Sono YO, ma IO chi sono?

Il pezzo di vetro vulcanico tornò a essere semplicemente tale. Nero, lucido, di forma imprecisa tendente all'ovale, prendeva lo spazio di un palmo delle mie mani. Ormai spento, nulla lo differenziava dai molti sparsi a terra.

Frastornata da quanto si era svolto attorno a me, stavo seduta tra le rovine di un glorioso passato. Vi erano scheletri di raccoglitori metallici e risme di carta andata in cenere e fumo, come la mia vita. Non percepivo odori, ma in bocca avevo il sapore agrodolce delle parole non dette. Sul polso sinistro tre fiammelle come petali di lillà mi riportarono al giorno in cui il mio tutto si sovvertì.

Stavo per compiere sedici risvegli e la stagione del mio ritorno al castello era alle porte. Vi sarei rimasta fino al Solstizio Freddo, quando avrei unito mani e ricchezze a quelle del principe con cui ero stata mandata a crescere in campagna per abituarmi a veder lui, e lui soltanto, al mio fianco.

I primi fiori erano sbocciati. Ce n'erano di ogni tipo e profumo. Mi inebriavano i sensi, già eccitati al pensiero del roseo Futuro che avevo tanto atteso e stava per concretarsi.

In sella al mio cavallo, costeggiai la sponda meno impervia del Fiume Proibito, lieta dei miei lunghi capelli sciolti al vento che, nella corsa, mi sfiorava le orecchie.

Assalita dalla sete come da bestia feroce, mi fermai, scesi dal destriero e mi inoltrai in un canneto in cui si era creato un piccolo sentiero. La riva era sabbiosa e l'acqua blu cobalto. Ne bevvi delle belle sorsate, un uzzolo che mi ero già concessa tre o quattro volte da quando avevo imparato a cavalcare: figlia di un Re, nessuno mi avrebbe fermata o punita per aver infranto le Regole dei Padri. Le guardie che mi scortavano erano avvezze alle mie stramberie. Avevano figlie della mia età, e mi adoravano. Non avrebbero messo a repentaglio la mia fiducia per così poco. Né io né loro ci accorgemmo di quel che mi ero fatta.

Ritornai a casa dalla donna che mi allevava, in tempo per il pasto di metà giornata. A passo di rumba, cantando un brano folkloristico, entrai in cucina, dove la trovai ad affettare ortaggi. Il suo viso paffuto impallidì. Non ero in disordine; avevo legato i capelli come era in uso; il mio abito color della paglia non era sbrindellato; mi ero tolta i calzari nella stalla e mi ero messa ai piedi ciabattine di stuoia. Non ero inzaccherata più degli altri giorni, per cui non mi capacitai del perché cercasse di coprirmi con il sinale. L'opinata impudenza di mia madre si stava coagulando nel mezzo di un ginocchio sbucciato; il mio sangue, sciroppo di rapa rappreso, non era più vermiglio come quello di Re Baldon.


L'uomo che amavo mi aveva seguita per salutarmi; si fermò a tre passi da me, con in faccia il calco dell'aborrimento. Mi deferì alle sue guardie; le mie non poterono fermarle.

Mi portarono al cospetto del Monarca, che mi schifò. Nelle segrete del castello, fui marchiata con il simbolo del fuoco per il mio temperamento indomito.

Ripudiata da padre e compagno di avventure bucoliche, piansi un giorno e una notte in una cella buia, al freddo, senza cibo né acqua. All'alba una domestica mi portò una patata lessa e un bicchiere di latte di asina. Mi lavò, pettinò e vestì come se dovessi andare a un ricevimento. In schiavettoni, mi ricondussero nella sala del trono.

Re Baldon stava dritto in tutta la sua sovrastante altezza, con l'indice teso verso mia madre inginocchiata tra due fanti; la condannò per truffa alla Corona. La portarono via; per molto tempo non seppi dove.

Il mio Futuro era già stato consegnato al mio promesso sposo; sapete come reagì.

Osservai le tre fiammelle sul mio polso.

«Nelle mie vene scorre sangue di Razza Infima?»

Non ne avevo mai sentito parlare. Di troppe cose non ero a conoscenza.

«Quando sarò libera da questa maledizione, con l'esercito di Re Oridi al mio servizio, cercherò mia madre e la porterò con me. Ora, prima di ogni cosa, cos'è e dov'è, se c'è, l'Antica Botola?»

Le mie parole rimbombarono tra le pareti calcaree della caverna.

Non appena Eco ebbe smesso di ripeterne le lettere finali, lo sguardo cadde ai miei piedi. Un secondo pezzo di vetro, a forma di cuneo, si fece di sette colori. La proiezione riprese, ma non da dove si era troncata. Tra qualche istante ve la illustrerò.

Per rendere più chiara la visione, la introdurrò con le seguenti locuzioni:

-fermo immagine, per presentare una scenografia statica;

-immagini in movimento, per presentare detti, atti e fatti.

Osservate e prestate attenzione ai dettagli. Ascolterete voci che avevano taciuto; vedrete le rotelle nelle sinapsi della donna chiamata Marianne andare indietro e tornare avanti in inghippi e traversie. Vi sembreranno senza senso; vi assicuro, non è così.

Chiudete gli occhi e dilatate la mente. Lo spettacolo sta per iniziare.

Sono Yo, Signori, ve l'ho detto. Chi io fossi non lo sapevo ancora, non del tutto. Ma non ho dubbi: dico sempre e solo la Verità.

♥♥♥

Spazio autrice&lettori

Questo capitolo è un breve intermezzo di Yo che, grazie ai retroscena della storia di Fel e Jurig, sta capendo molto anche di sé, e di cosa le è successo.

Cosa ne pensate di questo personaggio? Troppo misterioso? Intrigante o ingombrante?

Attendo il vostro feedback per capire se sto andando nella direzione giusta o se è necessario correggere un po' il tiro.

Intanto: grazie di essere qui!

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