Capitolo 27 - L'ora più buia è quella che precede l'alba -
- Domani andiamo a caccia, Nabulio, vuoi venire con noi? - chiese Luciano entusiasta di conoscere a fondo le doti del fratello ufficiale di cui aveva letto le corrispondenze che mandava a Giuseppe, di nascosto.
- Certamente - rispose il secondogenito.
- Perfetto! - esclamò Giuseppe - Ci servirà davvero il tuo supporto!
Napoleone dedusse dal tono che più di un invito quella esclamazione fosse una supplica, una richiesta d’aiuto - Viene qualcun altro insieme a noi? - chiese poco dopo.
- Sì, Carlo Andrea Pozzo di Borgo - rispose Luciano con ovvietà - È lui che porta i cani!
I Pozzo di Borgo e i Buonaparte erano amici e legati al patriota Paoli che combatterono al loro fianco nella disastrosa Battaglia del Pontenuovo, oltre ad essere parenti alla lontana: cugini di 5° grado. In particolare il conte Carlo Andrea era stato compagno di studi di Giuseppe a Pisa, e come lui si era laureato in diritto nel 1787.
- Ah - emise Napoleone - Si trova ad Ajaccio? E da quando?
- Dagli inizi di agosto - iniziò Giuseppe fissandolo intensamente - Mi ha riferito che il suo viaggio è stato molto movimento, dovuto a dei disordini interni ad Alata e nei paesi vicini, seppur non mi abbia spiegato nei dettagli di cosa di che entità fossero - Alata era una cittadina situata su di una collinetta, distante poche miglia da Ajaccio.
- Rivolte contadine - intervenne Napoleone prontamente - Probabilmente ci sono state rivolte riguardanti l’aumento dei prezzi di beni di prima necessità, non è una causa da sottovalutare!
Giuseppe si ricordò di quanto Napoleone gli aveva riferito nelle sue ultime lettere: i pericolosi moti popolari che si scatenavano in misura sempre più preoccupante dal 5 maggio di quell’anno. Suo fratello aveva toccato, più di una volta, con mano quelle problematiche ribellioni che dovette reprimere con la forza, seppur molto spesso controvoglia. - Mi sembra la spiegazione più plausibile, Nabulio, tu conosci la situazione meglio di chiunque altro qui! - confermò Giuseppe abbozzando un timido sorriso.
Quel clima gioioso e leggero era mutato improvvisamente diventando pesante e cupo, per quanto tentassero di nasconderlo non era possibile eliminare quell’aria di insicurezza, di rivolte e di voglia di cambiamento e riscatto.
Anche se in Corsica la faccenda era assai più complicata che in Francia, il popolo corso ambiva a qualcosa di più elevato di un semplice miglioramento delle condizioni economiche.
- Voglio unirmi anch'io alla caccia! - sbraitò Carolina con prontezza. Quell’intervento inaspettato eliminò l’imbarazzo che si era creato.
- Carolina, non insistere, per favore! - le urlò dietro Luciano - Non sei adatta, sei una femmina!
- E allora? Credi davvero che una donna non sia in grado di stare al tuo livello? Oppure hai solo paura? - lo punzecchiò sarcasticamente la sorella.
- Sai benissimo che non è così - le ricordò il fratello - L’ultima volta che ti abbiamo portato con noi hai fatto fuggire tutte le prede che stavamo per catturare dopo ore di ricerche!
- Quante volte te lo devo dire che mi dispiace e che non l’ho fatto di proposito…
- Carolina, forse è meglio se domani resti a casa - consigliò Napoleone sfoggiando un sorriso pacato - Sei troppo agitata e irrequieta e quando si caccia bisogna essere sempre concentrati e rilassati, inoltre penso che abbia altre cose da fare, magari più adatte a te, e soprattutto più sicuri!
- Ma non è giusto! - sospirò delusa la bambina che incrociò le braccia al petto.
- In un momento più tranquillo mi mostrerai le doti che i tuoi fratelli temono tanto - la rassicurò ammiccando.
- Va bene - rispose mestamente la bambina che si ricompose.
