Capitolo 3
"Scusa, non ti avevo visto.. Ma tu sei..." Inizio a dire, riconoscendo il ragazzo con cui mi sono scontrata stamattina.
"Si, sono lo stesso con cui ti sei scontrata oggi." Fa eco ai miei pensieri.
"Come ti chiami?" Mi chiede lui, fissandomi.
"Anna. Tu?"
"Marco."
Come non riconoscerlo: ha degli occhi verdi che sono a dir poco stupendi, quel ciuffo di capelli color mogano...
-Si, è un bel ragazzo. Ammettilo dai!- mi dice il subconscio, che come al solito, si mette sempre in mezzo.
-Sogna!-
"Persa nei tuoi pensieri?" Mi chiede... aspetta, come si chiama? Ah sì, Marco.
"Cosa?"
"Ti ho fatto una domanda, ma non mi hai risposto."
"Cosa mi hai chiesto?" Dovrei stare più attenta, per la miseria!
"Vuoi ballare con me?"
"Eh?"
"Tu, con me, vuoi ballare?"
"Ok..." Rispondo titubante.
Ci immettiamo nella pista da ballo e tentiamo di ballare.
"Sappi che io non so ballare il tango." Lo informo, anche perché posso essere piuttosto pericolosa.
"Nemmeno io."
"Okay... Vorrà dire che siamo in due." Scherzo e scoppiamo entrambi a ridere.
Cerchiamo di ballare e concludere indenni questa canzone; dopo esserci riusciti, andiamo a fare una passeggiata rivamare.
Dio, non mi stancherò mai di vedere il mare al tramonto: è una vista stupenda.
Adoro vedere il sole che si riflette sul mare dipingendolo di rosso, le onde che si infrangono perpetuamente contro gli scogli, con l'intento di riprovare a combattere.
Le onde sono le uniche che combattono sempre, che non si stancano mai. Si infrangono contro gli scogli che, come la vita, prima le accoglie, poi le spinge via.
Come le persone...
"Quindi..." Dice Marco, interrompendo il flusso dei miei pensieri alquanto pessimisti.
Vedendo che ci mette un'eternità a parlare, decido di intervenire io.
"Quindi?"
"Quindi, visto che ci incontriamo ogni volta e che se ti lascio di nuovo potrei rincontrarti in un altro posto, dimmi qualcosa su di te."
"Non c'è molto da raccontare su di me."
"Allora raccontami di ciò che c'è da sapere."
"Ho finito da poco il liceo classico, ho intenzione di andare all'università e suono la chitarra. Ho accontentato la tua sete di informazioni?"
"Non del tutto."
"Adesso raccontami qualcosa su di te." Gli chiedo
"Non c'è molto da sapere su di me." Mi copia spudoratamente.
"Non sei originale sai?"
Scoppiamo entrambi a ridere e mi sembra di essere più leggera, più libera.
-Wow! Dovresti andare al mare più spesso..."-
Mi prende in giro il subconscio per il pensiero che ho fatto.
"Ritornando alla domanda di prima: da poco ho finito il liceo scientifico e non voglio andare all'università..."
"Perché mai?"
"Perché non ho voglia di andare in un' università."
"Ah ecco..."
Che motivazione stupida...
-Non sono tutti come te, vedi di essere meno bigotta."
Mi riprende immancabilmente l'odioso subconscio.
"Solo?"
"Mica posso dire che ti sbagli di grosso? È una tua scelta."
"Lo so."
"E allora?
"Allora nulla." Mi dice, chiudendo il discorso.
Per cinque minuti regna un silenzio tombale e dopo un po' si gira.
Cosa vorrà dirmi?
"Raccontami di te." Cosa? Devo avergli già detto qualcosa su di me.
-Appunto, qualcosa..."
Mi ricorda il subconscio.
-Come se non lo sapessi...-
"Già te l'ho detto. Ho finito da poco il liceo e..."
"No. Dimmi qualcos'altro. Dimmi della tua infanzia, per esempio."
Sbianco.
Questo no. Per favore, no!
"Hey," Mi richiama lui, notando che sono sbiancata. "Non fa niente, parliamo d'altro. Stai bene?" Mi chiede lui, preoccupato.
È strano che qualcuno si preoccupi per me. Solo mia madre lo fa, ma non le do mai l'occasione, perché non voglio preoccupazione da parte di nessuno.
Devo andarmene, andarmene da qui.
