7. Distacco
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Una piccola stanza. Soffitto basso, nero; pareti tortora. Tende verde oliva coprono una finestra da cui non filtra luce; contiguo a essa, un quadro rettangolare raffigura un lampo nella notte. Sopra un mobiletto in legno di larice invecchiato e laccato, una scatola parlante argentata, con le antenne tirate su, sembra essere stata da poco detersa.
Seduti sul sofà in damasco marrone fegato, l'uomo chiamato Felìpen e l'uomo chiamato Jurig la guardano, l'uno con un accenno di sadico sorriso, l'altro con il naso arricciato. Non sono visibili fonti luminose, eppure la scena è vivida e i contorni sono netti; un'unica ombra forma un alone scuro sulla parete retrostante.
Voce narrante
Un pomeriggio nacque tra noi una bizzarra discussione. Jurig arrivò da me che non era ancora buio. Stava varcando la soglia di casa, allorché mi giunse una richiesta di contatto urgente da un mio informatore:
«Ascolta l'Annuncio Fuori Orario».
Accesi la scatola parlante.
«Che fai?» Jurig urlò, grigio in volto, gli occhi strabuzzati, le labbra esangui.
«Trasmettono Novità», gli risposi, sedendomi sul sofà, teso verso l'apparecchio.
«Mi è proibito sapere ciò che avviene. Mio padre ha emesso Sentenza d'Imperio: nessuno può ascoltare i fatti se ci sono io nella stanza.»
«Si preoccupa per la tua giovane mente, che possa essere sviata e forgiata in fogge a lui non confacenti. Ma sei un adulto, e lui qui non c'è; la sua legge non è valida al di fuori della vostra famiglia.»
La voce atona del cronista si intromise nel nostro diverbio:
«Strabiliante operazione delle Truppe Unite per l'Ordine Sociale oltre le Siepi di Confine con le Lande Oscure, nel Querceto dei Malfattori, alle porte della Città Abbandonata. In manette tre rubatori di Razza Infima in possesso di borselli sgraffignati a turisti sprovveduti. Con loro, due donne e una bambina. I sei erano in un covo incavato in un dirupo. "Ecco qual è il loro posto", ha decretato il Funzionario di Governo Bruthold Ajai, "le prigioni sotterranee"».
«Mi auguro siano Rampolli di ricche famiglie: daffare per me e tuo fratello.»
Lo dissi senza pensarci.
«Uh, siete dei Tutelanti», sibilò Jurig, come a dire: "Avvoltoi".
«Chi delinque, è mosso da propria volizione; è giusto che paghi. Ognuno lo fa secondo le sue peculiarità, nessuno è assolto. Banalmente, i nostri clienti hanno i soldi; chi non li ha, ripaga lavorando nelle miniere.»
«Anche i bambini?»
«Sì. In commisurazione alle loro facoltà fisiche e mentali.»
«Se li avessero indotti, a delinquere?»
«Cioè?»
«Non lo so. La domanda mi è uscita di bocca. Devo tacere, è un ordine di mio padre, per mia Incolumità, ma lo dimentico.»
«Sei suscettibile. Sarà per questo che ti sono vietati gli Annunci? Se mai li ascolti, mai rimarrai impassibile.»
La notizia aveva avariato il suo umore. I suoi occhi dardeggiarono alla ricerca di fili sottili di pensiero che non riusciva a rinvenire; la respirazione gli alzava e abbassava il diaframma con piccoli tic nervosi; apriva e chiudeva i pugni e si ninnolava solfeggiando.
Per distrarlo, proposi di leggere un libro di poesie che lui stesso mi aveva regalato. Recitammo qualche verso inneggiante alla beltà della natura. Cercai di nascondere la noia ricacciando nell'ugola gli sbadigli. I nostri fianchi si sfioravano e io bruciavo di golosità; le mie labbra ardevano e agognavano la sua saliva per stemperarsi. Strano che non se ne avvedesse: era scaltro nell'anticipare ogni mia richiesta implicita di contatto fisico. Mi azzardai a toccargli una mano, ad appressarmi al suo viso. Si scansò. Aveva gli occhi spenti e la pelle opaca; era un rantolo, il suo respiro.
«Jurig, che succede?»
«Non ne ho voglia. È un problema se leggiamo soltanto?»
Interdetto, congetturai su sentimenti tanto gravosi da comprimergli lo sterno, tattiche per mettermi alla prova, escamotage per difendersi e non soffrire più.
Si portò una mano alla fronte. La toccai anch'io. Scottava e non era per causa mia: dalla notte della nevicata ero zelante nell'assumere le supposte di ghiaccio.
«Ho la nausea», ammise.
Lo aiutai ad alzarsi e a mettersi sotto le coperte.
Contattai Amixandro.
«Salve, Fel, dimmi.»
«Jurig è da me; ha la fronte cocente.»
«Qualcosa l'ha sconvolto?»
«Abbiamo ascoltato le Novità e⁃»
«Per tutti gli astri del cielo.»
«Cosa?»
«Niente.»
«L'ho fatto stendere nel mio letto. Gli darò del brodo di verdure. Stanotte lo terrò qui.»
«Ricevuto.»
L'indomani di buonora, in montura da notte e pantofole, Braul batté le nocche sulla mia porta come a volerla scassinare. Aprii; mi dribblò ed entrò in casa senza essere autorizzato.
«Dov'è mio fratello?»
«In camera. Dorme.»
Rispose con un grugnito. Trovò Jurig, se lo caricò in spalla e lo portò via.
