9. L'amore salva?
Voce narrante
Nello stato di dormiveglia indotto dal farmaco che Amixandro mi propinava meticoloso e puntuale, la voce di Jurig, afona e gutturale, chiamava il mio nome. Combattevo la catalessi per non perderla, pur consapevole che solo nei sogni il mio amato poteva esserci ancora, soccorrere derelitti, suonare la canna di bambù.
«Felìpen!»
Fanciullo con il moccio al naso, ginocchia e mani a terra, era un ariete contro il vento che gli scompigliava i capelli e stracciava gli orli della virginea veste di canapa tessile. Una donna vestita di giallo e di arancio gli tendeva le braccia; dal cordino di caucciù legato al suo collo oscillava una piccola saetta di metallo blu le cui onde lente mi trasportarono avanti nel tempo: Jurig era un adolescente smilzo; accudiva un cucciolo dalla criniera fulva; dava da bere a chi aveva sete e da mangiare a chi non aveva più la forza di aprire la bocca, ape operaia infaticabile, in mezzo ad adulti inermi come propupe.
«Felìpen!»
Lo vidi venirmi incontro meravigliato e chiedermi: «Chi sei?» quando io stesso avevo dimenticato la risposta a questa domanda.
«Felìpen!»
Il sole stava per morire, e non era il solo. Nel Fiume Indaco la Vera Luna annegava tra le bubbole delle Autorità. Jurig e una donna procace bevevano acqua di cisterna depurata, convogliata in un calderone, sopra braci ardenti.
«Chi salverà te?»
«Felìpen. L'amore salva sempre.»
«Magari fosse così.»
«Felìpen! Vieni, siediti qui.»
In Miraggi di Letargia, lui era con me, e io con lui.
Immagini in movimento
All'ombra delle querce, volti senza sangue, occhi senza spirito e braccia scarnificate si assembrano attorno a tre uomini vestiti da Persone Ammodo. Mostrano loro armi, gioielli, indumenti da Possidenti, e invocano Pietà. Buscano nerbate e bestemmie.
«Pezzenti!»
«Se il tanfo si potesse vendere, sareste ricchi!»
«Levami le mani da dosso, lercioso!»
«Questa accozzaglia non vale più di sei fialette e quattro siringhe.»
L'uomo chiamato Felìpen si fa largo brandendo un randello.
«Diamo ciò che abbiamo! Ne volete sempre di più, farabutti!»
Contrae i polsi e il bastone diviene una torcia; ramoscelli prendono fuoco; un vento repentino lo spegne. L'uomo viene tirato via da un giovinetto emaciato, inzaccherato, seminudo, con lunghi capelli ricci e le orecchie leggermente a punta; con la potenza di un ciclone tropicale, lo spinge verso il fiume.
«Raffreddati, ma non berne l'acqua.»
«Perché?»
«Non lo so. Così ammoniscono gli Scienziati.»
Il baratto si compie, le siringhe passano di mano in mano e gli aghi di vena in vena.
Dense nuvole bianche incombono sul villaggio, riversano il loro carico soffice su corpi addormentati. Con essi, il ragazzo dalle orecchie a punta trova l'uomo chiamato Felìpen, lo percuote, lo bacia.
«Io ti scalderò.»
Il cielo è gemmeo. L'uomo è salvo. Mano nella mano con il ragazzo, si lascia alle spalle il villaggio e si addentra in una foresta di resinose. Conta diciannove tonalità di verde e dodici di marrone. Discrimina le foglie di tre varietà di Abete, due di Faggio, una di Betulla. Il suo apparato visivo percepisce Incongruenza.
«Non sono mai stato qui. È bello esplorare con te; ancor meglio è esplorare te.»
Il più giovane bacia l'altro, che lo scosta e gli mette un dito sulla bocca.
«C'è qualcuno, laggiù, tra quelle liane.»
I due si accucciano e osservano. Vedono ciò che non devono vedere.
Quattordici uomini incatenati, in fila, con tute a strisce e zaini in spalla. Con loro, cinque guardie armate. Un uomo in tuta nera toglie del fogliame da un cippo. Si volta, scorge i due intrusi.
«Al mio tre, corri più che puoi.»
«No, Fel. Aggrappati a me. Voliamo.»
