Mostro
Ulisse avanzava lentamente fra gli alberi, i suoi passi attutiti dall'umido sentiero che si dipanava nel fitto della foresta. Jane teneva le redini con una mano sola, gettandosi continuamente intorno occhiate circospette, le dita strette attorno alla bacchetta. Era una follia pensare che se ne sarebbe restata tranquilla ad attendere le decisioni degli altri, non quando c'era di mezzo la vita di una persona che amava così tanto.
Non era stato difficile eludere la sorveglianza dei suoi amici: era bastato chiedere di andare in bagno per poi Materializzarsi di fronte al cancello di casa sua, prendere Ulisse e Smaterializzarsi ancora una volta. Quando gli altri si sarebbero accorti della sua scomparsa, lei sarebbe già stata lontana. Ora doveva solo stare attenta a non farsi scorgere dai membri dell'Ordine, sicuramente appostati lì intorno, oltre che da potenziali Mangiamorte.
Villa Malfoy doveva essere molto vicina. Dopo un centinaio di metri, riuscì a distinguerne il profilo candido emergere fra la boscaglia. Un brivido di freddo le attanagliò lo stomaco. Non avrebbe mai creduto che un giorno avrebbe osato avvicinarsi di nuovo a una delle loro tenute infernali. Cercò subito di soffocare il senso di nausea che le diede immediatamente quella vista: la presenza del male nell'aria era fin troppo palpabile per i suoi gusti. Si avvicinò ancora di più, fino a dominare l'intera radura in cui sorgeva l'immensa tenuta.
Sembrava una delle ville rinascimentali che aveva visto qualche anno prima, quando era andata in vacanza in Italia con i suoi genitori adottivi: una grande costruzione squadrata dalle sobrie forme classicheggianti racchiusa in due ampie ali che si fondevano con il giardino. L'ingresso era evidenziato da un alto portico, dal quale partiva un lunghissimo viale costeggiato da siepi che terminava con un gigantesco cancello di ferro battuto. Quella gabbia dorata pareva imprendibile. Era perfetta, come prigione.
Jane deglutì vistosamente, poi scese da cavallo. Si avviò guardinga fra gli alberi, prima di emergere nel verdissimo prato della radura, completamente allo scoperto. Si accovacciò immediatamente sull'erba, prendendo a strisciare ventre a terra fino all'altissimo muro di cinta, trasalendo al minimo rumore. Solo quando fu al sicuro sotto la sua ombra minacciosa riuscì a rimettersi in piedi, tirando un sospiro di sollievo. Tutto sembrava tranquillo. Sempre con la bacchetta sguainata, Jane procedette lentamente verso destra, alla ricerca di un punto vulnerabile da cui entrare, quando improvvisamente un dolore atroce alla gamba le mozzò il fiato. Nello stesso momento, il mondo si capovolse con un fruscio sinistro. Grosse sbarre di ferro le piombarono sulla testa.
La ragazza urlò spaventata, mentre la bacchetta le sfuggiva di mano, perdendosi fra i ciuffi d'erba. D'istinto, Jane si tuffò in avanti per recuperarla, ma si ritrasse immediatamente, colta da un nuovo, intenso dolore alle mani: le sbarre della gabbia dentro cui era prigioniera erano irte di aculei di ferro, che le avevano lacerato le carne dei polpastrelli. Altro sangue le stava sgorgando copioso dalla gamba destra, bloccata dal laccio metallico che aveva fatto scattare la trappola.
−Ma guarda che cosa abbiamo – cinguettò una voce acuta a pochi metri da lei.
Jane trasalì terrorizzata. Davanti a lei, giocherellando con la sua bacchetta appena raccolta, stava Bellatrix Lestrange. Alla vista di quel demonio, la ragazza si scagliò con rabbia contro le sbarre di ferro, ignorando le nuove fitte di dolore che le trapassarono tutto il corpo.
−Tu, MOSTRO! – ruggì. – Che cosa ne hai fatto di Edmund? Lo so che è con te, maledetta megera!
