Capitolo 26

ELENA'S POV

"Sono abbastanza grande da capire che ognuno affronta il dolore a modo suo. Resta a casa, con noi. Sei la benvenuta, Elena," Dice mio padre e io non posso far altro che unirmi a lui in abbraccio fatto di ricordi, emozioni e dolori lunghi e sofferti silenziosamente.

"Perdonatemi" Ripeto nuovamente, guardando i miei genitori negli occhi, quegli occhi che non mi hanno vista per venticinque anni.

"Elena, basta scusarti. Lo consideravi opportuno e perciò l'hai fatto. Ed oltretutto ognuno deve vivere la vita a modo suo, con gli errori e le conquiste che fanno parte di questo vivere. Ognuno deve vivere a vita come vuole, dove vuole e con chi vuole." Dice mia madre e, invece di rispondere, la guardo soltanto con uno sguardo affranto.

Non posso dire sempre scusa.

Dopo un po' dalla porta sbucano Anna e Rebecca, dubbiose.

"Ragazze, entrate! Abbiamo un po' di cose da fare, perciò non perdiamo tempo, su! Andiamo a sistemarci nelle camere. Mamma, se vuoi venirci a dare una mano..." Dico io, guardando lei per poi rivolgermi a mio padre che ha un che di strano negli occhi, ha la felicità negli occhi.

Sono stati molto pazienti in questi anni, in un'attesa silenziosa. Aspettavano che arrivassi e io ho impiegato venticinque anni per arrivare. Avevo già in mente da un po' di tornare, ma non ero ancora pronta per avere un confronto con loro, dopo tutti gli sbagli che ho commesso.

Con la minaccia che quell'essere potesse rientrare direttamente nelle nostre vite, ho capito quanto in realtà la figura paterna mi mancasse. Quel tipo di protezione che solo un genitore sa darti a me mancava. Nonostante tutto ho saputo crescere mia figlia e, benché debba ancora crescere e fare molte esperienze, Anna è una ragazza matura e fa discorsi che a venti anni non si fanno. È una ragazza che ha sofferto tanto, ma la capisco. Anch'io soffrii moltissimo a causa della partenza, della mancanza dei miei genitori, della mancanza di Giulio, a causa della mancanza di Daniele. Mi mancava la mia Roma. Soffrii, ma imparai tanto allo stesso tempo. Appena arrivata in America ebbi modi di tastare la realtà e capire la crudeltà e la bellezza allo stesso tempo che il mondo e la società offrivano. Due facce della stessa medaglia.

C'è una linea sottile tra dolore e felicità. Nonostante siano concetti diversi, la linea che li separa è sottile. Si può cadere nel baratro più profondo in un millesimo di secondo, ma è anche vero che si può essere contenti ancor prima. Quando si è caduti, però, in un baratro troppo profondo, ci si mette molto più tempo per uscirne.

Sii padrone della tua vita, artefice delle tue scelte, dei tuoi dolori e delle tue felicità. Sii padrone di te stesso. Lo diceva sempre Giulio.

Risvegliandomi dai miei pensieri, guardo mio padre e dopo un po' lui decide di andare a comprare delle pizze per cenare e mentre lui esce, noi altre saliamo le scale per dirigerci a piano superiore.

Salire le scale è come tornare indietro nel tempo, rivivere tutti i ricordi.
Queste scale ne hanno viste di cose.
Hanno visto mentre ci rincorrevamo da piccoli.
Hanno visto molti libri di scuola.
Hanno visto le mie tabelline, il suo alfabeto, i nostri compiti.
Hanno visto i miei atlanti e i suoi libri di storia.
Hanno sentito i miei pianti e visto i suoi abbracci.
Hanno visto la mia rabbia e la sua perenne calma.
Hanno sentito il mio dolore ed assistito ai suoi ultimi minuti.

Queste scale, queste mura racchiudono una vita, ma tacciamo per timore di far riaffiorare tutto.

Arrivate sopra, noto gli stessi oggetti di un tempo posizionati allo stesso modo.
Passiamo davanti alla mia vecchia stanza. Un colpo al cuore.
Passiamo davanti alla stanza dei miei genitori. Colpi al cuore.
Passiamo davanti alla sua stanza. Mille emozioni.

Faccio fatica a non fermarmi, entrare in questa stanza e piangere su quel letto, cercare di carpire un po' della sua essenza, ma devo camminare.

Rallento un po' il passo, ma continuo a dirigermi verso le stanze per gli ospiti, cosciente degli sguardi delle altre su di me.

Arrivate, io e mia madre aiutiamo Anna e Rebecca a sistemare il tutto, per poi dirigermi nella mia vecchia camera. Dopo un po' di emozioni riaffiorate, mi convinco che non è l'ora per cadere nella scia dei ricordi. Devo solo resistere.

Sistemateci, ci dirigiamo, quindi, in sala da pranzo dove ci aspetta una bella pizza calda. Ci sediamo, mangiamo e, tra una risata e l'altra, mi sembra di ricordare una delle serate di tanti anni fa. Gli anni in cui eravamo una famiglia felice. Passano le ore ed arriva il momento di ritirarsi nelle proprie stanze per avere modo di riflettere su tutti questi cambiamenti.

Come avrebbe detto Giulio, il cambiamento è un bel modo per capire quanto la novità sia necessaria nella vita delle persone, tutti i giorni.

