Sensi di colpa - Capitolo extra Ultimo Evocatore
SPOILER ALERT
Questo racconto si svolge dopo la fine degli eventi de L'ultimo Evocatore, quindi contiene spoiler sul romanzo (e ovviamente anche su L'ultimo Desiderio).
Proseguite a vostro rischio :)
***
«Tu non mi piaci.»
Cominciamo bene, pensò Simone.
Il padre di Marco lo stava fissando a braccia conserte, seduto alla scrivania di un piccolo studio, le cui pareti erano tappezzate di foto in cornice: dei nonni, dei genitori a varie età, di Marco e Giulia che giocavano a calcio, da bambini e da ragazzi.
E diverse foto del padre di Marco da giovane. Era stato un calciatore, e in alcune immagini sfoggiava una maglia del Bologna.
«Giocava in serie A?» gli chiese Simone, accennando con la testa a una foto.
«Non cambiare discorso.»
Simone sospirò.
Dopo tutto quello che è successo negli ultimi giorni, pure la ramanzina del suocero...
«E non sbuffare!»
Simone allargò le braccia. «Non so davvero cosa dirle. Mi dispiace.»
Il padre di Marco contrasse la mandibola, socchiuse appena gli occhi, due occhi scuri e molto vivaci che somigliavano incredibilmente a quelli di Marco.
Dopo ben dodici ore di sonno, Simone e Marco avevano fatto colazione da Tiziano, insieme al padrone di casa e Margherita (con Claudio che dormiva russando al piano di sopra), ed erano partiti subito dopo alla volta di Modena. Marco aveva acceso il cellulare e trovato una trentina tra chiamate perse e messaggi dei genitori, che avevano ricevuto in mattinata, da parte dei dirigenti del Felsina, la notizia che Marco era stato messo fuori rosa per assenze scolastiche ingiustificate. Erano comprensibilmente furibondi.
Arrivati a Modena, Simone aveva ascoltato in silenzio una buona mezz'ora di ramanzina («Sei sicuro che non preferisci incontrarli da solo?»«No, ti prego, stai con me!»), al termine della quale, il padre di Marco aveva convocato Simone a quel colloquio privato, obbligando il figlio a stare fuori dalla stanza.
Simone avrebbe voluto dire qualcosa per difendere Marco. Ma cosa?
Siamo stati perseguitati per mesi da un mago psicopatico, io sono stato arrestato dalla polizia magica, suo figlio ha marinato la scuola per farmi evadere, e giusto ieri sera, dopo la partita, abbiamo sgominato tutti insieme una pericolosa setta magica con aspirazioni terroristiche.
No. Non era il caso.
«Io lo so che è tutta colpa tua. Marco... ha... ha tanti difetti, ma è un ragazzo per bene!» Il padre di Marco sottolineò la frase battendo il pugno sul tavolo.
«Tanti difetti, tipo?» disse Simone, in tono provocatorio. Marco gli aveva detto più e più volte di avere un padre omofobo, e Simone non aspettava altro che confrontarlo su quell'argomento.
Ma il padre non gli diede soddisfazione, e non menzionò l'omosessualità del figlio tra i difetti. «È un pirlotto, un credulone» disse. «E non è bravo a giudicare le persone, come dimostra il fatto che si è... scelto un teppista come te come migliore amico.»
«Veramente...» Simone si fermò prima di terminare la frase. Stava per dire: veramente sono il suo ragazzo, ma non era certo che Marco avesse già reso la cosa esplicita ai genitori. Non voleva essere lui a dirlo.
«E va bene, e va bene!» Il padre lo mandò a quel paese con un gesto della mano. «Amichetta, fidanzata... è la stessa cosa. Non mi piaci. E non voglio che vi frequentiate.»
«Fidanza-to» rimarcò Simone.
«Ci tieni tanto alla tua mascolinità, e poi...»
«E poi?» lo incalzò Simone.