−Ci avrei scommesso il mio braccio sinistro che saresti venuta per il tuo dolce amico – proseguì Bellatrix con un ghigno ironico stirato sulle labbra vermiglie. – Non temere, ti porterò da lui, se è questo che desideri.
Con un rapido movimento del polso, la strega librò la sua bacchetta in aria. Nello stesso istante, il fondo della gabbia si aprì, facendo precipitare Jane a faccia in giù nell'erba.
−Perdonami per questa brusca accoglienza – chiocciò Bellatrix. – Del resto, non è cortese da parte tua infilarti nelle case altrui in questo modo.
Jane rimase immobile, senza osare muovere un muscolo: sapeva che qualsiasi cosa avrebbe fatto in quel momento, sarebbe andata tutta a suo svantaggio. Bellatrix agitò nuovamente la bacchetta in aria, rivoltando la ragazza sulla schiena. Questa volta, trattenere un gemito di dolore fu impossibile.
−Dunque, piccola, sei da sola o hai qualcuno dei tuoi amichetti nascosto qua intorno? – chiese senza abbassare la bacchetta di un millimetro.
−Sono da sola – balbettò Jane.
−Questo rende tutto più semplice – commentò Bellatrix con un ghigno. – Avanti, tu, in piedi!
−Che cosa vuoi farmi? – chiese la ragazza atterrita.
−Il tuo amico si è raccomandato di trattarti con il massimo riguardo – rispose l'altra in tono sbrigativo. – Perciò, non complicare le cose e fai come ti dico.
−Tu che prendi ordini da un prigioniero? Non ci credo!
−Guarda caso, coincidono proprio con quelli del mio signore, per ora. Perciò, alzati!
Jane scoppiò in una risata.
–E dove vuoi che vada, con questa gamba? – sogghignò.
−Tipico di voi Mezzosangue, l'essere così schizzinosi – commentò Bellatrix levando la bacchetta.
Un attimo dopo, la ferita sulla coscia di Jane smise all'istante di bruciare, lasciando solo uno squarcio insanguinato sulla superficie dei jeans. La ragazza si tirò goffamente su a sedere.
−Mi chiedo dove vorrai arrivare, questa volta – disse in tono acido mentre si levava in piedi.
−Oh, tu non lo immagini neanche – rispose Bellatrix senza smettere di sorridere.
Le due donne fecero il giro del muro di cinta, fino a trovarsi di fronte all'imponente cancello, che si spalancò non appena la Lestrange schioccò le dita. Presero così ad avanzare lungo il viale ghiaioso che conduceva alla villa, attraversando l'immenso giardino costeggiato da siepi.
Se non fosse stato per il fatto che appartenesse a una delle famiglie più sanguinarie del mondo magico, Jane si sarebbe fermata ad ammirare le meraviglie di quel posto, paragonabile a una delle più belle ville del Palladio. Il parco era lussureggiante di piante e fiori esotici, tra i quali si aggiravano pavoni dalle lunghe piume candide. Qua e là, si intravedevano i profili marmorei di statue allegoriche e grandi ninfei seminascosti dalla vegetazione.
Bellatrix la condusse verso l'ingresso principale, sormontato da un timpano classicheggiante e un profondo portico dalle colonne ioniche. Lo attraversarono senza indugiare oltre ed entrarono in un ampio salone marmoreo ricco di stuccature dorate. Si inerpicarono poi su un grande scalone in pietra serpentina, accedendo alle stanze superiori.
Jane continuava a gettare occhiate furtive alla sua rapitrice. Non capiva: le volte precedenti era sempre stata tenuta nelle segrete di casa Black, molto simile a villa Malfoy. Perché in quel momento sembravano invece dirette verso l'ala più signorile dell'edificio?
Proprio mentre stava facendo queste considerazioni, Bellatrix si fermò davanti a una porta laterale, spalancandola. L'interno si rivelò essere una ricchissima camera da letto arredata con un'elegante tappezzeria color verde brillante.
