Capitolo 2 - Lui

«Sveglia, fratello, una bella ragazza ci attende!».

La luce del sole irrompe nella stanza e le bacchette di Seb picchiano sulla porta. So bene di non poter tornare a dormire dopo il buongiorno chiassoso di Seb, ma per un attimo ci provo lo stesso, dopo avergli lanciato addosso il cuscino e aver messo la testa sotto le lenzuola. Mi ero completamente dimenticato del nostro appuntamento con la proprietaria del Queen per fissare il prossimo concerto.

A fatica mi alzo. «Vado a fare una doccia!», urlo a Seb, che ha già acceso lo stereo a tutto volume.

Il cottage che condividiamo non è grande, ma per fortuna abitiamo lontano dalla strada, altrimenti i vicini ci avrebbero denunciati mille volte. Seb è il mio opposto: è attivo, pieno di energia, quando è nei paraggi c'è sempre qualcosa da fare. Senza di lui sarei perso. Siamo fratelli da ormai ben nove anni: i suoi genitori mi hanno adottato dopo la mia fuga dall'orfanotrofio. Pensarci mi fa ancora ribollire il sangue, nonostante tutto il tempo che è passato.

Usciamo di casa come sempre in ritardo e, per evitare la guida di Seb che quando è di fretta diventa pericolosa, mi metto sul sedile anteriore della moto, mentre lui salta dietro allacciandosi il casco. Gli altri ci attendono al locale insieme alla proprietaria, stanno facendo colazione al bar. Non appena ci avviciniamo, Seb inizia a fare il cascamorto con Alice.

«Adam, giusto?», mi chiede lei, noncurante degli occhi innamorati che non la mollano nemmeno per un secondo.

Annuisco e me ne sto in disparte guardandomi intorno: mi piace questo posto. Le pareti sono sommerse dai libri e l'ambiente è rilassante. Ci sono dei divanetti qua e là per poter leggere e il bar serve di tutto. Mentre i miei occhi vagano distratti per il locale, mi accorgo di una ragazza che mi fissa; ma non le hanno insegnato che è maleducazione fissare la gente?

Poi la riconosco: è l'altra proprietaria, Kris. Sta servendo una donna, e il bambino che è con lei cerca di attirare la sua attenzione saltandole intorno e facendola sorridere. Dopo aver ricambiato lo sguardo mi perdo nei miei pensieri, immaginando di essere altrove. Odio andare in giro e dover vedere gente, per questo lascio decidere tutto ai ragazzi quando si tratta di organizzare le nostre serate. All'incontro con i proprietari del locale, però, non posso mai sottrarmi. Ciò non mi impedisce comunque di desiderare di essere a casa, chino su quei fogli che mi fanno prendere fiato dalla realtà, sui quali riverso tutte le mie frustrazioni e che, in qualche modo, riesco a trasformare in canzoni.

Ma i miei occhi vengono attirati ancora da quelli di lei, che ha ripreso a fissarmi con un'espressione strana, diversa da quella delle altre persone. È come se volesse scavarmi dentro, conoscere ogni cosa di me. Il suo sguardo è deciso e dai suoi occhi verdi trapela curiosità mista a imbarazzo, forse per non riuscire a distogliere lo sguardo.

Guardo ancora altrove, non mi piace che gli altri intercettino i miei pensieri. Troverebbero solo freddo e desolazione e scapperebbero a gambe levate. Per un attimo mi sorprendo a immaginare come sarebbe guardarla negli occhi senza barriere, per leggere quello che ha dentro.

Ma cosa mi salta in mente?

Non la lascerei mai avvicinare a tal punto, io non mi fido di nessuno. Il mio unico punto fisso è Seb, ma lui è un caso a parte.

Mai stringere legami.

«Allora fissiamo due o tre live al mese, siamo tutti d'accordo?», chiede Alice.

Rispondiamo che sì, siamo tutti d'accordo, e mi dirigo verso l'uscita, allontanandomi finalmente da quegli occhi indagatori.

✽✽✽

Le ore prima di un concerto sono sempre le più difficili per me. Non sono mai sicuro che riuscirò a salire sul palco e a trasmettere agli altri ciò che sento. Il buio che ho dentro cerca di trascinarmi a fondo, facendomi pentire come sempre di essere uscito di casa, ma poi arriva la musica a salvarmi. Quando sono sul palco, è l'unico momento in cui la mia oscurità mi dà tregua, perché non ho il tempo di pensare ad altro. È come se diventassi un'altra persona.

