2. Dimenticare

Immagini in movimento

Prona sul letto, accartocciata in un lenzuolo di raso bluette, la donna chiamata Marianne sprofonda il capo in un cuscino, soffoca singulti. Un filo di luce sguincia a una spessa tenda nera, e le carezza una mano.

Nella penombra si staglia l'immane figura di un uomo; in piedi, in abiti da Funzionario di Governo, si annoda la cravatta antracite intorno al colletto di una camicia bianca. Alto tanto quanto l'armadio a due ante, ha spalle parallele ai fianchi e gambe slanciate, fasciate da nastri di seta marrone scuro. I corti capelli biondi paiono scolpiti nel cuoio capelluto.

«Dimenticalo.»

Usa lo stesso tono con cui i capi capeggiano, i formatori formano, i mariti dispotici esercitano egemonia su mogli bisbetiche.

«Non è degno di te. Grazie a me, il tuo utero sfornerà progenie pura. Loda la tua Spica, Marianne.»

Si copre con un pastrano nero, lo abbottona.

«Evadere e accoppiarti con uno straniero è stata Onta Pessima, eppure ho deciso di non segregarti nel Reclusorio delle Fedifraghe.»

«Non era uno straniero. Non per me.»

«Taci. Posso mandare al rogo lui e l'obbrobrio che hai generato. La Legge è dalla mia parte; dove non arriva la Legge, arrivano le mie finanze e il mio Rango.»

«E la tua prepotenza», osa la donna chiamata Marianne.

L'uomo le rivolge occhi di ghiaccio; penetrano nei suoi tanto da farle contorcere i muscoli masseteri in crampi di dolore.

«Taci! Mi hai implorato di salvare loro la vita. L'ho fatto, ho occultato la tua malefatta: una purosangue come te non è facile da rimpiazzare. Ti conviene ottemperare ai tuoi doveri, se non vuoi che il cuore dell'uno e il fegato dell'altro ti siano serviti per colazione, in una cella. Non ci sono brande e lenzuola di raso nelle carceri. Il rancio è stantio e l'aria venefica. Non è posto per una signora avvezza al lusso. Ne morresti; sarebbe un tale spreco!»

L'uomo è scalzo, a un passo dal letto; ha la schiuma alla bocca e l'eritrosi sul viso.

«Che dice una brava moglie quando fa imbufalire un marito amorevole come me?»

La donna puntella i gomiti sul materasso e inarca la schiena. La sua voce è poco più che un pigolio:

«Ti chiedo Amnistia».

«Così mi piaci: creta, duttile e malleabile.»

L'uomo tira via il lenzuolo e la scopre; lei si porta le ginocchia al seno.

«Cagna. Mostrami fedeltà.»

La donna si srotola e si lascia scivolare a terra. Si posiziona a quattro zampe sopra la pelle conciata al cromo del suo cavallo, sacrificato a mo' di monito. Abbassa il volto e tira fuori la lingua verso i piedi nudi dell'uomo. Inizia dal destro. Ne lecca il dorso e le dita. Il minolo. Il pondulo. Il trillice. L'illice. L'alluce. Avanti e indietro. Sopra, sotto e ai lati. Poi passa al sinistro. Il dorso. L'alluce. L'illice. Il trillice. Il pondulo. Il minolo. Li lava con la sua saliva.

L'uomo la scalcia verso la sponda del letto.

«Stasera voglio trovare: numero uno, una donna sexy, truccata, con i capelli agghindati, le unghie limate; numero due, la casa linda e pinta, con tende di lino chiare e tulipani in una brocca di porcellana; numero tre, la cena approntata, con soufflé alla cannella e spremuta della Cantina dei Magi. Brinderemo alla tua fecondità. Esaudiscimi, e sarai la mia Regina. Avrai smeraldi e rubini; villeggiatura in agriturismo e bagni alle terme; elettrodomestici. Saremo una famiglia esemplare. Il Governo ci ricompenserà con latifondi, attrezzature agricole e manodopera a basso costo. È fondamentale per me, e conveniente per te, far sì che così sia.»

Indossa gli anfibi e si appresta a uscire. Nel farlo, chiude la porta.

