B.J.
Brian, uomo di gran valore e cuore ma di scarse capacità amatorie, aveva da tempo rinunciato a costruirsi una famiglia. Non aveva mai incontrato una vera compagna, una che sapesse scaldargli l'anima come sentiva la necessità, e che lo trovasse unico, nell'immenso numero di uomini che vivevano nello spazio.
Quando aveva trovato il piccolo, aveva interpretato la cosa come un'azione del destino, che sorprendentemente gli offriva il modo di diventare padre putativo, ed egli aveva accolto l'opportunità con tutto lo slancio commovente di una creatura che si sentiva nata per quel ruolo, ma che s'era convinta di non aver più alcuna possibilità.
Nessuno di coloro che custodivano l'astroporto aveva avuto il cuore di denunciare l'accaduto e strappargli il piccolo. Che piccolo non era stato mai, in fondo, forse perché cresciuto da una comunità di adulti, in maggioranza uomini che, tutti, si erano sentiti compartecipi della paternità di Brian.
Che fosse stato per quello, o per una sua inclinazione naturale alla riflessività, Brian J era stato fin da piccolissimo silenzioso e osservatore, disciplinato eppure sorridente. Qualche monelleria, in cui pure era incorso, era in fondo stata sempre così ingenua da farsi perdonare all'istante, non appena il visetto angelico si era arrossato mortificato.
Naturalmente era anche possibile che, con l'intuitività propria dei bimbi, avesse perfettamente imparato a gestire i grandi occhi innocenti, che quando s'abbassavano in scuse confuse gli ottenevano l'immediata indulgenza di qualsiasi adulto.
Brian J, nella piccola tuta da responsabile di settore, ottenuta dal sarto di Achate riducendone una vecchia di Brian, perché potesse vestire identico a quello, come fosse la sua miniatura, era a cinque anni il re indiscusso della stazione.
Il Comandante non era stato mai ufficialmente informato dell'accaduto, e dunque aveva potuto guardare da un'altra parte, quand Brian J, esplorando la città nei periodi tra un attracco e l'altro, gli era finito nei paraggi.
Tuttavia, giunse il momento in cui l'età avrebbe dovuto farlo approdare a una scuola.
Fu difficile per tutti. Occorreva prendere una decisione, la migliore possibile nell'interesse del bambino. Il comandante smise di fingere d'ignorare, e si tennero riunioni in cui ciascuno espose la propria opinione; infine anche B.J. fu ascoltato.
"Voglio vivere qui, con voi", affermò con forza e consapevolezza il piccolo. E realmente i problemi che sarebbero sorti, di ogni natura, per portarlo via da Achate e iscriverlo a una scuola qualsiasi, sarebbero stati devastanti.
Ogni adulto dell'astroporto si offrì allora come insegnante, ciascuno nelle sue competenze, e si giunse a concludere che avrebbe potuto apprendere di tutto, se solo l'avesse voluto.
Cominciò una nuova era, con B.J. alunno di quattrocento insegnanti. Dal cuoco al sarto, dal coreografo dei numeri di danza ai suonatori della sala da ballo con la musica dal vivo; e passando naturalmente per gli operatori della sala motori, per i tecnici dei sistemi audio e video fino ai medici che si alternavano nel presidio sanitario della minuscola colonia. C'era di che diventare quasi ogni cosa si desiderasse!
Quello che più preoccupava il comandante, però, era che B.J. non avesse idea delle dimensioni del mondo. L'atmosfera irrespirabile di Achate consentiva di vivere senza ausilii e bombole solo all'interno della cupola.
Lui tentò di dipingere al bambino la Terra, e gli altri pianeti su cui era stato possibile impiantare colonie, dove invece si poteva andare ovunque sulla superficie, respirando liberamente.
Gli mostrò le foto delle città di superficie, centinaia e centinaia di volte più estese di Achate. Gli mostrò immagini di fiumi, di laghi, di oceani, e quello si spaventò.
Cresciuto in un universo in miniatura, B.J. sbarrò gli occhi e poi se li coprì, terrorizzato da quell'immensità. Affermò risoluto che non avrebbe mai affrontato simili luoghi, in cui uno come lui sarebbe stato come la luce di una nana bianca nel centro della galassia, nascosta e sopraffatta da un infinito numero di luci di stelle, migliaia di volte più grandi.
Invisibile, sarebbe stato!
B.J. non voleva essere invisibile.
Egli era il figlio di un'enorme famiglia e non aveva conosciuto un solo giorno di solitudine in vita sua.
Ma il tempo passava e B.J. non doveva restare per sempre bambino. La sua infanzia si concluse il giorno che Brian si accasciò al suolo, e il medico accorso non potè rianimarlo. Un infarto fulminante, per un uomo ancora discretamente giovane.
B.J. dovette separarsi dal primo dei suoi padri.
