10. Ossa rotte

Voce narrante

La nostra Stella Madre scomparve oltre l'orizzonte, ricomparve e scomparve, tingendo la Tela Cerulea con i tre tubetti di tempera gialla, rossa e blu che ogni mattina e ogni sera si mescolano in quantità variabili.

Deambulando di stanza in stanza, seduti al tavolo della cucina o sul sofà, rifocillandoci e soddisfacendo le urgenze fisiologiche nostre e del piccolo felino, imperterriti cercammo di contattare: io Jurig, Amixandro suo padre.

«Jurig.»

«Jurig.»

«Jurig.»

«Jurig.»

«Jurig.»

Il nome del mio amato era un mantra per la mia lingua.

«Felìpen!»

Sobbalzai dalla sedia.

«Jurig!»

«Aiuto! Mi hanno messo sopra una poltrona con le ruote, ho le cinghie alle gambe, mi portano via!»

«Chi? Dove?»

«Mio padre e i suoi uomini. Al sicuro. Ho chiesto di prendere anche te. "Hai le ossa rotte, non ti vuole più". Non ci credo!»

Un rigurgito mi salì in bocca.

«Ad Amixandro ha notificato la tua morte; non ci ho creduto.»

Un triste sorriso arrotondò le mie labbra.

L'imperativo mi travolse:

«Trovami!»

«Condividi con me ciò che vedi e senti.»

«Mi hanno bendato gli occhi e tappato le orecchie.»

Strinsi i pugni tanto forte che le unghie mi entrarono nella carne.

«Non potranno tenerti così per sempre.»

«Mi porteranno in luoghi che non potrai riconoscere.»

«Io ti giuro», e lo giurai a me stesso, «che, da qui alla mia morte, ti cercherò.»

«Ti dimenticherò? Mi dimenticherai?»

«Amixandro è con me, non lo permetterà.»

«Addio, Fel.»

La connessione si affievolì.

«Resta con me!»

«Un aneste⁃ti⁃co ne le ve⁃e.»

«Resisti.»

«Ti a-o, Fe.»

«Ti amo, Jurig.»

Piombò il silenzio; nemmeno i pensieri osavano fare chiasso. Le pareti della mia camera sembravano muoversi verso di me per stritolarmi, o per espellermi.

Esiste davvero il Caso, il Destino, un Cammino, un Disegno? Non lo so, ma so, e ne ero già convinto in quel momento, che Jurig è per me, e io per lui.

Mi spicciai a preparare un frugale bagaglio per andare in capo a Mondo.

Avrei...

Percorso, a raggiera, tutte le strade percorribili.

Affittato elicotteri e sommergibili, e scandagliato cavità subacquee e burroni.

Invaso maremme e scoperchiato sarcofagi.

"I miei danari non andranno agli Eretici, ma ai Ricognitori".

Amixandro entrò senza bussare e si andò a sedere sul bordo del letto.

All'unisono aprimmo bocca senza sprecare fiato.

«Ho stabilito un contatto.»

«Ho stabilito un contatto.»

«Con Jurig.»

«Con Braul.»

«Mi ha detto che⁃»

«Siediti. Ascoltami.»

«Sai dov'è?»

«Siediti, ripeto.»

Ci guardammo trattenendo il respiro. Le mie dita erano pronte a saltargli al collo e a squagliarlo dal primo capello all'ultima unghia dei piedi. Da una tasca laterale dei Blue Jeans tirò fuori un ventaglio bicolore senape e salvia.

«Raffreddati. Ho buone nuove.»


Panoramica

Notte. Una palazzina in cemento. Una porta antipanico aperta. Un cartello: "Sanatorio per Infortuni allo Scheletro".

Via illuminata dagli abbaglianti di una camionetta. Lo sportello sul retro è aperto. A un braccio da esso, rivolta verso palazzi bianchi, una poltrona a rotelle trasporta un infermo. Ha gonna nera, felpa nera con cappuccio che copre capo e volto; corregge di cuoio gli bloccano le gambe e il bacino; il collo e le spalle sono le placche ossee di un carapace ripiegato su se stesso; le mani toccano le ruote. Dietro di lui c'è una guardia, di lato l'uomo chiamato Braul e suo padre.

Dinanzi a loro, una donna in ginocchio ricorda "la Madre Velata che bacia i piedi al Figlio in Croce" in alcuni quadri scampati allo sfacelo degli Edifici di Culto Antico.


Immagini in movimento

Dalla camionetta fuoriescono due bersaglieri; si piazzano con un ginocchio a terra e il piede dell'altra gamba saldo sul suolo; imbracciano un fucile a canna rigata; chiudono un occhio pronti a sparare.

