Capitolo 37 - L'unità di una famiglia fa la sua felicità -
16 gennaio
Il sole era sorto da poco, i riflessi dell’alba erano ancora intrappolati nelle nuvole grigie che aleggiavano sulle montagne alle spalle della città. L’aria era fredda e penetrava nei polmoni come frecce di ghiaccio.
Napoleone, sveglio come di consueto, era giunto nella scuderia per dare un'occhiata al suo destriero. Gli si avvicinò e gli accarezzò il muso con dolcezza, il cavallo mosse la testa dal basso verso l’alto - Hai voglia di correre, eh? - gli chiese passando la mano agguantata sul collo.
L’animale mosse nuovamente la testa come in precedenza - Va bene, va bene - rispose ridacchiando - Oggi correremo insieme, sei rimasto fermo per molti giorni - aggiunse spostando la mano dal muso verso le redini, le strinse con decisione, il cavallo nitrì, e capendo l'intenzione suo padrone compì piccoli passi.
- Sei molto simile a me - gli riferì ridendo, affiancandosi a lui - Non riesci a stare fermo!Mentre uscirono fuori dalla piccola scuderia, Napoleone balzò sopra di lui - Allora faremo un bel giro nelle viuzze più isolate, così saremo soli, io e te, come i vecchi tempi - gli riferì dopo aver tirato delicatamente le redini.
Correva, quasi volava, sul suo destriero lungo le vie della città silenziosa e dormiente, lo scalpitio degli zoccoli sfiorava il terreno. Il giovane ufficiale adorava quella sensazione di libertà che lo pervadeva ogni volta. I cavalli erano i suoi veri amici, lo erano stati fin dai tempi dell’accademia, gli unici in grado di restituirgli l’umanità sepolta nel suo animo, capaci di consolarlo e di fargli compagnia nei momenti più difficili, come in quel momento.
Ciò che il Patriota aveva fatto nei suoi confronti lo aveva profondamente deluso, aveva creduto in lui, lo aveva difeso, quando era un bambino, da tutti quei francesi che avevano provato a denigrarlo. Non si sarebbe mai aspettato un atteggiamento simile da parte sua "Avessi saputo...".
Sperava, con quella cavalcata, di liberare la sua anima dalle catene che bloccavano, dal macigno che ostacolava la sua ascesa verso l’alto, verso qualcosa di superiore, nemmeno lui sapeva a cosa ambisse, nè dove fosse diretta, di una cosa era certo: voleva respirare a pieni polmoni l’odore della libertà, quella vera - Forza! Vai più veloce amico mio, so che puoi farlo, raggiungiamo i nostri limiti - lo incoraggiò dandogli un leggero colpo con gli stivali. Il cavallo nitrì, l'entusiasmo palpabile del padrone che sembrava essere tornato indietro nel tempo.
All’Accademia quasi tutti i giorni aveva montato sul cavallo, a volte persino per una giornata intera, senza scendere a fare una pausa o sgranchire le gambe, era un tutt’uno con il suo fido destriero. Quei giorni tornarono alla mente, lo spazio di cui aveva a disposizione, però, non era un piccola struttura all'interno dell'accademia, ma l’intera città, lungomare e foreste comprese.
Il cielo improvvisamente si fece cupo e l’aria divenne sempre più fredda, il vento si rafforzò. Neanche ciò sembrava fermarli, avevano ancora tanta energia in corpo. Usciti da parecchie ore dalla città, stavano attraversando la costa più rocciosa della zona, quella in cui, da ragazzino, andava ad ascoltare il mare, e solo lì, dopo aver rivolto lo sguardo verso l’immensa distesa d’acqua, fermò il cavallo.
Anche se grigio e lievemente agitato, quel mare lo rasserenava nel cuore, il suono delle onde che si rinfrangevano sugli scogli, così potente, così familiare, lo fece sorridere; chiuse gli occhi e riscoprì di avere dentro di sé quell’energia irrefrenabile, quella forza incrollabile. Il vento sibilò intorno creando melodie sempre diverse in base al luogo in cui soffiava.
Il destriero nitrì nuovamente, muovendo la testa a destra e a sinistra, il ragazzo riaprì gli occhi, pervaso dalla solitudine di quel luogo incontaminato e puro come lo era da tempo. Una goccia di pioggia scese sul suo capo, accompagnata da un’altra e un'altra ancora che si susseguivano sempre più rapidamente.
