Capitolo 30

ROBERTO'S POV

Io e Marco siamo in macchina, diretti ad un paesino in Canada, in cui trascorreremo un po' di tempo per far sì che Marco si schiarisca le idee.
Dopo una settimana, però, finalmente ci sono riuscito. Sono riuscito ad avere il numero di Anna. Nello stato di rabbia in cui si trovava, ero sicuro che Marco non avrebbe dato assolutamente peso al mio "andare in bagno". Visto che per arrivare alla destinazione ci vogliono delle ore, avrò tempo di parlare con Anna, così le mando questo messaggio.

*Ciao Anna, sono Roberto, il fratello di Marco. Non so come stai, ma posso ben dirti lui come sta: deluso, ferito, arrabbiato, in lotta con se stesso. Ha bisogno della tua presenza. Sta per scappare da se stesso. Sai, ho parlato con lui di quei pochi giorni che avete vissuto assieme, ma so per certo che questo vostro legame è detto amore. E so che dirti queste cose ti farà stare male, almeno credo, ma davvero, non credo che dovresti farti scappare un amore come il vostro. Dovete ritrovarvi. State scappando da qualche che non volete perdere: voi.*

Spero che risponda. Mentre aspetto la sua risposta, mi dedico ad osservare il paesaggio che scorre fuori dal finestrino e, come spesso capita, mi sento come un bambino che sta per scoprire le cose della vita, ora, soltanto fuori da quella casa famiglia. Non ho mai cercato di imparare ciò che loro mi insegnavano, imparavo sempre le cose che a scuola mi dicevano di apprendere. Studiavo di mia spontanea volontà per assetare la voglia di conoscenza che avevo dentro. Studiavo, ma non mi soffermavo sulla parola. Ho sempre pensato che studiare, in qualche modo, fosse la miglior arma e il miglior mezzo per scoprire presente, passato e cercare di immaginare il futuro. Mi piaceva sapere che era esistita gente che io non avevo visto. Mi piaceva l'idea di leggere i pensieri degli altri. Spesso ci si dannerebbe l'anima per capire cosa pensano gli altri, però ho capito che studiare era un bel modo per sapere di più su tutti, sui loro pensieri, sulle loro idee.
Sono stato male quando, iniziando la scuola, capii che non avevo genitori, che ero stato abbandonato. Mi mancavano le figure genitoriali. Se un giorni dovessi diventare un genitore, non abbandonerò mai i miei figli: sono sangue del mio sangue, dentro hanno una parte di me.

"A cos'è che stai pensando, Roberto?" Sento Marco chiedermi, ma io lo ignoro, continuando ad osservare il paesaggio che scorre al di fuori del finestrino.
Per molto tempo ho creduto di essere estraneo a me, di essere solo. Marco per un certo periodo iniziò a comportarsi come un ragazzino di strada: fumava, beveva.
Io ero sempre più arrabbiato con lui, con tutti. Non mi permisi mai di credere che la vita di strada potesse aiutarmi.
Una volta, su un muro dietro la scuola, vidi una frase.

«Hai una storia da raccontare: un giorno la racconterai.» Questa è una frase che spesso mi ripeto. Non c'è un perché, ma quella frase mi colpì talmente tanto che da allora è rimasta dentro me, a farmi compagnia.

"A cosa stai pensando?" Ripete Marco e stavolta mi giro, solo per guardarlo negli occhi. Lui è stato il fratello migliore che potessi avere. Quando capì che non esisteva solo lui e che c'ero anch'io, si allontanò dalla vita di strada e mi stette accanto, come già faceva. Però, da allora, iniziò ad essere più paterno e si ripromise che prima o poi ci avrebbe cacciati da quella casa famiglia, entrambi.

Credo che lui abbia capito cos'è che gira nella mia testa perché si ferma al lato della strada e mi guarda tristemente.

"No, scusami, è solo che mi è scappato di pensarci, davvero, non ci penserò più, davvero." Dico, con la speranza che ritorni a guidare.

"Non scusarti... Io... dovrei scusarmi con te per averti coinvolto in tutta questa storia. Non volevo, scusami tu." Termina di parlare e gli arriva un messaggio che però ignora.

"Credi davvero che un giorno li rivedremo?" Gli chiedo, riferendomi ai nostri "genitori".

"Mi hanno fatto molto male. La cosa peggiore è che io ho avuto anche modo di conoscerli, di viverci con loro. Se tu vuoi conoscerli, vai. Io non credo di poterlo sopportare."

"Mi lasceresti solo?"

"Ti accompagnerei, ma non credo di voler avere un confronto. Vuoi davvero dare loro un'opportunità?"

"No."

"E allora perché..."

"Volevo vedere fino a che punto avresti sopportato per me."

"Sei mio fratello, dobbiamo affrontare ogni difficoltà insieme. Siamo imbattibili, no?" Dice ed io annuisco.

"Siamo imbattibili, vero. Però non mi è sembrato che tu fossi rimasta indifferente ad Anna. Credo che dovresti leggere il messaggio, Marco."

"Cosa..." Inizia a dire, mentre sblocca il telefono ed apre il messaggio. Lo legge ed osservo il volto di Marco illuminarsi, vedo delle lacrime rigargli il volto e poi mi da il telefono.

*Sono a Roma. Vieni a prendermi. Ho maledettamente bisogno di te. -A*

Sorrido e guardo Marco fissare la strada.

"Beh? Su, a Sacramento! Corri! Vai a riprenderti ciò che è tuo!" Dico, ma lui continua a sussurrare il nome di Anna.

"Guarda che ci sta aspettando a Roma, cosa ci fai ancora qui?" Passano dei minuti, ma poi dice una sola frase:

"Non posso andare, Roberto."

"Ma cosa... Marco, sei stato male per tanto tempo, perché non puoi andare? Ma dico, ti si è fuso il cervello? Io non voglio sopportarti ancora in questo stato."

"Non capisci che non posso andare?"

"Perché?"

"Non possiamo permettercelo, Roberto."

"Falla venire qui."

"Io... Non..."

Sentiamo un telefono squillare. Il suo. Anna. Visto che Marco fissa ancora la strada, mi fiondo a prendere il suo cellulare e ad aprire la chiamata.

"Ciao, Anna. Sono Roberto. Marco non può venire. Vieni tu qui. Sinceramente non ce la faccio a sopportarlo nello stato depressivo in cui si trova da una settimana. Non posso..." Parlo, ma poco dopo Marco mi toglie il telefono dalle mani e fa una cosa inaspettata: chiude la chiamata.

"Ma dico, sei impazzito?" Gli urlo contro e lui guarda comunque la strada, non degnandomi neppure di uno sguardo, non dice nulla per spiegarmi il suo gesto.

"Marco, sei tutto scemo." Dico, per poi prendere il mio cellulare e mandare un messaggio ad Anna, dove le chiedo di richiamare, cosa che fa poco dopo.

Io prendo di nuovo il telefono di Marco, apro la chiamata e avvicino il cellulare all'orecchio di Marco.

"O parlate o vedi che ti succede." Lo minaccio, mentre sentiamo dei singhiozzi dal telefono.

"Anna..." Sussurra lui.

Decido di uscire e lasciarli parlare da soli.
Devono riconciliarsi, devono parlare.
In realtà, però, non si sono mai allontanati.

Ricordami, amandomi
perché con te la vita
più forte l'ho sentita.
Ricordami, Ricordati
ogni gioia, ogni ferita
non può essere infinita.

Il Volo

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