Capitolo 46 - Tradimento -

13 aprile

Dopo quattro giorni e quattro notti di lotta alternati a momenti di stallo, Napoleone aveva elaborato ogni strategia possibile per far finire quella battaglia che si stava rivelando inconcludente da ambo le parti. Durante le brevi pause, molti dei suoi uomini si erano congratulati con lui per l'audacia, la bravura dimostrate sul campo di battaglia "Il solo coraggio non è sufficiente se si vuole vincere ad ogni costo!" si era detto tra sé, quasi infastidito da tutti quei complimenti  "Occorre la testa, l'astuzia, la capacità di riuscire a prevedere i piani dell'avversario".

Era come se cercasse altro, eppure aveva raggiunto il suo scopo, almeno iniziale: farsi vedere, mostrare le sue abilità. Nonostante ciò, però, non avvertiva quella soddisfazione tanto bramata, anzi, gli sembrava tutto così scontato, forse perché era solo una misera guerriglia. Per questo stava spremendosi il cervello e trovare una strategia da attuare, in modo da ravvivare un po' lo scontro.

Il silenzio della notte fu disturbato dalla gaiezza dei suoi compagni d'arme, i quali si stavano rifocillando dall'aspra lotta. Napoleone, seduto sul tronco di un albero caduto, li osservava e si domandava sul come riuscissero a divertirsi in tale contesto. Spostò lo sguardo verso la fiamma scoppiettante, cercando di non farsi coinvolgere, non ne aveva nessuna voglia.

Aspettò qualche minuto, restando immobile, pensierioso, un'ombra scese sul suo volto scavato. Poi, approfittando della confusione, si alzò di scatto e raggiunse il monastero, il cui aspetto era più simile ad una fortezza, sorvegliato a turno dalla cittadinanza "Se riuscissi a prenderlo, la vittoria sarà definitiva" rimuginava, scrutando l'edificio nella penombra creata dal fuoco dei bivacchi. Le iridi grigie si posarono sulle truppe regolari francesi, giunte lì per sostenere la guardia. Molti soldati stavano dormendo, al pari dei comandanti. "Sarò costretto ad andare contro i miei stessi alleati, ma non importa". Mai come allora attese, trepidante, l'arrivo dell'alba.

Decise di tornare dai suoi uomini per spiegargli il tutto augurandosi il loro l'appoggio, seppur fosse sicuro di riceverlo, in quanto aveva fatto qualsiasi cosa per assicurarselo. Napoleone gli rivelò la sua strategia guardandoli dritti negli occhi, il suo sguardo freddo e rapace, il viso affilato, il fisico macilento e spigoloso, provocò disagio nei suoi interlocutori, non riuscendo a negargli il sostegno desiderato. Erano come ipnotizzati da quelle iridi chiare e penetranti - In questi giorni ho avuto modo di studiare attentamente la fortezza, durante la battaglia, se così si può chiamare... - specificò alla fine.

- Ci fidiamo delle vostre abilità, tenente colonnello Buonaparte - lo interruppe uno di quelli, che lo aveva visto all'opera nei giorni scorsi - Per cui non dovete garantirci di nient'altro... - girò il viso squadrato a destra e a sinistra per assicurarsi che i suoi compagni fossero con lui. I colleghi annuirono all'unisono - Siamo pronti a qualsiasi rischio - confermarono determinati.
- Bene - emise Napoleone sorridendo compiaciuto, il suo piano poteva realizzarsi - Allora non ci resta che prepararci e attendere l'alba - Gli ufficiali inferiori e i soldati si misero in posizione e obbedirono, aiutati e guidati dal giovane Buonaparte. Non gli dispiaceva affatto rendersi utile, era nella sua natura.

Non aveva mai sopportato starsene con le mani in mano a dare ordini, per via della sua diffidenza nei confronti delle persone, controllava perfino che li eseguissero alla perfezione. Nonostante non avesse chiuso occhio, né mangiato, era in forze, e questo dettaglio aveva stupito enormemente i suoi colleghi e sottoposti. Raramente avevano avuto a che fare con ufficiali dall'energia inesauribile e dalla volontà indomita.

Il sole stava sorgendo dalle montagne alle spalle della città ed ogni cosa era pronta. Parte dei seguaci di Buonaparte si avvicinarono al colonnello Maillard, il comandante delle truppe regolari francesi, un uomo dalla grande esperienza, che si sentiva sprecato su quell'isola che considerava selvaggia: gli ordini erano ordini e se voleva avanzare di carriera doveva eseguirli, che gli piacesse o meno. Li vide sistemare le batterie dei cannoni in zone non autorizzate alla guardia nazionale corsa, in quanto erano di esclusiva competenza francese - Ehi voi, chi vi ha dato ordine di posizionare i cannoni qui? - domandò visibilmente irritato.