Nonostante l'inconveniente non smise di contemplare in silenzio quel luogo - Persino sulla mia isola ho la sensazione di essere uno straniero, un escluso, un diverso, nessun paese potrà essere la mia casa, nessun uomo sarà mio fratello, mio amico, nessuna donna diventerà la mia sposa, nessun bambino sarà mio figlio, perché l’amore, l’amicizia, la fedeltà, la felicità mi sfioreranno senza toccarmi, forse non sono fatto per questo mondo - sussurrò amaramente mentre un alito di vento gli alzò i capelli bagnati, scompigliandoglieli.
Poco prima che un fulmine schiantasse in lontananza, sul mare, il cavallo aveva nitrito per l'ennesima volta, un tuono lo ridestò - Direi che la passeggiata è terminata per oggi, amico mio - gli disse accarezzandogli il collo - Torniamo a casa, sicuramente mia madre si sarà impensierita - aggiunse atono, spronando l’animale che percepì il mutamento del suo umore iniziando a galoppare più velocemente di prima, intimorito anche dalla tempesta che stava per arrivare.
Giuseppe era appena uscito per andarlo a cercare, quando in lontananza intravide la sagoma di un uomo a cavallo, in cuor suo si augurò che fosse Napoleone. Per sua fortuna, quella figura era proprio suo fratello con un'espressione non proprio rosea, una profonda malinconia era stampata sul volto. Era bagnato fradicio dalla testa ai piedi.
- Nabulio, per l’amor del Cielo - gli urlò Giuseppe non appena il fratello era sceso da cavallo - Si può sapere dove sei stato per tutto il giorno?
- In giro - gli rispose semplicemente. Afferrò le redini del cavallo, lo condusse verso la scuderia, lo rimise alla sua postazione, c'era dell’abbondante fieno - Te lo sei meritato, amico - sussurrò il ragazzo accarezzandolo nuovamente, per poi allacciare le redini al palo e allontanarsi da esso. Chiuse la porticina.
Il fratello gli mise una mano sulla spalla e gli consigliò di entrare a casa prima che alla madre venisse un infarto.
- Giuseppe l’hai trovato, finalmente! - si tranquillizzò la donna nel vederli entrambi sani e salvi, seppur bagnati.
- A dire il vero è tornato non appena sono uscito - rivelò ridacchiando il primogenito.
La madre corse verso il suo secondogenito e lo strinse a sé, il figlio rimase avvolto dalla sua presa, immobile, seppur confortato dal suo amore - Mi hai fatto perdere un sacco di anni, lo sai? - confessò la donna - Guarda quanto sei bagnato...rischiavi di ammalarti sul serio questa volta!
- Sono un uomo, madre, non dovete temere per me...- gli ricordò ancora una volta, accarezzandole il roseo viso - Sono abituato agli acquazzoni improvvisi...
- Ma sei pur sempre mio figlio, il mio bambino - Napoleone sorrise leggermente e la guardò negli occhi lucidi e gonfi: aveva pianto molto - Perdonatemi madre, non volevo darvi pena - si scusò dolcemente.
Giuseppe rimase ad osservarli con grande gioia nell'anima, soprattutto per sua madre che era stata in pensiero, nello stesso tempo, però, un pizzico d’invidia intaccò il suo cuore. Quel rapporto così solido e dolce, lui non lo aveva mai avuto...
Era sempre stata donna passionale e al tempo stesso autoritaria, avendo tanti bambini da crescere e accudire non poteva sempre concedere, accontentare i loro desideri e capricci, con lui e Napoleone era un po’ più confidenziale, in quanto più grandi, dandole una mano.
Il sentimento che provava per il fratello era vera e propria predilezione, da sempre era sempre stato il suo pupillo, anche perché le somigliava moltissimo come indole e aspetto, e se non fosse stato suo figlio, probabilmente l’avrebbe scelto come consorte.
- Giuseppe - ordinò Napoleone - Vai a riempirmi la vasca
- Sono diventato il tuo servo adesso?! - lo sgridò scherzoso, quando vide però il volto supplichevole della madre, Giuseppe abbassò gli occhi per un istante e corse immediatamente ad eseguire l’ordine.
Napoleone intuì subitamente l’atteggiamento di entrambi; ricordò di nuovo del male che lo aveva colpito da bambino, lasciandolo inerme per parecchi giorni, la famiglia perennemente in pensiero.
