3. Toccata e fuga

Panoramica

Notte. Un'estesa e compatta distesa di minerali e minuscoli frammenti di rocce, lumeggiata da lingue di fuoco alte e gioconde. Uomini e donne, in leggiadri abiti sgargianti, nell'atto di bere da un bicchiere di cartone; alcuni tengono la bocca aperta per parlare, altri hanno gli arti scomposti in un passo di danza.

Il cielo è una trapunta blu petrolio con tanti forellini fosforescenti sparsi qua e là; uniti, tratteggiano effigi di animali: l'insetto margherita, il maiale delle montagne, la farfalla setosa, il delfino d'acqua fluviale, i due unicorni.

Il mare è una tavola di un blu poco più chiaro in cui le due Lune Artificiali si specchiano: "Gemelle come due cuori che si amano, distanti come due menti che si rispettano", decantava il Poeta nell'Ode agli Astri Novelli.

A dieci passi da gigante dal falò in linea retta, l'uomo chiamato Jurig, scalzo, con indosso un costume nero, sta di fronte all'uomo chiamato Felìpen, anch'egli coperto solo nella Zona Proibita da un costume verde; in mano tengono, ognuno il suo, un telo di spugna di luffa.


Voce narrante

Jurig mirò dritto al bersaglio e fece centro:

«Eccoti qui, perso nel passato prossimo. Pesa talmente, sul tuo Oggi!»

«Come puoi dirlo? Non sai alcunché di me.»

«La tua fama ti prenunzia: "Colui che spezza i cuori e torna in Città come se niente fosse". I tuoi a⁃mi-ci mi hanno messo in guardia.»

«Per quale movente ti arrischi a parlarmi, dunque?»

«Non sei come ti descrivono. So perché resti qui da solo: stai pensando a loro. Vuoi spacciarti per un colosso di granito; non lo sei.»

«E tu? Sei un Ladro di Chiavi d'Accesso? Cos'altro hai visto nella mia mente?»

«Non mi serve entrare: interpreto la mimica dei volti.»

«Attento a quanto ti accosti, potrei scottarti.»

«Non lo farai: lo leggo nei tuoi occhi.»

Lo guardai per qualche respiro e mi persi nei suoi di occhi, anche se la sensazione fu quella di ritrovarmi.

Era audace, il ragazzo, e lo manifestò:

«Facciamo il bagno?»

Si diresse verso l'acqua, tolse il costume e si immerse lasciando fuori solo il capo.

«È tiepida.»

In uno sprazzo di Leggerezza, con Smania di un cuore scanzonato, non ci pensai su, mi denudai e nuotai con lui. Giocammo a spruzzarci l'acqua. Sguazzammo. Ridemmo. Mi avvicinai... non tanto con il corpo, quanto... con il cuore!

Immaginai la sua Zona Proibita, che l'acqua mi celava; non dubitai che fosse nelle stesse condizioni della mia: pronta all'uso e consumo.

Al chiaro di Luna Seconda e Luna Terza, la sua pelle ambrata era miele spalmato su pane fragrante. Distolsi più volte lo sguardo, per resistere alla tentazione di sfiorarlo: l'avrei distrutto; non era mia intenzione.

Jurig era pericoloso: se ne fregava del pericolo, baloccava con le mie scintille, non si atteneva a Norme di Sicurezza; dovevo farlo io, per me e per lui.

«Ti farai male», gli dissi, uscito dall'acqua, coprendomi con il mio telo di spugna, «è meglio che tu stia due passi più in là».

«So quando vale la pena di correre il rischio. Se mi farò male, me ne andrò con la coda tra le gambe e tu non ne avrai cagione, giacché mi hai ammonito; ma sono sicuro che non succederà.»

Si coprì a sua volta, senza fretta, come a mostrarmi ciò che avevo ipotizzato.

Ci chiamarono in tempo, credo, perché non facessimo danni.

Il vero è che il danno era già fatto da che Jurig aveva puntato gli occhi dentro i miei. Avevo l'impressione di averli già visti.

Tornammo con gli altri e le occhiate non poterono che essere di Disapprovazione. I miei polsi si arrossarono; riuscii a dominarli e, tornato alla villa, me ne andai a dormire.

Benché il giaciglio fosse comodo, mi girai e rigirai su di un fianco o sull'altro, a pancia in sotto o a pancia in su. Quando il sonno mi concesse un po' di ristoro, sognai il Muro Bianco.

Immenso, con un piccolo foro al centro, era lo stesso che avevo visto aprendo gli occhi in un Sanatorio, dopo l'Epoca del Lutto che non rammento e che mi ha marchiato in modo indelebile, sebbene invisibile. Da molto lontano si appressava, arrivando a un pollice dal mio naso. Il suo candore era abbacinante.

