3. Festeggiamento
Immagini in movimento
Tra casupole cilestrine schierate sotto il cielo bigio, si apre un parco in cui alti alberi spogli ondulano al vento di ponente. Una passatoia di foglie variopinte divide in due metà il campo disomogeneo in cui bambine e bambini rincorrono palloni di cartapesta. Seduti su panchine di alluminio ossidato, umani di entrambi i sessi ciarlano sgranocchiando caldarroste.
L'uomo chiamato Felìpen cammina attento a dove mette le scarpe, nere e lucide, uguali a quelle che gli Antichi chiamavano Mocassini. Tiene le mani nelle tasche del giubbotto color ardesia con la cerniera chiusa che indossa sopra a pantaloni neri, morbidi, stretti in vita e lunghi sui piedi. Una borsa a tracolla nera gli sbatacchia sulla coscia sinistra ogni due passi. All'uscita del parco, attraversa sulle strisce pedonali e prosegue fiancheggiando le rotaie di Vetture Comuni.
Il pomeriggio sta per vestirsi da sera; i negozianti chiudono le saracinesche; gli ultimi avventori, con le loro sportine in carta di riso sottobraccio, brulicano sui marciapiedi e tra i veicoli parcheggiati. L'uomo chiamato Felìpen fa lo slalom per non scontrarsi con alcuni di essi che non ottemperano alla regola del tenere la sinistra. Supera un'edicola virtuale ed entra in un Bistrot per Festeggiamenti.
Voce narrante
Impiegai una giornata a prepararmi. Ammorbidii la pelle con lavande ai sali del Lago Moribondo e olio di sesamo. Tagliai le unghie di mani e piedi e le smaltai con pece balsamica. Frizionai i capelli con tuorlo d'uovo di gallina, li sciacquai con acqua e aceto, li asciugai con il calore delle mie mani e li legai a coda di pony. Scelsi un abbigliamento giovanile, né sportivo né elegante, e mi truccai.
Arrivai al "Bautta ciucca" che era ancora chiuso. Optai per una passeggiata nella natura. Quando tornai indietro, il mio anticipo si era convertito in ritardo.
L'atrio era fosco e fumoso. Un pizzicore mi presa la gola; tossii, ma non stropicciai gli occhi infiammati, per non impiastrare la ragnatela di matita nera e glitters che avevo disegnato tra le palpebre e la radice del naso.
Dietro un sipario cremisi si apriva un salone poco più vedibile, con aria respirabile; ne feci il pieno e mi avviai al tavolo dove Jurig e i suoi amici sorbivano liquori aromatizzati.
L'uomo seduto a capotavola si alzò e mi strinse le mani nelle sue.
«Grazie per essere qui, Felìpen.»
«Che Fortuna sia con te, Maurisius.»
Gli porsi il mio regalo, custodito in una busta da lettere.
«I biglietti per il Festival delle Proiezioni! Hai ricordato! Addirittura quattro!»
Altrettante pacche di ringraziamento scossero le mie spalle alleviandone il peso.
Non avevo ancora guardato i convitati, a cui mi rivolsi con un generico:
«Salve! Ben trovati».
Uno di loro mi cedette il suo panchetto:
«Vieni, siedi qui, accanto a Jurig».
Avevo cercato invano di procrastinare il contatto dei miei occhi con i suoi; persi la cognizione del quando e del dove, non appena le sue pupille riagganciarono le mie.
Gli amici ripresero le loro ciance, suoni che i miei orecchi non poterono decodificare. Flûte tintinnanti in brindisi, snack sbocconcellati con compulsione, rullii di bonghi e vibrati di violino: attutiti o amplificati, i rumori andavano e venivano. Imbambolato nel frastuono di battiti cardiaci divergenti, ingestione a secco e zip del giubbotto abbassata, alzata, abbassata, alzata, abbassata, domai il fuoco che mi corrodeva l'esofago, ma non le palpitazioni del cuore.
Jurig mi sorrise con Giovialità. Accettai il panchetto e un drink alla menta piperita. Lo ingurgitai per raffreddarmi, poi mi voltai verso di lui, che fu il primo a sgretolare il tramezzo di impaccio tra di noi.
«Salute ti è benigna, Felìpen; un po' dimagrito?»
