L'ultimo eroe
Le era sempre piaciuto guardare il mondo dall'alto, avere un punto di vista elevato sulle cose.
E quando il Sole tinteggiava il cielo di quell'arancione brillante, i campi coltivati riprendevano vigore e il vento caldo del pomeriggio, che sapeva tanto di estate, le sollevava i capelli lisci e si portava via il fumo dalla sua bocca, Kiku si sentiva montare dentro sentimenti contrastanti.
Perché quello che la circondava era di una bellezza così innocente da farla sentire in difetto.
Prese un'altra boccata di fumo respirando piano, la camicia bianca dell'uniforme scolastica appena sbottonata, la cravatta allentata, la gonna ben sopra le ginocchia.
Kiku di fronte a quel paesaggio si sentiva sporca.
Si aggiustò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, in sottofondo le voci dei membri del club di atletica si scavavano goffamente un loro posto nel frinire impaziente delle cicale.
La ragazza si sporse appena dalla ringhiera del tetto della scuola, osservò per un po' la vita degli altri scorrerle davanti. Studiò con divertimento i volti corrucciati delle ragazze del club di musica leggera che continuavano a vagare alla ricerca di un posto isolato dove poter far librare il suono soave dei loro flauti, fissò con malizia i ragazzi del club di baseball e alla fine si soffermò sul professore di letteratura che stava chiacchierando con l'infermiera della scuola proprio sotto di lei.
Non le era mai piaciuto quell'uomo, il modo viscido con cui sfregava le mani tra loro, la curva accentuata della schiena che lo faceva apparire come un punto interrogativo, la pancia proiettata in avanti, il parrucchino che ogni tanto gli calava sulla fronte.
Aspirò l'ultima boccata di fumo dalla sigaretta e poi la accartocciò sulla balaustra tenendola ben stretta tra le dita affusolate. Pensò di far cadere il mozzicone giù, con un po' di fortuna avrebbe potuto prendere l'insegnante sulla testa, ma poi rinunciò.
Sospirando, ripose il mozzicone nel posacenere portatile, per poi tornare a guardare di fronte a sé.
Fuori dal cancello della scuola una signora stava portando a spasso un piccolo cane bianco dal pelo vaporoso, un vecchio, gracile e dal passo claudicante, spingeva una carriola contenente diverse verdure dai colori più disparati. Kiku riconobbe qualche rapa rossa spiccare tra i mazzi di quella che sembrava insalata.
Le vennero in mente quelle che il padre un tempo aveva coltivato in un orto affittato non troppo distante dal tempio. Si ricordava ancora il sapore dolciastro che sprigionavano, la risata di sua madre che la vedeva arricciare il naso con disgusto.
Il cigolio della porta d'entrata la fece tornare coi piedi per terra. Si girò di scatto come un gatto spaventato che arruffa il pelo per fingersi forte e impavido.
«Senpai...»
Al suono delicato della voce intimidita di Sakura, Kiku non poté trattenersi dal sollevare gli angoli della bocca in un sorriso amorevole, proprio come quelli che la madre non aveva mai mancato di regalarle.
Aveva un fascino particolare, quel sorriso spontaneo che le tingeva le guance di rosa e le illuminava gli occhi dal taglio tipicamente asiatico e Sakura ogni volta si ritrovava a fissarla col fiato incastrato tra le labbra carnose.
«Non dovresti essere sul tetto della scuola, Sakura» disse la ragazza con sguardo divertito stringendosi tra le spalle, «È vietato, lo sai» concluse poi, rimarcando le ultime parole con un tono leggermente aspro che trasudava tutto lo sdegno di Kiku nei confronti delle regole della scuola.
«Lo stesso vale per te, senpai...»
Sakura avanzò fino a raggiungere l'altra, il passo incerto, la schiena ricurva in avanti, lo sguardo puntato sulle ciabatte. Si appoggiò alla ringhiera con la schiena e si accucciò a terra sedendosi sul pavimento riscaldato degli ultimi raggi di Sole. «Sì, ma io non seguo mai le regole» affermò la più grande continuando a guardare avanti.
