Capitolo 1 - Lei
L'unica seduzione del passato sta nel suo passato.
Oscar Wilde
La mia vita è una finzione.
Ogni parola che esce dalla mia bocca, ogni relazione è una bugia. Dico le frasi giuste, faccio le cose giuste, ma niente mi sfiora; tutto mi scivola addosso. E così mi ritrovo a osservare il soffitto notte dopo notte, quando non riesco a dormire e conto i minuti che mi separano da un'altra giornata di merda. Mi chiedo come sarebbe ora la mia esistenza se avessi preso delle decisioni diverse, se a quel bivio avessi svoltato a destra anziché a sinistra, se fossi rimasta in quell'altra storia accontentandomi di avere accanto qualcuno, anche se non era davvero quello che volevo. Poi sbatto gli occhi, di colpo sono le quattro e, fanculo tutto, provo a addormentarmi.
Ultimamente la parte della giornata che preferisco è la notte: quando riesco a dormire, so che lo sognerò. Nel sogno lui è qui con me, così meravigliosamente raggiungibile, mi accoglie tra le braccia senza mai tirarsi indietro. Poso le mie labbra sulle sue per tutto il tempo, come se sapessi che non è reale e che presto mi sveglierò da sola, di nuovo.
Dopo un sogno del genere, però, resta sempre l'amaro in bocca. Apro gli occhi e mi aspetto di vederlo, la testa poggiata sulla mia spalla e le braccia che mi circondano come per proteggermi. Invece no, lui non c'è più. Il mio letto è troppo grande, quando mi sveglio mi ritrovo sempre sul bordo, stremata a causa degli incubi che mi perseguitano, e sola.
Con il tempo mi abituerò, mi ripeto ogni mattina.
Oggi tocca ad Alice fare apertura al Queen, la nostra libreria musicale, come la chiamiamo noi, quindi potrei girarmi e tornare a dormire, ma mi conosco troppo bene: dopo aver sognato la mia vecchia vita non riuscirei a riprendere sonno. Una doccia bollente è ciò che mi serve per iniziare questa giornata gelida.
Non è stato per niente facile abituarmi al clima inglese: pur amando il freddo, è come se il mio corpo non riuscisse a adattarsi a questo posto. Ci sono momenti, come adesso, in cui mi sveglio immaginando di essere a casa, con il profumo di caffè che mia madre prepara ogni mattina e senza il quale non vive, e la mia cagnolina, una meticcia trovata sul ciglio della strada a qualche anno, che viene a darmi il buongiorno saltando sul letto. Allora mi pento di essermi allontanata, di aver abbandonato tutto per ricominciare, ma alla fine mi arrendo.
È meglio così.
Sul tavolo della cucina trovo un muffin e un biglietto di Alice che mi augura buona giornata. È stata una fortuna incontrarla: entrambe eravamo commesse al Queen, siamo andate a vivere insieme e, quando il negozio ha chiuso, lo abbiamo rilevato unendo i nostri risparmi e abbiamo trasformato la sala accanto in un locale dove organizzare dei concerti. Un posto così, dove si può leggere e allo stesso tempo ascoltare buona musica durante tutta la giornata, dovrebbe esistere in ogni città. Grazie al Queen la mia vita è cambiata: all'inizio io e Alice faticavamo a dormire la notte perché nessuna delle due aveva esperienza nella gestione di un locale, ma ce la siamo cavata e Kratas è stata per noi la città delle opportunità.
Non appena varco la soglia del locale, Alice mi salta al collo e i suoi ricci mi coprono gli occhi. «Kris! C'è di nuovo quel tipo!», mi sussurra all'orecchio, rivolgendomi uno dei suoi sguardi ammiccanti. «Oggi sta leggendo Dostoevskij. Devi andare a parlarci!».