Il padre sbuffò e scosse la testa. «Lasciamo perdere... Tanto lo so che Marco farà di testa sua, il cretino, e continuerà a frequentarti. Non posso chiuderlo a chiave in casa.» Guardò Simone e fece un cenno della mano, come per scacciarlo. «E abbi il buon gusto di andartene, quando esci da questa porta. Non ti voglio vedere.»
Ma Simone non se ne voleva andare. Aveva ancora un po' di cose da dire.
«Senta... io... che ci creda o no la capisco. Cioè, se vedessi questa situazione da fuori anch'io mi odierei.»
«Però scommetto che hai un sacco di ottime giustificazioni» disse il padre di Marco in tono sarcastico.
«No, non le ho.»
Il padre sembrò sorpreso.
«Ho la tendenza ad autocommiserarmi e sono sempre stato un debole. Per quello bevevo. Suo figlio mi ha aiutato a uscirne e ci sono uscito.»
«Non ci credo agli alcolisti pentiti. Troppi ne ho conosciuti. Magari adesso non stai più bevendo, ti credo, ok, ma alla prima cazzata ricomincerai. E magari ci trascinerai dentro anche Marco.»
«Non lo farò. Sono una persona diversa. So... lo so che è una frase vuota, e che non posso sperare che lei mi creda. Lei non mi conosce, ma è vero. Non ci ricadrò. E anche... a proposito delle assenze da scuola di Marco. Sì, sono colpa mia. È vero. Avevo dei problemi personali e Marco ha voluto aiutarmi. Ho cercato in tutti i modi di tenerlo lontano e non coinvolgerlo, ma lui non ha sentito ragioni.»
Il padre di Marco incrociò le braccia e alzò un sopracciglio. «Quando si mette in testa una cosa è impossibile fargli cambiare idea. Ha preso da me, in questo...» Il suo tono era più conciliante e spinse Simone a un'ultima confessione.
«E poi...»
«E poi?» lo incalzò il padre.
«E poi io... io sono molto innamorato di suo figlio. Non farei mai niente per fargli del male, o metterlo in pericolo.»
Il padre di Marco fece schioccare la lingua e roteò gli occhi.
Quell'espressione seccata, ebbe l'effetto di irritare Simone. «Le dà tanto fastidio che suo figlio sia gay?» lo provocò.
Il padre aggrottò le sopracciglia e accennò un sorriso incerto.
«Non è bello sentirsi rifiutati dai propri genitori» insisté Simone, duro.
Il padre fece una risatina, ma era una risata completamente priva di allegria. «Ma quante cazzate ti ha raccontato Marco, eh? Lo so, mi sembra di sentirlo... ti avrà detto che gli rompo le palle, che gli sto sempre addosso... e ovviamente che sono un omofobo repressivo...» Scosse la testa. «Sai qual è il problema? È che a differenza di Alessia, che gliele dà sempre tutte vinte, io gli sto addosso. Mi incazzo se prende brutti voti a scuola. Mi sono incazzato quando ho scoperto che aveva cominciato a fumare. Mi incazzo quando si porta a casa gente poco raccomandabile. Lo metto in punizione se fa cazzate. E allora lui mi odia. Ma io sto solo facendo il genitore. E che tu ci creda o no, non sono un omofobo.»
Simone ripensò a quando, in ospedale dopo la prima aggressione di Ares, il padre di Marco aveva fatto quella scenata isterica. Simone non aveva pensato male di lui, quella volta, solo che fosse un padre preoccupato per il proprio figlio.
Poi, però, ripensò anche all'ostilità aperta che aveva dimostrato nei suoi confronti, sin dal primo incontro, e a come Marco aveva reagito a quell'ostilità. Marco pensava che il problema non fosse Simone in sé, ma il fatto che il padre rifiutasse la sua omosessualità. Ora Simone non sapeva più a chi credere.
«Be'» disse infine Simone, «faccia qualcosa per farglielo capire, allora, perché suo figlio è convinto che lei lo odi perché è gay.»