«Matsumoto-senpai ti sta cercando, è parecchio arrabbiata...»
Lasciava sempre che le ultime parole le appassissero sulla lingua. Sakura non era mai certa di nulla, neanche di ciò che diceva.
«Hotaru è sempre arrabbiata» si lasciò sfuggire Kiku salendo sul gradino dove si incastrava la balaustra per elevarsi ancora un po', «Se continua così finirà per farsi venire le rughe prima del tempo.»
Sakura sorrise appena. Le piaceva quel lato di Kiku, quello più sfacciato che nella sua immancabile realtà finiva quasi per risultare maleducato e insensibile agli occhi dei più. Eppure lei glielo aveva sempre invidiato, lei che finiva sempre per rifugiarsi dentro a false parole pur di ricevere l'approvazione degli altri.
Fin dal primo giorno che l'aveva vista passeggiare in mezzo a tutti gli altri studenti con i capelli lunghi sciolti, la camicetta sbottonata, la gonna corta e lo smalto sulle unghie. La testa alta, un ghigno sfacciato dipinto sul volto più delicato e bello che avesse mai visto, Kiku sembrava avere in pugno il mondo intero.
E neanche le regole della scuola, i rimproveri dei professori, i richiami del preside, le punizioni di suo padre sembravano scalfirla. Lei rimaneva fedele a sé stessa.
Cosa si celasse dietro quella guerra cieca tutti e tutto, Sakura se l'era domandato tante volte senza mai trovare risposta.
Perché Kiku possedeva tutto: che si parlasse di bellezza, beni materiali, intelligenza, la ragazza poteva vantare una fortuna che solo a pochi era concessa.
Ma.
C'era sempre un "ma". Perché dietro quel portamento da guerriera, Kiku sembrava nascondere una malinconia difficile da colmare, una ricerca disperata di qualcosa che le era stato sottratto brutalmente o, peggio ancora, che non le era mai stato concesso.
«Credo che sia solo preoccupata per il club...» pigolò Sakura scrocchiandosi le nocche, «Senza di te, senpai, il club non può andare avanti.»
«Che cavolata!»
Kiku aveva sbilanciato il corpo indietro e si dondolava tenendosi con le braccia tese alla ringhiera. «Può tranquillamente insegnarvi le basi del disegno anche da sola.»
Era infantile. Spesso e volentieri dietro le sue parole i capricci di una bambina cresciuta troppo in fretta facevano bella mostra di sé.
«Nessuno, neanche Matsumoto-senpai, riesce a disegnare come fai tu...»
La più grande si bloccò di colpo, la testa ancora rivolta in alto puntava il cielo limpido e scarlatto di quel banale pomeriggio di fine primavera. Sul suo volto, il sorriso le sparì lentamente.
«Certo, perché è l'unica cosa che so fare» disse, semplicemente, senza dar peso a quell'incrinatura sconsolata che le aveva reso la voce più profonda e inquieta.
Sakura non osò controbattere, decise piuttosto di lasciare quella frase aleggiare attorno a loro e avvolgerle soavemente assieme all'odore dolciastro che si alzava dalla campagna di fronte a loro.
«Dovresti tornare da Hotaru, altrimenti finirà per arrabbiarsi anche con te...»
Non c'era nessuna nota di rimprovero nel suo tono. Kiku non sarebbe mai stata capace di fare una paternale, lei, che dalle persone aveva imparato a ricevere nient'altro che quello.
«Preferisco rimanere qui con te, senpai...»
Sakura riusciva a esprimersi e ad essere davvero sincera solo con lei. Nessun'altra delle sue compagne era in grado di trasmetterle quella tacita approvazione che le trasmetteva Kiku. Sembrava in grado di accettare tutto, perfino una ragazza ossessionata dall'opinione altrui come lei.
«Beh, per me non c'è problema, ma sentiti responsabile per la prossima ruga che spunterà sulla fronte di Hotaru.»