Indossa come sempre uno dei suoi abiti super colorati, in contrasto con il nero che invece indosso quasi sempre io. Cerca di sistemare i miei capelli stravolti e non posso fare a meno di scoppiare a ridere. Da quando mi conosce, Alice vuole a tutti i costi trovarmi un ragazzo, dice che ho bisogno di una persona accanto che mi faccia tornare il sorriso, ma lei non capisce. Io sto bene da sola. Mi piace non dover soddisfare le aspettative di nessuno, perché ho sempre avuto paura di deluderle; nella mia vecchia vita ero così, ma adesso sono cambiata.
Tuttavia, adoro il fatto che Alice si preoccupi per me in questo modo: sono più grande di lei solo di un anno ma sembriamo madre e figlia (e lei, ovviamente, è la madre). Le dico che prima o poi ci parlerò, con quel tizio, ma entrambe sappiamo che sto mentendo.
Mi muovo tra gli scaffali che conosco a memoria, passando le mani sulle copertine e lasciandomi inebriare dall'odore della carta stampata. Una ragazza suona il pianoforte posto all'angolo destro del negozio, che è a uso di chiunque voglia suonarlo, mentre i tavoli vicini sono occupati dai clienti intenti a sorseggiare qualcosa al bar o a leggere. La giornata scorre tranquilla e al momento della chiusura mi rilasso sul divanetto accanto allo scaffale centrale. Adoro questo posto. Sono cresciuta tra i libri, da quando ho imparato a leggere non ho mai finito un libro senza iniziarne subito un altro. E questo lavoro mi fa sentire bene. Avere il potere di far iniziare a leggere una persona è una grande responsabilità.
✽✽✽
Ricordo che appena mi sono trasferita dall'Italia a Kratas sono stata fuori per una settimana, tornando a casa solo per dormire; ho guidato per la città in lungo e in largo e adesso la conosco come se ci vivessi da sempre. La adoro perché è una cittadina a misura d'uomo, diversa da Firenze, così caotica e piena di turisti. L'attrazione principale è un castello del 1700, che sorge al centro della piazza principale.
È soltanto lunedì, la gente in giro è poca, fa freddo e una coppia su una panchina si stringe per riscaldarsi. Chissà se continueranno a stare insieme o se anche loro sono destinati a separarsi. Sarebbe bello saperlo prima, ci si risparmierebbe tanto dolore. Un clacson strombazza dietro di me e mi riporta alla realtà. Mando al diavolo l'automobilista con un gesto della mano e riparto. Hanno tutti fretta di tornare nelle loro dimore, alle loro vite perfette, e poi ci sono io: a me basta un semaforo rosso per distrarmi.
Parcheggio davanti alla nostra villetta di mattoni rossi e inizio a sentire profumo di pollo: viene da casa mia, è una sensazione bellissima. Alice è una cuoca fantastica, se non ci fosse lei mangerei cibo in scatola tutti i giorni. Ho già detto che la adoro? Mi tolgo il cappotto e la saluto con un bacio veloce, poi stappo una bottiglia di vino e ne verso due bicchieri.
«Com'è andata la chiusura? Hai fatto nuove conoscenze?», mi domanda ammiccante mentre finisce di impiattare.
«Dai, Alice, lo sai che non ci parlerò mai. E, giusto perché tu lo sappia, non serve che tu faccia leggere i miei libri preferiti a quel povero ragazzo: oggi è stato per più di dieci minuti su una pagina. Era distrutto!».
Scoppiamo a ridere e brindiamo al fatto che non abbiamo bisogno dell'anima gemella per vivere.
«Stamattina è venuto un ragazzo con il suo gruppo, vogliono suonare da noi. Avresti dovuto vedere i suoi occhi...».
«Alice! Vai avanti», la interrompo sbuffando.
«Sì, scusa. Si chiamano Broken Ones e saranno da noi già questo sabato, dato che non avevamo ancora fissato nessun concerto».