−Tra mezz'ora ti porterò il pranzo – disse Bellatrix invitandola a entrare.
Jane rimase interdetta. Perché improvvisamente tutta quella cortesia? A quale gioco stava giocando quel demonio, che in quel momento aveva preso a recitare così pateticamente la parte della cameriera servizievole?
−Che cosa significa tutto ciò? – domandò esterrefatta.
−Ritengo che questo sia l'alloggio più adatto a te, in attesa di stasera. Fossi in te, mi godrei questo momento – rispose la strega in tono sibillino.
−Un momento... stasera? Che cosa succede stasera?
−Oh, lo saprai presto! In fondo, sei la nostra ospite d'onore.
−Un momento, no! – gridò la ragazza con rabbia, prima che Bellatrix avesse il tempo di chiudere la porta. – Voglio la verità, adesso! Tanto lo so che ci ucciderai, ci ucciderai tutti e due! Non ha senso tutto questo!
−Oh, molto presto lo avrà: stai tranquilla, bocconcino! – trillò la strega. – Sappi che per adesso gli ordini sono quelli di farvi vivere e trattarvi con riguardo. Poi si vedrà.
Detto questo, Bellatrix chiuse la porta senza troppi complimenti. Il rumore secco di una serratura che scattava fece capire alla ragazza di essere in trappola come un topo.
−Oh, mio Dio, no, no, NO! – implorò terrorizzata, afferrando la maniglia e scuotendola con forza. – Che cosa significa? Non capisco, continuo a non capire! Dov'è Edmund, che cosa ne è stato di lui? Voglio risposte, RISPOSTE!
Ma le risposte non arrivarono. Rimase solo il silenzio, rotto dai singhiozzi irregolari che prorompevano di continuo dal petto di Jane, rannicchiata contro la porta, paralizzata dal terrore e dalla rabbia. Ancora una volta, era prigioniera di quella famiglia di mostri, sola, senza nessuno a cui chiedere aiuto. In quel momento, immagini terribili presero a materializzarsi nella sua mente, un miscuglio di ricordi e di dettagli letti in qualche racconto del terrore tanti anni prima, quando ancora non credeva all'esistenza di streghe cattive e mostri assetati di sangue.
Non capiva perché, invece di venire rinchiusa in un buio sotterraneo, si trovava imprigionata in una stanza lussuosissima, trattata alla stregua di un'ospite d'onore. Forse progettavano di sottoporla a un interrogatorio e volevano che fosse abbastanza in salute per sopportare chissà quale tortura. Al solo pensiero, la ragazza si sentì svenire.
Mi uccideranno, continuava a ripetersi. Stanno progettando di uccidermi in modo spettacolare, dopo aver giocato con me come il gatto col topo!
Non osava guardarsi intorno, per paura di veder comparire qualche trappola infernale, come succedeva nei film dell'orrore: magari la stanza era collegata a qualche marchingegno che avrebbe fatto restringere le pareti e il soffitto fino a schiacciarla o forse da un momento all'altro avrebbero introdotto tramite le conduttore del riscaldamento un gas velenoso che l'avrebbe uccisa dopo atroci sofferenze...
Dopo circa mezz'ora, un vassoio d'argento con un bel piatto di zuppa ancora fumante, una fetta di arrosto con patate e una torta ai mirtilli comparve dal nulla sulla console addossata al muro. Temendo che tutto quel ben di Dio fosse in realtà avvelenato, Jane non toccò nulla, nonostante la fame e la stanchezza la stessero divorando da diverso tempo, lasciandosi torturare dal profumo invitante che si scaturiva da quelle vivande fino a quando la porta non si aprì di nuovo, rivelando il volto accigliato di Bellatrix.
–Avanti tu, smettila di startene rannicchiata lì come un sacco della spazzatura e vieni con me – disse in tono sbrigativo, dopo aver lanciato una rapida occhiata al pranzo intonso.
–Dove andiamo? – chiese Jane spaventata.
–Non volevi vedere il tuo amico?