Stasera il locale è più pieno della volta scorsa: Alice ci ha fatto sapere che la nostra musica è piaciuta e si è sparsa la voce. Mi domando per un momento se Kris verrà. Il pensiero di lei mi ha tormentato, nonostante la mia determinazione a tenerla lontana.

Ed è proprio quello che devi fare, brutto idiota.

Non me ne importa nulla di lei, devo smettere di pensare a quella ragazzina.

«Smetti di deprimerti e vieni, inizia lo spettacolo!».

Seb fa irruzione nella stanza facendo ruotare le sue adorate bacchette, dalle quali non si separa mai.

Come fa questo ragazzo a essere sempre così allegro e pieno di energie? mi chiedo seguendolo. Dimitri e Ben sono già sul palco a finire di accordare i propri strumenti.

«Mi farei volentieri una birra adesso», mormora Ben, sistemandosi il basso sulla spalla.

Scuoto la testa. Non riesce proprio a controllarsi, in un momento come questo, lui pensa a bere. Mentre mi guardo attorno nell'attesa di iniziare, il mio sguardo viene attirato verso destra. Non vedo nulla e, dopo un cenno di intesa con i ragazzi, inizio a cantare scrutando tra la folla. È allora che la noto. Indossa un vestito nero e degli stivaletti dello stesso colore, i suoi capelli rossi spiccano in quella pozza di gente. È davvero bellissima. Mi guarda cantare con un mezzo sorriso che d'istinto ricambio, odiandomi subito per averlo fatto.

Che cosa mi sta succedendo?

Non ho mai fatto pensieri del genere su nessuna ragazza, nessuna è mai stata in grado di farmi sentire qualcosa e voglio continuare in questo modo.

Dimitri mi tocca un braccio. «È tutto okay, amico?», mi domanda perplesso.

Lo guardo aggrottando la fronte, e subito dopo capisco: è iniziata un'altra canzone, ma io non me ne sono accorto.

Dannazione.

Annuisco e riprendo a cantare, questa volta guardando ovunque tranne che nella sua direzione.

Alla fine del concerto sono spompato, mi cambio e vado a farmi una birra insieme ai ragazzi.

«Sì, è andata bene stasera, abbiamo...». Mi interrompe di nuovo la sensazione di essere osservato. Mi guardo intorno, consapevole che Seb mi stia fissando attonito in attesa che io finisca la frase, e trovo la fonte. Ancora lei. È dall'altro lato della sala, vicina al bancone, e appena si accorge che ora sono io a fissarla abbassa gli occhi e si volta.

Adesso basta, questa storia è andata avanti fin troppo.

Mi avvicino.

«Ciao», le dico all'orecchio per farmi sentire.

Si volta e la sua espressione cambia totalmente; era seria mentre mi osservava da lontano, invece adesso un sorriso timido le increspa le labbra. Credo che stia arrossendo, ma con queste luci è difficile dirlo.

«Ciao», balbetta, gli occhi verdi che sembrano mandare scintille.

Cosa le dico?

Pensa, Adam, dannazione!

Di solito so sempre cosa dire a una donna, ma ora il mio cervello è come annebbiato.

«Non ho avuto modo di ringraziarti per l'opportunità di suonare qui. Ho già parlato con Alice, ma so che siete in due a prendere le decisioni».

«Figurati! Siete molto bravi e la gente ha chiesto di voi. Ti va una birra?». Sembra più rilassata, ma evita di fissarmi negli occhi.

«Certo».

Fa un cenno al barista, che sembra conoscere bene i suoi gusti. Ci serve due bionde alla spina e lei me ne passa una. Le sfioro la mano e il contatto la fa sussultare, come se si fosse scottata. Iniziamo a sorseggiarle dopo un veloce brindisi e continuo a pensare a cosa dire. Non mi sono mai dovuto sforzare con le altre, le ho sempre usate per i miei scopi, parlando solo il necessario. E non appena finivo di fare quello che volevo, facevo di tutto per andare via. Ma con lei è diverso e voglio capire perché.

«Scusami tanto se l'altra volta non mi sono avvicinato, stavi lavorando e non volevo disturbarti. In più, vedere Seb che fa la persona dolce e calma con una ragazza non è una cosa che vedo tutti i giorni».

Scoppia a ridere. Ha una risata contagiosa e non posso fare a meno di sorridere a mia volta.

Sono davvero patetico, mi dico lasciandomi sfuggire un sospiro.

«Credo che stia sprecando energie, gli interessi amorosi di Alice sono volti nella direzione opposta», mi rivela.

Adesso mi guarda negli occhi e ridiamo insieme, facendo ondeggiare la birra nei boccali.