Il padre fece una smorfia e scosse la testa. «Tante volte penso che sia diventato gay apposta per darmi contro.»
«Di certo commenti come questi non aiutano...» aggiunse Simone, sempre più irritato.
Il padre fece schioccare la lingua. «Oh, ti prego, non fare l'offeso. Era una battuta. Tutti sempre pronti a fare gli offesi...»
«...noi froci» concluse Simone.
«E finiscila!» sbottò il padre. «Non mettermi in bocca parole che non ho mai detto e non ho mai neanche pensato!»
Simone rimase zitto, leggermente intimorito dall'improvviso cambio di umore.
«Ok, vuoi sapere la verità? È vero! Non sono contento che Marco sia gay. Ma non per la ragione che pensi tu.»
Simone rimase ancora in silenzio. Incrociò le braccia davanti al petto, in attesa che il padre finisse.
«A me che sia gay non me ne frega niente, di per sé. A me frega di quello che le persone pensano di lui. E ancora di più, mi spaventa quello che potrebbero fargli. Quello che gli hanno già fatto...»
Simone si avvicinò di un passo alla scrivania, turbato. «Già? In... in che senso? Cos'è successo?»
Il padre sospirò. «Probabilmente la sai anche tu questa storia, perché è una di quelle storie che girano negli spogliatoi... Lo sai che Marco aveva un... un ragazzo, chiamiamolo così, quando giocava nelle giovanili del Modena?»
Simone si morse un labbro. «Ho sentito questa storia, sì.»
«Hai visto qualche video?»
Simone sgranò gli occhi. «Video? Di cosa? No! Io...»
«Be', menomale che non li hai visti. Forse sono riuscito a farli sparire tutti.»
«Ma di che video sta parlando?»
Il padre di Marco borbottò qualcosa di indistinto, prima di ricominciare a parlare. «I due cretini non erano molto attenti a dove facevano le loro porcherie... I compagni di squadra li hanno beccati, li hanno filmati di nascosto. Più volte. Poi un giorno l'allenatore mi convoca e me ne mostra uno, di questi filmati. Dio, che cosa sgradevole che è stata... Non perché fosse con un maschio, anche se fosse stata una femmina... un genitore non dovrebbe vedere il proprio figlio fare sesso con qualcuno, è una cosa privata...» Il padre di Marco abbassò lo sguardo.
Simone, che ricordava ancora come uno dei momenti più imbarazzanti della sua vita una volta che aveva sentito i propri genitori fare sesso, pensò che non avesse tutti i torti.
«E allora questo pezzo di merda dell'allenatore mi fa: di' a tuo figlio che se...» Il padre fece una pausa, strinse i pugni e prese un respiro, sembrava stesse facendo fatica a dire quelle cose. «...che se a tuo figlio gli piace tanto il cazzo, conosco una bella cura che si chiama manganello in culo.» Batté i pugni sul tavolo. «Tu lo capisci che un padre non può sentirsi dire certe cose e stare tranquillo?» Concluse in tono decisamente alterato.
Simone era senza parole. Con gli occhi sgranati, scuoteva leggermente la testa. «E... c-cosa...?» balbettò.
«Io li conosco, gli spogliatoi! Li conosco, cazzo! Ho giocato a calcio professionalmente per quasi quarant'anni!» Il padre sembrava un torrente dopo la pioggia, non tratteneva più le proprie parole. «Giochi a calcio anche tu, lo sai che ambienti di merda sono!»
«Be', i tempi sono un po' cambiati rispetto a...»