Di fronte a quell'affermazione, entrambe scoppiarono in una risata spensierata, di quelle che nascono improvvisamente solo per far venire i crampi allo stomaco e un dolore lieve sulle guance.
Le cicale avevano smesso di frinire già da un po', distante il suono dei flauti delle ragazze del club di musica si era aperto con gentilezza un varco nell'atmosfera calma e quieta di quella cittadina rurale non troppo distante da Kyoto.
«Sai che hai proprio dei begli occhi?»
Kiku si era sporta in avanti avvicinandosi senza ritegno al volto paffuto dell'altra. Le spostò con le dita ornate da uno smalto nero la frangia un po' troppo lunga e le sorrise con affetto: «Dovresti mostrarli al mondo intero, non coprirli coi capelli.»
A Sakura erano sempre piaciuti i suoi occhi. Era l'unica cosa che le piaceva di sé stessa, l'unica che aveva sempre apprezzato senza riserve. E proprio per questo aveva deciso di custodirli con gelosia lontano dagli sguardi indiscreti e crudeli degli altri.
Ché non ce l'avrebbe fatta a sopportare di sentirsi in difetto anche per quella parte di sé che aveva amato incondizionatamente fin dall'inizio. Perché lei, proprio come il fiore di cui portava il nome, era troppo delicata per potersi lasciar accarezzare da parole di spine.
Solo a Kiku lo avrebbe permesso, con le sue mani di petalo e il suo infinito riserbo.
«Non ha senso nascondere la bellezza» continuò Kiku pizzicandole la guancia e tirandola, «E non parlo solo dei tuoi occhi, Sakura.»
Glielo aveva già detto un'altra volta. Erano nell'aula del club di arte durante il loro turno di pulizie. Kiku le aveva confessato che avrebbe presto partecipato con i suoi lavori ad un concorso per giovani talenti e le aveva proposto di provarci anche lei. Sakura si era chiusa nelle spalle come sempre, il manico della scopa stretto tra le dita piene da bambina, "Non sono così brava..." aveva detto. Un silenzio pesante era calato tra di loro. Kiku all'inizio aveva fatto finta di nulla, per poi esplodere dopo poco puntandole contro la sua scopa, adirata, "Le cose belle, perfette o meno, migliori delle altre o meno, vanno mostrate a tutti i costi!" aveva urlato. Sakura non l'aveva mai vista così arrabbiata. Kiku era una ragazza calma, imperturbabile, eppure qualcosa quel giorno l'aveva fatta scattare. Si era calmata solo dopo qualche respiro profondo, "Questo mondo fa troppo schifo per non essere riempito di meraviglie" aveva concluso sottovoce per poi tornare a spazzare per terra come se non fosse successo nulla.
«Senpai, tu sei la sola a pensare che io sia bella...»
Senza preavviso, Kiku si alzò e tornò a guardare il paesaggio di fronte a lei. Dalla tasca della gonna tirò fuori un'altra sigaretta e se la posizionò tra le labbra. L'accese e, con apparente indifferenza, prese una boccata di fumo. Sakura la seguì, appoggiandosi svogliatamente con i gomiti alla ringhiera. La vista era quella di sempre, mozzafiato nella sua semplicità.
«E quel signore, invece?» chiese d'un tratto la più grande espirando una nuvola grigia contro il tramonto screziato di rosa.
Sakura non capì, «Signore? Di che stai parlando?»
«Lo vedi quel signore laggiù, quello che sta portando le verdure? Credi che ti possa vedere bella?»
La più giovane girò la testa nella direzione che il dito di Kiku stava puntando. Nonostante l'assurdità della domanda, decise comunque di rispondere. «N-no, penso di no...»
«Bang!»
Con la mano a simulare una pistola, Kiku aveva appena sparato a quel vecchietto che solo poco prima le aveva fatto riemergere ricordi felici.
Sakura la guardò stranita, «Cosa stai facendo?»
«Sto eliminando chiunque pensa che tu non sia bella» affermò convinta, la sua mano proiettata addosso alla prossima vittima, «E quella nonna con la nipote?»
