Capitolo 19 - Lei
È tutto così strano.
Non sento nulla, solo un dolore sordo all'altezza dell'addome. Non riesco ad avvertire il resto del mio corpo, è come se non avessi sensibilità. Fluttuo in questa oscurità senza fine, alla ricerca di una luce che non riesco a trovare. Sono sola, non c'è nessuno che mi dica cosa fare o dove andare, e sono così stanca. Ogni tanto il dolore si fa più intenso e a volte sento qualcosa sfiorarmi: una mano che mi stringe lievemente o un bacio sulla fronte. Non so da dove provenga tutto ciò e questo mi rende nervosa. Neanche il tempo ha valore in questo posto: potrebbe essere passato un secolo da quando sono qui o soltanto un secondo, non me ne accorgerei. Non so come ci sono finita, non ricordo granché a parte il dolore. Continuo a gridare per chiedere aiuto, ma non ricevo mai una risposta.
È questa la morte, dunque? Un eterno vagare senza fine?
Finalmente appare in lontananza un'ombra appena più chiara. Non ha i contorni ben definiti e osservarla è come guardare attraverso un vetro opaco. Credo che sia una donna, forse lei avrà delle risposte.
«Puoi aiutarmi?», la imploro avvicinandomi. «Non so dove mi trovo e non mi sento molto bene».
«Sei diventata una donna, ormai», sussurra l'ombra. Sembra pian piano acquistare una forma più definita.
«Ci conosciamo?», chiedo incerta. La sua voce mi sembra familiare.
«Non avrei mai voluto vederti qui così presto. Alla fine ti sei ritrovata al centro della cosa dalla quale ho sempre cercato di tenerti lontana. Ma sono davvero fiera di te e di come sei diventata».
Non può essere. «Mamma? Sei tu?».
L'ombra annuisce, adesso il suo viso è più chiaro. La sua espressione è rilassata e un sorriso scalda il viso che ho tanto amato. Allungo una mano per toccarla, ma una barriera invisibile blocca il contatto tra di noi.
«Questo vuol dire che... sono morta?»
«Non ancora. Questo è il posto dove si prendono le decisioni. Se sceglierai di andare avanti, sarai in pace per sempre. Nulla ti farà più soffrire».
Un'esistenza senza dolore, in pace. È così allettante. Potrei finalmente liberarmi di tutto questo tormento. Ma... sento di aver lasciato qualcosa in sospeso.
«E se volessi tornare indietro?», le sussurro impaurita.
«Sarò qui ad aspettarti. Sta a te decidere cosa fare».
Vorrei solo attraversare l'ostacolo che ci separa e rifugiarmi tra le sue braccia, come facevo sempre da bambina. Sono tentata di farlo, ma qualcosa mi trattiene. Una voce lontana arriva da un punto indefinito. È una voce maschile, roca e calda, che canta vicino a dove dovrebbe essere il mio orecchio. Conosco quella voce, anche se non riesco proprio a ricordare a chi appartenga.
«È arrivato il momento, tesoro».
«Ma io devo chiederti ancora tante cose! Dimmi cosa devo fare».
«Torna alla tua vita e continua a essere la donna fantastica che sei». Mi sorride. «Avremo tempo, quando ci rivedremo».
«Non voglio lasciarti, mamma!». Le lacrime scorrono sulla mia pelle, ma a stento le avverto.
«Ti voglio bene, piccola mia», conclude voltandosi verso il buio.
Le grido di fermarsi, urlo fin quando il dolore alla gola supera quello all'addome, ma lei non c'è più ormai. Mi butto per terra, voglio solo dormire e non sentire più nulla. Quella voce, però, si fa più forte. Sussurra qualcosa di incomprensibile, ma il solo sentirla mi aiuta a calmarmi. Mi rialzo e le vado incontro, si fa sempre più forte man mano che mi avvicino. È come un ricordo lontano, eppure sembra così vicina che mi aspetto di sbatterle contro da un momento all'altro. Continuo a seguire quella voce finché non vengo investita da una luce abbagliante.
✽✽✽
Luce.
È così forte che anche tenere gli occhi aperti risulta difficile. Il dolore all'addome esplode e mi fa sussultare.
Dove mi trovo?
Sembra la stanza di un ospedale, ma non ricordo cosa ci faccio qui. Non riesco a pensare, il dolore è troppo forte.
