2. In avvicinamento

Panoramica

Una villa bianca, sontuosa, a tre piani, su di un'altura. Vi si accede tramite una larga e agevole scalinata bianca che culmina in uno spiazzo rustico; questo, sulla destra, si allarga in una terrazza da cui è gradevole ammirare la pineta sottostante adagiarsi pigra verso il mare. Il cielo è limpido, solcato da volatili piumati, grigi, dal becco giallo e le zampe palmate.

Davanti al portone: un uomo voltato di schiena. Indossa un completo leggero: giacca e pantaloni bianchi. Ha sandali infradito écru ai piedi; in mano tiene un cappello con cupola a goccia e falda stretta, bianco. Sembra volersi fondere con l'ambiente, divenire tutt'uno con esso, sparire.

A terra una sacca scarlatta macchia d'inquietudine l'armonia del paesaggio.


Voce narrante

Puntuale al pari della solitaria Stella del Mattino, Rixid, mio fratello di latte e cugino di sangue, entrò in contatto con me al primo Sbadiglio di Fiore, come a ogni Risveglio della Natura da cinque Risvegli.

«Per conferma», mi disse.

Non me lo aspettavo, dato il modo in cui andò a finire le tre volte precedenti, ma non mi colse alcun Dubbio che sperasse nel mio "No".

A metà del giorno in cui il sole sarebbe stato più alto nel cielo, come da copione, varcai la soglia dell'affatto modesta dimora che fu dei nostri nonni, per trascorrere le ferie con lui e qualche suo amico.

Dai tempi della nostra infanzia, nulla era variato. L'aria salmastra mi disinfettò i bronchi e in me si propagò la soave sensazione di tornare a casa dopo un lungo viaggio; eppure nei miei stati affettivi si inserì Disagio. Mai si era verificato che non fossi il primo ad arrivare! Rixid non era solo; questo sollecitò in me Vigilanza:"Un fenomeno fuori posto nell'ordinario ripetersi degli eventi; una macula scura nel bagliore che si riverbera nell'aere; una spina tra le dita, nel cogliere una rosa", avrebbe salmodiato il Saggio della Media Era.

Presagio fausto o infausto che fosse, non tutto sarebbe stato ineguale alle ultime Stagioni Calde in cui ero stato lì: mi presentò Jurig e i miei propositi iniziarono a vacillare.

"Sarà più difficile del previsto non vederli disgregarsi in tanti corpuscoli e farsi pulviscolo nella Troposfera", pensai, con i muscoli del collo in tiraggio.

La sua stretta di mano fu gagliarda. Gli occhi erano quarzi di un azzurro saturo, come il mare in cui mi sarei voluto tuffare, pur di sfuggire alla profondità dello sguardo. Il sorriso aperto era quello di un poppante.

"Giovane". Un tempo avrei seguitato:"Carne tenera e fresca".

Mi auto-censurai: avevo chiuso con i flirt marini; ne avevo fatto Solenne Voto a Rixid e un po' anche a me stesso.

Poche frasi di circostanza e ci ritirammo nelle nostre stanze per disfare i bagagli.

Occupai la Camera Scura, la mia preferita: è distaccata dalle altre, a sinistra dell'edificio, in una piccola ala che protrude in avanti verso i gradini; pur essendo annessa ai vani del pianterreno, ha un ingresso indipendente che affaccia sul cortile, più pratico per uscire e ricevere visite.

Rixid non perse tempo né ci girò intorno, bussò alla mia porta e fece capoccella.

«Felìpen, testa sul collo e mani nelle tasche», raccomandò.

La frangetta nera gli scopriva i piccoli occhi d'ebano. Se io sono un castoro, lui è un furetto, piccolo e furbacchione.

«Non ho il gancio da rimorchio. Sono qui per Relax», risposi, con un pizzico d'Ironia.

"Come fosse mia Negligenza se i giovanotti mi ronzano, api insistenti, tra petali e stami, e giammai son valve di cozza!"

Tacqui. Stava a me essere solida rupe incorrosibile, non farmi sfaldare da lusinghe: io sono un periglio, infrango cuori, lascio cicatrici; la Stagione Calda volge al termine e io mi giro di spalle, lasciando il cacciatore di turno sedotto e abbandonato, a piangere e strepitare, come preda presa al laccio o strattonata dalla trappola.

Impegni Verbali non ne assumo; ciò malgrado, essi ci credono. Il guaio è che ci credo anch'io; questo nessuno lo sa.


Jurig non si comportò come altri pretendenti prima di lui: la prese alla larga. Saggiò il terreno, tastò la superficie, annusò l'aria che mi circondava. Volteggiò in tondo creando cerchi via via più piccoli attorno alla mia Area Privata; arrivò a lambirla; giro dopo giro strinse le spire e, senza che me ne accorgessi, ci si intrufolò.

Debuttò in spiaggia. Senza Impaccio, si stendeva accanto a me; pancia in su, i gomiti piegati a terra a sorreggergli la schiena, restava in silenzio mentre io fingevo di leggere. Dopo una ventina di respiri a ritmo lento, mi alzavo per andare a nuotare; lui mi seguiva, passo dopo passo, bracciata dopo bracciata, fino ai faraglioni. Restavamo il tempo di riprendere fiato, senza guardarci; io ripartivo e di nuovo lui era al mio fianco.

All'ora dei pasti, invece, siedeva nel lato di fronte della tavolata, ma tre posti più in là. Nonostante ciò, io vedevo solo lui e lui vedeva solo me.