A quelle parole, una morsa d'acciaio strinse lo stomaco della ragazza. Non avrebbe voluto alzarsi per nulla al mondo, ma, viste le circostanze, non poteva augurarsi di meglio che morire al fianco della persona che amava.
–D'accordo – borbottò levandosi in piedi con le gambe tremanti.
Bellatrix le fece strada verso l'esterno, conducendola attraverso i lunghi corridoi della villa fino a uscire da una porta che dava sul retro, verso una parte del giardino circondata da alte mura che sembravano risalire a una costruzione precedente, di cui rimaneva una torretta cuspidata. Si sedettero all'ombra di un'alta aiuola di fiori blu, poi la Lestrange fece un rapido cenno rivolto alla torre. Un attimo dopo, la porticina alla base della costruzione si aprì lentamente, rivelando una sottile figura bruna che avanzava a testa china verso di loro.
–EDMUND! – gridò Jane, ignorando lo sguardo di fuoco di Bellatrix che le bruciava sulla schiena, correndogli incontro e gettandogli le braccia al collo.
Con sua enorme sorpresa, il ragazzo non ricambiò affatto l'abbraccio come si sarebbe aspettata, irrigidendosi come se avesse appena ricevuto una secchiata d'acqua gelida addosso, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
–Edmund? – chiese la ragazza, spaventata dalla sua reazione così fredda. – Sono io, sono Jane!
Lui non rispose. I suoi occhi neri erano persi nel vuoto, sgranati dal terrore, evitando in tutti i modi possibili il suo sguardo. Sembrava sotto shock.
–Edmund... – la ragazza si discostò da lui, gli occhi che le si riempivano lentamente di lacrime. – È stato torturato, non è vero? – esclamò poi con rabbia, voltandosi verso Bellatrix. – Che cosa gli hai fatto, razza di mostro?
–Oh, io niente – rispose l'altra con una scrollata di spalle.
–BUGIARDA! – gridò Jane con rabbia. – Credi forse che io sia cieca? Lo vedo benissimo com'è ridotto! Che cosa gli hai fatto?
Drogato, torturato, ipnotizzato o chissà cos'altro, le rispose la sua mente con perfidia.
−Avanti, chiediglielo di persona, se non ci credi – la provocò perfidamente la strega.
Lottando contro le lacrime che avevano preso a rigarle il volto, Jane si rivolse ancora una volta al ragazzo.
–Edmund, – lo implorò – ti prego, rispondimi! Non mi riconosci? Che cosa ti hanno fatto?
Dopo un tempo che parve interminabile, il mago abbassò lo sguardo verso di lei. Nel momento in cui incontrò i suoi luminosi occhi verdi, grosse lacrime presero a scorrergli lungo le guance. Scosse il capo, come a volerla scacciare con un solo gesto da quel posto orribile.
–Penso che per ora basti così – tagliò corto Bellatrix, facendo un rapido cenno a Edmund.
A quelle parole, il ragazzo chinò il capo e fece per riavviarsi verso la porta da cui era comparso.
–No! – gridò Jane, cercando invano di trattenerlo.
–Avrete tutto il tempo per parlare questa sera – ghignò la Mangiamorte. – Per ora, sarà meglio che torniate tutti e due nelle vostre stanze.
In quel momento, la porta della torre si chiuse definitivamente alle spalle di Edmund. Rimase solo un silenzio carico di dubbi e rabbia.
***
Jane trascorse l'intero pomeriggio rinchiusa nella sua stanza, tormentata da dubbi atroci che stavano diventando sempre più laceranti, come la fame e la sete che aumentavano di ora in ora. Non capiva perché Edmund si era comportato in quel modo con lei poche ore prima e il tono sibillino che Bellatrix assumeva ogni volta che si accennava al loro destino. A quale gioco perverso stava giocando?
Ho cercato in tutti i registri possibili e immaginabili, ma non c'è nessuna traccia di un bambino chiamato Edmund... Il Cappello Parlante l'ha assegnato a Serpeverde non appena ha sfiorato la sua testa, come se non avesse alcuna possibilità...