Cerco di muovermi, ma qualcosa mi tiene ferma. C'è qualcuno accanto a me: ha la testa poggiata accanto al mio braccio, ma riconoscerei quella testa tra mille. Alice. Si è addormentata e mi stringe la mano. Cerco di sforzarmi e di stringere a mia volta, ma è davvero complicato. Ci metto tutta la forza che ho e sembra funzionare. La vedo alzare la testa, confusa, e fissare le nostre mani. Poi il suo sguardo si sposta sul mio viso e si illumina.
«Sei... sei sveglia», bisbiglia tra le lacrime.
Provo a parlare, ma sono stremata. Chiudo gli occhi e la sento correre fuori dalla stanza.
✽✽✽
Credo di essermi addormentata perché adesso la stanza è al buio, a parte la luce dei lampioni che entra dalla finestra. Riesco ad aprire gli occhi un po' di più e stavolta Alice si accorge subito che sono sveglia. Mi bagna le labbra con un fazzoletto intinto nell'acqua ed è una sensazione meravigliosa. Vorrei ringraziarla, ma non sono ancora pronta a parlare.
«Non sforzarti», mormora intercettando come al solito i miei pensieri. «Andrà tutto bene».
Un medico entra e sorride alla mia amica. «Allora avevi ragione quando dicevi che si stava svegliando».
Lei annuisce mentre il dottore si avvicina al mio letto. Mi punta una luce negli occhi, che mi dà fastidio ma che adesso riesco a sopportare. «Riesci a sentirmi?», mi chiede.
Faccio un cenno leggero con la testa.
«L'operazione è andata meglio di quanto ci aspettassimo, adesso sta a te mettercela tutta».
Operazione?
I ricordi sono vaghi e non vogliono saperne di tornare a galla. Osservo il medico uscire dalla stanza dopo aver detto ad Alice che tornerà a controllarmi più tardi.
«Sono così fiera di te», dice stringendomi la mano.
«C-cosa è successo?», riesco a sussurrare, tossendo per schiarirmi la voce.
«Sei stata colpita da un proiettile prima che Alec riuscisse ad acchiappare quel bastardo. I medici non erano sicuri che ce l'avresti fatta, ma sei forte, li avevo avvertiti. Naturalmente abbiamo dovuto inventare una storia da raccontare alla polizia per giustificare il colpo di pistola».
«Quanto tempo è passato?»
«Due settimane». Sospira. «Ti hanno operata non appena sono stati sicuri che le tue condizioni fossero più stabili, e Alec ti ha dato di nascosto un altro po' del suo sangue sperando ti potesse aiutare a riprenderti prima».
Mi guardo intorno e nella mia testa appare un'immagine: Adam a terra, ricoperto di sangue, che prende a pugni Alec. Alice sta dicendo qualcosa, ma non riesco a sentire una sola parola. Sento soltanto il monitor che controlla i battiti del mio cuore che inizia a ticchettare sempre più veloce.
«Stiamo tutti bene», ripete. «Anche Adam. Il nostro piano ha funzionato».
«Dov'è adesso?», le chiedo, facendomi assalire dal panico.
«Tesoro, devi calmarti, non puoi agitarti così!».
Le afferro la mano e stringo più forte che posso. «Ti prego».
«Sta bene. Anche lui è stato ricoverato qui, ma è stato dimesso il giorno del tuo intervento, una settimana fa. Seb gli ha dato un telefono, ma lui non ha ancora chiamato».
Dunque è così che stanno le cose: dopo tutto quello che è successo vuole ancora starmi lontano. Le forze iniziano ad abbandonarmi e sento di stare per cadere ancora in quel sonno profondo.
«È rimasto tutto il tempo accanto a te».
«Cosa?», chiedo incredula, faticando a tenere gli occhi aperti.
«Ha trascorso tutte le notti in cui è stato ricoverato qui seduto al tuo fianco. A volte andavo a casa a farmi una doccia, e quando tornavo lo trovavo a sussurrarti qualcosa all'orecchio o a cantare sottovoce».
Mi addormento immaginando quella scena. Mi fa venire in mente qualcosa che però mi sfugge, alla stessa maniera in cui sfuggono i sogni appena ci svegliamo.
✽✽✽
«Gli ho scritto un messaggio per avvertirlo che Kris si è svegliata, ma non ha risposto».