Mi destai in un bagno di sudore.


Fermo Immagine

Una stanza piccola con due porte di vetro brunato, chiuse: una dà all'esterno, l'altra all'interno. Una lampada a olio greggio, a goccia, turchese, illumina l'intero ambiente. Non ci sono finestre né mobili, eccetto una cassapanca in legno di pino. Sopra un futon coperto da un foulard arancione, l'uomo chiamato Felìpen sta seduto con le gambe distese e la schiena poggiata alla parete; le mani reggono un libro aperto. Indossa un paio di quei pantaloni che gli Antichi chiamavano Blue Jeans e una maglietta senza maniche, avorio. Ha un'espressione indecifrabile, un misto tra Visibilio e Patimento.

L'uomo chiamato Jurig, seduto sui talloni, gli tiene una mano sulla coscia. Il suo viso è il ritratto di Concupiscenza. Indossa una lunga maglia in tela di ragno, a maniche corte, nera. Non si capisce se porti biancheria. Come l'altro, ha i piedi nudi, affusolati, puliti; sulla caviglia sinistra è tatuata una piccola spirale grigio cenere.


Voce narrante

La quinta sera Jurig entrò in camera mia senza essere invitato. Le sue finalità non furono equivoche: non era lì per parlare. Si accovacciò sul materasso e poggiò una mano sulla mia gamba sinistra; indugiò il tempo che impiegai a leggere, senza carpirne il contenuto, una pagina del libro che avevo tra le mani, e la mosse a rilento al centro del mio corpo.

«Non voglio.»

Il mio tono era deciso; non mi ascoltò.

La sua mano continuava a muoversi verso la Zona Proibita, senza chiedermi Permesso. Ribadii la negazione; se era vero che interpretava la mimica dei volti, sul mio non poté che decrittare l'antitesi di quanto affermavo. Non gliene chiesi conferma; quando la mano fu dove avrei voluto che fosse, dissi: «No, no, no», alzando il volume della voce. Gli afferrai il polso e lo scacciai dal mio letto.

Jurig spalancò le palpebre e incurvò le sopracciglia; la sua mascella si abbassò; labbra e denti si dischiusero. Con gli angoli all'ingiù, la bocca prese a tremare e lo sguardo si perse nel vuoto: Sorpresa e Tristezza si contendevano la supremazia sul suo viso.

«Scusa», mormorò, sommesso, alzandosi.

Aprì la porta e se ne andò, richiudendola, con delicatezza, dietro la sua ombra.

Fierezza avrebbe dovuto gonfiarmi come una mongolfiera: lo avevo respinto, ero stato bravo! Come richiesto da Rixid, come mi ero imposto di essere. Tempo tre sospiri, me ne pentii.

Oh quanto avrei voluto corrergli dietro, abbrancarlo per i fianchi, sbatterlo a terra e...

Feci un bel respiro, chiusi il libro, mi alzai e uscii.

Jurig stava addossato al parapetto, in marmo bianco come tutto il resto; quel colore, che da sempre mi infondeva Energia, pareva una minaccia. Mi affiancai a lui. Si asciugava un occhio; lo avevo umiliato, non era necessario saper leggere il pensiero per indovinarlo.

Immobile, non si voltò. Anche l'aria era ferma. Il profumo di oleandro e la luce fioca di una fila di candele repella-zanzare rendevano l'atmosfera adatta al corteggiamento. Non era quanto Jurig anelava né avevo voglia di impegolarmi in coccole e poemi. Miravamo entrambi a qualcosa di più tangibile.

«Non sei tu, Jurig. Sono io. Se vuoi, lo facciamo. A modo mio, con le mie regole; comando io. Niente graffi o dentate. Non devo sporcarti, non devi sporcarmi.»

«So ritrarre le unghie e tenere i denti stretti in bocca; e so ritirarmi in un cantuccio, quando sta per arrivare il momento.»

«Dopo ti pulisci in silenzio e te ne vai come se nulla è. Non voglio storie. Chiaro?»

«Facciamolo. A modo tuo. Dopo me ne andrò. Chiaro.»

«Un'ultima cosa: non era una metafora, quando ti ho detto che potresti scottarti.»

«Ti ho visto, far faville.» Strizzò un occhio, lascivo.

«Non solo», mi mantenni serio, «la mia pelle può farsi urticante, se sotto Pressione; potrei irritarti».

«Non succederà, se saprò come toccarti. Me lo insegnerai; imparerò.»

Fu cauto e svelto ad apprendere. Alacre, alle mie richieste, preciso nelle sue; con quei due golfi marini in cui più volte ho temuto di annegare. Avrei potuto perdere Controllo e cedere, a suo vantaggio, Proprietà⁃di⁃me⁃stesso; se non avvenne, è perché non me lo concesse, attenendosi al nostro Accordo.

