5. Sangue viola

Voce narrante

Il mattino ci trovò avvincigliati sotto lo stesso lenzuolo, lo stesso tetto, lo stesso arco di cielo. Jurig dormiva girato verso di me; lo contemplai come se non l'avessi mai fatto prima, e come se non potessi più farlo dopo. Sulle palpebre aveva i segni della sua farfalla e della mia ragnatela. Il suo naso affilato prendeva aria e la restituiva. La bocca chiusa chiedeva baci e ne prometteva. Il collo esposto richiamava i miei denti, ottenne la lingua; era sapido, un bocconcino succulento con cui fare colazione.

Non so come facciano gli Uomini delle Lande Oscure. Nel volere tutto dei loro amanti, restano con niente. Li fagocitano. Li inglobano, per divenire una sola unità. Si privano del loro essere singoli soggetti dotati di logica e discernimento, con cui schedulare un programma di sopravvivenza a breve o a lungo termine nella giungla delle incombenze quotidiane. Posso indovinare, però, la bramosia di aggiudicarsi l'esclusiva su quel sale, che è al tempo stesso zucchero, e fiele, uva fermentata, carota piccante, acqua piovana e polline di pioppo, attimo ed eternità, molecola e pianeta.

Il possesso è per gli aggeggi. Agli individui lasciamo Libertà di stare con noi, non in noi, o andare via. Civiltà è il saper dire: «Sì» alle altrui deliberazioni, anche quando spiazzano e fanno male. "Sono pronto per farmi crocifiggere"; gli scostai una ciocca di capelli dalla fronte. "Macché! Non lo sarò mai".

Jurig si svegliò. Sorrise, si accomodò sulla schiena e alzò il mento. Mi strascicai sopra di lui, una gamba accavallata alla sua, il mio bacino contro il suo bacino, e continuai a leccare.

Lo voltai, cosparsi la sua Zona Proibita e la mia con unguento lubrificante e le congiunsi; ancora una volta, "per l'ultima volta".

«Ora posso ascoltare. Qualsiasi cosa mi dirai, non ti odierò.»

Non ci eravamo rivestiti e il lenzuolo stava appallottolato sul pavimento.

Chiusi la finestra che avevo aperto per cambiare l'aria satura di anidride carbonica e feromoni, e coprii i nostri corpi con uno scialle per scongiurare ulteriori provocazioni della carne. Dovevo cavarmi il dente cariato, per non inquinare anche lui, la mia parte sana.

«Fai Solenne Voto che manterrai Riserbo, in ogni caso.»

«Faccio Solenne Voto che non effettuerò pettegolezzi della tua Rivelazione e non sarà bersaglio di derisione o mercanzia.»

La sua espressione si era fatta seria. Non era più un ragazzino che vuole baloccare. Avevo di fronte un uomo al par mio, che avrebbe potuto assolvere o biasimare; il porto sicuro in cui approdare o la banchina in cui esplodere sotto il tiro dei cannoni e delle ingiurie.

«Ti devo delle scuse. Sono stato scellerato; pur con le dovute accortezze, avrei potuto degradarti. Avvisarti è un Obbligo di Legge e del buon senso. Se vorrai picchiarmi o denunciarmi, lo capirò.»

Non sovrappose parole alla mia pausa, incoraggiandomi a continuare. Mi lasciai andare sulle onde di un mare calmo, verso l'attracco. Da ciò che avrei trovato, dipendeva il mio Futuro: il restare o il partire, il rallegrarmi o il patire. La mia speranza non aveva ceduto il posto al disincanto.

«Non so come sia accaduto. Non riesco ad andare molto al di là del muro bianco che perseguita i miei sogni. Ogni tanto vedo attraverso un foro, ma non riesco a incastrare i pezzi tra loro e non so neanche se corrispondano alla realtà. Sono stato non so dove per molte stagioni, dopo la morte di mia madre, ed è come se avessi sempre dormito. Mi svegliai nel letto di un Sanatorio e mi dissero che avevo perso in toto la Quasi-Purità. Ho sottoposto il mio sangue a ogni tipo di esame. Non ci sono errori né false interpretazioni. Il mio sangue è contaminato.»

Feci una seconda pausa. Jurig mi guardava senza battere ciglio, a bocca chiusa, le labbra né in su né in giù; come se gli avessi detto che l'acqua è bagnata, che il fuoco scotta o che gli uccelli volano.

«Jurig, io... Ho il sangue viola.»


Fermo immagine

Camera matrimoniale, illuminata da luce naturale. I due uomini sono seduti sul letto, coperti per metà da un fisciù raffigurante un sottobosco nella Stagione in cui Cadono le Foglie. L'uomo chiamato Felìpen tiene una gamba distesa e l'altra piegata come una zampa di Rana del Pantano; ha il capo basso e lo sguardo raccolto dalle braccia conserte; la sua fronte è un lago increspato al tramonto. L'uomo chiamato Jurig ha le gambe piegate e un po' divaricate e le braccia sopra le cosce; gli occhi socchiusi sono oasi in un deserto senza dune.

Hanno i capelli sciolti e il viso impiastricciato di trucco sfatto. Non interagiscono.


Immagini in movimento

I respiri asincroni nei corpi immobili sono il preludio di smembramento.