Qualcuno sta parlando e mi costringo ad aprire gli occhi. Seb discute con Alice accanto alla finestra, e quando si accorge che lo sto guardando la sua espressione cupa diventa radiosa.
«Finalmente!», esclama e si avvicina per abbracciarmi. Ci mette tutta la delicatezza di cui è capace, ma lo stesso mi sfugge un gemito.
«Seb!», lo rimprovera Alice.
«Scusa, non volevo farti male... Sono davvero felice che tu stia meglio».
«Non preoccuparti», lo rassicuro con un sorriso.
Mi faccio aiutare da Alice a sollevarmi un po', chiedendole di aggiungere un altro cuscino dietro la mia schiena.
«Andrew e Sophie stanno arrivando, Alec verrà a trovarti stasera», mi informa Seb, e questo mi fa ricordare che la persona che vorrei vedere di più invece non verrà.
Si accorge del mio sguardo triste e cerca di consolarmi. «Sta bene, l'ho sentito qualche giorno fa».
«Okay», gli rispondo con un sorriso che non arriva a coinvolgere gli occhi. Non mi illudevo di certo che sarebbe tornato insieme a me dopo tutto quello che è successo, ma avrei voluto vederlo almeno un'ultima volta.
Andrew e Sophie bussano alla porta ed entrano con in mano un mazzo di girasoli. Mi sforzo di sorridere, ma in questo momento vorrei tanto essere di nuovo incosciente e non sentire nulla. Insieme a loro entrano altre due persone, e il mio respiro si ferma: si tratta di Kathy, accompagnata da Riccardo.
Mia cugina si fionda ad abbracciarmi. «Ho avuto così tanta paura!», esclama tra le lacrime.
La stringo forte e poi mi sporgo a osservare il mio ex, che sembra spaesato. Si avvicina e mi prende la mano. «Cosa ci fate qui?», gli chiedo, sentendomi a disagio al contatto con lui.
«Siamo arrivati qualche giorno fa», mi spiega Kathy. «Alice mi ha avvisata di quello che è successo e...».
«E io l'ho obbligata a portarmi con sé», conclude Riccardo con un sorriso.
Ricambio, ma evito il suo sguardo e lui se ne accorge.
«Potreste lasciarci qualche minuto da soli?», domanda agli altri, senza distogliere gli occhi da me.
Alice cerca la mia approvazione e le faccio un cenno per tranquillizzarla.
«Facciamo un salto al bar, torniamo subito», dichiara irritata.
«Sono stato così preoccupato per te», confessa Riccardo non appena rimaniamo soli.
«Sto bene. Non c'era bisogno che tu e Kathy veniste fin qui».
«Avevo in programma di venire ugualmente, la tua aggressione ha solo accelerato i tempi».
«Riccardo, io...».
«Non dire nulla. So che è stato un periodo molto difficile e che quel tipo, Adam, ha significato qualcosa per te, ma adesso possiamo riprendere da dove abbiamo lasciato».
Il solo sentire il nome di Adam mi fa sussultare.
«L'ho incontrato», aggiunge quando si accorge del mio sguardo affranto.
«Cosa?», mi agito. «Quando?»
«La notte che io e Kathy siamo arrivati qui era la sua ultima notte in ospedale. Era venuto a salutarti e la mattina dopo abbiamo avuto una breve conversazione. Mi ha chiesto di prendermi cura di te ed è quello che ho intenzione di fare».
Non riesco a sostenere il suo sguardo risoluto.
«So che ci vorrà del tempo», aggiunge, «ma supereremo anche questa».
Gli altri rientrano mentre cerco a fatica di trattenere le lacrime. Non riesco a rassegnarmi al fatto di aver perso Adam per sempre.
Chiacchieriamo per un po', io perlopiù li ascolto, e arriva rapidamente la sera. Sono andati via tutti, Alice tornerà tra qualche ora. Non vuole lasciarmi sola, nonostante io continui a insistere che sto bene. Seb mi ha lasciato una radiolina che trasmette musica a basso volume. «Ti farà compagnia», mi ha detto con un sorriso. Allungo il braccio per spegnerla e mi accorgo che qualcuno mi osserva dalla soglia. Spalanco gli occhi e la figura si fa avanti, illuminata da un fascio di luce lunare.
«Non volevo spaventarti», si scusa Alec, chiudendo la porta.
Un sospiro mi sfugge dalle labbra mentre si siede accanto a me. «Scusa, credevo che...».
