8. Prato verde
Voce narrante
I muscoli rocciosi di Braul si interposero tra me e Jurig. Amixandro spense le vescicole che mi fumavano sotto i polpastrelli; utilizzò una parte del mio calore per scongelare le articolazioni di Jurig. I nostri genitori accudirono Nicol, che volle stare al buio nella sua stanza; non per una tazza di tè, ne uscì, né per salutarci, dacché decidemmo di non fermarci per la notte.
Nel tragitto verso casa stemmo come ammutoliti; il continuo voltarsi a dritta e a manca, l'accavallare e scavallare le gambe, l'aprire e chiudere i pugni, mi parlò dello stato d'animo di Jurig più del più prolisso dei sermoni.
Non cenammo. Dormimmo nello stesso letto, senza toccarci e dandoci le spalle, l'ultimo, turbolento sonno insieme prima del terribile incidente.
Immagini in movimento
L'uomo chiamato Jurig appare in cucina in una tunica evanescente e i capelli sciolti. L'uomo chiamato Felìpen, in canottiera bianca e calzoncini ocra, lo guarda come se fosse una Divinità scesa dal Monte Altissimo della Mitologia Antica.
«Buongiorno, Fel. Imbottisci un toast anche per me?»
«Buongiorno Jurig. Tu qui a colazione, quale premio! A cosa lo devo?»
«Sei sardonico, me lo merito.»
«Scherzo, Jurig. Tu ti sei conformato alle mie regole, io mi adeguo alle tue.»
Il più giovane si accosta per un bacio fugace.
«Mi ha contattato Maurisius per una Serata Canora.»
L'altro ricambia e apre una lattina di salsa gamberi e brandy.
«Vai.»
«Non senza di te.»
«Sei sempre in casa, con me o di sopra a lavorare. Ti farà bene uscire con i tuoi amici, svagarti un po'.»
«Tu non esci con Amix.»
L'uomo chiamato Felìpen spalma di salsa due fette di pane bruscato e le mette una sull'altra, con in mezzo formaggio e lattuga.
«Lo vedo tutti i giorni!»
«Perché devi. Gli altri?»
«Una di queste sere li contatterò per una birra. Ecco il tuo toast.»
Voce narrante
Nuvole bianche o grigie, sottili, compatte, filamentose, a forma di cammello, orsacchiotto o pecora lanosa; pioggia sparsa o sopraffusa, leggera o scrosciante, a piccole o grandi gocce; venti costanti, intermittenti, deboli, forti, moderati, provenienti dai monti o dai mari: ognuna di queste varianti meteorologiche era vacante dalla quinta alba della Stagione Calda, la quale era già a metà del suo percorso. In cielo erano nitide le stesse costellazioni che avevano osservato il corpo nudo di Jurig invitare il mio in performances marine. I due unicorni assistettero, attraverso la finestra della cucina, a una rara scena di quiete domestica.
Jurig era uscito da poco. Avevo cenato e stavo seduto con le gambe distese sulla sedia che nessuno dei due usava perché tentennante. Leone sonnecchiava acciambellato sulle mie cosce.
Non avevo acceso la luce. Riflettevo. Sui sogni ricorrenti. Sulla morte di mia madre. Sul mistero dei tre rubatori, con le due donne e la bambina. Sulla follia che mi induceva a trovare correlazioni quando era chiaro che non ve ne erano. Mi sbagliavo. Dovetti perdere Jurig, per capirlo.
I toc toc toc toc toc alla porta mi fecero sobbalzare e buttare all'aria il piccolo felino, che filò sotto la vasca per le stoviglie. Ciò che avvenne dopo, e nei giorni successivi, non lo ricordo. Ora so che il veicolo di Jurig si era ammaccato nell'impatto con un autocompattatore, le ossa delle sue gambe erano fratturate e l'encefalo non emetteva segnali elettrici. Amixandro, venuto lui stesso a comunicarmelo, non mi permise di lasciare l'abitazione, mi drogò e mi mise a letto.
La terza sera versai la pozione verdognola in un vaso di Aloe Vera e chiesi di vedere Jurig.
«Impossibile. Proibito.»
Suo padre aveva assoldato due guardie; nessuno si poteva avvicinare, nemmeno i parenti. Per questo era lì con me: per unire il suo dolore al mio; per lenire il suo dolore curando me.
Man mano che la foschia si diradava sfollando l'intelletto dagli effetti nefasti della bevanda soporifera, interloquimmo come se Jurig fosse in vacanza anziché su una lettiga nel vestibolo di un deposito mortuario.
Immagini in movimento
Ammonticchiati nel vano lavanderia, abiti di ogni guisa sono smistati da quattro mani sapienti, e messi in acqua saponata in grandi bacinelle di plastica riciclabile.
L'uomo chiamato Amixandro toglie i guanti di silicone e si appoggia al muro.
«È dal sorgere del sole che laviamo, asciughiamo, stiriamo. Facciamo un break.»
«Quando torna Jurig, deve essere tutto lindo e pinto.»