La donna chiamata Marianne si alza e va alla finestra.

"All'Antico Demone con il forcone! Tu, il tuo lezzo di provolone ammuffito e la tua arroganza".

Tira la tenda, spalanca i vetri, respira. Le labbra sono strette una sull'altra. Gli occhi dichiarano Odio. La mano mancina si alza in un gesto di saluto.


"Puoi ingiungermi di farti le riverenze, ma non di procreare per te. Il pool di scienziati che ha architettato il nostro matrimonio non ha considerato una mutabile essenziale: Me. Sarà un fallimento. Lo giuro sugli artigli retrattili del mio primogenito".

Veicoli roboanti sfrecciano sul cavalcavia. Il cielo si offusca e rischiara in un avvicendarsi di nuvole e cesio. Una raffica di vento le posa sul davanzale una piastrina di silicio.

"Un dispaccio da Rosh!"

Lo accosta alla fronte qualche istante, poi lo trita con i molari e lo manda giù.

"Dimenticare... Mai. Resisti, piccolo mio! Tuo padre ti ha trovato, presto saremo insieme".

Galleggia tra le onde del suo elemento; in un battito di ciglia, la donna chiamata Marianne, vestita d'aria, guarda oltre una sequela di floride piante dalle foglie glabre, oblunghe, con margine ondulato: la transenna naturale che segna il Confine Sociale tra chi è dalla parte giusta e chi no.

Una donna, con un camice ottanio liso e slavato, stende calzettoni dinanzi a una capanna. Ha la pelle arsa dal sole e capelli stoppacciosi. Il collo magro è cinto da un cordino di caucciù, da cui pende una saetta di metallo blu.

In un recinto ellittico, il piccolo Leone corre lungo la circonferenza, alzando nugoli di rena. Ruggisce e corre, corre e ruggisce. Gira cento giri. Un giovinetto con un pareo giallognolo si accosta alla rete, siede a terra. Lunghi boccoli castani gli coprono le spalle. Incrocia le gambe e soffia dentro una canna di bambù. Il cucciolo si ferma, si accuccia e si addormenta. Il giovinetto gli scarmiglia la criniera; un giovane uomo si abbassa naso a naso col giovinetto; gli suggella le labbra con le labbra.

La donna chiamata Marianne asciuga lacrime d'amore e di dolore. Vola tra i rami di una quercia e installa una scatola che cattura i fatti. Attende che l'aria si muova nella giusta direzione e si lancia nella corrente. In un battito di ciglia è in casa.

Rende graziosa l'abitazione e se stessa. Al calar della notte, si guarda in uno specchio: indossa un indumento bianco e una catenina di fili d'erba essiccati; i capelli sono raccolti sulla nuca e due ciocche ricadono ai lati del viso incipriato; le sopracciglia sono più folte e le palpebre ricoperte di pomata verde; le unghie amaranto sono un richiamo al sesso, o al sangue.

Apparecchia la tavola e impiatta le pietanze.

Suo marito entra in cucina. Annusa l'aria e il suo collo.

«Ora riconosco questa casa e la donna che ho sposato.»

Lei sorride, solo con la bocca. Gli slaccia il pastrano, glielo toglie e lo appoggia su una sedia; lo stesso fa con gli altri indumenti. Gli strofina il corpo con una salvietta umidificata, lo asciuga, lo aiuta a infilare una tunica di lana di cammello.

«Stanotte daremo avvio ai riti del concepimento», proclama l'uomo. «Ci servono proteine e carboidrati.»

Mangiano, in silenzio, polpette di pesce di mare con zucchine trifolate, uova di tacchino sode guarnite con purè di patate volumia, ravioli di caglio e spinaci, soufflé alla cannella. All'ultimo boccone, annaffiato dall'undicesimo bicchiere di spremuta della Cantina dei Magi, l'uomo si sventola con un triangolo di trina avorio.

«Fa caldo.»

Toglie la tunica e si reca in camera.

«Mi bulica l'intestino.»

Si stende sul letto, si addormenta.

Gli occhi della donna sorridono di Perfidia.

«Buonanotte, Tesoro.»

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