«So cosa pensavi. Mi dispiace non essere lui».
«Non devi scusarti», lo rassicuro prendendogli la mano. «Sono davvero felice che tu sia qui».
Rilassa un po' le spalle tese e mi sorride. «È bello vederti sveglia, finalmente».
«Alice mi ha raccontato quello che hai fatto, qui in ospedale e in quella chiesa. Grazie, Alec, davvero. È stato tutto merito tuo, non ce l'avremmo mai fatta senza di te».
Sorride ma evita il mio sguardo. Poi appoggia sul comodino una bottiglietta con dentro un liquido scuro.
«Che succede?», gli domando preoccupata.
«Ora che stai meglio, sono venuto a dirti addio».
«Di che stai parlando?».
«Questa sarà la mia ultima notte. Metterò fine alla mia stirpe maledetta, ora che Adam è tornato umano».
«Non puoi!», esclamo. «Non sei più solo, ci siamo noi con te adesso, ci sono io!».
«Solo se vivessi come vivo io, potresti capire come mi sento. Mi trovo in un mondo che non conosco e al quale non riuscirei mai a adattarmi. Sono costretto a uscire solo la notte e, perché io continui a vivere, qualche innocente deve morire. Non voglio più andare avanti così. Voglio avere un po' di pace, nonostante non la meriti dopo tutto il male che ho causato. Il mio nome significa "protettore degli uomini", lo sapevi? Credo di non avergli fatto onore».
«Ma non è stata colpa tua, sei stato costretto! Ti prego, Alec, pensaci ancora».
«Credimi, ci ho riflettuto abbastanza. Stavo per farlo dopo aver riavuto l'amuleto, ma ho desiderato aiutarti, provare a fare del bene ora che ne avevo l'opportunità. Ma non ce la faccio più. Ti ho portato un altro po' del mio sangue, nel caso ne avessi bisogno», mormora indicando la bottiglietta che mi ha mostrato poco fa.
E io mi arrendo. Accetto l'idea di perdere un'altra persona cara. Mi sporgo per abbracciarlo e gli poso la testa sulle spalle. Restiamo così per un po', abbracciati e in silenzio.
«Ho cercato di convincerlo», dice all'improvviso. «Adam, intendo. Ho provato a convincerlo a restare, ma non ha voluto sentire ragioni».
«Perciò siete anche testardi allo stesso modo», tento di sdrammatizzare.
«Siamo pur sempre parenti, anche se molto molto lontani», ghigna, poi torna serio. «Non odiarlo. Non è facile non farsi divorare dal senso di colpa, per quelli come noi».
«Non potrei mai odiarlo», rispondo mestamente. «Avrei solo voluto vederlo un'ultima volta, così come lui ha visto me».
«Così Alice te lo ha detto».
Annuisco. «So che si incolpa per quello che mi è successo, ma io non penso che sia colpa sua».
«Vedrai che col tempo cambierà idea».
I suoi occhi vanno verso la finestra, dalla quale si inizia a scorgere la luce dell'alba. Si avvicina ad abbracciarmi per l'ultima volta e lo stringo più forte che posso: spero senta che in questo abbraccio ci sono tutta la mia gratitudine e il mio affetto per lui. Mi posa un bacio sulla fronte e se ne va con un sorriso, io continuo a singhiozzare fino a addormentarmi.
✽✽✽
«Signorina, hai fatto davvero dei passi da gigante!», afferma il dottore. «Non c'è motivo che tu rimanga ancora qui, per quanto ci faccia piacere la tua presenza».
Alice mi stringe la mano e io sorrido, lasciandomi per un attimo pervadere dal sollievo. Tornerò a casa.
In queste ultime settimane il dolore fisico è andato pian piano scemando, grazie anche al sangue che Alec mi ha lasciato prima di andarsene per sempre, ma dentro sono ancora a pezzi. Non so come affronterò la mia vita adesso, ma devo farlo per il bene delle persone che ho perso.
Riccardo ha deciso di rimanere a Kratas, per quanto continui a dirgli che le cose tra di noi non possono tornare come prima. Non mi lascia sola per un istante e, se un tempo non avrei desiderato altro, adesso mi sento soffocare.
Seb entra elettrizzato nella stanza, spingendo una sedia a rotelle con dei palloncini colorati attaccati ai manici.
«Non vorrete davvero farmi andare in giro per l'ospedale in questo modo!».