«Bastava che fossi un minimo diverso e venivi massacrato, divorato!» proseguì lui. Sembrava non aver nemmeno udito le timide parole di Simone. «C'era questo ragazzo...» proseguì, lo sguardo perso nel vuoto, nei propri ricordi. «Era bravo. Mingherlino, delicatino, ma aveva un piede d'oro. Un dieci, un fantasista vecchio stile, alla Roberto Baggio. Però aveva un difetto, dal nostro punto di vista... dal punto di vista del branco... era una checca. Non lo diceva apertamente, anzi, faceva finta di avere delle ragazze, di averne a centinaia, ma si vedeva, sai, come si comportava, come parlava... Era diverso. E sai com'è, col branco. Che appena vedi uno un po' diverso lo devi escludere, lo devi far sentire sbagliato, perché il branco funziona così, a uniformità, a pecoronaggine. E quindi noi lo prendevamo in giro, gli facevamo le mossette, gli parlavamo in falsetto, battutine qua, battutine là... E più passava il tempo, più le battute erano cattive, e le prese per il culo pesanti. Quindi è arrivato un giorno che questo ragazzo si è giustamente rotto le palle, ci ha mandati a fanculo, e ha ammesso a tutti che sì, era vero, era un finocchio, e noi ci dovevamo fare i cazzi nostri.»
Lo sguardo del padre era sempre più vacuo. «È stata la fine. È stato come se un branco di squali avesse odorato il sangue. Siamo diventati aggressivi, cattivi.» Il padre deglutì. «Gli abbiamo fatto di tutto. Strappato le divise, cagato nella borsa. Non gli passavamo mai la palla quando giocavamo, gli facevamo fallo in allenamento. E mi ci metto in mezzo anch'io, sì, ero anch'io parte del branco, e ho fatto anch'io la mia parte di merdate. Poi una sera, dopo allenamento, non...»
Il padre di Marco scosse appena la testa, sembrò accorgersi di nuovo della presenza di Simone, mise a fuoco lo sguardo su di lui. «Ma perché ti sto raccontando queste cose?» Sospirò. «Lasciamo perdere. Il punto è: so che gli spogliatoi sono una merda, e non voglio che succeda niente di male a Marco.»
«Una sera, dopo allenamento, cosa è successo?» lo incalzò Simone.
«Non sono cazzi tuoi. Lasciamo perdere. Tanto l'hai capito, ormai, no? Che sono esattamente il pezzo di merda che Marco ti ha sempre raccontato. Che sono un omofobo davvero, o per lo meno lo sono stato, gli racconterai queste cose e...» Alzò le spalle. «Tanto in buona parte già le sapeva. Avevo raccontato qualcosa anche a lui.»
«Io non penso male di lei» si sorprese a dire Simone.
Il padre lo fisso per qualche secondo in silenzio, impassibile. «Be', allora sei ancora più stronzo di quel che pensavo» disse infine.
Simone si morse un labbro. «Intendevo dire... che... io penso che una persona non sia definita da una singola cosa brutta che ha fatto in passato. Le persone cambiano, e...»
«Le persone non cambiano» lo interruppe seccamente il padre.
«Quando ero più piccolo ho fatto anch'io una cosa brutta, un torto, a un ragazzo. Ero invidioso di lui e gli ho...» Come poteva spiegarlo senza parlare di incantesimi? «Gli ho rubato un sogno. Gli ho fatto un torto orribile. Poi, molto tempo dopo, sono riuscito a rimediare, ma non ho mai smesso di sentirmi in colpa. Mi sento ancora in colpa ogni volta che ci ripenso. Però io so di non essere più quella brutta persona.»
«Pensi davvero che non rifaresti la stessa cosa, se ti trovassi nella stessa situazione?»
«Lo penso» rispose sicuro Simone.
«Se ti fa vivere meglio, pensalo pure.»
«Perché, lei crede che rifarebbe quelle cose a quel ragazzo, oggi?»
«È ovvio che penso di no. Ma come faccio a esserne sicuro? Se mi trovassi in una situazione analoga... un gruppo di miei amici, un branco in cui voglio essere ben inserito, un branco di persone che si muovono come una persona sola... Non so cosa potrebbe spingermi a fare, la pressione del branco. Non lo so davvero. E tu ti illudi di saperlo, ma non lo sai neanche tu.»
Simone si sentì messo in difficoltà da quella frase. Il padre di Marco sembrava così sicuro nella sua amarezza. Non era una persona con cui si discuteva facilmente. Forse era anche per questo che a Marco piaceva così poco, perché era una persona dal carattere difficile.