- Il tenente colonnello Buonaparte - risposero quelli come da accordo.

- Perché volete attaccare il monastero? - aveva domandò con riverenza uno dei suoi sottoposti a Buonaparte, ingoiando la saliva, non sapeva il perché, ma c'era qualcosa nel giovane ufficiale che gli suscitava puro terrore. Eppure era molto più anziano.

- Semplice, per dimostrare ai francesi e a Paoli che i corsi non si piegano completamente ai loro ordini - ammise Napoleone pacatamente, mentre consultava le carte piene di segni e scritte, quasi come se volesse stamparle nella mente. Nei suoi occhi brillava la luce dell'ambizione: era quel sentimento a scuoterlo, infatti voleva espugnare la fortezza solamente per soddisfare la sua sete di gloria.

Appropriarsene per lui, significava ricevere una promozione immediata, diventare colonello o addirittura generale, dimostrare la sua superiorità ai francesi, umiliarli, e soprattutto a quel Maillard che difficilmente sopportava, poiché lo ostacolava. Se fosse riuscito ad ottenere una carica superiore alla sua avrebbe potuto mandarlo via, ottenere il controllo della zona e strappare parte della gente dall'influenza di Paoli. Era una battaglia mentale e strategica.

Maillard si stupì non poco della loro prontezza, intuì che il loro comandante aveva intenzione di infrangere ogni alleanza. Tuttavia aveva notato in quel ragazzo uno spirito di iniziativa, un carisma travolgente non indifferente, non si aspettava una simile reazione da parte sua. E mentre questi tenevano distratti il colonnello francese, un altro gruppo si muoveva nella direzione  indicatagli da Buonaparte, per attaccare di sorpresa. Lì vi erano solo soldati che sorvegliavano di tanto in tanto, per cui sarebbe stato tutto più facile, se non si facevano scoprire.

Quando sbucarono all'improvviso, i francesi sobbalzarono dalla paura, spaesati da quell'assurdo imprevisto. I corsi  approfittarono della situazione a loro favore sparando ai soldati, nel frattempo, preparavano i cannoni. L'iniziale vantaggio non fu d'aiuto, i francesi riuscirono a contrattaccare e a respingere il loro assalto. Uno di essi corse ad avvisare Maillard dell'accaduto - Colonnello...un gruppo di soldati... della guardia corsa... ci sta...sta attaccando! - urlò ansimante.

- Che cosa? - sbottò il colonnello francese, spalancò gli occhi, incredulo, si voltò e notò, il gruppo che lo aveva distratto, spingere a fatica i cannoni, verso la postazione prestabilita. Maillard non perse tempo e ordinò di bloccare subitamente il manipolo e di sequestrare la batteria. Anche i restanti che si erano appostati furono costretti alla resa. Napoleone, nel vedere il piano fallire in quel misero modo, imprecò sottovoce, stringendo furente il cannocchiale, sfogando su di esso tutta l'ira tenuta a freno.

- Portatemi qui il responsabile! - si sgolò il colonnello Maillard, rientrato nella sua tenda, prese carta, penna e calamaio e scrisse un rapporto incriminante nei confronti di Buonaparte, spedendolo al ministero della guerra.

Napoleone, che non voleva essere considerato e visto come un vigliacco, perché non lo era, uscì allo scoperto - C'est moi! - gridò con orgoglio - Mi cercavate, colonnello Maillard? - chiese spavaldo, avanzando svelto e sicuro verso di esso. 

Il francese si aspettò di trovarselo intimorito, implorando pietà per la sua sorte, invece rimase spiazzato dalla sua sfacciata sicurezza, che rinfrancò i suoi uomini. Si asciugò la fronte sudata - Nella vostra posizione fate anche l'ironico, tenente colonnello Buonaparte? - emise sarcastico Maillard, si alzò e girovagò attorno al tavolo. Napoleone, ritto e serissimo, non lo perdeva di vista nemmeno per un attimo, sapeva della sua condizione estremamente critica, ma non provava paura, né esitazione.

- Ciò che avete compiuto stamattina non è semplice insubordinazione, è tradimento! - riferì fermandosi, controllando le sue reazioni. Gli pareva imperturbabile - Fossi in voi mi preoccuperei, ho fatto spedire un rapporto a Parigi e il vostro atteggiamento  potrebbe costarvi caro...

Napoleone sbiancò per un'istante, pensando al fatto che sarebbe morto fucilato, senza gloria. Una volta raffreddata la mente, capì che non doveva temere nulla, a Parigi il caos regnava sovrano e se il rapporto di Maillard fosse comunque balzato agli occhi del ministero, non avrebbero dato tanto peso ad un ufficiale di provincia ribelle ed ambizioso.

