Capitolo 34 - L'ingratitudine è la moneta ordinaria con cui pagano gli uomini -

3 settembre

- Giuseppe! - chiamò Napoleone girandosi di scatto verso di lui con gli occhi spalancati. Il cielo era coperto da un sottile strato di nuvole grigie, dello stesso colore dei suoi occhi. L’autunno era alle porte.

- Cosa c’è fratello? - gli chiese Giuseppe preoccupato dal tono di voce e dalla sua espressione - Avanti, dimmi cosa ti turba...

Erano nella stanza del padre e stavano consultando dei documenti importanti: Giuseppe quelli riguardanti l’origine della sua famiglia e degli ultimi pagamenti della pépinière; Napoleone invece i bollettini di guerra della Battaglia del Ponte Nuovo. Da quando era tornato Paoli che il suo pensiero era rivolto a quella battaglia che segnò la fine dei sogni di un popolo e l’inizio della dominazione francese.

- Quella battaglia poteva essere vinta... - sentenziò Napoleone con convinzione.

- Stai dicendo sul serio? - sbottò Giuseppe alzandosi di scatto dalla sedia, sussultando. 

- Conosco il mio mestiere, Giuseppe - gli rispose - Sai benissimo che non potrei mentire su questioni di vitale importanza - aggiunse con serietà mista a rabbia.

Giuseppe comprese che tutto ciò a cui finora aveva creduto era in realtà frutto di un calcolo sbagliato; abbassò la testa, fissò i fogli con occhi spenti e lontani, immerso nei suoi ricordi. Aveva appena un anno quando quella battaglia si era svolta, suo padre era tra le fila dei comandanti, al fianco di Paoli, vigoroso ed orgoglioso come pochi. Lui era al sicuro, tra le braccia della balia che lo proteggeva da quella violenza. Le immagini, le parole, i suoni, gli scoppi erano sfocati e confusi, nonostante ciò erano scolpiti nella sua anima.

Suo fratello, invece, era ancora nel grembo della madre, anch’ella impegnata a combattere, ma aveva già respirato l’odore acre del sangue, udito le grida di incoraggiamento miste al terrore, i colpi dei cannoni, delle baionette. Era figlio della guerra.

Il primogenito alzò il capo e tornò a guardare Napoleone immobile, immerso, come lui, in pensieri imperscrutabili - Nabulio - emise alla fine - Dimmi ciò che devi, ricordati che sono io ad avere il potere in questa casa - gli ricordò poco convinto.

- Sì, lo so, fratello - sussurrò laconico Napoleone. Compì un paio di passi tenendo strette nella mano sinistra innumerevoli carte, si pose al fianco di Giuseppe per mostrargli il suo ragionamento. Spostò verso il fondo le altre presenti e vi appoggiò le sue frettolosamente e ansioso. Non lo aveva mai visto così - Come tu sai, Giuseppe, con il ritorno del Patriota sull’isola si è riacceso l’entusiasmo in tutti noi, ma ha fatto sorgere un dubbio nella mia mente circa lo svolgersi della Battaglia del Ponte Nuovo a cui partecipò anche nostro padre - iniziò alzando lo sguardo verso di lui, in cerca di approvazione. Giuseppe fece di sì con la testa, Napoleone gli sorrise e tornò ad osservare le cartine.

Negli ultimi mesi, Napoleone si era mosso per la città con l'intento di raccogliere, da testimoni oculari o tra coloro che parteciparono in prima persona, molte informazioni al riguardo. La maggior parte di essi si era concentrato sugli assalti che la popolazione aveva elaborato tra la vegetazione e i luoghi corsi. Tuttavia, al giovane, questo non interessava, ciò che gli stava a cuore era lo schieramento delle truppe sul campo di battaglia. Non ottenne risposte convincenti, rendendosi conto che i suoi concittadini avevano agito per conto proprio, basandosi su relativi comandi da parte degli ufficiali.

- Scusa se ti interrompo ma non c’erano anche i prussiani dalla nostra parte? - lo interrogò Giuseppe tormentato da un dubbio che era emerso all'improvviso, come un'illuminazione.

- Sì, e diedero un grosso contributo, però sono stati proprio loro il problema…

- I prussiani, un problema? Ma non è il re di Prussia a disporre del migliore esercito d’Europa? - lo interruppe nuovamente Giuseppe stupito dall’affermazione del fratello.

- Sì, è vero, a Brienne ho avuto modo di studiare a fondo le tecniche di Federico II di Hohenzollern e i rinnovamenti che apportò in maniera consistente al suo esercito, tuttavia resta pur sempre un esercito mercenario agli occhi di chiunque non sia un prussiano e non si dovrebbe dare pienamente l’incarico ad un esercito straniero, disinteressandosi di quello locale - gli rispose Napoleone a mo'  d’ammonimento, di rimprovero. Anche se poteva biasimarlo, poiché sapeva che Giuseppe era a digiuno di arte militare - È uno dei concetti base di Machiavelli...