O forse Marco sapeva qualcosa di più, sulle cose orribili che il padre diceva di aver fatto.
«Dai, adesso vattene... vai via. Anzi... anzi, no, sai cosa faccio?» Il padre si alzò stancamente in piedi. «Me ne vado io. Prendo su l'Alessia e la Giulia e andiamo a cena fuori. Così vi lascio soli. Contento?»
Simone, spiazzato dall'improvviso cambio di idea del padre, fu letteralmente spinto fuori dalla stanza.
Trovò Marco sul divano del piccolo soggiorno. Accanto a lui Alessia, la madre, con un'espressione cupa. Simone si rese conto di non sapere il nome di battesimo del padre di Marco.
Che cosa strana, non sapere il nome del padre del mio ragazzo...
«Cosa gli hai detto?» Marco interpellò il padre in tono spiccio, e lui fece spallucce.
«Che io, la mamma e la Giulia andiamo a cena fuori così vi lasciamo soli.»
Marco rimase per qualche istante sorpreso dalla risposta, poi si rivolse a Simone. «Cosa ti ha detto veramente?»
Ma la sua voce fu sovrastata da quella della madre che chiedeva: «Come sarebbe a dire andiamo a cena fuori?»
Giulia spuntò dal corridoio con un'espressione disperata: «Ma io e la Mari ci becchiamo qua sotto tra mezz'ora!»
«La Mari la becchi domani. Stasera pizza in famiglia.» Fu la risposta risoluta del padre.
Giulia emise un sonoro sbuffo e sparì di nuovo.
«Tra dieci minuti usciamo, cambiati!» gli gridò dietro il padre.
Marco guardava il padre e Simone, con gli occhi sgranati e le sopracciglia aggrottate. «Ma cos'è successo?»
Simone si limitò ad allargare le braccia e scuotere la testa, perché non conosceva la risposta.
«Già, cos'è successo?» disse la madre. «Cos'è questa storia? Marco è in punizione. Se li lasciamo a casa da soli escono a far festa, questi due.»
«Ma ti pare che escono?» Il padre scosse la testa. «Dai, dai, andiamo... non voglio stare qui un minuto di più.»
Marco emise uno sbuffo irritato. «Ti fa tanto schifo vederci insieme?» lo provocò.
Il padre gli rivolse un'occhiata, seria, dura. «Non tirare la corda. Non dimenticarti che sei in punizione.»
Marco incrociò le braccia e mise su un broncio. Sembrava un ragazzino, in quel momento, più piccolo di quanto fosse in realtà: un bambino a cui il padre aveva appena fatto una ramanzina.
«E tu...» aggiunse il padre puntando un dito verso Simone, «continui a non piacermi...» Strinse le labbra. «Ma ho deciso che ti concedo una possibilità.»
«Che magnanimo!» borbottò Marco in tono sarcastico.
Il padre non aggiunse altro, uscì dalla stanza.
Simone e Marco rimasero praticamente in silenzio, mentre i genitori e Giulia si preparavano. Marco espresse qualche debole lamentela nei confronti del padre, Simone rispose a monosillabi, riflettendo su ciò che lui e il padre si erano detti poco prima, in studio.
Cosa poteva aver fatto di tanto orribile a quel povero ragazzo? Lo avevano picchiato? Molestato? Erano le uniche due cose che gli venivano in mente, ed erano entrambe due cose difficili da perdonare, anche se adesso il padre sembrava una persona diversa, una persona che una cosa simile non l'avrebbe mai fatta.
I genitori e Giulia finalmente uscirono. Marco andò alla finestra per guardare la strada davanti al palazzo, Simone si avvicinò a lui. Dopo un minuto o poco più li videro apparire ed entrare nella Peugeot di famiglia, la stessa che ogni tanto guidava anche Marco.
«Come si chiama tuo padre?» chiese Simone.
«Non te l'ho mai detto? Edoardo.»