In cuor suo sentiva di aver fatto una buona impressione agli occhi del fratello mostrando il suo lato più battagliero e deciso. In realtà sapeva davvero poco di Napoleone, lo paragonava al padre, che ebbe modo di conoscere attraverso dei ritratti che la madre aveva appeso nei corridoi e in alcune stanze, ed erano fisicamente assai diversi. Aveva sempre fantasticato su di loro, forse perché distanti, forse perché entrambi gli provocavano uno strano calore che la spronavano a non cedere mai.
Un particolare che li distingueva le tornò in mente: le iridi grigie del fratello maggiore come le nuvole d’inverno, glaciali come il ghiaccio più puro, magnetici come calamite che la catturarono alla prima occhiata. Forse un giorno avrebbero cacciato e cavalcato insieme…
21 agosto
Napoleone aprì lentamente gli occhi: l’oscurità lo avvolgeva, i grilli, sui pini, tra i cespugli, intonavano la loro canzone d’amore. Rivolse lo sguardo al cielo notturno costellato da migliaia di stelle, rischiarato dall’esile spicchio della luna sorridente. Si alzò lentamente dal letto considerato ormai troppo morbido per lui e avanzò verso la finestra aperta.
L’insonnia che per molti poteva essere una maledizione, a lui aveva dato la possibilità di conoscere la tranquillità della notte. Era appoggiato sul bordo, il fresco tepore gli rinfrancò le forze sebbene non fosse per nulla stanco. Erano le 2 del mattino, neanche i contadini si svegliavano a quell’ora, ma forse era meglio così; istintivamente gli era venuta voglia di passeggiare nei dintorni.
Nessuno lo avrebbe disturbato, pensava. Accese la lampada ad olio presente sul comodino della stanza e con passo cauto uscì, si diresse verso l’entrata, aprì la porta e si trovò fuori. Controllò di aver portato con sé la spada e la pistola, in quegli anni così turbolenti era meglio avere ogni sorta di arma per difendersi e, nei peggiori casi, per attaccare. Non aveva mai camminato nella sua città di notte, ciò aumentò il suo fermento.
Al chiaro di luna ogni oggetto su cui l’occhio si posava assumeva un altro aspetto, qualcuno avrebbe detto spettrale per via delle ombre che si allungavano e storcevano, per Napoleone erano cariche di fascino ambiguo, misterioso che lo emozionavano quasi come se stesse leggendo un libro coinvolgente e ricco di tensione e pathos.
Di notte la realtà appariva meno razionale, in compenso, però, diventava più vera; con il sonno si abbandonavano le false preoccupazioni, le inutili ansie, le fatiche del giorno appena trascorso per rifugiarsi nei sogni, nelle aspirazioni, nei desideri. E seppur Napoleone non stesse tra le braccia di Morfeo, quell’atmosfera onirica lo influenzava, lo ispirava e conciliava temporaneamente il suo animo inquieto e mai sereno.
Anche se in quella giornata aveva mascherato il suo malessere interiore conversando gaiamente con la sua cara famiglia, sapeva che quel macigno era sempre presente lì, nel petto, che opprimeva il suo cuore.
Udì le onde che si infrangevano con dolcezza, spinte più lontano dalla marea che ogni notte ne approfittava per appropriarsi della spiaggia. Proprio come fece la Francia con loro. All’inizio l’impatto era sempre invasivo e violento, ma poi con il passare del tempo si mitigava, fino a scomparire del tutto amalgamando la sabbia bagnata con quella asciutta.
- La stessa sorte capiterà anche a noi? - chiese con rammarico al cielo indifferente - Oppure l’alba farà arretrare gli invasori risvegliando le coscienze e l’orgoglio perduti come accade con la marea? - L’antica paura di diventare un traditore riaffiorò in quella notte.
Non indossava l’uniforme francese e probabilmente non l’avrebbe fatto per molto tempo, ad indicare il suo flebile legame con la Francia...eppure sapeva che una parte della sua anima era rimasta intrappolata tra le grinfie del nemico.
Con inquietudine continuava ad osservare l’orizzonte e quel cielo opprimente che svelava improvvisamente il lato più celato, più oscuro dell’esistenza umana proprio come la faccia nascosta della luna. Si sentiva irrimediabilmente macchiato, perduto.
I suoi piani di portare lo spirito della Rivoluzione in Corsica e di scacciare l’odioso governatore francese non dovevano assolutamente fallire. Fin da quando mise piede in Francia non aveva smesso nemmeno un istante di pensare alla sua isola, la carriera militare era la sua unica ragione di vita, il suo corpo, la sua mente, la sua anima era inquadrati ormai nell’ottica delle armi.
