - Avete già tanti problemi da risolvere e non desideravo essere un altro peso
Napoleone la abbracciò forte, colpito dalla sua forza d'animo, assomigliava tanto alla madre, sarebbe davvero orgogliosa di lei. Lui lo era già. Elisa non si aspettò nemmeno questa reazione, non si sottrasse a quell'abbraccio, anzi, lo strinse a sua volta e tra le dita poteva contare le ossa del fratello, tanto era magro. Per evitare che s'incupisse, si chiudesse in sé stesso, non fece nessun accenno di ciò - Presto tornerai a casa, insieme a me - esordì il fratello dopo un lungo silenzio.
La quindicenne si staccò bruscamente e lo fissò, incredula - Davvero? - sbatté le lunghe ciglia.
- Sì, verrai in Corsica con me, a cosa serve restare qui, in un momento come questo? Soprattutto per una ragazzina della tua età - specificò il giovane accarezzandola dolcemente. Elisa non credette alle sue orecchie, avrebbe rivisto finalmente la sua famiglia, la sua isola, la sua casa, il cuore prese a batterle velocemente - Tuttavia resterai qui fino a quando non partirò, non preoccuparti, ti terrò informata e se qualcuno dovesse solo sfiorarti, non avrò alcuna pietà...
Elisa accettò la condizione, capendo che giustamente il fratello voleva vivere senza essere oberato dalle responsabilità, ne aveva fin troppe per la sua età e aveva sacrificato tanto per ogni membro della famiglia. Non sarebbe stata un'ingrata nei suoi confronti - Alloggi in un albergo? - domandò.
Napoleone annuì sorridendo - Le visite saranno bene accette, stai tranquilla - ammiccò, si alzò e la abbracciò nuovamente per poi salutarla e andarsene. La sorella sperò che il fatidico giorno della partenza arrivasse il prima possibile.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top