«Benissimo, allora domattina mettiamo l'avviso. Grazie per la cena, dolcezza. Buonanotte». La abbraccio e vado nella mia camera. Porto con me un bicchiere di vino, a farmi compagnia in questa ennesima notte in cui il sonno tarda ad arrivare. Cerco di leggere un libro, ma le parole perdono il loro significato mentre la mia mente continua a vagare in quell'abisso che sono i ricordi insieme a lui. Vivo ormai in quel mondo passato, che non esiste più, nel quale lui è ancora con me. E sto bene soltanto lì, dove l'ansia non ha il controllo su di me.
Mi sono convinta del fatto che c'è solo una volta nella vita in cui si ama incondizionatamente, solo una. Quasi sempre la persona amata così tanto ci spezza il cuore, e niente tornerà più come prima. Come si può superare una cosa del genere? Quando il cuore si è rotto in mille pezzi, portando via con sé la fiducia negli altri, come si può ricomporlo?
Andiamo avanti fingendo, cercando di replicare quell'amore così forte, senza accorgerci di cercare negli altri un po' di quella persona. Parliamo, diciamo cose che non pensiamo pur di non far capire agli altri quanto siamo vuoti dentro, pur di essere amati da qualcuno che però, per quanto ci provi, non potrà mai farci sentire di nuovo interi.
Che senso ha vivere sapendo di aver perso l'unica possibilità di essere felici?
✽✽✽
La settimana passa molto lentamente, giornate uguali si susseguono tra loro con il freddo e la prima neve a fare da sfondo. Arriva il sabato e, a detta di Alice, stasera al Queen ci sarà un concerto che mi piacerà molto. Spero che abbia ragione, un po' di buona musica mi fa sempre stare meglio.
La libreria adesso è chiusa e la sala accanto si riempie pian piano di gente. Mentre passo a salutare di sfuggita qualche amico, noto Alice che parla con un ragazzo con lunghi dread raccolti da un elastico e un paio di bacchette in mano. Quando si accorge che la sto osservando, il suo volto si illumina e mi fa segno di avvicinarmi.
Grandioso, ci risiamo.
«Kris, lui è Seb! È il batterista del gruppo, voleva conoscere anche te. Seb, lei è Kris».
Alice mi lancia uno sguardo da "stavolta non è colpa mia" e fa per andarsene; la blocco inventando una scusa.
«Dobbiamo controllare quella cosa al bar».
Lei aggrotta le sopracciglia, ma per fortuna Seb sembra andare di fretta.
«Fate pure, ragazze, io devo scappare. Tra poco si comincia!», e si allontana con un'andatura saltellante.
«Quello lo vedrei meglio insieme a te, è troppo allegro», dico ad Alice con un sorriso.
«Se solo fossi etero...», mi risponde, ed entrambe scoppiamo a ridere.
All'improvviso si abbassano le luci: inizia il concerto. Mi avvicino al bar per prendere una birra e poi mi dirigo verso il palco. Vedo Seb che si avvicina alla batteria, con un sorriso smagliante rivolto ai pochi presenti, e poi fa un cenno al cantante, che invece tiene lo sguardo fisso sul microfono. Quest'ultimo sembra una vera rockstar: i capelli neri gli ricadono disordinati sugli occhi e gli abiti scuri sono simili a quelli del chitarrista e del bassista, in netto contrasto con la camicia colorata di Seb. Un veloce giro di chitarra elettrica parte, seguito a ruota dalla batteria assordante. Poi il cantante attacca e mi ritrovo con il braccio fermo a mezz'aria, nel tentativo interrotto di bere un sorso di birra. La sua voce è... stupefacente: ha un timbro graffiante e sembra perso in un altro mondo. A un certo punto si sposta con la mano una ciocca di capelli, rivelando un paio di occhi color ghiaccio che per un istante sembrano fissarsi nei miei. Degli occhi così non li avevo mai visti.
Cosa mi sta succedendo?
Il mio sguardo non si stacca da lui neanche un momento, la mia timidezza sembra andata a farsi fottere. Mi impongo di restare calma, ma Alice è già accanto a me e mi fissa sospettosa.