«Sono quattro volte che candeggiamo pavimenti e mobili. Una stanza da bagno, una camera, una cucina, un salotto. È qui, dunque, che ha scelto di stare mio fratello. Immolato per amore, quando potrebbe alloggiare in una reggia. Non c'è niente di suo, a parte questi panni che ti ostini a mondare per lui. Che ne è stato della sua arte?»
L'uomo chiamato Felìpen toglie i guanti e li scaglia sullo stricaturo.
«Vieni con me.»
I due uomini salgono al piano superiore. L'uomo chiamato Felìpen allarga le braccia a indicare la soffitta e ciò che la riempie.
«È vietato metterci piede; per te farò una deroga. È ampio a sufficienza? "Estrosità è volubile, va cavalcata e vezzeggiata": con tale pretesto si rintana quassù giorni e notti. Dorme qui, se dorme; il divano l'ho fatto portare apposta. Dietro quel paravento c'è un pitale. Un solo veto, avevo posto, al manducare dove lavora, per fargli sgranchire le gambe e riposare gli occhi. Se non ero in casa, mi sono accorto, disertava il pranzo; tutte le mattine glielo appronto e porto, prima di uscire.»
L'uomo chiamato Amixandro si aggira tra le scatole e i manichini; si sofferma su alcuni bozzetti, tra figurini sparsi sul tavolo.
Fermo immagine
Cinque sopra e cinque sotto, dieci riquadri sono parte di un puzzle, rompicapo in voga tra gli Antichi per favorire il coordinamento motorio, la concentrazione, il problem solving eccetera eccetera e frenare l'insorgenza della demenza senile.
Un muro bianco, un buco nero. Un villaggio di tende e capanne, lungo la sponda di un fiume.
Un fanciullo che suona una canna di bambù, seduto a gambe incrociate nell'erba alta di un prato verde trifoglio.
Una donna, con un cordino di caucciù al collo da cui pende una saetta blu, bacia un titano in mimetica vegetale.
L'uomo chiamato Felìpen ha occhi spiritati e bocca aperta da Attonimento.
Voce narrante
Io e Amixandro profanammo il tempio di Jurig. I suoi disegni aprirono per me un cosmo parallelo di eventualità. Seguì un acceso dibattito, da cui emerse un'Atlantide sommersa nella psiche di Jurig, e nella mia.
«Mio padre mi aveva messo in guardia, ma non ci ho creduto. Caparbietà nel voler stare con me, Frenesia di stanziarsi in questa casa: tuo fratello è una spia.»
«Stai farneticando. Sei stressato, e devi mangiare: sei digiuno da ieri.»
«Tu lo sai! O tu lo sei? Solerte nello stendermi un red carpet nella tua Azienda, nel condividere con me mestiere e clienti. Un tranello in cui mi sono buttato a capofitto. Mi avevi sott'occhio e hai fatto di tutto per allontanare Jurig da me. Per tenerlo fuori dai tuoi raggiri? O per non farlo soffrire quando mi avresti eliminato? Sei qui per piantonarmi. O per avvelenarmi poco a poco.»
«Fel, cosa⁃»
«Questi, tratteggiati qui con gessetti colorati, sono i miei sogni!»
«Jurig fa questi disegni da quando⁃»
«Da quando? Amixandro! Da quando!»
Il mio amico, o nemico, si accostò alla finestra. Boccheggiava, pesce a cui era stata tolta l'acqua, il suo Sacro Elemento. Batteva i denti, si premeva una mano sulle labbra.
Gli aggranfiai il colletto della camicia bianca che indossava da giorni e puzzava di soffritto d'aglio e prezzemolo.
«Da. Quando.»
«Da quando siete tornati.»
Lo spinsi contro la parete.
«Da dove?»
«Mi è proibito ascoltare, mi è proibito parlare.»
Esasperante, quasi quanto il fratellino, abbassò il capo belando.
Feci un passo indietro e mitigai il contegno.
«Dimmi ciò che sai.»
Amixandro si indivanò.
«Ho cercato di tenervi distanti, è vero. Siete tornati nello stesso giorno, senza memoria di essere stati via. I ricordi sono baionette alla gola. Meglio non stuzzicarli.»
«Meglio tumulato in una dependance.»
«Questo, ti ha detto? Jurig era un bambino vispo, precoce nello sviluppo e nell'apprendimento, e non rispettava le regole. Voleva volare più in alto e più lontano. Per questo era tenuto sottochiave. Per il suo ottavo risveglio mamma e papà gli regalarono un'ora nel chiostro. C'era un cipresso. Baldanza si impossessò di lui. Volò sul primo ramo, sul secondo, sul terzo. La mia pelle si raggrinzì in un maremoto: "Un tifone, tutti in casa!" Braul lo richiamò. "Salgo in cima e scendo", ma lo scirocco lo pigliò. Roteò con esso, ne divenne parte. In pochi secondi lo portò con sé. Ci volle una gru per spostare Braul e metterlo a letto. Vi rimase per sette giorni e sette notti.»
«Jurig non ne ha mai fatto menzione.»
«Non sa di essere stato via per cinquanta stagioni. Crede di aver dormito a causa della fronte cocente.»
«Come ha fatto a tornare?»