Saluto tutti con un bacio e dopo delle scuse, vado nella mia stanza e penso a tutto questo che ho lasciato qui.

Sento la pesantezza dei miei errori passo dopo passo, respiro dopo respiro, battito dopo battito. Mi stendo sul letto ed è come se tutto mi ricordasse ciò che ho causato.

*Inizio flashback*

"Senti Giulio, lasciami in pace. Ho bisogno di stare da sola, non si battute ridicole, ok?" Gli dico io, mentre sono stesa sul letto, ad occhi chiusi, a pensare a quello che ancora una volta mi è capitato.

"Non volevo far battute, ma se vuoi posso sempre inventarla una al momento. Così, subito! Sei pronta per le risate sorellina?"

"Ancora? Ti ho detto di andare via, non di rimanere. Ciao"

Lo sento dirigersi verso la porta, la apre e poi la chiude delicatamente, tipico di Giulio.

Possibile che Daniele non abbia ancora capito che in realtà io gli voglio più che bene?

Sospiro e ripenso al suo viso, alla vita che abbiamo passato insieme, fra guai, belle e brutte esperienze, ripenso ai sorrisi, alle parole che ci siamo detti, alla promessa di non farci dividere da nulla, alla nostra amicizia.

Il suo sorriso rende tutto più bello, la sua risata echeggia nella mia mente come una promessa da mantenere, le sue parole sono piene della contagiosa felicità che lo caratterizza e la sua vitalità rende tutto più degno di essere vissuto.

"Ti voglio bene, bell'anatroccolo, lo sai" Mi ha detto.

Certo che è proprio complicato l'animo umano. Amare una persona e non dirlo per timore di divenire vulnerabile.

È strano, no?

Apro gli occhi, mi giro e vedo Giulio che mi guarda divertita.

"Che c'è?" Chiedo scettica e alquanto irritata.

"No, niente. Ti va di parlarne?" Mi propone Giulio e, come sempre, annuisco.

"È sempre la solita storia. Io lo amo da anni e lui mi dice sempre il suo «Ti voglio bene, lo sai». Non mi basta. Stasera me l'ha ripetuto e devo dire che sono dovuta letteralmente scappare per non far vedere la delusione che mi si era dipinta sul volto. Lui mi ha seguita e mi ha chiesto come stessi, solo per sentirsi dire che stavo bene. Poi niente, ho detto di dover andare perché non reggevo la situazione ed eccomi qui, a rimuginare sulla mia stupidità." Gli rispondo, godendomi il silenzio che segue.

"Non credi di dovergli dire i tuoi sentimenti, invece di scappare?"

"Sta con un'altra, non avrebbe senso e poi non vorrei sentirmi colpevole della fine di una relazione di qualcuno. Non è giusto. "

"Dovrai pur dirglielo prima o poi, lo sai."

"Non avrebbe senso, ti ripeto. E ora vai." Chiudo il discorso, dandogli un bacio sulla guancia come ringraziamento e facendolo uscire dalla stanza.

*Fine flashback*

Giulio c'era sempre nel momento del bisogno ed io c'ero sempre per lui. Eravamo inseparabili. Ci volevamo un bene dell'anima io e Giulio. Purtroppo è finito tutto quella sera.

*Inizio flashback*

"Vai Giulio, ma non fare tardi! Ho bisogno di te per fare una cosa, okay?" Gli raccomando, sperando che mi ascolti.

"Sì signora!" Afferma. Mi saluta con un bacio e va via.

Dopo un quarto d'ora ricevo una telefonata.

"Pronto?"

"Buonasera, sono della polizia e la chiamo per darle la notizia dell'incidente di suo fratello"

"Cosa?"

"Ha avuto un incidente. Un camion è passato col rosso ed ha distrutto la macchina di suo fratello dal lato dell'autista. Mi dispiace." Mi dice questo poliziotto con finto rammarico.

"Ce l'ha fatta, no?" Deve avercela fatta..."

"È meglio che lei e i suoi genitori veniate per vedere."

"Sì, certo."

Dopo avermi dato le indicazioni, ci dirigiamo al luogo indicatoci per assistere allo spettacolo più triste della mia vita ed io non posso far altro che urlare in preda al dolore.

*Fine flashback*

Ed ecco che mi trovo a piangere lacrime che dovrebbero non esserci e invece piango ancora, dopo così tanti anni

Silenziosamente mi dirigo nella camera di Giulio per stendermi sul suo letto e non sentire più il suo odore, però.

È una tristezza enorme essere qui e non esserci con lui.
Fa male, ma è vero.
Fa male, ma è la realtà.
La realtà è la vita vera. Bisogna viverla con tutto quelle che ne consegue e che essa porta.
La realtà è quello che accade.

Siamo fatti per soffrire, per sorridere, per avere un senso nella nostra esistenza

Gli anni passano, ma i ricordi rimangono.

Sfioro le foto sulle mensole e vedo scorrermi una vita davanti.

Osservo quelle mura e sento tutte le litigate e gli scherzi e le gioie e le risate vissute qui dentro.

Mi mancava cosa mia.
Mi mancavano i miei genitori.
Tutt'ora, però, continua a mancarmi Giulio.

Accetta tutto ciò che ti accade, sempre.

Oggi la maggioranza della gente muore di un deprimente buon senso e scopre, quando è troppo tardi, che l'unica cosa di cui non ci si pente mai sono i propri errori.

Oscar Wilde

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