«Immagino già la faccia di Seb quando glielo dirò. O magari non lo farò e mi gusterò lo spettacolo», le dico con un ghigno.

«Ma sei malvagio!», mi prende in giro. Mi tocca il braccio con la mano e per un attimo è come se tutti i presenti non esistessero. Il suo tocco è leggero e caldo, e mi procura un brivido. È la prima volta che provo una sensazione del genere: di solito odio il contatto fisico con le altre persone.

L'incantesimo, però, dura solo una manciata di secondi: i ragazzi si avvicinano insieme ad Alice, che le salta al collo prima di rubarle un sorso di birra. Gli occhi di Kris sembrano dispiaciuti, ma forse me lo sto immaginando.

Mai stringere legami, mi ripeto, ed è la prima volta che sono costretto a farlo, di solito mi viene naturale: più che una regola, è il modo in cui sono fatto.

Devo conoscere meglio questa ragazza, decido.

Devo capire cos'è che la distingue dal resto del mondo. Devo capire cos'è che ci lega e mi fa sentire così... diverso.

✽✽✽

Saluto tutti ed esco dal locale mentre mi accendo una sigaretta. Le prime luci di Natale illuminano le strade. Odio da sempre questa festa. Per quattordici anni l'ho trascorsa da solo, in quell'orfanotrofio infernale, e quando tutti i bambini e i ragazzi si riunivano aspettando regali che non arrivavano mai, io sparivo dalla circolazione. Natale significa famiglia e, per quanto i genitori di Seb mi abbiano voluto nella propria, quel giorno ho sempre continuato a starne fuori. Loro rispettano questa decisione, ma ogni anno leggo nei loro volti la speranza di farmi cambiare idea e il dispiacere per non esserci riusciti. Mi sono affezionato a loro e a modo mio gli voglio bene, ma non è come avere i miei veri genitori.

Questi ultimi sono morti quando avevo appena un anno, non ne ho alcun ricordo, ma sebbene io non sogni quasi mai, qualche volta mi sveglio nel cuore della notte dopo aver visto un paio di occhi color ghiaccio, uguali ai miei; mi piace immaginare che appartengano a mio padre, o magari a mia madre, anche se il pensiero mi logora dentro.

Camminare mi aiuta a rilassarmi, così decido di tornare a casa a piedi. Svolto in una via laterale, per evitare il centro ma soprattutto le persone. All'improvviso sento una presenza dietro di me, come se qualcuno mi stesse seguendo. Mi volto, ma non vedo nessuno.

✽✽✽

Lo squillo del telefono interrompe il mio sonno agitato. Ho trascorso tutta la notte a scrivere: è il momento in cui la mia mente lavora meglio perché non c'è nessuno a disturbarmi. Guardo l'ora: le otto del mattino.

Ma è legale chiamare la gente a quest'ora? mi chiedo passando il dito sul display.

«Pronto?», rispondo assonnato e anche un po' infastidito.

«Ciao, Adam, sono Alice. Dormivi?», mi chiede con voce squillante.

Alle otto del mattino? Ma no, tranquilla, penso sarcastico ma rispondo: «Certo che no. Dimmi pure».

«Seb mi ha dato il tuo numero perché dovevo parlarti. Tra qualche giorno sarà il compleanno di Kris e vorrei organizzarle una festa a sorpresa. Suoneranno un paio di altre band e mi piacerebbe che anche voi cantaste qualche canzone».

«Sì, certo, ne parlo con gli altri e ti faccio sapere».

«Grazie mille, Adam! Ora ti lascio, così puoi tornare a letto. L'ho capito subito che stavi dormendo, cosa credi?».

Mi scappa una risata e dopo averla salutata riattacco.

È la versione femminile di Seb, penso, prima di appoggiare la testa sul cuscino e sprofondare in un sonno senza sogni.

✽✽✽

Quando mi sveglio è già pomeriggio e la casa è vuota. Un biglietto sul frigo mi avverte che Seb è al conservatorio. Vuole diventare un insegnante. Al suo primo anno mi ha costretto a iscrivermi con lui, ma ho mollato subito. I suoi genitori avrebbero pagato anche la mia retta senza problemi – sono due medici abbastanza rinomati e benestanti –, ma a me non piacciono le regole; in più non mi andava di rimettermi a studiare, già finire le superiori è stato un incubo.