L'uomo chiamato Braul afferra la donna per una mano, la tira in piedi e se la porta dietro la schiena, facendole da scudo. Suo padre cerca di muovere la poltroncina facendo forza sulla maniglia di spinta, ma non ci riesce perché chi vi sta seduto si desta dallo stato catatonico, si divincola, solleva le braccia e cerca di raspicarlo; si sbenda gli occhi e stura i condotti uditivi. Il cappuccio cade all'indietro, lascia scoperta la sua identità.

Davanti a tutti appaiono l'uomo chiamato Amixandro e il suo socio; hanno le mani alzate in messaggio di resa. La guardia, con la pistola spianata, si appressa all'uomo chiamato Felìpen e gliela punta al centro della fronte.

L'uomo chiamato Jurig morsica una mano a suo padre e con il busto si spinge in avanti finendo per rotolare su se stesso, con le ruote all'insù. Il suo fratello di mezzo si affretta a rimetterlo dritto e a tergergli il barbozzo sporco di sangue. Il maggiore fissa la guardia e indica l'uomo al suo fianco:

«Sono il suo Tutelante, abbassa l'arma».


Voce narrante

Prendemmo il mio veicolo. Io guidavo, Amixandro mitragliava la mente di Jurig con richiami atti a svegliarlo. Arrivammo appena in tempo. Aveva il volto coperto; l'avrei riconosciuto anche con indosso un bustone nero per la scopatura. Lo stavano per caricare sopra una jeep; sua madre pregava il marito di non portarlo via come aveva fatto con Nicol.

Il nostro arrivo inaspettato innescò un poliziotto contro di me.

Amixandro si erse a mia difesa, e io a quella del mio promesso sposo che, per venire verso di noi, era capitombolato a terra.

Mi appellai all'affetto pasciuto sin dai miei primi passi:

«Zio».

Il signor Biri sputò a secco.

«Non più.»

«Abbiamo un Rogito Pre-Matrimonio, non hai potestà di portarlo via.»

«Non siete sposati. È sotto mio Tutoraggio.»

Chiamai in adunata le mie energie residue per sostenere l'altezzoso sguardo.

«Ha l'età per decidere, è in grado di intendere e di volere. Lo dimostrerò nel Palazzo dei Verdetti, se necessario.»

«Papà», Amixandro fece un passo in avanti, «non hai chance, Fel è il migliore ed è la persona migliore a cui potresti affidare tuo figlio.»

Il mio rivale alzò la mano in aria come a scacciare una mosca, senza cessare di traforarmi gli occhi con i suoi.

«Deposita Querela. Ci vedremo al Dibattimento.»

Ci diede le spalle.

«Procedete.»

Jurig difese con le unghie e con i denti la sua libertà. Emise suoni tanto acuti da perforare i timpani a una scimmia urlatrice della Foresta Pluviale. Diede manate a vuoto e ruotò, con tutta la carrozzina, da sinistra a destra, da destra a sinistra pur di rendere difficile il compito ai suoi rapitori. Neanche la VeriSogni avrebbe potuto produrre un tale thriller.

Jurig strillava. Suo padre impartiva ordini. Donna Ivana implorava il marito di ripensarci. Io e Amixandro enumerammo gli articoli di Legge violati.

«Basta!»

La voce di Braul sovrastò tutte le altre:

«Felìpen. La lingua sa di sterco al pronunciare il tuo nome. Taglierei la tua per darla in pasto ai pesci del Parco Acquatico. Ti pinzerei via i peli pubici uno a uno, e quell'appendice ributtante che hai tra le gambe. Ti scalperei e ti lascerei languire in un nido di mignatte. Realizzerei le mie fantasie di quando eravamo bambini e stavi sempre tra i piedi. Quanti pugni ci siamo dati? Non sai quanti te ne darei».

Da lui non avrei potuto pretendere o sperare niente di meglio. Eppure è vero, come dicevano le Antiche Paremie, "Il nemico affina le arti e affila le armi, non saprai mai con cosa ti smaccherà". Braul non aveva finito il suo soliloquio.

«Di uno soltanto mi sono pentito. Quello che ti diedi al mare, per spaccarti il naso; ahimè non ci sono riuscito. Io conosco mio fratello, lo conosco molto bene. I suoi capricci e i suoi travagli. I suoi sorrisi.»

Con dolcezza che mai avrei presunto, guardò Jurig; con durezza si rivolse al genitore:

«Dimmi: di quale sfumatura si tingono le orecchie di Jujù quando è felice? Come si arricciano le piccole rughe delle labbra? Quanto si fanno grandi i suoi occhi? Che rumore ha la sua risata? Non lo sai. Io l'ho visto il giorno del suo ottavo risveglio».