Tuttavia desiderava ardentemente di poterla esercitare nel suo paese natale, non aveva intenzione di continuare a servire ipocritamente un regno di cui non aveva nè considerazione, nè stima, che gli aveva insegnato il mestiere delle armi a costo di indicibili sofferenze e resistenze che lo avevano segnato per sempre e che lo avrebbero accompagnato fino all’esalazione del suo ultimo respiro.
Carlo Andrea arrivò con i suoi fedeli cani da caccia, prestissimo. Il sole non era ancora sorto ma già si intravedevano le prime luci dell’alba che annunciavano l’inizio della giornata.
L’avvocato intravide un ragazzo sotto il pino a leggere un libro con una passione tale da non accorgersi della sua presenza. Si avvicinò, trascinato dai cani che avevano tanta voglia di correre e abbaiavano gioiosamente.
Napoleone riscosso da quel fracasso emise un sospiro, chiuse il libro e si alzò notando un giovane ragazzo che si dirigeva verso di lui. Non riuscì a identificarlo nitidamente, intuì che doveva trattarsi sicuramente di Carlo Andrea Pozzo di Borgo, uno dei suoi pochi amici d’infanzia e molto legato al maggiore. Correva come un matto tirando con forza i guinzagli dei beagle che quando furono vicinissimi a Napoleone non fecero che annusarlo per riconoscerlo.
- Perdonateli - si scusò Carlo Andrea fermandosi di fronte al ragazzo che osservava sorpreso quei splendidi cani da caccia - Sono sempre vivaci a quest’ora
- Lo credo bene non vedono l’ora di andare a caccia di prede - rispose Napoleone passando lo sguardo dai cani a Carlo Andrea affannato dall’inaspettata corsa. I suoi lineamenti diventati più marcati risaltavano i suoi 25 anni, il suo aspetto era curatissimo nonostante dovessero andare a caccia, facendo sembrare Napoleone trasandato e superficiale ed era incredibilmente alto per i canoni dell'epoca. La sua carnagione era olivastra, i capelli lunghi e castani scuro coperti dalla parrucca e gli occhi di un intenso color marrone, quasi neri. Il naso lungo e le labbra carnose.
Nella mano destra teneva stretto i guinzagli nell’altra imbracciava un lungo fucile di ottima fattura. I suoi scurissimi occhi incrociarono quelli chiarissimi di Napoleone sulle cui labbra sottili si formò un lieve sorriso.
- Ne è passato di tempo, eh? - esordì Napoleone.
Carlo Andrea socchiuse gli occhi nel tentativo di ricordarsi di quel giovane ragazzo corso che sembrava conoscerlo benissimo, poi come un lampo notò la somiglianza lampante con Giuseppe e fece cadere a terra il fucile - Tu..tu sei Napoleone o sbaglio?
- In persona, Carlo Andrea, mi sembri stupito...
- Sei cambiato molto dall’ultima volta - confermò sorpreso il compagno che lo squadrò dalla testa ai piedi. Stando alle informazioni dell’amico Giuseppe, tra lui e il fratello dovrebbero esserci all’incirca un anno e mezzo di differenza, quindi in teoria dovrebbe avere più o meno 20 anni, eppure il suo portamento fiero, il suo tono sicuro, i suoi lineamenti spigolosi e decisi lo facevano sembrare ai suoi occhi molto più grande della sua effettiva età, addirittura più dei suoi.
- Eh sì, ma vedo che anche tu hai subito dei notevoli cambiamenti, amico! - constatò Napoleone ridacchiando.
- Ma quando sei arrivato?
- Ieri - rispose istantaneamente - Nella tarda mattinata
- Adesso tutto quadra! - esclamò sbattendo le nocche della mano sulla testa.
- E così anche tu sei un avvocato, Giuseppe mi ha parlato molto del vostro legame a Pisa, e ne sono contento, soprattutto conoscendo il carattere di mio fratello, il quale non dispiace affatto della compagnia - sviò Napoleone gesticolando con le mani.
- Visto che sai già tutto, Napoleone - iniziò Carlo Andrea - Perché non mi parli di te? Come mai sei voluto tornare in Corsica? La nostalgia ha preso il sopravvento oppure hai qualche piano in mente stando anche agli ultimi avvenimenti accaduti in Francia?