Quella signora viveva nella sua stessa via. L'aveva incrociata spesso e una volta l'aveva anche sentita criticare il suo aspetto, "Ma non si vergogna ad andare in giro con quella gonna che mette in mostra le sue cosce enormi?" aveva commentato rivolgendosi a un'altra donna. «No.»
«Bang!» Kiku sparò ancora, questa volta con ancora più convinzione, «Hai visto? L'ho presa in pieno petto!» esclamò poi, ridendo divertita.
Sakura setacciò il giardino della scuola con gli occhi, «Quello!» disse afferrando il braccio dell'amica e indicando il portiere della squadra di calcio, «È un mio compagno di classe e ieri mi ha preso in giro!»
«Facciamogli saltare una gamba...»
Caricò la sua finta pistola tirandosi il pollice indietro e poi sparò.
«Anche quella ragazza, senpai, quella lì» e si sporse, «Andavamo alle medie assieme, una volta mi ha fatto lo sgambetto in mezzo al corridoio deridendomi.»
Bang.
E poi ancora un altro. La professoressa che aveva commentato il suo pranzo alludendo a una dieta, il ragazzo che le piaceva e che l'aveva spinta per le scale, Matsumoto-senpai che si stava lamentando con alcune amiche, l'insegnante di educazione fisica che l'aveva fatta correre più degli altri per "aiutarla".
Kiku li aveva fatti fuori uno a uno, seguendo le indicazioni della più giovane che ad ogni sparo sembrava liberarsi di un peso sempre più grande. E allora uccideva ancora, una delle ragazze del club di arte, la presidentessa del consiglio studentesco, il preside. Perché quel sorriso radioso, Sakura, se lo meritava.
E si intonava perfettamente ai suoi occhi grandi, alle guance rosse e piene, al caschetto corto, alle caviglie grosse, alla pelle lattea.
Se solo avesse potuto, Kiku l'avrebbe dipinta in quell'esatto momento, mentre con il volto accaldato le strattonava la manica della camicia puntando l'ennesima vittima. Trasudava una rabbia e un rancore di una bellezza disarmante, un mix di emozioni così umane e radicate da far male.
Perché Sakura aveva sofferto tanto, ma aveva finito per tenersi tutto dentro e riversare il dolore nella sua testa bassa e nella sua schiena curva, nella sua frangia lunga e fastidiosa che non faceva altro che pizzicarle gli occhi.
«Ok, direi che per oggi abbiamo finito...» spossata, la fronte madida di sudore, Kiku ripose la sua pistola, non mancando di soffiarci sopra proprio come aveva visto fare in qualche vecchio film sul Far West, «Andiamo, altrimenti Hotaru ci scomunica direttamente dal club.»
Quel giorno, mentre la figura alta e snella di Kiku la sorpassava, Sakura rivide quella stessa ragazza che, un anno prima, aveva visto entrare dal cancello della scuola con la divisa scolastica modificata e i capelli sciolti, il portamento elegante e un'aria sbarazzina a illuminarle i lineamenti.
Kiku le era sembrata un eroe fin da subito, lo stesso portamento fiero di chi scende in campo con spada e armatura pronto ad affrontare l'ennesima battaglia.
Angolo autrice
Buonasera cari lettori,
ho scritto questa oneshot per partecipare a un concorso indetto da @write_whoyouare. Mi è stata assegnata un'emozione, la rabbia, e su questa ho dovuto scrivere una piccola storia che ad oggi ammonta a 2216 caratteri. Ho cercato di essere il più originale possibile dando alla rabbia una forma ben precisa che magari non è proprio quella più canonica. E' qualcosa di sottile e inafferrabile, è la rabbia di chi non ha modo o non sa come sfogarsi. Chi conosce la mia storia "Il crisantemo reciso" magari ritroverà dei personaggi familiari. Questo è solo un piccolo scorcio, uno spin-off di quella che è la mia "opera" principale che spero vi piacerà.
A presto, Laura
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