«Sappiamo come è andata a finire.»

«Che fa un passerotto in gabbia se trova lo sportellino aperto? Vola via. Se lo avessimo istruito a fare piccoli passi fuori, a gestire le sue bravure, forse non si sarebbe allontanato così tanto.»

Il signor Biri sbatté cinque volte il tacco dello stivale destro sull'asfalto.

«Possiamo andare, ora?»

«No», lo zittì Braul. «Dopo quel giorno, e dopo il suo ritorno, l'ho visto così contento solo quando hai dato il Beneplacito alla sua Unione con Felìpen. L'uomo che prenderei a zampate. L'uomo che, se lo mangiassi, mi resterebbe indigesto; il cui fetore mi fa venire il voltastomaco; a cui io stesso sparerei alla Zona Proibita. Papà, è l'uomo che ha fatto riscoprire a mio fratello la capacità di sorridere. Non un sorriso forzoso, per far credere a te e alla mamma di stare bene. Un sorriso viscerale, genuino, vero. Vogliamo proteggerlo per paura che lo accoppino. Al suo ottavo ciclo solare era già morto e ora lo stiamo uccidendo di nuovo.»

«Cosa suggerisce la tua logica eccelsa? Sentiamo!»

«Che viva la sua vita con chi ha deciso di viverla. Guardato a vista da tuoi sgherri; le risorse per proteggerlo le hai; da chi gli vuole male, però, non dall'uomo che lo ama.»

Avrei applaudito. Sarebbe stato un discreto Tutelante, se non avesse scelto un altro mestiere.

«Pongo una clausola», continuò, «che resti a casa con nostra madre per il tempo della riabilitazione».

Stanco di ascoltare voci che non fossero quella del diretto interessato, mi rivolsi a lui:

«Jurig, qual è la tua risposta?»

Mi ringraziò con un bacio volante.

«Voglio tornare a casa, la nostra, adesso.»

Anche Braul si rivolse a lui:

«Chi si occuperà di te, quando ello sarà fuori per lavoro?»

«Assolderemo un esperto.»

«Aggiustare gli infortunati è il mio mestiere, così mi offendi.»

«Assolderemo te, se vuoi.»

«Il tuo uomo non mi permetterà di entrare nella sua casa.»

Il battibecco tra fratelli, a quel punto, stava estromettendo me. Mossi un passo in avanti.

«Braul, è questo il tuo errore», lo redarguii. «La mia casa è la casa di Jurig. Presto lo sarà anche legalmente. Se Jurig lo vuole, non ho potere di impedirti l'accesso.»

«Possiamo, per una volta, provare ad andare d'accordo? Per il bene non solo mio, ma di tutti?»

Jurig era estenuato.

«Per amor tuo, sì», risposi.

«Per amor tuo, sì», risposero in coro i suoi genitori e i suoi fratelli.

«Portatemi a casa, non vedo l'ora di coccolare il mio piccolo Leone.»

Mi guardò e compresi che non era solo il piccolo felino domestico, che desiderava coccolare.

Fummo scortati come in corteo alla mia, nostra, abitazione, dove restammo soli per una sola notte; Jurig dormì tranquillo con Leone sulla pancia; io vegliai, senza staccargli gli occhi di dosso, per timore che fosse un ectoplasma e svanisse non appena sorto il sole.

Restò. Il soggiorno fu attrezzato a piccola palestra. La sua sala da lavoro divenne la camera che avrebbe ospitato chi, tra Donna Ivana e i suoi figli, a rotazione, avrebbe assistito Jurig in mia assenza. La riabilitazione fu lunga, ma anche fruttuosa. Braul mise su due piedi Jurig, e su quattro zampe salde la sedia della cucina.

Jurig cominciò a raccontarmi i suoi sogni, e più lui sognava, più lo facevo anch'io. La sua mente si fuse con la mia; non c'erano più barriere tra le nostre attività oniriche. Ricomponemmo il puzzle dei nostri sogni e dei nostri ricordi. Il collage completo, in cui si incastravano alla perfezione tutti i pezzettini, ci restituì le origini del nostro amore e delle nostre tribolazioni. 

♥♥♥

Spazio autrice&lettori

Jurig è vivo! Ora mi sento meglio, e voi? Sogno e realtà presto finiranno di confondersi e i nostri due piccioncini ci diranno cos'è che avevano dimenticato e perché il loro conoscersi è stato un ritrovarsi...

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