Capitolo 20
Erano arrivati al cantiere che era quasi metà pomeriggio, il sole stava lentamente scomparendo dietro i palazzi che circondavano la zona. Era un quartiere periferico ancora in via di sviluppo e la zona dei lavori era abbastanza isolata. Rotto il lucchetto che chiudeva con una catena di ferro il cancello, entrarono, tra zone d'ombra e spicchi di luce che il sole seminascosto proiettava sul terreno, sparpagliandosi per cercare la ragazza scomparsa ormai da otto giorni. C'erano tre casette prefabbricate e un container nel cui interno probabilmente avrebbero trovato attrezzature da lavoro. Ida non ebbe bisogno di dire nulla, la sua squadra composta da sei uomini e due donne, oltre a lei e al suo vice, sapeva già come muoversi. Come spesso le capitava in quei casi, mentre la squadra entrava, lei si fermò a qualche metro dall'ingresso a perlustrare con lo sguardo la zona, catturando tutte le informazioni visive che poteva. Era una prassi consolidata ormai da molti anni. Si immaginò Isabella in quel posto, cercando di capire dove potesse nascondersi. Soprattutto però quei momenti le servivano per caricarsi e darsi forza. Troppe volte quelle ricerche non avevano dato il risultato sperato, e quando succedeva lei si sentiva sempre un po' più sconfitta e delusa. Sapeva che le ipotesi che Vincenzo aveva portato alla sua attenzione erano più che plausibili, ma una parte di lei non voleva accettarle, dentro di lei covava ancora la speranza che Isabella fosse viva, magari fuggita di sua spontanea volontà per un capriccio che spesso gli adolescenti hanno nei confronti della vita. A quell'età persino lei aveva pensato più di una volta di fuggire di casa. In effetti con un padre come il suo chi non avrebbe pensato di fuggire.
«Commissario» Vincenzo che stava guidando la perquisizione la chiamò facendole segno da lontano
Ida si avvicinò al suo vice, cercando di seguire la stessa linea retta immaginaria che avevano percorso i suoi uomini. Meno terreno calpestavano più probabilità avevano di trovare qualche indizio valido. Vincenzo era fermo davanti alla porta di una casetta prefabbricata.
«Guarda la serratura» disse l'uomo appena lei gli fu accanto.
Ida si chinò leggermente notando i piccoli graffi sul blocchetto della serratura «è stata forzata» affermò
«Sembrerebbe» rispose Vincenzo
«Aprila» ordinò Ida
Vincenzo prese dalle tasche due spadini e infilandoli nella serratura li fece roteare fino a quando non si sentì lo scatto del cilindro e la porta si aprì.
«Entriamo» disse Ida spalancando la porta e avviandosi nella casetta.
L'arredamento era quello di un piccolo ufficio molto spartano, una scrivania due sedie un piccolo schedario, un tavolo per disegno e una postazione che probabilmente serviva per un computer visto che vicino c'era una presa di corrente. In angolo due cassapanche chiuse da lucchetti e un appendiabito a colonna in legno consumato dagli anni.
«Apri quei lucchetti» ordinò Ida indicando le cassapanche mentre lei perlustrava i cassetti della scrivania. Fogli sparsi e copie di fatture, una vecchia calcolatrice e alcune matite.
«Commissario» Bonaiuti si affacciò dalla porta d'ingresso «abbiamo trovato un passaggio tra le sbarre di ferro»
Ida alzò lo sguardo sull'uomo «fotografate tutto e se ci sono impronte su quelle sbarre o di suole per terra prendete anche quelle»
«Dobbiamo chiamare la scientifica?» chiese Bonaiuti mentre Vincenzo tirava fuori dal baule aperto un giubbino femminile simile a quello che aveva indosso Isabella il giorno della scomparsa.
Ida guardò quell'indumento e il sangue le si gelò nelle vene. Il giubbino era identico alla descrizione dell'abbigliamento fatta dai genitori della ragazza. Se quel giubbino era realmente il suo, significava che la ragazza era stata in quel posto o era ancora nascosta da qualche parte in quel cantiere se non addirittura sepolta.
«Commissario?» Bonaiuti era ancora in attesa sulla porta
«Cosa?»
«Dobbiamo chiamare la scientifica?»
Ida riguardò quel giubbino «direi proprio che sarebbe il caso» sospirò con tristezza
***
Leonardo aveva lasciato la macchina al parcheggio e si stava avviando ai binari in attesa del treno che lo avrebbe condotto al lavoro. Tra meno di una settimana, dopo la sentenza d'appello, la sua vita sarebbe ritornata normale. Finalmente. Forse iniziava a vedere un raggio di luce in fondo al tunnel. Dopo giornate di buio Isabella prima e Ida dopo lo stavano facendo ricredere sulla malvagità dell'essere umano. Il treno arrivò in orario e lui salì. Quella corsa pomeridiana che lo avrebbe condotto al lavoro, a differenza di quella notturna era piena di persone. Nel vagone non c'erano posti a sedere e quindi si sistemò vicino alla porta mentre il treno ripartiva. Gente distratta ognuno perso nei propri affari, c'era chi leggeva, chi guardava il cellulare chi giocava o parlava a voce alta negli auricolari. Erano le stesse persone che lo avevano giudicato e che lo esiliavano per quello che pensavano avesse commesso.
"E tu non vedi l'ora di diventare come loro?" pensò guardandoli.
"No, non sarai mai come loro, quello che hai vissuto ti renderà per sempre diverso" sorrise tra sé e sé
Il dondolio del treno diminuì avvicinandosi alla stazione. Una ragazza con le cuffie gli passò accanto per prepararsi a scendere. Aveva un buon profumo, riusciva a percepirlo nonostante la puzza di sudore che si respirava nel vagone. Gente ammassata come animali al macello. Lei alzò lo sguardo passandogli accanto e accennò un sorriso. Sicuramente non conosceva il suo passato pensò lui. Rispose al sorriso cercando di scansarsi dalla porta per farla passare.
«Grazie» sussurrò la ragazza mentre il treno si fermava e le porte si aprivano
Non rispose, non sapeva che dire, forse davvero la sua vita stava cambiando.
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