Napoleone per un millisecondo spalancò gli occhi stupito dell’acutezza dimostrata da quella domanda, Carlo Andrea non era mai stato uno stupido, aveva sempre dimostrato una prontezza impressionante ma a quanto pare gli studi nel campo forense avevano sviluppato maggiormente le sue doti intellettive. Si ricredette su di lui e decise che forse era meglio se lo avesse coinvolto notevolmente nei suoi progetti.
- Non è la prima volta che torno nel mio paese natale - lo informò lanciandogli un’occhiata veloce - Però se devo saziare la tua curiosità non posso fare altro che risponderti - aggiunse con circospezione quasi come se stesse controllando che non ci fossero degli intrusi.
- Non sarebbe più comodo se ci sedessimo a parlare - gli propose Carlo Andrea indicando con il braccio il pino sotto il quale stava seduto pochi minuti prima.
- È un’ottima idea, amico - annuì Napoleone che distese il suo viso corrucciato.
Il suo aspetto ringiovanì in pochi istanti e mostrò la freschezza dei suoi 20 anni compiuti pochi giorni prima, alimentato dalla sempre più prorompente luce del sole che iniziava a tingere di un tenue azzurrino il cielo. Ma mentre si stavano avviando sotto il pino i cani cominciarono ad abbaiare verso la casa dei Buonaparte.
Carlo Andrea tentava di calmarli tirando con forza i collari, ma non smettevano di abbaiare finché la porta d’ingresso non si aprì e i due fratelli Giuseppe e Luciano uscirono vestiti di tutto punto e attrezzati a dovere con tanto di reti e trappole rudimentali.
- Splendida giornata anche oggi! - esclamò entusiasta Giuseppe mentre si dirigeva verso la stalla.
- Buongiorno Carlo Andrea, buongiorno fratellone - salutò Luciano correndo verso di loro, si sedette sulle ginocchia e li accarezzò - Buongiorno anche a voi bei cagnoloni! - rivolse ai cani che gli mostrarono la lingua scodinzolando gioiosamente. I diretti interessati risposero ricambiando l’augurio di una buona giornata.
- Noto con piacere che vi siete rivisti dopo tanto tempo - constatò sorridente Giuseppe che lanciò un fucile carico al fratello afferrandolo al volo e gli allungò le briglie del cavallo.
- È stata una vera sorpresa per Carlo Andrea che a stento mi ha riconosciuto - rise Napoleone mentre analizzava il fucile tra le mani.
Carlo Andrea si sentì leggermente in imbarazzo e lanciò un’occhiata a Giuseppe che lo sostenne; con il suo sguardo intendeva riferirgli che pure lui ha avuto la stessa impressione e reazione. - Allora vogliamo andare? - esortò Napoleone con lo sguardo rivolto a Carlo Andrea e Giuseppe - Il sole è sorto da parecchi minuti! Luciano tu vieni con me, sei d’accordo? - riferì al fratello minore che accettò con gioia
- Mi parlerai anche della Rivoluzione? - domandò curioso e desideroso di sapere.
- Certamente, fino a farti venire la nausea! - esclamò saltando agilmente sul destriero il quale mosse leggermente la testa e partì al galoppo verso il centro cittadino seguito da Luciano che lo affiancò.
- Non me lo ricordavo così ironico! - disse Carlo Andrea con il sopracciglio alzato.
- Neanche io, ma dovremmo farci l’abitudine - rise Giuseppe - Raggiungiamoli prima di perderli del tutto - L’amico annuì e s’inoltrarono velocemente nel cuore cittadino.
Da una finestra della casa Carolina con un sospiro carico di amarezza e noia osservava i suoi fratelli allontanarsi.
Avrebbe voluto essere con loro a divertirsi per i boschi a caccia di selvaggina, respirare l’aria pura e fresca, invece il suo destino era quello di restare relegata a casa o dalle suore a svolgere noiose mansioni tipicamente femminili come il cucito, la danza o il disegno - Perché sono nata donna? Avrei tanto voluto essere una di loro - si lamentò rannicchiandosi - Gli uomini hanno sempre le migliori fortune in questo mondo dominato dal maschio - effuse sospirando e appoggiando la testa sulle ginocchia.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top