«Lo stesso per te. Quest'abito, wow, enfatizza sinuosità e spigoli. Una tua creazione, suppongo.»
La muta, attillata, lo faceva apparire nudo, pur con la discrezione esatta dalla Legge in un Esercizio Pubblico.
«Sì. Pelle di serpente albino coltivata in laboratorio.»
Nelle favole dei miei nonni, bisce parlanti ipnotizzavano donne e bambini per istigarli a disubbidire a ministri e maestri. Come loro, avrei volentieri mandato alla deriva nella Galassia precetti e convenienze, tentato da quella pelle e da ciò che copriva.
«Il ciclamino ti dona», divagai. «Ali di farfalla. Un trucco sfumato per uno sguardo accattivante.»
«Una farfalla attratta dalle tele di ragno.»
«Potrebbe sciuparsi le zampette.»
«No, se saprà su quali fili muoversi, e se avrà la prontezza di morderli.»
Le sue smorfie allusive erano buffe e voluttuose.
"Sì, mordimi. Sono tuo, lo sarò per sempre". Razionalità stava scemando. Per rimpinguarla, mi unii agli amici che cantavano inni di Prosperità.
«Ti sia spianato il cammino!»
«Maurisius! Giunga in alto il tuo nome!»
«Siano esaltate le tue qualità tra le oneste genti!»
Bevvi, cantai e ballai. Ebbro di anice fermentato e folle d'amore, mi accostai a Jurig con fonemi che mai, stando ai miei piani, avrei dovuto pronunciare:
«Vorrei parlarti».
«Condividiamo la torta augurale e verrò via con te, ovunque vorrai.»
In strada che fummo, piovigginò.
Fermo immagine
Case e negozi hanno porte e finestre chiuse. Sotto la tettoia in lamiera di una palazzina a un piano, l'uomo chiamato Felìpen e l'uomo chiamato Jurig si riparano dalla pioggia battente. La sfera luminescente in cima a un palo privato rende meno lugubre la cantonata in cui si sono fermati. A due braccia da loro un felino randagio, con il pelo nero arruffato, si nasconde tra bottiglie e lattine gettate alla rinfusa ai piedi di un bidone color bitume, traboccante di cartoni sporchi di cibo da asporto. Non si vedono altre persone o animali. Le ombre dei due uomini si confondono in un'unica ombra.
Voce narrante
Ostaggi del maltempo, ci spiaccicammo al muro di una baracca per evitare di bagnarci e far colare il trucco. Come molla per molto tempo compressa, Jurig partì all'attacco, mi sfregò il naso sulla guancia.
Provai a ristabilire la corretta distanza tra di noi:
«Non sono qui per⁃»
«Ne sei sicuro?»
Malandrino, si additò la Zona Proibita.
«È fresca e aulente. L'ho tenuta in serbo per te.»
«Jurig, no.»
«Sì.»
Le albe, i tramonti e quel che c'è stato in mezzo, di giorno e di notte: come se non fossero mai stati, e ci fossimo Ravvicinati tutti i giorni fino al giorno prima. Era tornato a giocare con i miei sentimenti, sfoggiando, senza remore, i suoi.
"Ma quali amici!" esclamai tra me e me. "Implausibile con Jurig".
Gli Antichi parlavano di pomi tagliati a metà: ogni metà cerca l'altra, per ritornare un pomo intero.
"Io e Jurig siamo così. Peccato che io sia la metà bacata".
Stavo in bilico sulla cresta di un poggio: "Lasciarmi andare o confessare?"
Giù da un versante: Jurig adorante, ignaro di come fossi veramente.
Giù dall'altro: Jurig edotto, trasfigurato da Ripugnanza.
Restavo lì dov'ero, non avendo ali per volare via.
«Potresti avere chiunque. Chissà quanti bei manzi lancerebbero dadi taroccati per giacere una notte nel tuo letto. Perché vuoi proprio me? Perché io non ti voglio?»
«Dall'orgoglio leso si guarisce, dall'amore no.»
«Amore. Che ne sai?»
«Abbastanza da riconoscerlo, nei miei occhi e nei tuoi.»
«Ti ho chiesto il colloquio per notiziarti sui Ruba⁃»
Jurig scoppiò a ridere.