Il passato, tutto ciò che sapeva, sferzava crudele la sua memoria.
Ti ricordi quanto ci ha messo a ricordare il suo nome? Quasi non lo sapesse nemmeno lui... In quattordici anni non è mai uscito da quella casa, mai, mai! Forse è addirittura nato lì, nonostante lui affermi il contrario... e poi, ti sei mai chiesta perché Alhena Black non l'ha mai ucciso? Era come se fosse in attesa di qualcosa, qualunque cosa...
Jane si affondò le dita nei capelli, soffocando a fatica un gemito di dolore. No, non poteva essere così. Edmund era l'essere più puro che avesse mai conosciuto, una persona completamente esente dal male. Mai aveva dubitato di lui, mai...
La ragazza levò il capo. Le ombre erano mai scese e il parco al di fuori della finestra riluceva dei bagliori rossastri delle torce. Intravedeva delle figure scure muoversi all'esterno, ma non riuscì a capire chi fossero, anche se non era poi così difficile immaginarlo.
Pochi minuti dopo, Bellatrix venne a prenderla. Jane la seguì di sotto senza protestare, instupidita dal terrore. La condusse fuori, nel giardino arrossato dalla luce del fuoco, nel quale si ammassavano tante ombre scure, ciò che la ragazza temeva più di ogni cosa: uomini e donne incappucciati, come l'ombra che sette anni prima era arrivata a portarla via da tutto ciò che credeva fosse il suo mondo.
Mangiamorte, Mangiamorte da ogni lato che la osservavano, la circondavano, alcuni addirittura la schernivano. A ogni passo sul prato, Jane iniziava a comprendere sempre di più in che cosa consisteva il gioco perverso che le avevano preparato. E cominciava a immaginare ciò che l'attendeva alla fine di quel terribile corteo.
La ragazza tenne la testa alta, nonostante avvertisse quelle decine di sguardi dilatati dalla follia che le bruciavano addosso. Avrebbe tanto voluto fuggire, ma le sue gambe erano come stregate, trascinandola inesorabilmente verso il suo destino. Alla fine, si fermò di fronte a uno spiazzo illuminato quasi a giorno dai bracieri, lasciato stranamente libero.
Tra le tante teste che le si ammassavano attorno, Jane distinse per un attimo gli occhi grigi di Draco Malfoy, lasciati volontariamente scoperti dalla maschera. Nell'incrociare il suo sguardo instupidito, la ragazza si sentì attanagliare da un moto di rabbia incontenibile, facendo per voltarsi di scatto e scagliarglisi contro, ma qualcosa di ben più terribile la bloccò lì dov'era.
Bellatrix si era infatti scostata da lei e aveva fatto qualche passo in avanti, sbucando nella zona di prato rimasta libera. Si tirò su la manica della tunica, denudando il braccio sinistro, su cui era tatuato un teschio che vomitava un serpente dalla bocca. Jane serrò gli occhi per il terrore, sapendo che cosa stava per accadere. Un attimo dopo, nel prato calò un silenzio di tomba.
La ragazza non si era mai ritrovata completamente sola alla mercé di Voldemort. Solo in quel momento capì cosa doveva aver provato suo fratello due anni prima. Alto, emaciato, gli occhi iniettati di sangue, infossati in quel cranio completamente privo di capelli e di naso: un morto tornato dagli inferi. Nell'avvertire la presenza di ciò che restava della sua anima completamente corrosa dal male, Jane si sentì svenire. Accanto ai piedi dello stregone, Nagini, il suo fedele serpente, strisciava sinuosamente sul prato, sferzando la lunga lingua nera in direzione dei presenti, soffiando minacciosa.
–Spero che tu abbia una motivazione accettabile per avermi fatto venire qui in questo modo – disse Voldemort a Bellatrix, che lo fissava con un raccapricciante sguardo di adorazione. – Siete per caso riusciti a catturare Potter?