«Te lo avevo detto che avrebbe fatto storie», dice Alice ridacchiando.
«Allora non ti piacerà nemmeno come ho sistemato casa vostra!».
Faccio finta di tirargli un pugno mentre mi aiutano a sistemarmi su quella sedia. Mi spingono lungo il corridoio e finalmente arriviamo all'uscita. La luce del sole mi investe, riscaldandomi. È una bella giornata e non fa molto freddo, considerando il clima di Kratas. Attraversiamo la città nel traffico dell'ora di punta: i bambini escono felici dalle scuole per salire sugli autobus che li porteranno a casa e gli adulti escono dagli uffici per la pausa pranzo, dirigendosi a mangiare qualcosa nei pub. Tutto scorre normalmente e vorrei tanto far parte di quella normalità, ma so che dovrà passare ancora molto tempo prima di potermi sentire di nuovo normale.
Scendo a fatica dall'auto e Riccardo si avvicina per aiutarmi ad attraversare il vialetto fino a raggiungere l'entrata, dove troviamo ad aspettarci tutti i nostri amici e perfino Andrew e Sophie, che si sono stabiliti per un po' a casa di Seb, dal momento che lui starà da noi: lui e Alice hanno deciso di fare sul serio. La casa è davvero zeppa di palloncini, addobbi e roba da mangiare. Tutti mi abbracciano e sorridono, e per un po' riesco a distogliere la mente dal mio pensiero fisso.
Non so nel dettaglio che storia abbiano inventato i ragazzi per giustificare la mia permanenza in ospedale, ma sostengo la loro versione quando la sento ripetere: siamo partiti in macchina per fare una piccola vacanza e siamo stati aggrediti per strada da un rapinatore.
«Devi proprio andare via domani?», chiedo a mia cugina che viene a sedersi accanto a me e Riccardo, che intanto sta chiacchierando con Eddie.
«Devo tornare al lavoro, ma prometto che verrò a trovarti il prima possibile». Si avvicina e a bassa voce continua: «Cosa hai deciso di fare con Riccardo? Torna insieme a me o rimane qui?»
«Non lo so». Sospiro. «Forse, quando una cosa si rompe, bisogna cercare di aggiustarla. Ma io non me la sento, non dopo quanto è successo con Adam. Adesso voglio solo stare da sola, anche se lui non me lo permette.
Kathy stringe le spalle. «Ho visto come ti guardava Adam quella notte in ospedale. Lasciarti deve essergli costato davvero molto».
Ovviamente non ho potuto raccontare tutta la verità a Kathy, ma a grandi linee conosce la mia storia con Adam.
Alice si avvicina con un piatto stracolmo di cibo. «Sono piena fino a scoppiare», la supplico facendo gli occhi dolci e sentendo un moto di gratitudine per avermi fatto distogliere il pensiero da Adam.
«Sei ancora debole, devi mangiare e recuperare le forze. Lo sai che non ti lascerò in pace finché non starai meglio!».
Mangio un altro po' per farla contenta e poi saluto i nostri invitati che pian piano ci lasciano soli, tranne Andrew e Sophie che si fermano per aiutare a riordinare.
«Stavo pensando di preparare un pranzetto per noi domani, ora che siamo tutti insieme. Cosa ne pensate?».
«Se cucini tu, io rimango a mangiare qui ogni volta che vuoi», scherza Andrew.
Si voltano a guardarmi e io annuisco. Sono felice di passare del tempo con loro, ma la mancanza di Adam si pone sopra ogni cosa. La sua assenza mi impedisce persino di respirare in alcuni momenti, quando i ricordi si fanno più intensi e mi si chiude il petto dall'ansia. Mi chiedo se stia bene, cosa stia facendo, se si senta allo stesso modo in cui mi sento io oppure se mi abbia già dimenticata. Quanto sarebbe stato bello averlo qui, ora che ha scoperto di avere un parente. E la cosa peggiore è il dover fingere di stare bene davanti a tutti.
«Allora è deciso, domattina andrò a fare la spesa!».
«Io vado a dormire, sono esausta». Mi alzo dal divano e, dopo aver abbracciato i miei amici e mia cugina, mi dirigo verso la mia stanza. Non ricordo di averla lasciata in ordine, perciò di sicuro sarà stata Alice a sistemare tutto il caos che avevo creato. L'ultima volta non sono riuscita a entrare qui dentro, era troppo doloroso. I ricordi con Adam mi assalgono e devo appoggiarmi alla scrivania quando sento le gambe tremare. Perlomeno adesso sta bene e non devo preoccuparmi per lui come facevo prima. Almeno in teoria è così, la pratica è tutta un'altra storia.
