Tempi stringenti
A furia di pensare e conversare con la coppia di questioni più futili Eriko aveva perso la cognizione del tempo.
Si svegliò dall'incanto soltanto quando, per puro caso, i suoi occhi caddero su una parete del salotto, la quale, in mezzo a tutte le ombre nero-giallognole, mostrava un quadrato di medie dimensioni di color arancione.
Fu per questo che di scatto alzò la testa verso la finestrella da cui entrava la luce diretta arancione: lo stesso colore che aveva il cielo.
Mancava poco prima che si facesse notte.
La tazza di tè era vuota. Si alzò per salutare i due padroni di casa. Li assicurò nuovamente che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per aiutare e subito dopo si fiondò fuori dalla stanza, raggiungendo in un battibaleno la genkan. Dietro di lei correva la donna, anche se era troppo lenta per raggiungerla. Eriko indossò immediatamente le sue scarpe, per poi uscire fuori dalla casa, correre verso la cinta muraria e scavalcarla con un unico, alto ed agile salto. Atterrò in strada, e corse verso la sua nuova meta. La donna provò a raggiungerla, ma rinunciò quando la vide fare quel balzo tanto felino e sovrumano, chiedendosi di che cos'altro fosse capace.
Man mano che si allontanava dall'abitazione diminuiva la sua velocità, fino a che non si ritrovò a camminare dopo aver percorso circa un centinaio di metri ed essere uscita dalla via dov'era prima, ritornando sulla strada principale della città. La sua fuga era stata certo precipitosa ed improvvisa, ma non poteva permettersi che il sole, che era già basso, calasse prima di aver capito che cosa fosse successo la sera della sparizione. Aveva perso anche troppo tempo e per gli ammazzademoni il tempo perso poteva tradursi in vite perse.
Per strada numerose persone, da adulti a bambini, si muovevano frettolosamente. Molti dei primi avevano probabilmente appena finito di lavorare e per questo c'era chi andava a divertirsi nei locali fino a sera tardi, senza alcuna paura. Altri invece, così come tutti i piccoli, si dirigevano a casa, chi per riposare e chi per terrore di lasciare i propri figli da soli durante la notte, il periodo della giornata più pericoloso per loro.
In tutto quel via vai, la spadaccina ignorò il mondo che le stava attorno ed il suo modo di evolversi, pensò soltanto a dirigersi al luogo che le era stato descritto e ci arrivò senza difficoltà. Non ebbe problemi sul percorso e nemmeno ad orientarsi per quella città quasi labirintica per dei forestieri come lei.
Si trovava già nel centro del tanto famoso incrocio e poteva constatare con i suoi stessi occhi che la descrizione che le era stata data in precedenza era per buona parte corretta. Doveva ammettere che fosse stata anche lei una bambina avrebbe amato moltissimo divertirsi da quelle parti. In quel punto non si incontravano solo quattro grandi strade dirette nei punti cardinali, assieme ad una in più verso sud, dove la vista si perdeva verso dei panorami interminabili composti da innumerevoli case allineate in modo tanto perfetto da garantire la possibilità di vedere gli spettacoli naturali al di fuori della città e ai suoi orizzonti, ma anche dei piccoli cunicoli che si aprivano fra le case ed i muri che
li circondavano. Tutto ciò rendeva quel punto molto particolare, ma anche complicato. Se il bambino era stato lì prima di sparire, allora nasceva un gran problema. Non c'erano indizi che la vista, senso principale, potesse trovare, e non c'era ragionamento umano che potesse essere utilizzato quando si parlava di demoni.
Era in queste situazioni che Eriko si rivelava essere un'investigatrice perfetta, in grado di riuscire dove chiunque altro avrebbe fallito: finché aveva il suo incredibile fiuto trovare una persona per lei sarebbe sempre stato un gioco da ragazzi.
Dopo essersi guardata attorno preferì non indugiare oltre ed infilò una mano nella tasca dell'haori tirando fuori il kendama che le era stato dato. Socchiuse leggermente le labbra, chiuse completamente gli occhi e distolse l'attenzione dal suo udito, così che la sua mente potesse essere infastidita dal minor numero possibile di fastidi nel mentre che si concentrava sul senso più importante, ovverosia l'olfatto.
Portò leggermente l'oggetto a lambire la punta del suo naso ed allora l'odorò intensamente, poi, per sicurezza, decise di ripetere quel rituale altre due volte.
Quando decise di riaprire tutti gli altri sensi quando non erano più superflui, i suoi occhi, come fossero attratti da una calamita, si spostarono ad osservare intensamente il percorso che il naso aveva appena captato. Dopo qualche secondo il corpo si voltò in quella stessa direzione, verso la strada che portava ad est, e le gambe iniziarono a spostarsi in avanti istintivamente, aumentando di velocità man mano che il fiuto della ragazza, quasi canino, diventava sempre più sicuro di non starsi sbagliando. Ben presto divenne una corsa.
L'odore la portò ad arrivare al limitare della città e lì si fermò: non doveva proseguire oltre, anche se la strada e l'odore continuavano, seppure il secondo diventasse più intenso. Era lampante ed ovvio nella sua testa che il demone avesse trascinato tutte le sue vittime nella alla grande foresta che aveva di fronte, nella sua tana, per divorarli in pace e riposarsi dopo la caccia compiuta.
Nella sua testa era nato per qualche secondo il desiderio di voler correre laggiù e ricercare quella bestia, ma quell'impulso era stato immediatamente frenato dal raziocinio e dal buonsenso. Andare in territorio nemico senza nemmeno sapere le caratteristiche di esso era troppo rischioso, specialmente quando anche le abilità dell'avversario, così come le sue tattiche, sono perfettamente sconosciute. Un demone poi doveva trovarsi per forza in un luogo dal quale non filtrasse il sole ed andare a cercare un punto del genere in un posto così tanto vasto era inutile, dal momento che la creatura avrebbe potuto prenderla di sorpresa o sgusciare in città mentre lei era assente. Era poi inutile andare a cercare dei bambini superstiti, ed i motivi erano abbastanza ovvi.
Perciò restò con lo sguardo incollato sulla vegetazione a lungo, mentre il vento si alzava e strisciava fra i suo capelli, prima di lasciar perdere ed andare verso il ristorante. Il tempo continuava a stringere e la sua compagna di squadra la stava sicuramente aspettando.
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