–Oh, non proprio Potter – rispose la strega con un ghigno. – Ma in compenso abbiamo due ospiti d'onore che non vi dispiacerebbe affatto interrogare – si fece da parte in modo teatrale. – La signorina Jane Potter, che è stata così gentile da farsi catturare senza opporre resistenza, e... – levò la mano, facendo un rapido cenno a qualcuno dietro le sue spalle.
Due Mangiamorte emersero tra la folla, spingendo in avanti Edmund, che cercava disperatamente di nascondere il volto nel colletto della camicia, le mani legate dietro la schiena. Jane soffocò un gemito.
–Chi è mai costui? – sbottò Voldemort, chiaramente spazientito.
–Ma come, non riconoscete questo bel faccino? – rispose Bellatrix in tono malizioso, avvicinandosi al ragazzo e costringendolo a levare il capo.
Non appena lo stregone lo vide in faccia, i suoi occhi gelidi furono percorsi da un bagliore rossastro. Avanzò a grandi passi, afferrando il viso di Edmund con tanta violenza da lasciargli cinque graffi sulle guance, portandolo a pochi centimetri dal suo.
–Riconosco quegli occhi... – sibilò. –TU! – esclamò poi con rabbia, lasciando la presa. – Come fai a essere ancora vivo?
–A quanto pare, qualcuno è riuscito a portarlo via poco prima che voi veniste a sistemarlo, mio signore – rispose Bellatrix, spostandosi verso Jane. Ora il suo gioco era riuscito alla perfezione. – Qualcuno che non aveva la minima idea di che cosa stesse facendo.
Voldemort si voltò verso la ragazza. Nonostante fosse completamente paralizzata dalla paura, Jane riuscì a sostenere il suo sguardo. Finalmente avrebbe avuto le risposte che cercava, quelle risposte che non aveva mai trovato il coraggio di ammettere.
–Sì, sono stata io! – rispose decisa. – E non mi importa minimamente di chi sia Edmund!
–Oh, ne sei proprio sicura, piccola Mezzosangue? – chiese Voldemort con un ghigno. – Nemmeno se ti dicessi che è mio figlio?
Il fiato le morì in bocca. Il cuore cessò per un attimo di battere. Tante volte quel pensiero l'aveva tormentata, altrettante lo aveva scacciato. No, non era possibile, Edmund Pevensie, una persona meravigliosa come lui, il figlio di Voldemort, l'Erede di Serpeverde, il Male incarnato! La ragazza levò lo sguardo verso Edmund. Il ragazzo era crollato in ginocchio sull'erba, il capo chino per la vergogna.
–No...
–È curioso quanto possa essere ingannevole l'amore, non è così? – disse Voldemort avvicinandosi a lei. – Migliaia di maghi e streghe, per quanto fossero dotati di straordinari poteri, sono stati catturati dalla sua rete. Persino coloro che si pensava fossero abbastanza forti da resistergli. Come Alhena, la mia serva prediletta, una strega dai poteri eccezionali che per anni ha fatto scorrere il sangue di decine di Nati Babbani – dietro le sue spalle, Bellatrix fece una smorfia spazientita. – Grazie a lei, presto il mondo sarebbe stato finalmente ripulito dalla vostra sozzura. Ma non avevo considerato un fattore importante. Tutta la sua devozione, l'eccessivo attaccamento che aveva nei miei confronti, non era semplice fedeltà verso il suo signore, ma qualcosa di ben più subdolo – fissò la ragazza dritta negli occhi.
–Alhena Black mi amava. E, in maniera altrettanto subdola, riuscì a farsi amare a sua volta da me. Fu punita dalla la sua stessa stupidità. Improvvisamente, sparì senza lasciare traccia, ritirandosi in un posto dove nessuno avrebbe potuto raggiungerla. Credeva di riuscire a nascondere il suo segreto agli occhi del mondo, tuttavia non vi sarebbe mai riuscita senza un aiuto. Fu perciò così sciocca da rivolgersi alla sua sorella più fidata, Bellatrix.