Volano e si amano, litigano e fanno pace. L'uomo cede i suoi denari per iniettarsi oppiacei e oppioidi. Il ragazzo gli tiene la fronte mentre vomita Astinenza.
Stelle filanti, baratti, fialette, siringhe; non bastano le vene. Non piove, e l'acqua è scarsa. Le scatole di cibo si contano sulle dita della zampa posteriore di un tapiro volante. Gli scienziati non braccano selvaggina; intorno a un barbecue che non ha nulla da cuocere, confabulano tra loro.
«Ho visto Facchini delle Truppe versare cibo in un sepolcro.»
«Ricordi il punto preciso?»
«Un tralcio con foglie secche. Sotto c'è una lapide segnata con una croce. Copre una botola.»
Nella notte senza lune, fari di veicoli militari e spari: il villaggio non è il set di un Sogno per Megamonitor; chi cade, cade davvero, e chi muore non si rialza quando il cronometro segna lo zero. Cornacchie si levano in volo, civette squittiscono, piccoli mammiferi si arrampicano sui tronchi o scavano vie di fuga sotto le radiche. Uomini, donne e bambini escono dalle capanne e dalle tende. Corrono. Alcuni sono colpiti alle spalle, altri alle gambe.
Una lama colpisce a casaccio; fiede il viso del giovane con i capelli zebrati e l'avambraccio destro del titano con occhi di carbone; all'uomo calvo, rasenta la carotide. Il primo ha in braccio il piccolo Leone; un Cavaliere dell'Aria alto quanto un ciclope, con lunghi capelli fulvi, glielo strappa dalle braccia. Gli altri due prendono per mano la donna con i capelli corvini raccolti in una crocchia; si voltano di spalle per fuggire; non fanno che tre falcate.
Dalle loro schiene forate fuoriescono schizzi orchidea.
«Aiuto! Felìpen, aiutami!»
Il giovane Jurig ha la faccia nel terriccio e le braccia legate dietro al sedere.
Agenti di Pubblica Sicurezza parlano tra loro.
«Sai chi sono?»
«Ricercatori, un collega posto a loro difesa e figli di Scalatori Sociali.»
«L'Eretico è sgommato su due ruote nella fratta, con suo figlio. Testimone scomodo: la sorellastra è tra i catturati; sa che è viva.»
«Se li trovano cadaveri, succede un Pandemonio.»
«Idem se non li trovano.»
Rumori, colori: tutto si spegne. L'uomo chiamato Felìpen è in posizione orizzontale. Sotto la pancia, una superficie liscia come la lastra di acciaio di una sala chirurgica. Fa per muovere il collo e gli arti; anchilosato, è una statua con l'anima.
Il ronzio di apparecchiature elettroniche aumenta di decibel in decibel. Un doppio scalpito di zoccoli da Curatore si avvicina e si ferma.
«La perdita di memoria sarà permanente?»
«Non lo sappiamo. Dovranno essere monitorati.»
«So come fare. Mia moglie è Specialista in Tecniche per la Conduzione di Gruppi di Auto Mutuo Aiuto. Si camufferà da superstite tra i superstiti. Se ricorderanno, noi lo sapremo. Il tasso di infortuni è salito al venti per cento delle cause di decesso. Uno in più, uno in meno...»
«Aiutami, Felìpen!»
Voce narrante
Con il capo sopra la mia spalla sinistra, Leone ronfava soffiandomi aria sulla guancia. Non udivo altro. Non avvertii la presenza di Amixandro, sedulo nel rincarare la dose di decotto ottenebrante, non lo sentii muoversi nella stanza o approntare del cibo in cucina. Solo quel richiamo, la voce di Jurig, che mi trapanava l'osso temporale:
«Aiutami, Felìpen, aiutami!»
Sollevai le palpebre per sincerarmi di essere solo. Mi mossi con cautela per non svegliare il felino e scesi dal letto. Nelle narici avevo l'odore del sangue coagulato, nella bocca il suo sapore metallico. Aprii la finestra per rinfrescare l'aria e le idee.
«Aiutami, Felìpen! Aiutami!»
«Non posso, sei morto», risposi, d'istinto.
Riversai sulle mani aperte il viso e tutte le lacrime represse. Leone mi strusciò le gambe, miagolando, col musino all'insù.
Lo presi in braccio e me lo accoccolai sotto il mento.
«Sss! Lo zio Amixandro non deve capire che siamo svegli.»