Cinque ospiti intervallavano un boccone e l'altro con un gran chiacchiericcio. Noi eravamo gli unici a non parlare, se non interpellati. Conoscevo tutti gli amici di Rixid e nessuno mi ispirava simpatia. Jurig era una new entry del gruppo e non esercitava attrattiva: indifferente a femminee Zone Proibite, poco aveva in comune con loro. Quando, dopo cena, uscivano per andare a caccia di Fanciulle da Divertimento, non lo invitavano ad aggregarsi; che io non lo avrei fatto, lo sapevano già.

Le prime due sere stemmo ognuno per suo conto. La terza, sostai in terrazza a prendere il fresco e parve che lui non attendesse altro. Si fermò a un passo dal mio fianco sinistro.

L'occasione fu propizia per contemplarlo. Non si sottrasse al mio indagare; sono certo che fece ugual sondaggio.

Che fosse alto quanto me, l'avevo notato: di poco sopra la media per i maschi umani adulti. Aveva tutti i muscoli al posto giusto, per quel che avevo potuto scorgere dal costume. Nemmeno io ero messo malaccio; avevo benanche quel rotolino in più sulla trippa che alla mia età, dicono, accresce il fascino. I capelli castani, lunghi e mossi, erano legati sulla nuca con una corda, come son solito portarli io, anche se quella sera li avevo lasciati sciolti. Come me, indossava una tunica di lino color coccia di uovo d'oca, drappeggiata sui fianchi, a maniche lunghe. Eravamo, siamo, molto simili, solo che io ho gli occhi marroni e lui le orecchie un tantino a punta; lì per lì non vi diedi importanza.

«Quanti Risvegli hai contato?»

Non so perché glielo chiesi, forse per Costumanza: si fa così, quando si cucca qualcuno in un Locale d'Abbordaggio: "Da quanto sei su Mondo, dove sei nato, cosa fai".

«Ventiquattro. Tu?»

"In campana, Felìpen, qui non sei in un Night Club. Hai fatto Solenne Voto a Rixid di fare il bravo. E ha soltanto ventiquattro Risvegli". Mi grattai il dorso di una mano.

«Trentadue.»

«Vivi a Borgo Magno?»

«Sì. Tu?»

«Mi trasferirò sul Cader delle Foglie.»

«Dove sei stato finora?»

«In tanti posti.»

Non indagai oltre, non mi interessava. In altro contesto, avrei chiuso la conversazione e invitato Jurig nella mia stanza; non mi avrebbe negato il diletto della sua presenza. Prima che prendesse lui l'iniziativa, magari allungando una mano tra i miei denti in segno di Fiducia, accusai un'emicrania e me la svignai.

Il sole viaggiò tre volte da est a ovest e noi andammo avanti così: lui a sovrapporsi alla mia ombra, io a cercare riparo altrove.

"In amore vince chi fugge", recitavano i nostri avi.

Io non lo facevo per vincere, ma per non perdere, di nuovo. Jurig, tuttavia, non mi lasciò scappare.

La Notte delle Stelle Cadenti, come nostra tradizione, Rixid organizzò un falò in spiaggia; fu la più difficile da affrontare: reminiscenze a frotte mi sbatterono contro, pesanti come macigni.

Aiutai ad accatastare la legna. Mentre le fiamme prendevano vita, approfittai dell'arrivo di alcune ragazze per dileguarmi e stare da solo, senza dover simulare un'Aura Spensierata che non possedevo.

Anche la memoria vagò. Su quell'arenile, in altre Stagioni Calde, a piedi nudi sui granelli di sabbia asciutti, sotto un tappeto di focherelli accesi a puntecchiare la notte buia della Volta Celeste, avevo ridotto in lacrime Matties, poi Fabrix, poi Lavin.

Ciascuno di loro mi era sembrato l'uomo giusto per me, e io per lui.

A tutti avevo detto quel che è.

Il primo era bello come un Melograno in fiore, placido come acqua di lago in bonaccia. Mi dedicava rime baciate; a ogni strofa, la sua lingua lambiva lembi della mia pelle, beveva le mie lacrime di Commozione. Era così infatuato! Mi guardò con Disgusto e se ne andò.

Il secondo aveva la pelle chiara come latte, gli occhi scuri come inchiostro di seppia; non li usava per confondermi: moina dopo moina, bacio dopo bacio, mi avviluppava a sé e mi giurava Eterna Devozione. Mi guardò, mi diede uno schiaffo e se ne andò.

Il terzo odorava di resina. Costruiva barche; alla più decorata aveva dato il mio nome. Mi portava in mare aperto e, all'apice del piacere, pispigliava che mi avrebbe seguito in vetta alla più alta delle montagne, pur di stare con me. Mi guardò, ci pensò per qualche respiro, mi diede un bacio e se ne andò.

Storie brevi ma intense, dolci come il Nettare di Robinia; ne sentivo in bocca ancora l'amaro. Le mie relazioni non durano più di una stagione: è il prezzo di Sincerità.

Altri amanti, in altri frangenti e località, si sostituirono a loro, a soffocarmi il petto. Mi avevano abbandonato; ne restava vivo, troppo, il ricordo.

Nostalgia dipinge sui volti strane figure e chi la conosce... la riconosce. Jurig doveva saperne più di qualcosa, se la notò e si fece presto accosto a me.

♥♥♥

Spazio autrice&lettori

Con questo capitolo entriamo nel vivo della storia. Siete curiosi di conoscere Felìpen e Jurig?


Nota

L'inchiostro della seppia serve per far scappare e confondere predatori. Lo sapevate? Io no :-)

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