- Adesso si spiegano molte cose…- mormorò il fratello con tono sconsolato e deluso. Molto spesso aveva provato a darsi una risposta, a spiegare il perché della sconfitta; lo chiese innumerevoli volte ai suoi parenti: aveva sempre ricevuto silenzi imbarazzati o rivelazioni incomplete. Napoleone gli stava ribaltando completamente le certezze, o meglio false certezze, che aveva elaborato in quegli anni per non pensarci, per non alimentare altro dolore e creare altre responsabilità. Suo fratello era la voce di quella verità a cui non voleva credere, da sempre presente nei meandri del suo animo, pronta a dirompere dal petto con tutto il suo furore.

Napoleone si accorse del suo smarrimento interiore, vide il suo volto sbiancarsi improvvisamente e diventare più stanco e affaticato; conosceva quello stato di profonda angoscia capace di inghiottire anche l’uomo più ferreo e coerente - Fratello - irruppe la voce di Napoleone che gli strinse il polso destro con un gesto rapido e secco, riportandolo alla realtà.

- Nabulio, cosa c’è ancora? - chiese lievemente spaventato dal tono funereo e tetro del fratello minore.

- Non farne parola con alcuno di questo nostro ragionamento, dovrà restare tra le mura di questa stanza - lo avvertì lasciando la presa sul fratello, arrotolò le cartine per riporle in un angolo.

- Va bene, Nabulio, rimarrà una nostra constatazione segreta per salvaguardare Paoli - annuì Giuseppe, sentendosi rinnovato nell'entusiasmo che gli restituì il suo vigore e la sua giovialità.  

- Non solo Paoli, ma anche la nostra famiglia, Giuseppe, non dimenticare che anche noi siamo coinvolti, seppur in misura minore rispetto al patriota, nella politica dell’isola e qualsiasi malalingua potrebbe compromettere ogni sforzo compiuto fino ad ora - gli riferì avviandosi verso la porta - Adesso vado a fare due passi, Giuseppe, non fa bene restare sempre seduti a riflettere - lo salutò alla fine con un sorriso sgusciando fuori - Buon lavoro, ci sentiamo per cena

- Vai pure, Nabulio, a dopo - acconsentì  affettuosamente il fratello, sapendo benissimo che Napoleone non era stato seduto nemmeno per un minuto. Era fatto così e gli sarebbe dispiaciuto se fosse cambiato nella sua velata e sempre presente stravaganza “La tua ambizione è davvero grande, Nabulio, spero che i tuoi sogni si realizzino per vederti un po’ più sereno nel cuore, questo è il mio più grande desiderio” .

15 settembre

- Ingrati! Sono solo degli ingrati! - urlò furibondo Napoleone sbattendo la porta di casa con tale furia da farla rimanere spalancata. Per poco non si spezzò.

- Ma cosa succede Nabulio? - chiese la madre sobbalzando, mentre stava per accomodarsi sulla poltrona, dopo aver visto tutti i suoi figli andare via, chi a scuola, chi dalle suore, chi a giocare. Vide il secondogenito colmo d'ira dalla testa ai piedi, tremò: fin da bambino era stato incline alla collera, negli ultimi tempi, però, aveva notato in lui un perenne stato di nervosismo e agitazione, quasi convulsi, che lo rendeva sempre più irriconoscibile ai suoi occhi. Avanzò di qualche passo per avvicinarsi e tentare di rabbonirlo, ma Napoleone era talmente scosso da essere in preda a sussulti e tremori: stringeva i pugni e digrignava i denti, la allontanò brutalmente.

- Niente che possa riguardare una donna! - ruggì Napoleone girandosi di scatto. Il viso era sconvolto: gli occhi spalancati e terribili.  Si allontanò da lei e corse a rifugiarsi nella sua stanza.

“Oh Nabulio” si disse sempre preoccupata Letizia chiudendo la porta d’ingresso delicatamente. Rivolse lo sguardo verso la stanza di suo figlio “Perché il tuo cuore è così tormentato? Cosa hanno fatto al mio bambino in Francia?”

Pochi istanti dopo apparve in lontananza Giuseppe seriamente preoccupato e affannatissimo. Aveva corso senza sosta - Madre - esordì Giuseppe bussando, affannato - Madre, Nabulio è qui non è vero?

- Giuseppe! - esclamò la madre sempre più confusa e impaurita - Sì, Nabulio è qui! Ma cos’è successo? - domandò poi.

- Non è il momento delle spiegazioni madre, devo assolutamente calmarlo prima che possa compiere delle azioni sconsiderate!

- Non l’ho mai visto così! - gli riferì la madre timorosa per il suo caro figlio.