Volevo riacquistare lucidità, per trovare i due capi dello spago che legava tra di loro i miei sogni sconclusionati.
In salotto, il mio socio russava supino sul sofà, con la bocca aperta e un braccio ciondolante verso il pavimento. Le orecchie, a punta come quelle di Jurig, erano ceree. I muscoli delle gambe sussultavano.
«No, non sei reale», lo sentii sbiascicare.
Entrai in cucina, posai Leone sulla sedia tentennante; riempii una ciotola di latte per lui e una di bevanda energizzante per me. Sciacquai la faccia nella vasca per le stoviglie. Chiuso il rubinetto, mi voltai di scatto. Amixandro era ancora sul divano, eppure sentivo di non essere solo.
Gli andai vicino; riascoltai quella frase:
«No, non sei reale».
Mi sbracai sopra una sedia, con il sedere in avanti e le gambe larghe, gangster pronto a torturare la mia vittima. Gli puntai uno stiletto alla gola.
Sgranò gli occhi e arretrò facendo leva sui gomiti.
«Da tanto, sei sveglio?»
«Abbastanza da decidere di non volere più dormire.»
«E questo?» chiese, guardando l'arma.
«Sei un ottimo teatrante. Hai mai pensato di fare il recitatore?»
«Che vuoi dire?»
«Hai perso un fratello; non ti ho visto versare una lacrima. Non sei andato a rendergli omaggio, ad allestire la pira, a confortare tua madre. Hai mangiato, hai bevuto, ti sei preso cura di me. Non un tremito o un'imprecazione. Dov'è il tuo accoramento, Amixandro?»
«Infilzami e lo vedrai fiottare, perché è dentro di me, entra nei polmoni con l'aria, intasa le mie arterie, mi intossica le cervella e mi sta facendo impazzire. Ho ingerito un po' della droga che ho dato a te, per farlo tacere, ma è qui, Jurig è qui! Continua a chiedermi aiuto e io non posso fare niente, se non stare con l'uomo che ha amato. Ammazzami, Felìpen, spegni la sua voce!»
Aprii il pugno e l'arma cadde a terra. Amixandro piegò le ginocchia, le cinse con le braccia e ci nascose la testa. Si morse la lingua e graffiò le gambe. Muco, bile, urina, diarrea: acqua e pus sgorgarono da pelle e orifizi, formando una pozza metifica nel mezzo della quale guaiva come un cucciolo di lupo silvestre con la mamma ferita da un cacciatore di frodo.
Proruppi in una fragorosa risata e applaudii alla mia perspicacia. Mi alzai in piedi e sistemai i Blu Jeans bisunti.
«Caro amico mio!»
Lo sollevai e portai sotto la cascata murata. L'acqua ci idratò e fece defluire scorie di negatività.
«Ha buggerato anche te: tuo padre sa che altrimenti non mi avresti inflitto tale supplizio.»
Ci stavamo rivestendo, io continuavo a ridere e Amixandro a piangere.
«Jurig è vivo.»
«Fel, tutto ciò è deleterio per te e per me.»
«Ti ha parlato.»
«Era un sogno.»
«Lo credevo anch'io. I suoi ricordi si sono confusi con i miei. Non lo ha mai fatto, ma so che ne è capace: Jurig è entrato nella mia mente.»
Amixandro fermò le sue azioni e si diede una pacca sulla fronte.
«E nella mia! Ha Libero Accesso, anche se non ne ha mai abusato. Che stolto, perché non ci ho pensato!»
«Un figlio crede sempre a ciò che dice il genitore.»
♥♥♥
Spazio autrice&lettori
Sogni e ricordi si confondono nella mente di Fel. Ma una cosa sembra emergere chiara: la voce di Jurig. Cosa ne pensate di questa piega presa dal racconto? Io sinceramente non me l'aspettavo, ma, lo sappiamo, i personaggi sono imprevedibili e succede che anche le comparse prendano delle iniziative proprie, così come il padre di Jurig; chissà che ha combinato!
Mancano solo poche righe allo svelamento del mistero che aleggia intorno al Fiume Indaco; seguitemi, se volete scoprire insieme a me il segreto che le sue acque portano nelle gocce.
Note
Il tapiro volante ha tre dita nelle zampe posteriori e quattro in quelle anteriori.
Orchidea è una sfumatura di viola
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