«Non ti importa di loro? Era un pretesto per tenermi ancorato a te?»
«Non sono così insensibile. Di loro mi importa. Ma era la tua scusa per tenerti ancorato a me.»
Jurig mi sfornì così di ogni difesa. Lesse i miei sentimenti, non nascose i suoi. Come la prima volta, sulla spiaggia. Annaspai e sviai il discorso.
«Si fa tardi. Meglio rincasare. Dove hai il veicolo?»
«Sono venuto con Vetture Comuni.»
«Non passano di notte.»
Mi guardò sornione; fu il mio turno di scoppiare a ridere.
«Speravi in un mio passaggio.»
«Di più.»
Sentii le gambe cedere, e non solo le gambe. La mia volontà era paraffina nelle sue mani, si scioglieva al bollore della sua carica erotica.
«Non ti ho cercato per questo, ti ho detto.»
«Ma non ti spiacerebbe. Esso è pronto.»
«C'è una cosa che non sai. Cambierai opinione, mi odierai.»
«Mai. Il binomio che non vuoi udire non si dissolve, se non lo dico.»
«Non mi hai più contattato, credevo che⁃»
«"Chi ama, lascia libero chi ama", catechizzano le Antiche Scritture.»
Avrei allacciato le sue mani alle mie, la mia vita alla sua: non lo amavo?
Oh sì, lo amavo, nella misura in cui mi ostinavo a tenerlo a distanza da me, e a tenermi a distanza da lui, che non sbagliava un tiro:
«So di averti già visto, e già amato».
«In un'altra dimensione.»
«O in questa.»
«Nei tuoi sogni.»
«Anche.»
Non carpii nell'immediato il significato letterale della frase, ma ricordai l'impressione di familiarità di quella sera al mare; il buio, le lune, le stelle: la voglia di un cuore che battesse per il mio cuore, aveva concimato la mia fantasia e continuava a farlo.
Davanti ai miei, vidi occhi innamorati accendersi e spegnersi, mani forti stringere le mie e lasciarle, labbra morbide baciare la mia bocca e pronunziare sentenze di Separazione Perentoria.
Gli occhi di Jurig, le sue mani e le sue labbra dichiaravano ciò che altri, prima di lui, avevano dichiarato, ma con uno scintillio mai ravvisato.
Le nuvole sopra di noi si diradarono, spinte via da una folata di vento. La più grande prese forma di Chimera. Per gli Antichi era un mostro, lo stesso che sputacchiava fiamme dentro di me forgiando Utopia. C'è chi vagheggia opulenza, chi celebrità. Io covavo l'illusione di non veder la collottola, le spalle, la schiena, le gambe e i piedi di Jurig scalpicciare via da me, appena saputo ciò che mi era improrogabile proferire.
"Giacere con lui e trovarlo nel mio letto al risveglio. Fare colazione insieme. Dargli un bacio prima di uscire da casa. Dargli un bacio al rientro. Calendarizzare insieme il tempo libero e le ferie, procacciare viveri, trastullarci con gli amici. Sostenerlo nelle sue scelte, ed essere sostenuto nelle mie. Prenderlo in sposo".
Una goccia salata arrivò alla mia lingua, ma non pioveva più. Ne seguì un'altra, che Jurig leccò dalla mia guancia. Stavo per fare il primo passo per guarire, come aveva chiesto Marianne. Dopo, neanche gli Eretici mi avrebbero salvato.
«Andiamo a casa mia, mi serve Riservatezza.»
«Ti serve altro. Io posso dartelo. Senza allusioni a benessere effimero.»
Nel tragitto verso casa mi predisposi a smontare la sua armatura di gesso. Lui si predisponeva a fare a pezzi la mia corazza di bronzo.
♥♥♥
Spazio autrice&lettori
I nostri piccioncini sono di nuovo insieme e il giovane non demorde, ma cosa dovrà dirgli Fel? E la sua reazione quale sarà?
Grazie per essere qui con noi, a presto con il capitolo in cui finalmente conosceremo il segreto di Fel!
Note
Esatto: Participio passato di Esigere. Confesso: non lo sapevo :-)
Dal web: I dadi sono un simbolo della Passione
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