«Possiamo parlare?», mi chiede Riccardo, che è comparso dietro di me facendomi trasalire.
Sospiro e mi siedo sul bordo del letto, evitando però il suo sguardo. Non voglio parlare con lui, adesso, voglio solo mettermi a letto e stare da sola. Devo liquidarlo e non mi importa di urtare i suoi sentimenti.
«Sono stanca, Ric. Ho bisogno di riposare».
«Non voglio pressarti o crearti disturbo, ma ho bisogno di una risposta. Mi basta un tuo cenno e rimarrò qui con te».
Si siede accanto a me e prova a mettermi un braccio intorno alle spalle, ma io mi sposto. È incredibile quello che mi è successo: ho aspettato questo momento per due anni, ho sentito la mancanza di Riccardo in modo insopportabile, ho desiderato anche solo di vederlo da lontano. E ora lui è qui, e l'unica cosa che desidero è allontanarmi il più possibile da lui. Mi mordo il labbro cercando le parole giuste, che però tardano ad arrivare.
«È per lui, non è vero?», sbotta d'un tratto. «Cosa ti ha fatto per farti cambiare idea su di noi? Pensavo che tu mi amassi!».
«Ho smesso di amarti molto prima di incontrare Adam, solo che non lo avevo capito. Ho smesso di amarti quando hai iniziato a trattarmi male, quando sei sparito dalla mia vita da un giorno all'altro, quando non mi hai fermata nel momento in cui hai saputo che mi sarei trasferita qui. È colpa tua, non sua».
Mi guarda ferito, ma non si dà per vinto. «Possiamo ricominciare», mi supplica, inginocchiandosi davanti a me. «Ho lasciato tutto per tornare da te. Avevo una ragazza che mi amava da impazzire, pronta a sposarmi. Eppure non ho esitato neanche un secondo per venire da te, distruggendole la vita».
«Ma io non te lo avrei mai chiesto», ribatto duramente. «Mi dispiace, Riccardo, davvero, ma io sono innamorata di lui». Ecco, finalmente sono riuscita a tirar fuori ciò che mi tenevo dentro da giorni ormai.
Riccardo trasalisce a quelle parole, ma poi sembra tornare in sé. «Molto bene», conclude, «chiederò ad Andrew se posso andare a dormire da loro. Passerò domani a salutarti e poi tornerò a casa», sbotta. Poi si alza e finalmente se ne va.
Se qualche mese fa qualcuno mi avesse detto che Riccardo sarebbe tornato da me e io lo avrei mandato via, gli avrei riso in faccia.
Indosso il pigiama e mi rifugio sotto le coperte, coprendomi fino alle spalle. Abbraccio il mio peluche preferito e mi addormento così, troppo sfinita persino per pensare.
✽✽✽
Un singhiozzare soffocato mi sveglia. Apro gli occhi a fatica, pensando di averlo sognato: la mia immaginazione fa brutti scherzi ultimamente. Mi volto a guardare verso la porta e appena mi muovo il rumore si interrompe.
«Alice, sei tu?», mormoro accendendo la lampada sul comodino.
Ma non si tratta di Alice. È Adam, che non appena viene illuminato inizia a tremare, scosso da un pianto incontrollato. Mi pizzico il braccio, perché se sto ancora sognando voglio svegliarmi: mi distruggerebbe vederlo qui e poi dovermi svegliare senza di lui.
Invece non sto dormendo, e Adam è davvero qui, così meravigliosamente vicino.
«Non... non volevo svegliarti». Singhiozza. «Volevo solo assicurarmi che stessi bene».
Mi alzo tremante e mi avvicino a lui con passo incerto. Gli sfioro il viso e adesso la sua pelle è calda, non più gelida come la neve. Anche i suoi occhi sono cambiati, sono di nuovo di quel color ghiaccio che mi ha paralizzata la prima volta che li ho incrociati. Si abbandona a quel tocco e improvvisamente mi stringe, come se ne andasse della sua vita. Mi ero rassegnata a non potergli mai più stare vicino, ma adesso che è qui mi sento come se avessi ripreso a respirare dopo aver nuotato sott'acqua per troppo tempo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top