La giornata trascorse in ufficio, tra colloqui con i clienti e perizie da redigere, e si concluse peggio di come era cominciata.
Dalla finestra che dava sul cavedio, filtrava l'ultimo raggio di un sole morente. Stavo in piedi, chino su alcuni fogli, alle prese con rogne burocratiche. Amixandro, che era stato assente tutto il dì, bussò alla porta ed entrò senza attendere risposta, un vizio di famiglia, a quanto pare. Non eguaglia, per peso e altezza, la mole di Braul, ma neppure è basso e mingherlino. Mi si parò davanti, poco più alto di me e poco più largo, vestito con i panni da casa e la barba non rifinita.
Attesi un sentito ringraziamento per le cure prodigate al fratellino.
Poggiò le mani sulla scrivania, con i palmi ben premuti sul legno di quercia selvatica. I capelli neri, corti, erano più dritti del solito e le sclere contenevano torbidi acquitrini.
La sua voce fu un bombo che mi rintronò più di una schioppettata:
«Esplicita per quale assurda Congiunzione Planetaria ogni due per tre mio fratello finisce nel tuo letto!»
Non era mai stato, almeno con me, tanto aggressivo nel fare e nel dire. Mi allungai verso l'alto più che potei, vipera pronta ad azzannare.
«Siamo amici! Avrei dovuto mandarlo via mentre imperversava una bufera di neve? O farlo guidare con la fronte cocente?»
«Dubito che per Jurig tu sia un amico. Vuoi negare che tra voi ci siano regolari Incontri Ravvicinati?»
Mi chiesi dove fosse finito il mio compagno di giochi, il mio socio, colui che avrei protetto con la vita e che lo stesso avrebbe fatto per me.
Ci fronteggiammo come due antagonisti, due cani davanti a un osso, due Uomini delle Lande Oscure che si contendono le carni crude di uno spasimante.
«Non credo sia affar tuo.»
«Jurig è un pargoletto, non ha malizia. Non sa come vanno le cose, come gira Mondo. Gli hai fatto ascoltare l'Annuncio; non sai che detrimento, per la sua mente fragile. Ha disubbidito a nostro padre, per non contraddirti, e tu, tu! Lo stai abbindolando.»
«Hai una così gretta opinione di me, di lui? Quando vuole ottenere ciò che vuole, ti garantisco: non è un pargoletto. È risoluto, e non c'è Antico Santo che tenga. Che posso farci se ciò che vuole è nelle mie mutande? Sa dove e come mettere le mani, per sbaragliare ogni mia riluttanza, e non solo le mani.»
Lo stavo sfidando. La sua risposta fu una ginocchiata nella zona più debole del corpo di un uomo, e nella sua stima di sé:
«Mi fai Ribrezzo».
Come era arrivato, se ne andò, sbattendo la porta.
Rimasi a meditare, lavorare e scrivere fino a notte fonda.
Jurig mi contattò; risposi subito, per chiudere al più presto.
«Ti sento.»
«Grazie per le tue cure.»
«Lo avrei fatto con chiunque.»
Per un attimo, il contatto fu sospeso. Lo immaginai senza parole né fiato, come se dovesse ingoiare bolo acido. Lo avevo ferito di nuovo, ma non era niente in confronto a quanto gli dissi quando la connessione tra le nostre reti neurali fu ripristinata.
«Sto meglio. Forse domani potremo vederci e recuperare», tirò il boomerang; gli tornò in fronte:
«È meglio se per qualche tempo non ci vediamo».
«Perché?»
Cercai di restare freddo. Non ci sarei riuscito neanche se mi fossi autosomministrato un blister da diciotto delle mie supposte.
«Hai imbrattato chimica con alchimia, non mi diverto più.»
«Mi stai lasciando?»
«Non stiamo insieme.»
«Sono stato alle tue regole; non capisco.»
«Semplice: non provo ciò che provi tu.»
«Conosco i tuoi sentimenti; li ho letti nei tuoi occhi, sentiti nelle tue mani su di me, nel modo in cui mi baci e mi tocchi e⁃»
«Mi stai facendo una scenata; è ciò che avrei voluto evitare. Non hai un briciolo di dignità? Vuoi continuare a farti fare del male? Ho enorme potere su di te. Potrei chiederti di mangiarti, non riusciresti a rifiutare.»
«Non lo farai. Io di te mi fido.»
«Sbagli.»
«Sono stati loro?»
«Chi?»
«I miei fratelli.»
«No.»
«Non mi piace impuntarmi. Non concordo, ma accetto di sospendere la nostra relazione. Siamo ancora amici?»
«Se vuoi.»
«Voglio. In cambio ti chiedo un favore, come risarcimento morale.»
«Che sia.»
«Cerca i tre rubatori, le donne e la bambina. Tutelali, anche se non hanno soldi.»
«Li troverò e li tutelerò.»
Chiuse il contatto e mi fece lui un favore. Io non ce l'avrei fatta. La sensazione di brancolare nel buio, nel vuoto, mi colse impreparato. Dovetti sedermi e attendere che la stanza smettesse di vorticare. Quando mi riuscì di rimettere a fuoco l'ambiente circostante, rilessi la lettera che avevo scritto ad Amixandro e che avrei lasciato sulla sua scrivania:
"Io, Felìpen Jayxis, comunico inappellabile dimissione dal Patto Lavorativo con la Jay&Biri Corporation. Resterò in attività per perfezionare i procedimenti avviati".
♥♥♥
Spazio autrice&lettori
Ma... Finisce così? Voi che ne dite?!
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