Ricordò il suo malessere, non tanto causato dalla malattia, la tosse e la febbre non erano stati il vero problema: era l'assoluta immobilità a cui era costretto, mai aveva sopportato di non potersi muovere o alzarsi, anche per un solo attimo. Da quel momento considerò l’immobilità come il male da eliminare dalla sua esistenza. Si staccò dalla madre non appena udì dal fratello che tutto era pronto. Corse via, tentando di non far emergere quella pesantezza opprimente.
- È da un po’ di tempo che lo vedo così scuro in viso, turbato, cosa gli sarà successo? - chiese Letizia a Giuseppe guardandolo con un’angoscia persino, superiore a quella che aveva provato quando seppe della scomparsa di Carlo.
- Non lo so, madre - sospirò; la strinse dolcemente a sé e le sorrise - Ma non datevi pena, è fatto così, ora andate a preparare la cena, io vi raggiungo tra un po’...
La donna annuì e si allontanò lievemente risollevata, Giuseppe rivolse lo sguardo verso il bagno sussurrando - Anche se credo di aver compreso il perché...
- Eccomi! Scusatemi per il ritardo - disse Napoleone sorridendo timidamente.
- Quando si tratta di mangiare ci metti sempre tanto tempo - rise il fratello Giuseppe, che gli spostò la sedia al suo fianco.
- Grazie - lo ringraziò, sedendosi comodamente.
- Non ringraziarmi, Nabulio - si avvicinò all'orecchio del fratello minore e mormorò - Ho saputo di quello che Pasquale Paoli ha fatto nei confronti della tua storia
Il viso di Napoleone si fece serio e cupo, appoggiò il mento sulle mani, i fratelli vicini si accorsero del suo cambiamento di umore. Si guardarono preoccupati.
- Cosa dovrei fare ora secondo te? - Domandò al fratello accanto, la sua voce era insolitamente pacata e moderata.
Giuseppe si sarebbe aspettato da lui la solita reazione furibonda, invece se ne stava fermo e apparentemente tranquillo. Eppure aveva la strana sensazione che fosse tutt'altro che calmo - Io direi di passarci oltre... ci parlo io e ti farò restituire il manoscritto...
Napoleone lo bloccò con la mano - Questo è un affronto, Giuseppe, non lo capisci? - emise più rabbioso - Mi, anzi, ci ha preso in giro in maniera spudorata, io non lo accetto - strinse i pugni - Non ho mai lasciato impunito chi mi ha rivolto un torto, mai, deve pagare!
- Ma non possiamo nulla contro di lui, Napoleone, vuoi farci morire tutti! Rompere il nostro rapporto di collaborazione e di amicizia per un manoscritto... - sbottò Giuseppe alzandosi in piedi - Sono state anche le tue parole a provocarlo e non puoi negare!
Napoleone si alzò a sua volta, lo fissò bieco e lo prese per la cravatta, furente - Ripetilo di nuovo se hai fegato!
- Calmatevi voi due! - gridò la madre, sperando di imporre la sua autorità. Erano sempre più lontani, distanti.
- Il tuo libello... è stato il tuo libello a mettercelo contro - ripeté Giuseppe guardandolo dritto negli occhi, facendosi coraggio, sapendo la sua reazione. Vide negli occhi grigi del fratello un lampo sinistro.
- Insomma da che parte stai? - sbraitò Napoleone accecato dall'ira, sollevando il pugno. In quel momento non aveva di fronte il fratello maggiore, il capofamiglia a cui doveva rispetto, solo un vigliacco.
La madre pregò che i suoi adorati figli non si facessero del male: non era la prima volta che litigavano, le risse e i bisticci tra i due erano la norma, tuttavia, non si erano mai spinti fino a tanto.
- Dalla parte della famiglia - rispose Giuseppe - Nostro padre non vorrebbe vedere questo... lui avrebbe voluto che i Buonaparte e i Paoli continuassero a lavorare insieme per costruire una Corsica migliore...
- Nostro padre... - Sussurrò Napoleone abbassando il pugno e mollando la presa, ogni volta che si nominava suo padre, provava sempre una sensazione di smarrimento, di confusione, oltre al senso di colpa - Cosa ne puoi sapere tu di nostro padre, ne sai quanto me, se non di meno!
- Hai ragione - riprese fiato e colorito - Ma so della profonda amicizia tra lui e Paoli e dividendoci da lui, tradirei quel legame...