L'uomo chiamato Jurig rotola fuori dall'alcova in cui si è unito con l'uomo chiamato Felìpen in un tutt'uno di materia organica. Raccatta la muta e la indossa infilando prima un piede e poi l'altro; la stende oltre i calcagni e le ginocchia; la fa salire al bacino e all'addome. Inserisce le braccia nelle maniche e accosta la lycra elastica alle spalle e al collo. Si tira un capello e lo usa per legare gli altri in una coda di pony bassa. Raccatta i sandali di caucciù nero. Fa il giro del letto. Esce dalla stanza.

L'uomo chiamato Felìpen non cambia postura né mimica facciale; è un fantoccio con la farina sugli zigomi e gli occhi di vetro, a cui si alza e si abbassa il diaframma, seguendo il ritmo di un miocardio al galoppo tra muschi e licheni nella tundra del Nord.


Voce narrante

Jurig non rispose. Si rivestì e mi lasciò. Non piansi, non mi dimenai. A malapena respirai.

"La non curanza è il miglior dileggio", insegnano i formatori. Lo aveva imparato bene.

Non era l'uomo che mi aveva fatto ridere come nessun altro, che aveva rispettato le mie regole e i miei desideri; non era il mio Jurig quello che era uscito dal mio letto.

Chi era veramente? Che sapevo di lui? Conoscevo ogni poro della sua cute, il sapore di ogni sua secrezione, il suono delle sue effusioni, ma non quale fosse il suo cibo preferito, se praticasse sport e se prediligesse la musica tecnologica o il canto a cappella. Si era mai commosso leggendo un carme? Aveva amato, prima di Incontrare me?

Miele e noci tostate. Pannocchie alla griglia. Banane fritte.

Nuoto acrobatico, salto tra i rami, equilibrismo.

Le composizioni della natura, in un parco acquatico.

Se il protagonista è un animale maltrattato o un donzello come me.

Sei l'unico e sempre lo sarai.

Avevo le traveggole.

Una richiesta di contatto da parte di mio padre mi strappò all'agonia.

«Figlio, ho Novità.»

Un "Chi se ne infischia" sarebbe stato inopportuno; lo ascoltai.

«Non dovrai dirlo a nessuno, neanche al tuo amante.»

«Non è il mio amante. Non è qui e mai ci tornerà.»

«C'è Struggimento, in quel che dici. Vuoi confidarti?»

«Solita solfa.»

«Sento che non è così. Forse quest'uomo è speciale?»

«Tutti lo sono, e mi amano, prima di sapere, poi vanno via. L'avevo preventivato. Sono solo stanco. La mia fama di Spezza Cuori mi spezza il cuore.»

«Posso distrarti, se vuoi, con quanto ho saputo. Concerne la consulenza che mi hai chiesto. Sei ancora interessato?»

Lo ero? No. Non mi importava più di nulla e di nessuno, nemmeno di me. Mio padre si era prodigato per andare contro le sue stesse apprensioni; gli risposi con particella affermativa secca.

«Non posso propalare le mie fonti. Ti basti sapere che sono attendibili. I tre rubatori sono stati condannati per taccheggio, le donne e la bambina per connivenza. La sanzione comminata è la medesima per tutti.»

«Anche per la bambina?»

«Su istanza del loro Patrocinatore, starà con madre e sorella.»

«Dove?»

«Le Autorità hanno inaugurato il Bunker Tre delle prigioni sotterranee.»

«Ci sarà un Anti Verdetto?»

«No. Il carcere non ha varco di uscita.»

«Come è possibile?» mi indignai.

«Chi poco paga, poco è tutelato. Non devo spiegartelo io.»

«La Clausura Perpetua non è prevista per il solo reato di ruberia!»

«Sono subentrate delle aggravanti.»

«Razziali, deduco.»

«Deduci corretto.»

Ingiustizia, mi soffuse il midollo, e Inadeguatezza. Il Bunker Tre era stato collaudato e messo in uso, e io non lo sapevo. Quante albe avevano rischiarato il cielo? Quante stelle si erano accese? Quante nuvole avevano sorvolato i tetti, senza che leggessi i bollettini e siglassi le pratiche pigiate nel mio schedario? L'ardore per Jurig mi aveva fritto il cervello. Mio padre mi aveva fatto rinsavire.

«Grazie»,lo congedai laconico.

Chiusi il contatto e piantai i piedi a terra, ma non ebbi il tempo di ruminarci su.

Plook. Plook. Plook. Tin, tin, tin!

"Metallo che cade su metallo".

Con i recettori in allerta, agguantai l'arma che tenevo sotto il letto e mi alzai senza perdere di vista la porta che dalla camera immette nel soggiorno. Quatto quatto, lemme lemme, mi accostai allo stipite e ristetti in ascolto.

"Passi felpati. Un cassetto che si apre. La paletta di legno che raschia una pentola. La manopola del rubinetto. Acqua in un tegame".

Mi appiattii alla parete e avanzai di qualche pollice.

"Fruscii. Un fischiettio modulato e continuo. Un cigolio".

La porta della cucina era aperta. Feci capolino. Non c'era nessuno, nemmeno una faina o un fantasma.

♥♥♥

Spazio autrice&lettori

Fel ha il sangue viola. Ma... cosa significa esattamente? Cosa ne pensate della reazione di Jurig? Cosa è successo in quella cucina e chi c'è sulla porta di casa?

Aspetto le vostre considerazioni nei commenti, se vi va :-)

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