Fuori la neve ha smesso di cadere, perciò decido di fare una passeggiata. Le persone che incrocio per strada mi guardano stranite. Sarà per via della mia maglietta con le maniche arrotolate, che di certo non è adatta a questo freddo; ma il gelo non sferza minimamente la mia pelle, è sempre stato così. Immerso nei miei pensieri, mi ritrovo non so come davanti al Queen. La vetrina del lato libreria è addobbata con un albero fatto di libri e, mentre cammino fissandolo, non mi accorgo di essere davanti all'entrata. Realizzo che Kris potrebbe essere lì dentro e alzo gli occhi per cercarla attraverso il vetro: eccola, sta venendo con un libro verso la vetrina e appena si accorge di me si ferma. Con un sorriso timido alza la mano per salutarmi. Ricambio il saluto e la vedo uscire.

«Cosa fai in giro con questo freddo?», mi chiede stringendosi le braccia al petto per cercare di scaldarsi.

«Anche tu sei al freddo, adesso», rispondo con un sorriso. «Faccio una passeggiata. Come va la giornata?».

«Stacco tra dieci minuti. Potremmo passeggiare insieme... se ti va, è ovvio. Mi piace sentire la neve sotto i piedi e non mi va di tornare subito a casa». Abbassa lo sguardo e qualcosa nei suoi occhi mi fa credere che stia pensando che le dirò di no.

«Certo che mi va. Ti aspetto».

Mi guarda incredula – a dire il vero lo sono anche io per aver accettato così in fretta – e ricambia il mio sorriso. «Va bene, però entra, altrimenti dovrò passeggiare con un pupazzo di neve!».

La osservo riporre gli ultimi libri, poi prendiamo due cioccolate calde al bar e usciamo per strada. Il freddo secco ci punge il viso, perciò decidiamo di andare nella galleria in centro, davanti al castello.

«Siamo gli unici a stare in giro con questo freddo», afferma guardandosi intorno.

«Se questo posto fosse sempre così vuoto ci verrei tutti i giorni», le rivelo ghignando.

Ci sediamo sulla scalinata e mi sorride, poi come sempre abbassa lo sguardo. Capisco che la timidezza la blocca, quindi cerco di rompere il ghiaccio.

«È da molto che vivi a Kratas?»

«Quest'inverno saranno due anni. E tu?»

«Da quattro. Io e Seb ci siamo trasferiti qui perché lui doveva frequentare il conservatorio e io l'ho seguito».

«Ho notato che siete molto uniti, sembrate quasi fratelli», osserva bevendo un sorso di cioccolata.

«In realtà siamo quasi fratelli per davvero. I suoi genitori mi hanno trovato quando avevo quindici anni... ero appena scappato dall'orfanotrofio in cui sono cresciuto. Ero in un parco, nascosto vicino alla panchina dove poi si sono seduti loro. Mi hanno portato a casa con sé e alla fine mi hanno adottato. Non so da dove vengo, ma casa mia è ovunque vada Seb».

Mi accorgo di averle parlato del mio passato e mi blocco. Trovo sempre difficile parlare di come sono cresciuto...

Come mai a lei ho rivelato tutto così facilmente?

«Scusa, non volevo annoiarti, di solito non parlo di queste cose», cerco di giustificarmi, mandando indietro i capelli con la mano. La scruto e noto che stavolta ricambia il mio sguardo con fare sicuro. La timidezza sembra sparita. Le poche persone a cui ho raccontato di me, dopo, mi guardavano dispiaciute. Lei invece sembra capire di cosa parlo e nei suoi occhi non c'è la minima traccia di pietà.

«Non mi stavi annoiando, al contrario. Mi fa piacere scoprire chi sei, è difficile capirlo dall'esterno. Qual è la tua triste storia, Mr Adam?», mi chiede, citando con voce roca il Mr Rochester del romanzo di Charlotte Brontë.

«Io quindi sarei la piccola Jane?» La guardo ridere e mi unisco alla sua risata.

«Sei la prima persona che la capisce!».

«In orfanotrofio ho letto tutti i romanzi delle sorelle Brontë», le rispondo gonfiando il petto, «e me ne vanto».

Mi scruta sorpresa. «Il mio preferito è Cime tempestose. Ancora mi arrabbio quando penso che è l'unico libro che abbia mai prestato a qualcuno e non mi è mai stato restituito. Penserai che solo un'idiota lavora in libreria e non ha in casa il suo libro preferito, ma mi ci ero affezionata tantissimo, a quella copia». Sembra perdersi per un attimo in un ricordo, la sua espressione diventa triste.

«Ti capisco benissimo, per questo non ho mai prestato a nessuno i miei libri».