«Lo trovarono gli sbirri di mio padre, di notte, inebetito davanti al cancello della nostra casa di campagna. Il giorno dopo, da Zio Amandoro sapemmo del tuo ritorno, con medesima dinamica, e medesimo buco nero nella memoria. Nicol ritiene che vi sia stata resettata. Meglio per voi che resti così. Per questo ha statuito di non farvi incontrare.»
Potevo avere Fede in Amixandro? Non avevo scelta. Perplessità sciolse la mia lingua.
«Come fu, che fu nella villa dei miei nonni mentre anche io c'ero?»
«Rixid. Hanno amici in comune. Jurig gli ha detto di non aver mai visto il mare.»
«È un nuotatore provetto!»
«Il collegio in cui si è formato è dotato di due piscine e di un imbrifero. Tuo cugino lo ha invitato ed è passato a prenderlo. Nessuno di noi ne era al corrente. Mio padre ha sborsato fior di quattrini per farlo esonerare dal Servizio per le Autorità, caldeggiando le sue velleità artistiche. Forse era stanco di allevarlo nella bambagia o, più probabile, ha ritenuto disdicevole opporsi a un Funzionario di Governo. Ha firmato il Via Libera al Viaggio con la clausola che fosse scortato da Braul, che però era in Servizio Antismottamento sulla Collina dei Papaveri e non sarebbe potuto partire nell'immediato. Rixid garantì per sé e i suoi ospiti e noi ci affidammo alla speranza che tu disertassi o che la tua fama fungesse da repellente.»
«Come disse il Saggio della Media Era: "Il concatenarsi di fenomeni che nascono dai precedenti e partoriscono i successivi irride al senno di maghi e strateghi".»
Severo era il tema della disquisizione, ma per un baleno sorridemmo.
«Per converso», constatò Amixandro, «siete due calamite di cui si toccano i poli inversi».
Gongolante, raggruppai i tasselli di un mosaico incompleto, per apporne di combacianti.
«Il ruolo di Nicol, in tutto ciò?»
«Che ricordi hai della morte di tua madre?»
«Cosa c'entra lei?»
«La sera tu hai mancato rientro. L'indomani Nicol si è dimessa annunciando sulla Gazzetta Scie&Filos di non volere emulare la sua mentore. Sospettiamo sia stata diffidata.»
Intuizione mi diede Verve, e forse alzai anche un po' la voce con Esuberanza.
«Con il suo aiuto, potremmo far collimare sogni e disegni, riacquistare la memoria e capire chi ci minaccia.»
Amixandro smorzò il mio fervore.
«È tardi. I suoi sogni non ti sono più accessibili. Jurig non c'è più.»
Realtà malvagia squarciò l'invenzione in cui "essere in due" dava lustro al mio "essere me". Mi appigliai all'ultimo baluardo della saviezza.
«Sarà così, dopo che avrò visto e palpato il suo cadavere.»
«È tardi, ti dico. L'hanno cremato ieri.»
No affezione. No doglia. No commiserazione. Amixandro lo disse come se fosse un treno passato in anticipo o un pullo caduto dal trespolo o una mela marcia nella pattumiera.
La mela marcia ero io, che avevo istigato Jurig ad andare nelle braccia della morte, per la subdola gratificazione di sentirmi poi dire: "Senza di te c'è Tedio", e che avrebbe giaciuto con me, ma non mi avrebbe fatto dormire.
Amixandro mi abbracciò, facendosi schermo tra il mio corpo e le mie mani; le mie dita erano le fiamme dell'inferno che avevo dentro, dove meritavo di soccombere per aver ucciso l'uomo a cui avrei dato tutto e che non si era preso niente. Il mio cuore, la mia anima, la vita mia.
Immagini in movimento
Foraggio. In ogni angolo del campo visivo.
Un giovinetto dall'età approssimativa di sedici risvegli. Cerca tra gli steli alti fino a metà femore.
«È tardi», piange una voce di donna.
«No, se il sangue è fluente.»
Acqua. Putrida. Bagna piedi abituati a camminare scalzi. Inciampano su qualcosa che è stato un uomo. Il giovinetto si piega sulle gambe e si accosta; gli soffia aria nelle froge.
Un dito turgido sbuca dal fango; due unghie ne pinzano il polpastrello, che si tinge come petalo di mammola.
«È vivo.»
Fuoco. Fiamme alte e scoppiettanti. Riscaldano i cibi e l'aria. Il giovinetto parla con la donna.
«Hai visto, Elettra? Ne abbiamo salvato un altro.»
«Chi salverà te?»
«Felìpen!»
♥♥♥
Spazio autrice&lettori
"Jurig non c'è più". Ve lo aspettavate? Cosa ne pensate di Amixandro? E dei sensi di colpa di Fel?
Manca poco alla conclusione di questa storia. Ringrazio quanti si stanno affacciando o la stanno seguendo passo passo. Ogni osservazione, ogni consiglio, è una perla preziosa, per cui vi aspetto nei commenti!
Nota
Lo stricaturo è un asse per lavare i panni. Conoscevate questo vocabolo?
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