- Nemmeno io, per questo devo farlo riflettere - ribadì Giuseppe passandole accanto, deciso nell'assolvere il suo dovere.

- Meno male che non ci sono i piccolini, se lo vedessero in quello stato probabilmente avrebbero paura di avvicinarsi a lui - mormorò Letizia impensierita.

Napoleone chiuse le tende della sua stanza lasciando che l’oscurità la inghiottisse lentamente. Un leggero raggio di sole penetrò da uno spiraglio, filtrando l’aria formata da sottile polvere. I fantasmi del passato s'insinuarono nella mente del sottotenente. “Resterai sempre il figlio di un morto di fame che si è comprato il titolo, di un sottomesso!” “I tuoi sforzi non serviranno a migliorare la tua posizione perché sono solo i veri nobili a contare nella società!” “Illuditi quanto vuoi ma niente potrà cambiare la tua identità! Sei e resterai sempre un corso, un povero perdente”

- Smettetela! Lasciatemi stare! Andate via! - urlava Napoleone in preda a quei ricordi terribili. Con la testa tra le mani, passeggiava nervosamente per la stanza.

“Nabulio!” pensò Giuseppe dopo aver udito le esclamazioni disperate del fratello.

“Perché tutti i miei sforzi non sono ricompensati? Perché?” si diceva Napoleone sempre più disperato, osservando la freccia di luce che usciva dalla finestra “Se i miei superiori sapessero che io sono più sano di un pesce, la mia carriera verrebbe stroncata all’istante! Possibile che quegli ingrati non lo vogliano capire!”

Il maggiore bussò alla porta. Napoleone alzò lo sguardo con fulmineità e ruggì - Giuseppe! Non è il momento! Vattene!  

- Non fare il solito testardo, Nabulio ed apri questa porta! - ordinò continuando a lanciare i pugni contro di essa.

- Ti ho detto di andartene! - sbraitò ancora una volta il secondogenito - Tornatene da quegli ingrati che hanno votato te, Carlo Andrea e il Patriota!

Giuseppe abbassò lievemente la testa, bloccandosi con i pugni all'aria, sentendosi in colpa - Nabulio, lo sai che io non…

- Non scusarti, Giuseppe - lo interruppe Napoleone dall’interno - So non c’entri nulla, non ce l’ho con te, non sentirti in colpa - rispose alla fine sconsolato e deluso.

Giuseppe sorrise lievemente: suo fratello lo conosceva così bene da intuire i suoi pensieri, non gli sfuggiva mai nulla. Non poche volte aveva avuto paura di questa sua capacità, molto spesso aveva provato la sensazione di avere al suo fianco qualcuno con doti superiori. Ovviamente non glielo aveva mai detto, probabilmente lo avrebbe considerato un pazzo.

- Cosa c’è di sbagliato in me? - si interrogò Napoleone, appoggiato alla porta. Batté con rabbia la mano sinistra sul petto - Dimmelo tu, fratello, dimmi cosa c’è che non va in me? Perché non riesco a fare breccia nelle loro anime, nei loro cuori come voi?

Una profonda angoscia invase il primogenito, sentiva battere il cuore all'impazzata, arrivargli in gola: aveva paura! Paura di dirgli ciò che pensava, paura di quel fratello così diverso da lui. La gola gli si era seccata e il sudore scendeva copioso sulla fronte “Non farmi questo Nabulio, non ne ho la forza”

- Neanche tu hai il coraggio di dirlo, fratello? - sospirò Napoleone sempre più deluso - Tu che hai il mio stesso sangue hai paura? Paura di me? - Il fratello spalancò gli occhi e deglutì rumorosamente.

Napoleone sorrise amaramente - Come pensavo…è la mia divisa, il mio aspetto francese a incutere timore al mio stesso popolo - effuse sospirando, l'ombra copriva il suo volto scavato, rendendolo ancora più cupo di quanto non lo fosse già - Sempre escluso da qualcuno, fino ad ora non sono stato altro che un escluso, dai francesi perché figlio di nobile corso senza un soldo, senza una dignità, calpestato da codardi inetti! Ho sempre dovuto faticare il doppio per arrivare allo stesso livello di un branco di nobili squattrinati che valevano la metà di me!

Giuseppe tremava sempre più, percepiva nella sua voce un rancore profondo, una rabbia inestinguibile.

- Escluso dal mio stesso popolo, dalla mia famiglia perché indosso questa divisa! Quest'uniforme che rappresenta la mia condanna a morte! Il mio patto con il nemico! Dei francesi non mi è mai importato assolutamente nulla, né del loro regno ormai in rovina a cui ho giurato fedeltà, sono le loro idee così innovative, così intrise di meritocrazia ad avermi colpito - la bocca era asciutta, si leccò le labbra secche e proseguì - Per questo motivo ho deciso di dedicare tutte le mie conoscenze e doti alla politica dell’isola, per poter arrivare all’autonomia, per non dover mai più tornare in quell’inferno, esercitando il mio ruolo militare nella mia terra! - si zittì un attimo e aggiunse dopo aver esternato una risatina amara - Continui a non dire nulla? Sei diventato così mansueto e docile da non riuscire a parlare con me?