Fuori la neve ricomincia a cadere, quindi decidiamo di avviarci verso casa sua per non restare bloccati qui.

«Non cercare di cambiare discorso, sono una persona molto determinata. E poi ora mi hai incuriosita!».

«La mia storia triste...», le dico facendo un mezzo sorriso, «inizia quando avevo un anno, anche se io ovviamente non me lo ricordo. Ho ricostruito parte della storia dai giornali che ogni tanto recuperavo dalla spazzatura, nell'orfanotrofio. Ho trascorso quattordici anni in quel posto orribile. Mentre gli anni passavano, i pochi bambini con cui avevo legato venivano adottati a uno a uno, invece io ero sempre lì ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato».

Prendo un respiro e continuo. «Mi avevano detto che i miei genitori mi avevano abbandonato davanti alla porta dell'istituto senza neanche un biglietto. Questa cosa mi faceva soffrire molto e cercavo sempre di chiedere agli educatori qualche notizia in più». Faccio una pausa, tormentando il mio polsino nero di pelle per smorzare il nervosismo. «Nessuno prestava attenzione alle mie domande finché, il giorno del mio quindicesimo compleanno, tutta la mia vita cambiò. Un inserviente con il quale avevo un buon rapporto mi diede un indizio: mi disse di cercare sui giornali di una certa città nel sud dell'Inghilterra, risalenti a quattordici anni prima. Scappai in biblioteca, dove era presente l'unico computer della struttura, e aspettai di restare da solo per iniziare le mie ricerche. Non posso spiegarti a parole come mi sia sentito quel giorno, non ci riuscirei, ma provo a riassumerti la storia».

Sbircio con la coda dell'occhio Kris, che continua a camminare piano e sembra assorta nel mio racconto.

«La vigilia di Natale di quell'anno, una donna di nome Evelyn Morgan fu trovata morta in casa, pochi giorni dopo il rapimento di suo figlio. Il giornale non riportava i dettagli più cruenti, ma una cosa era chiara: era stata assassinata. Accanto a lei c'era il cadavere carbonizzato di un uomo, del quale ancora oggi è ignota l'identità; si presumeva potesse trattarsi dell'ex compagno della donna, un tale Mike. Il giorno dopo raccolsi le poche cose che avevo accumulato in quegli anni e scappai».

Quasi le dico che a volte, quando cammino per strada, mi sento seguito e osservato, e ogni tanto il mio telefono fa degli strani rumori durante le chiamate, ma non voglio sembrare paranoico. Trovo il coraggio di guardarla e mi accorgo che ha gli occhi lucidi.

«Scusa, non volevo. Solo Seb e i suoi genitori conoscono questa storia, ci ho messo anni a confessargliela, e forse era meglio così...».

«Non è certo colpa tua. Sono io che devo chiederti scusa... mettermi a piangere come una bambina. È che a tratti mi sono rivista nella tua storia, anche se io ho avuto la fortuna di vivere almeno con mia madre. Non posso nemmeno immaginare come ti sia sentito durante tutti quegli anni da solo».

Non so cosa dire e d'istinto la abbraccio. Al mio tocco il suo corpo si irrigidisce, così faccio per liberarla chiedendole scusa, ma subito si rilassa. La tengo stretta e assaporo il profumo dei suoi capelli mentre il tempo scorre e il silenzio, che di solito è fonte di imbarazzo, ci dà modo di goderci questo momento. Con questo gesto, la mia regola "Mai stringere legami" è andata dritta a farsi fottere.

Complimenti, Adam, penso sarcastico.

La suoneria del mio cellulare mi riporta alla realtà. Kris sembra turbata e si stacca dalle mie braccia.

Seb: Sono a casa, ho ordinato le pizze, farai meglio a muoverti se vuoi trovare qualcosa da mangiare 🙂

Grazie, Seb, penso con un pizzico di rabbia; gli rispondo che arrivo presto. Mi accorgo che lei evita il mio sguardo, così le chiedo se è tutto okay.

«Sto bene, tranquillo. Quella è casa mia». Scappa via senza nemmeno darmi il tempo di salutarla.

Mi sento sconcertato: non mi avvicino mai così tanto alle persone, figurarsi a quelle che conosco da poco tempo. E allora perché l'ho abbracciata in quel modo? Forse vederla piangere ha smosso la mia compassione. No, non è quello. Mentre le raccontavo di me è stato come se per un attimo avessi abbassato il muro che ho eretto per tenere gli altri lontani, e ho percepito come se lei avesse fatto lo stesso. Decido di tornare a casa e la solita sensazione di essere osservato mi accompagna.

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