Tutto si svolse come in un incantesimo: stupendo, più di quanto il mio animo tormentato potesse sopportare. Non potrei giurare che sarei stato capace di lasciarlo andare. Il dilemma non si pose; facemmo in tempo a godere della reciproca compagnia che qualcuno chiamò a gran voce: «Jurig!»

Aprimmo la porta; indosso avevamo solo le mutande. Un pugno mi colpì sul grugno.

«Carogna! Stai lontano da mio fratello!»

"Braul", riconobbi la voce.

Trenta Risvegli, scuro di pelle, di occhi e di capelli, lunghi quanto una larva di mosca; alto una spanna più di me e largo due volte tanto: il fratello di mezzo del mio più caro amico e socio in affari Amixandro.

Le orecchie a punta, il neo sul ginocchio, il Soffio della Vita sulla caviglia sinistra... Realizzai: Jujù, il piccolo di casa Biri che non avevo mai incontrato.

"Ohibò, questa volta l'ho fatta più grave delle altre".

Qualcuno trattenne Braul e la sua furia, qualcun altro mi espettorò addosso l'equivalente di un secchio d'acqua, affinché non andassi in ebollizione; inutile, avevo imparato da tempo a gestire il fuoco dei miei polsi.

Jurig inveì contro il fratello con epiteti tutt'altro che forbiti, schermendosi a stento dalla veemenza di una zaffata di cipolle rancide e peperoni arrostiti. Si mosse verso di me. Palpai le narici e guardai le dita: erano sporche di cruore vischioso.

«Scostati, Jurig», intimai. «Rixid, porta via tutti. Pulisco io, qui.»

Mio cugino fu lesto nell'assecondarmi, in apprensione per motivo differente dal mio:

«Venite, lasciamolo solo; potrebbe divampare».

Non sarebbe accaduto, ma glielo lasciai credere. Da lì a poco il mio sangue sarebbe zampillato come lo spray di una beluga; nessuno doveva vederlo né, tanto meno, toccarlo.

Mi lavai, presi un ghiacciolo dalla macchina che assidera i cibi e me lo posi sul naso.


Decontaminai la porta, il pavimento, il muro dove arrivarono le mie braccia, levando via ogni goccia, violacea come i fiori di glicine; al contrario di essi, era inodore e non portava in sé Disponibilità o Gratitudine, semmai Chiusura e Punizione per quella "Vergogna" di cui non è riaffiorato alcun ricordo.

Quando tutto fu a posto, misi in atto l'unica soluzione sensata che mi venne in mente: inzeppai la mia roba nella sacca e la stivai nel portabagagli del mio veicolo; pulii la Camera Scura e la chiusi a chiave, sperando di rinchiudere lì dentro anche il mio Dolore, che non era quello al volto.

Trovai Rixid seduto sul penultimo gradino della scalinata. Sorseggiava una bevanda a base di agrumi; ne porse una anche a me. Accettai e mi sedetti con lui.

«Scusami, non sarei dovuto venire.»

Ero affranto e lui lo percepì.

«Per me puoi anche restare.»

Non lo stava dicendo per Carineria. Sin da piccoli, c'eravamo allenati; tra noi non c'erano travisamenti. La psiche dell'uno era per l'altro un giardino fiorito, aperto, espanso fino a un cancello chiuso con lucchetto, che sbarrava la via verso il maniero dei sentimenti e dei pensieri più infossati. Di raro ci fornivamo la Chiave per entrare; non andavamo mai più avanti di qualche passo, per Paura, Pudore o Rispetto, ma potevamo camminare nel prato e captarne le essenze.

«Meglio di no, per tranquillità di tutti.»

«Riposati, parti domattina.»

«Dormirò per strada. Voglio allontanarmi.»

«Da lui.»

«Da me.»

Mi alzai; Rixid mi prese una mano per fermarmi.

«Cosa gli dico?»

«Che sono partito.»

«Nient'altro?»

«È poco più che adolescente, a Fine Stagione non ricorderà neanche il mio nome.»

«Se mi chiede la Chiave per contattarti?»

«Non gliela dare.»

La chiese, «Eccome!», mi riferirono, «Pretendendo prima, supplicando poi».

Rixid fu inflessibile. Non avendo mezzi per andarsene, Jurig restò alla villa, tenne il broncio e non rivolse la parola a Braul, mangiò poco, andò a nuotare un paio di volte e bivaccò nella mia stanza. Alla fine, il Patatrac lo avevo combinato lo stesso.

♥♥♥

Spazio autrice&lettori

Felìpen e Jurig sono passati dal guardare al... toccare :-) Cominciate a farvi un'idea (o delle aspettative) su di loro?

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