- Nabulio io…io vorrei...anzi voglio aiutarti, infatti sono disposto a rinunciare...alla mia nomina da deputato per darla a te! - confessò Giuseppe balbettando - Tu la meriti più di tutti, in questa famiglia!

- Non ho bisogno della tua elemosina, fratello! - lo rimproverò con durezza Napoleone - Il popolo si è fidato di te e del tuo nome per questo ti ha affidato quell’incarico di deputato al Parlamento Corso, se tu lo cedessi a me perderesti quella fiducia e nessuno di noi avrebbe più alcun ruolo!

- Riesci sempre a centrare l’obiettivo fratello, sempre...

- Forse ho sbagliato a mostrarmi per ciò che non sono - soffiò alla fine - D’ora in avanti si cambia! Si muta come un serpente con la sua pelle! Sono stanco di essere considerato secondo a tutti!

- Sai che io ti ho sempre considerato come un mio pari, anzi qualcosa di più, perché tu sei sempre arrivato prima a me in ogni cosa, Nabulio - confessò Giuseppe sincero - Non so cosa potrei fare senza il tuo sostegno...

- Giuseppe…ti prego in questo momento ho bisogno di tutto, fuorché del tuo biasimo, non sopporto quando si ha compassione della mia situazione, mi irrita profondamente - grugnì sdegnato Napoleone per poi proseguire - Agli occhi degli altri sei tu il primogenito e il capofamiglia, nonostante la nostra minima differenza d’età, spetta a te di diritto ereditare l’occupazione di nostro padre e il suo patrimonio, al secondogenito non spetta altro che servirti come fanno gli altri fratelli

- Il re, dopo essere stato portato a Parigi, presso le Tuileries, approva le riforme, è un nostro alleato, la Rivoluzione sta vincendo! - lo incoraggiò Giuseppe concitato - Il mondo sta cambiando Nabulio, ciò che dici ormai è antiquato, chiunque può accedere alle cariche ormai...

- Sulla carta! Ma ci vorranno decenni e decenni per gettare una concezione della società in vigore da secoli e secoli, le idee camminano più veloci delle masse! Ci vorrà del tempo e io sento di non avere tutto questo tempo, fratello - controbattè Napoleone sempre più amareggiato, non condividendo il suo ottimismo quasi nauseante, maledicendo il fatto di non essere arrivato per primo nella famiglia. Avrebbe esercitato un mestiere poco consono alla sua personalità, ma ci avrebbe senz'altro rinunciato per mantenere alto il nome della sua famiglia.

Giuseppe sentì il dovere di fare qualcosa. Fino a quel momento aveva avuto timore del fratello, si sentiva inferiore a lui, ora non poteva più tollerare una cosa simile, non voleva vedere suo fratello soffrire ancora, rinunciare alle sue aspirazioni per lui, Napoleone meritava di più di ciò che la vita gli stava offrendo.

- Fratello - iniziò con tono grave. Napoleone si stupì di questo cambiamento, però rimase in silenzio in attesa - Io ti aiuterò, tu hai sempre dato tanto alla famiglia, soffocato la tua ambizione per accontentare tutti noi…

Quella parola colpì profondamente Napoleone - Ambizione - sussurrò quasi incredulo stringendo con forza la divisa sul petto. Quel travolgente sentimento che aveva sostituito l’amore, l’affetto, le lacrime e che gli dava la carica e la forza per andare avanti. Per la prima volta gli aveva letto il cuore: Giuseppe lo aveva sempre capito, i suoi silenzi, la sua complicità, la sua mansuetudine, i suoi tenui sorrisi che ogni volta lo rincuoravano e lo facevano sentire una persona speciale. E sorrise di cuore, pur sapendo che il fratello non avrebbe potuto vederlo.

- Giuseppe - lo interruppe - Io desidero solo essere al fianco di Paoli e consigliarlo durante le battaglie…lui è un ottimo politico, ma non un abile stratega, se lo fosse stato non avrebbe perso in quella battaglia cruciale, ed ora che lui è stato posto a capo della guardia nazionale corsa, io ho il dovere di aiutarlo.

- Cercherò di fare il più possibile Napoleone anche a costo di andare contro tutto e tutti, ora però puoi aprire questa porta, per favore

- Le tue intenzioni sono serie, allora - lo schernì ridacchiando Napoleone. Aprì la porta, si trovò davanti un nuovo Giuseppe con una luce diversa negli occhi che lui conosceva benissimo: la luce della determinazione.  

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