Inutile dire che fui immediatamente informato da lei che quella cagna traditrice aspettava un figlio che, secondo una leggenda, sarebbe stato in grado di spodestarmi. Era chiaro che il bambino doveva sparire. Mi presentai io stesso alla sua presenza, facendole giurare di provvedere il prima possibile, pena la morte più atroce che potesse desiderare. Incaricai il mio fidato servitore Greyback di occuparsi della faccenda non appena fosse nato.
Tuttavia, la malfidata disobbedì ai miei ordini. Sostituì il bambino con una pietra trasfigurata, abbandonata nella foresta, e fuggì con lui nella sua casa, dove lo tenne segregato per quattordici lunghi anni, protetto da potenti incantesimi che mi avrebbero impedito di trovarlo. Poco tempo dopo la sua nascita, io caddi e questa storia venne dimenticata. Eppure, la paura che un giorno o l'altro tornassi era così viva nella mente di Alhena da condurla a una lenta e inesorabile follia, che la torturò per il resto della sua vita, dandole modo di riflettere sulla sua stupidità fino al giorno in cui io, appena ripresi i miei poteri, misi a tacere la sua lingua biforcuta una volta per tutte.
Prima di ucciderla, cercai di sapere dove fosse il ragazzo: avevo trovato il sotterraneo vuoto e ogni traccia del suo passaggio. Lei mi disse che era morto. Io le credetti. Errore impagabile. Come poteva essere possibile che proprio la sorella gemella di Harry Potter fosse così ingenua da cadere anch'ella nella trappola che quattordici anni prima era costata la vita a sua madre? Ma ora, grazie a lei, ogni cosa è tornata al suo posto. E io potrò finalmente assicurarmi di non avere più nessuno a ostacolare il mio cammino.
Si voltò lentamente, avviandosi a grandi passi verso Edmund.
–Molte volte mi sono chiesto cosa ti rendesse tanto temibile – commentò disgustato. – E invece che cosa trovo? Un ragazzino piagnucoloso amico dei Babbani! Un essere come te non merita altro che la morte, la peggiore. Crucio!
Edmund crollò a terra, prendendo a contorcersi dal dolore. Le sue urla attirarono risate di scherno da parte dei Mangiamorte, che osservavano la scena come se si trattasse di uno spettacolo particolarmente divertente. Nagini continuava a girare attorno al ragazzo, aspettando solo un ordine da parte del padrone per attaccare.
Jane era rimasta pietrificata. Non sapeva cosa fare. Le grida di Edmund si facevano sempre più alte, ma lei non riusciva a muovere un muscolo. Era il figlio di Voldemort, apparteneva al male, era giusto che morisse, le diceva la coscienza.
Jane, che cosa stai facendo lì impalata? Non ricordi più che è veramente, come l'hai conosciuto in realtà, al di là di quello che possono farti credere gli altri? Non ricordi quanto sia pura la sua anima, quanto egli sia immune dal male? Non è forse per questo che lo vogliono uccidere? Ma, al di là di tutto questo, ricordati, Jane: tu lo ami!
Non si rese neppure conto di ciò che stava facendo. Con un balzo in avanti, la ragazza si gettò contro Bellatrix, trascinandola a terra.
–Accio bacchetta! – gridò mentre tentava di immobilizzarla.
Un attimo dopo, stringeva la sua bacchetta fra le dita.
–Expecto Patronum! – urlò, puntandola contro Voldemort.
Immediatamente, un cavallo argenteo si scaturì dalla punta, piantandosi davanti a Edmund. Un attimo dopo, una pioggia di scintille rosse piovve dal cielo, mentre una serie di crepitii annunciò un numero incredibile di Materializzazioni all'interno del giardino. I membri dell'Ordine della Fenice si riversarono fra i Mangiamorte, dando vita a una terribile battaglia. Approfittando del disordine, Jane si gettò in una folle corsa, cercando di raggiungere Edmund. Lo trovò abbandonato sul prato, più morto che vivo.