"Scusa, devo andare."
Non posso più rimanere, non posso più vagare con la mente a quegli orrendi ricordi che hanno macchiato il mio vestito bianco fin da adolescente e mi hanno resa la persona che sono adesso.
Inizio ad incamminarmi, ma sento una mano bloccarmi il polso.
Brividi.
No, non adesso!
Sento gli occhi umidi.
"Perdonami, non sapevo..." Farfuglia, ma lo interrompo.
"Certo che non sapevi!" Dico, alzando la voce...
Mi fa male ricordare, lotto ogni giorno per far sì che quei ricordi rimangano lì, chiusi in quella scatola, chiusi nell'angolo più remoto del mio cuore.
"Hey..." Ripete, notando i miei occhi e le lacrime che involontariamente sono scappate.
"Non è niente." Mento con voce rotta.
"Anna so che stai mentendo. Ti si vede negli occhi." Replica.
Certo, gli stessi occhi che hanno visto la felicità, l'ingenuità, l'innocenza e che da quando ne ho memoria vedono il dolore.
Il mio sguardo cade nuovamente sul mare e capisco quanto io abbia bisogno della tranquillità, della sicurezza, della stabilità che solo mia madre mi ha dato fin ad adesso.
Ma sento che non è abbastanza: il vuoto rimane vuoto.
"Scusami Anna..." Ripete.
Ormai ho fatto l'abitudine a questo dolore, che spesso tramuta in vuoto, ma fa male... Fa un male cane.
"Non preoccuparti, anzi scusami tu." Dico per la freddezza con la quale gli ho risposto dopo la sua domanda.
"Oh." Dice solamente.
Mi dispiace aver rovinato quel poco di conversazione che aveva cercato di creare.
Purtroppo non sono il massimo nelle conversazioni.
Riesco ad essere il massimo suonando la chitarra, ad entrare in quel mondo che è la musica e a perdermici.
Riesco ad essere il massimo scrivendo: sfogo su carta quello che voglio dire a voce, quello che purtroppo non riesco a dire a voce e mi sento per davvero me stessa, libera da ogni convenzione o regola.
Io sono diversa, me lo dicono tutti. Ma sono io proprio che mi sento diversa.
Anche da bambina ero silenziosa e solitaria, quindi tutti pensavano che fossi ritardata o cose simili, invece talvolta dimostravo il contrario.
Amavo stare sola e in silenzio con i miei pensieri.
Sono sempre stata il tipo che sta su una sedia al dondolo, sotto una veranda, al tramonto, guardando il panorama o leggendo un libro.
Sono una ragazza solitaria, ecco tutto.
MARCO'S POV
"Ora parlami di te." Interrompe il silenzio Anna, dopo essersi tranquillizzata. Impallidisco.
"Non ti preoccupare, non proverò a scappare di nuovo." Mi rassicura lei.
"No, è che potresti scappare se te lo dicessi." Confesso.
"Ah..." Alza lo sguardo e mi fissa.
Diamine, quegli occhi azzurri: come mi fissano e mi ipotizzano, come mi fanno sprofondare in essi. Sono degli occhi stupendi, pieni di esperienze e dolori, ma nonostante questo non posso dire nemmeno un quarto della mia vita. È un tale casino.
Vorrei essere una persona normale, ma si sa, non si può scappare dagli errori commessi in passato, o meglio, dalle esperienze vissute.
Passano vari minuti senza che la sua domanda riceva risposta.
"Senti Marco, scusa per la domanda. Adesso dovrei andare." Mi dice.
No, non può andare via... no!
Si sta allontanando da me, ma la seguo e avvolgo la mia mano intorno al suo polso.
"No, aspetta." Non so cosa dirle e i suoi occhi che mi fissano non facilitano le cose.
Potrei lasciarle il mio numero di cellulare, oppure no. Cosa le chiedo?
"Allora?" Mi chiede lei, spazientita dal mio silenzio.
O la va o la spacca.
"Ti posso dare il mio numero di cellulare?" Le chiedo.
"Certo. Tieni." Mi porge il cellulare, in modo da poterle salvare il mio numero. Quando finisco, le consegno il cellulare e rilascio un sospiro di non saper star trattenendo.
"Okay..."
"Okay, allora ci sentiamo o vediamo." Le dico, congedandola.
"Okay." Ripete e mi lascia.
Cos'è stato quello?
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