Altri poi ne perse nell'avvicendamento abituale del personale, mentre nuove conoscenze lo accompagnavano verso la giovinezza. Cresceva vigoroso, e i lineamenti angelici, inconsapevole eredità della giovanissima che l'aveva generato, presto incantarono ogni passeggera che transitasse per la luna quando, ormai in età per farlo, prese a vestire la divisa astroportuale.
Nessuno poteva più sospettare che non fosse un semplice tecnico al lavoro.
Eppure, Brian era ben altro; e il segreto sulla sua identità, condiviso con tutti i vecchi della luna, non era la sola cosa che lo facesse unico.
Se fin da bambino si era sentito capace di intuire gli stati d'animo e i pensieri di chi lo circondava, e tale capacità aveva usato per ingraziarsi chiunque, col tempo questa si era rafforzata diventando qualcosa che B.J. prudentemente, aveva nascosto a tutti.
B.J. sentiva i pensieri altrui, tanto quanto distintamente le persone 'normali' ascoltavano le fonti sonore.
Inizialmente fu inconsapevole che la sua fosse una capacità unica, un vedente non si chiede se tutti pure lo siano, lo dà per scontato. Solo crescendo scopre con stupore che alcuni vedono meno, alcuni sono daltonici, alcuni ciechi.
Il ragazzino scoprì a circa sette anni che i pensieri, di norma, restano segreti.
Non rivelò a nessuno che invece lui 'sentiva'.
La sua fortuna fu che in quel piccolo mondo la cattiveria della gente fosse contenuta. C'era molta solidarietà e poca invidia. Ma i passeggeri...
Con i passeggeri il mondo di fuori faceva irruzione in modo violento, portando ondate di passioni e odi e vendette e meschinerie che lo aggredivano con violenza.
Con loro il suo dono diventava una condanna a sapere ciò che avrebbe preferito ignorare. Di rado i pensieri degli sconosciuti non lo disgustavano. Ancor più di rado trovò persone 'di fuori' i cui pensieri apprezzasse tanto da attrarlo. Solo due volte questo accadde con donne giovani e libere, che gli fecero provare il desiderio di conoscerle meglio.
Ma la brevità del tempo loro concesso impedì che accadesse.
Una lo pregò di imbarcarsi con lei. Per visitare insieme la terra, dove era diretta. B. J. visse la tentazione più forte della sua vita.
La donna era bella, e lo erano anche i suoi pensieri. Lo desiderava e B.J. aveva vissuto con lei la sua prima, vera notte di passione. Era stata una sensazione galvanizzante, pur nella consapevolezza che era solo un approccio, il possibile inizio di una storia tutta da costruire.
Brian si chiese seriamente se dovesse seguirla.
Ma se la dimensione fisica dei pianeti coloniali lo spaventava, ancor più lo terrorizzava la dimensione della società umana, l'architettura di rapporti improntata al potere, all'affermazione, alla prevaricazione.
Non riuscì a salire sull'astronave, a staccarsi fisicamente da Acathe.
La donna partì sola e Brian seppe d'aver fatto una scelta definitiva.
Persa l'occasione di vivere la dimensione dell'emozione, dell'avventura, aveva scelto piuttosto la pace.
Nel suo mondo in miniatura Brian J. viveva sereno, capace di offrire una sensibilità che ne faceva il confidente ideale, l'amico perfetto.
Nessuno si stupì mai, veramente, di come sapesse tutto di ognuno di loro, perché tutto si ritrovavano a confidargli; e mai un suo consiglio, una sua previsione andò a vuoto.
Quando infine le rotte spaziali si allontanarono da Acathe, a causa della costruzione di nuove stazioni di sosta, B.J. non ne soffrì affatto, meno passeggeri significava per lui meno pena.
Finché non lesse la preoccupazione nella mente del comandante.
Se la frequenza scendeva ancora, mantenere la spazioporto sarebbe diventato antieconomico. E nulla conta di più, per gli uomini, del denaro.
Il comandante previde che Acathe rischiava la chiusura.
Sembrava una cosa inverosimile, aveva sempre rappresentato quasi essa stessa una meta, più che una sosta obbligata verso altre destinazioni... eppure la previsione si avverò con tanta precipitazione da cogliere tutti impreparati.
Gli attracchi previsti furono cancellati, si ordinò l'evacuazione immediata del porto, il trasferimento del personale ad altri impianti.
Come un fulmine a ciel sereno tutti loro dovettero prepararsi a partire. Un mezzo della compagnia proprietaria dello spazioporto si annunciò a imbarcarli e il comandante tentò di far capire a B.J. che la città si sarebbe addormentata.
Forse, in un futuro lontano, l'impianto sarebbe stato riattivato, visto che le strutture non sarebbero state smantellate, ma...
Ma senza i rifornimenti periodici tutto si sarebbe fermato. Niente più aria, niente più temperature adatte alla vita. Acathe sarebbe diventata inabitabile nel giro di tre giorni. Impossibile restare.
"Non puoi far altro che partire con noi, B.J."
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