–Ed! – esclamò la ragazza cingendolo con un braccio e aiutandolo a tirarsi in piedi. – Coraggio, ci sono qua io! Andiamo via!
Non aveva neppure finito di dire la frase, che il passo le fu sbarrato da Bellatrix Lestrange. Il suo volto era una maschera di follia.
–Questo dimostra che io non sono Alhena – sibilò levando la bacchetta e muovendola in avanti come se fosse un pugnale.
Un attimo dopo, Edmund si accasciò a terra senza un lamento. Sulla sua camicia bianca prese ad allargarsi una macchia rossa che in meno di un attimo lo ricoprì completamente.
–QUI! – gridò la ragazza, mentre il suo Patrunus tornava indietro al galoppo, nascondendoli entrambi alla vista della strega.
Jane si inginocchiò a terra, aprendo la camicia di Edmund. Ciò che vide per poco non la fece vomitare. Il ventre del ragazzo era stato squarciato dallo sterno all'ombelico, facendo intravedere i visceri grigiastri che fuoriuscivano dall'orrida ferita.
–Oh... mio... Dio! – gemette la ragazza, levando la bacchetta. –V-vulnera Sanentur – balbettò.
In un attimo, la ferita si richiuse, ma dopo alcuni istanti nuovo sangue prese a fuoriuscire lungo tutta la cicatrice. In preda al panico, Jane finì di strappare la camicia del ragazzo e gliela legò stretta attorno al tronco, cercando disperatamente di fermare l'emorragia.
–Devi portarlo immediatamente via da qui! – disse improvvisamente una voce sopra la sua testa.
Jane levò lo sguardo. Hermione era apparsa accanto a lei, la bacchetta levata, pronta a combattere. Un attimo dopo, Ulisse li raggiunse scalpitando. Sul suo dorso, Susan abbatteva con le sue frecce chiunque provasse ad avvicinarsi.
–Ci pensiamo noi, a loro. Edmund deve vivere – proseguì la ragazza.
−Io vengo con voi! – esclamò Susan saltando a terra e chinandosi su Edmund.
L'altra annuì. Afferrò Edmund e prese Ulisse per le redini; poi chiuse gli occhi.
Un attimo dopo, si trovava distesa a faccia in giù su un prato profumato di rugiada, sul fianco di una collina sulla quale nessuno avrebbe potuto farle del male.
**** Angolo Autrice ****
Ehm... siete ancora vivi o state venendo a cercarmi con intenti poco pacifici? Intanto, buonaseraaaaaaaa :) - io che dopo questo capitolo ho ancora la faccia di scrivere persino delle note -
Okay, quando ho buttato giù questa parte nove anni orsono diciamo che ero tutto meno che tranquilla. Per la verità, ero talmente imparanoiata che per un certo periodo ho temuto davvero che mi venissero a scampanellare le guardie svizzere a casa, o che mi internassero in qualche manicomio. Tutto perché era la mia prima scena veramente splatter e non avevo ancora scritto The Phoenix o La Sentinella (AHAHAHAHAHAHAHAH).
Sul fatto che Edmund fosse il figlio di Voldemort ormai non c'erano più dubbi, gli interrogativi che si aprono ora sono ben più inquietanti. Come la prenderanno Jane e Harry? E, ammesso che Eds riesca a sopravvivere a una ferita del genere - è una variante del Sectumsempra che non conosce controincantesimo -, cosa farà? E la sua anima, è menomata come quella del padre?
Con questi simpatici interrogativi - sotto con le ipotesi nei commenti, le leggerò volentieri! ^_^ - vi lascio alla serata ;)
Causa impegni lavorativi/sportivi, credo che cambierò i giorni di aggiornamento - e quindi potrei anticipare il prossimo capitolo e porre fine il più rapidamente alle sofferenze del povero Eds... e anche di Jane, perché vi giuro che in questo momento sta oscillando tra il crollo nervoso e il disturbo da stress postraumatico -
Spero che mi vogliate ancora bene! <3 Anch'io lo voglio salvare, lo giuro!
Un abbraccio,
F.
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