«Che succede?».
Cerco invano di non fare trapelare il mio turbamento, ma la mia amica mi conosce troppo bene.
«Nulla, è che questo ragazzo è... davvero bravo».
«Era lui, il tipo dagli occhi bellissimi di cui ti parlavo!», mi grida nell'orecchio per sovrastare la musica.
Dopo il concerto, lo osservo da lontano parlare con i suoi amici, quando a un tratto i suoi occhi iniziano a vagare per la sala alla ricerca di qualcosa. E poi si fermano nella mia direzione.
Per fortuna le luci sono ancora basse, penso sentendo il sangue affluire nelle guance. Mi volto subito ma in men che non si dica me li ritrovo tutti davanti, con Alice che ovviamente cerca di presentarmeli. Ho già dimenticato i nomi degli altri, quando finalmente dice il suo.
«Io sono Adam, piacere». Mi guarda con occhi indagatori porgendomi la mano.
Gliela stringo e al contatto con la sua pelle avverto una sensazione strana. Le mie mani sono bollenti invece le sue sono gelide. Ricambio lo sguardo e, per un attimo soltanto, immagino di essere da sola con lui. Quel tocco freddo mi fa immaginare le sue mani sulla pelle, mentre mi accarezza. Chissà se le sue labbra sono altrettanto fredde.
Ma che cosa sto dicendo?
Non riuscirei mai ad abbandonarmi a qualcuno che non sia Riccardo, quindi ritorno, anche se controvoglia, alla realtà ritraendo la mano.
«Kris, piacere mio».
Mi fissa dritto negli occhi e io non riesco a distogliere lo sguardo. In mio salvataggio arriva Seb, che porge le birre a tutti. Brindiamo e finalmente ho l'occasione di guardare altrove. Quando vanno via mi sento stranamente sollevata, ma per un attimo mi chiedo quando e se lo rivedrò.
✽✽✽
Domenica, il giorno del riposo, o della pigrizia se vogliamo. La neve continua a cadere fuori dalla finestra e in giornate come questa io divento un tutt'uno con le coperte. Dopo pranzo io e Alice ci rannicchiamo davanti al camino con un bel film e ci aggiorniamo su quello che è successo durante la settimana.
«Ieri è andata davvero bene, non trovi?».
Guardare un film con Alice è impossibile: dice ad alta voce tutto ciò che le passa per la mente, per questo ormai la domenica guardiamo solo film già visti. È più un sottofondo.
«Sì, abbastanza. Abbiamo ricevuto diversi messaggi di apprezzamento, stamattina».
«Dovremmo chiedergli di tornare! In questo periodo ci farebbe davvero comodo un'altra serata del genere».
Le dico che sono d'accordo mentre il suono del mio cellulare ci interrompe.
«Ciao, mamma», esclamo felice.
«Ciao, piccola mia! Come stai?», mi chiede, apprensiva come sempre.
Mia madre è il pilastro della mia vita. Per lei non è stato facile crescermi da sola dopo che mio padre ci ha abbandonate, ma è la donna più forte che io conosca e non mi ha mai fatto mancare tutto l'amore di cui avevo bisogno. Per questo è stato così difficile andarmene.
«Io sto bene, e tu? Come va a casa?».
«Qui tutto okay, sto per andare al lavoro ma volevo prima sentire la tua voce. Volevo anche dirti che Kathy mi ha aiutata a prenotare il biglietto aereo per venire a trovarti».
«Davvero?! E quando?». Non riesco a contenere l'entusiasmo.
«I primi di febbraio».
«Ma manca ancora troppo tempo!».
«Passerà in un baleno, vedrai».
«Ti voglio bene», le dico in un sussurro.
«Te ne voglio anche io e mi manchi. Ora ti lascio, immagino che tu e Alice siate sul divano a guardare il vostro film della domenica. Ti mando mille baci, tesoro».
Una lacrima cerca di farsi strada sul mio viso, ma riesco a trattenerla.
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