Posò la mano sul cuore, strinse leggermente la divisa larga e logora all'altezza di una mostrina e rispose freddamente, con la sua voce aspra - Sono pronto a ricevere le conseguenze del mio gesto, ho agito senza riflettere, spinto dalla carica ottenuta e dall'orgoglio corso, ero convinto della buona riuscita del piano, se fosse avvenuta, avrei avuto in pugno la fortezza, ottenuto la vittoria ed ogni sommossa sarebbe stata bloccata sul nascere - il colonnello, incuriosito dal suo discorso, gli si piantò davanti, a braccia conserte, incrociando il suo cipiglio tagliente e glaciale. Era la prima volta che incontrava un tipo simile.

Le strade di Ajaccio erano gremite di chiassosi contadini che scuotevano sacchi vuoti, desiderosi di saccheggiare le abitazioni degli esponenti più ricchi e noti, approfittando della confusione generale. Giuseppe, che temeva per l'incolumità della famiglia, prima ancora delle tenute familiari, aveva impedito ai fratelli e alla madre di uscire di casa. Inoltre era ansioso per Napoleone, non riceveva sue notizie da un giorno, si augurò che stesse bene.

- Nabulio tornerà sano e salvo! - esclamò Luciano, convinto delle abilità del fratello maggiore - È un ufficiale, addestrato per vivere in condizioni estreme...

- Ma la Francia non è la Corsica, fratello - lo frenò Giuseppe con la mano sulla bocca, controllando la situazione da una delle finestre del soggiorno.

Luciano si liberò dal capofamiglia e proseguì, correggendolo - Vi sbagliate Giuseppe, con la Rivoluzione, anche in Francia si rischia la vita molto più di prima, la folla guarda la divisa, le mostrine e i capelli incipriati, non gli uomini che li portano - si affiancò a Giuseppe. Il primogenito lo guardò e si morse le labbra, aveva perfettamente ragione; Luciano dimostrava lo stesso fine acume di Napoleone, così come il suo carattere focoso e l'inclinazione per la cultura. Se fosse stato anch'egli militare, sarebbe la sua copia esatta.

Napoleone era uscito a testa alta dal confronto, ma sconfitto, quel maledetto francese aveva calpestato il suo spirito corso, come allora, a Brienne, quando fu costretto ad abbassare la testa di fronte a loro, imparare la loro lingua, adeguarsi ai loro costumi, sopportare ogni sorta di malelingue e insulto. Riaffiorò quell'odio, quel rancore antico, creduti sepolti nel suo cuore indurito dalla vita. Durarono brevi istanti: il suo obiettivo cambiò nuovamente e si focalizzò su Parigi, doveva andare via da Ajaccio il prima possibile.

Parigi, 20 aprile

In Francia la Rivoluzione stava prendendo una piega decisamente più violenta, non solamente nella Capitale: in gran parte delle principali città francesi si stava sviluppando uno spirito simile a quello diffusosi ampiamente nell'Europa medievale durante le crociate, ingaggiate contro gli infedeli. Stavolta non fu la fede in un credo religioso a rinnovare tale animosità, quanto gli ideali di libertà, di fratellanza e d'uguaglianza, che sentivano in pericolo. Erano certi del fatto che nelle altre monarchie europee tale svolta era avvertita come minaccia.

Praga 

Leopoldo II d'Asburgo era morto improvvisamente il 1° marzo e suo figlio, il ventiquattrenne Francesco Giuseppe Carlo Giovanni d'Asburgo-Lorena, re di Ungheria e Boemia, aveva deciso di continuare la linea politica del padre. Per questo, non si stupì della dichiarazione di guerra del re di Francia: l'aveva mandata solamente a lui e non agli altri stati del Sacro Romano Impero. Era consapevole del fatto che Luigi XVI aveva proposto di scatenare una guerra, che avrebbe coinvolto la Prussia per via del patto che avevano siglato in febbraio, per via della debolezza del suo Paese: numerosi ufficiali erano scappati e i soldati non erano per nulla motivati.

Luigi XVI sperava che la guerra avrebbe portato alla sconfitta della Francia e al suo ritorno 'effettivo' sul trono: la sua figura era stata privata di ogni autorità, specialmente dopo il disastroso tentativo di fuga a Varennes. Perciò, il re Francesco, senza alcun ripensamento, accettò la dichiarazione, certo dell'imminente vittoria e dell'abbattimento di ogni forma rivoluzionaria, ai suoi occhi, sovversiva. 

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