- Giuseppe, questo non è il momento per i sentimentalismi! - lo rimproverò - I tempi sono cambiati e non mi pare che a Paoli stia davvero a cuore il ricordo di nostro padre - lo guardò, avendo in mente l'immagine di Paoli sconvolto per la notizia, probabilmente era solo una recita - La politica è come la guerra, vince chi ha la meglio sull'altro, chi consegue una vittoria schiacciante... come immaginavo tu non puoi capirmi…- sospirò. Ancora una volta si sentì incompreso.
- Io ti comprendo appieno fratello! - esclamò con convinzione Luciano, intromettendosi nel discorso - Non possiamo farci mettere i piedi in testa da Paoli, Giuseppe - iniziò dando un colpo al tavolo - Lui non è il nostro padrone, né il nostro re, facciamo parte della Francia adesso, abbiamo dei diritti e nostro fratello Napoleone ha usufruito del suo diritto di parola per evidenziare mancanze e ingiustizie, come dovrebbe fare qualsiasi cittadino che vuole cambiare la propria realtà, perciò io lo sostengo, pronto ad andare contro tutto e tutti
Napoleone lo fissò stupito, così come il resto della famiglia, mutò la sua espressione sorridendogli orgoglioso: aveva ben inquadrato il carattere del fratello minore. Poi allungò lo sguardo verso Luigi che annuiva; quando incrociò quegli occhi penetranti s’intimorì, abbassò leggermente la testa, seppur il secondogenito non avesse proferito alcun verbo "Ora so chi diventerà il mio seguace, il mio fedele alleato sul campo di battaglia! Colui che erediterà i valori militari e combatterà al mio fianco!"
Giuseppe era rimasto a bocca aperta, rivedeva Napoleone in Luciano, la stessa cocciutaggine, la stessa grinta, la stessa voglia di polemica.
Napoleone, che aveva cambiato completamente pensiero, puntando già ad altro, gli si avvicinò all’orecchio destro sussurrandogli - Ti va bene se tra meno di un mese, al termine del congedo portassi con me Luigi?
- Eh? Luigi? Ma sei impazzito! - sputò senza controllo Giuseppe. Tutti si voltarono verso i due fratelli maggiori e li fissarono sbigottiti, soprattutto Luigi, interpellato senza comprenderne il motivo.
- Scusate! Mi sono lasciato andare! - si scusò imbarazzato Giuseppe mentre Napoleone si dava dei colpi sulla faccia con il palmo delle mani "Idiota!"
- Voi continuate a mangiare io e Nabulio andiamo a discutere da un’altra parte, buon appetito - si giustificò allontanandosi dalla sala da pranzo accompagnato dal fratello.
Una volta distanti Napoleone lo prese nuovamente per la cravatta bianca e lo strattonò innervosito - Perchè devi sempre farci fare queste figure?
- Sei tu che fai richieste assurde! Si può sapere cosa diavolo stai architettando, adesso? - gli rinfacciò mollando la presa del fratello. Il suo atteggiamento rispetto a prima era diverso, aveva qualche piano in mente, ne era certo.
- Che c’è di assurdo nella mia domanda? - domandò facendo spallucce e fingendo di non averlo compreso.
Giuseppe non riuscì a trattenere le risate - La parte dell’ingenuo non fa per te! Sei un pessimo attore comico...
- Almeno ci ho provato! - ammise Napoleone spostando alcuni ciuffi ramati dalla fronte, tornando serio - Comunque, credo, anzi, sono convinto che Luigi sia più adatto nel diventare un militare, un mio alleato in Francia
- Ma non mostravi simpatie per Luciano? - gli chiese Giuseppe non comprendendo per davvero lo scopo del fratello
- Certo, ma Luciano sa già cosa deve fare, ha quasi 15 anni è un uomo a tutti gli effetti, ha già una sua ideologia, mentalità, ben precisa, mi somiglia molto, inoltre io non saprei cos’altro insegnarli se non l’uso delle armi che ha quasi acquisito del tutto - spiegò Napoleone con la fierezza, l’orgoglio di un padre - Non si deve mai disperare di un fanciullo finchè non è giunto alla pubertà. Soltanto allora sviluppa appieno le sue facoltà e soltanto allora si può dare un giudizio su esso - aggiunse infine il secondogenito.
Giuseppe abbassò gli occhi e sorrise - Ho capito - gli rispose semplicemente, tra sé pensò "Che cos'hai in mente Napoleone? Qual è il tuo obiettivo? E dove vuoi arrivare?"
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