Edoardo Gaudenzi. Simone si ripeté il nome in testa, forse alla ricerca di una memoria.
«Ha giocato in serie A?»
«Una sola stagione, nel Bologna, ha fatto solo tre presenze. Ha giocato tutta la carriera in serie B, tra Modena, Piacenza, Ferrara... Ha cambiato parecchie squadre, quando ero piccolo era sempre in giro. Perché me lo chiedi? Te ne ha parlato? Cosa caspita vi siete detti, là dentro?»
Simone si strinse nelle spalle. «Mi ha detto che non gli piaccio. Mi ha detto che non vuole che ti metta in pericolo. Mi ha detto che...» Non gli andava di ripetere le confessioni che Edoardo gli aveva fatto, anche se aveva accennato al fatto che Marco già sapeva qualcosa. «Mi ha detto che l'unico motivo per cui non è contento che tu sia gay è che ha paura di quello che potrebbero farti in spogliatoio, se si venisse a sapere.»
Marco rise. Una risata amara. «Bella scusa. Forse si sente in colpa per quello che ha fatto quando era ragazzo. Lo sai che quando era più giovane lui e i suoi compagni di squadra hanno menato uno perché era busone?»
Ah, quindi è questo, quello che non mi ha voluto dire...
«L'hanno menato o qualcosa del genere» proseguì Marco. «Non mi ha mai voluto raccontare tutta la storia. Che schifo.» Marco scosse la testa, facendo una smorfia disgustata.
«Mi ha accennato qualcosa...» disse Simone.
«Vedi? Lo ha detto anche a te! Lo dice in giro. Ne va fiero, evidentemente...»
«Non mi sembrava per niente fiero, anzi.»
Marco tirò uno schiaffo all'aria. «Lasciamo perdere, dai... non parliamo di mio padre...» Sorrise a Simone. «Approfittiamo del fatto che siamo soli!»
«Sì!» Simone si sentì improvvisamente più di buonumore. «Io ho una fame... cosa mangiamo?»
Il sorriso di Marco si spense. «Tu sai proprio come scoglionare la gente, eh? Non era quello che avevo in mente...»
«Ah... oh... cioè...» Simone si morse un labbro. «In realtà, scusa, ma sono un po' stanco per il viaggio, e ho davvero fame...»
«Sono appena le sei e mezza... e non ho cazzi di cucinare.» Marco fece un cenno con la testa verso la cucina. «Vediamo se c'è una piada in frigo, o magari ci facciamo un panino.»
«Non c'è una pizzeria da asporto nei paraggi?»
«Buona idea! Sempre che ce ne sia qualcuna già aperta a quest'ora...»
«Ovviamente offro io.»
«Vaffanculo, non dire scemenze. Sei mio ospite.»
Simone non protestò. Marco prese il telefono e provò un paio di pizzerie, prima di trovarne una aperta. Ordinò una quattro formaggi e una con salsiccia e funghi.
«Bene, e adesso non ci resta che aspettare.» Il tono di Marco sembrava un po' seccato. Si lasciò cadere sul divano e sospirò.
Simone si sentiva un po' a disagio. Aveva ancora in testa le cose che gli aveva detto il padre, e quella questione sospesa, il racconto non finito.
In secondo piano, ma non di molto, c'era ciò che era accaduto appena il giorno prima: la partita, la setta, la fusione parziale della sua anima con quella di Claudio. E poi la battaglia, di cui ricordava solo frammenti confusi e le emozioni che aveva provato osservandola e non capendola: paura, angoscia, rabbia. Lui e Marco avevano parlato di tutte quelle cose durante il viaggio in macchina. Marco, probabilmente, aveva esaurito la sua carica emotiva sulla questione. Simone ancora no. E non sapeva quando si sarebbe esaurita.
«Ehi...» mormorò Marco.
Simone si impose di non pensare più a niente. Di concentrarsi sul suo bellissimo ragazzo. Gli stava sorridendo, battendo la mano sul divano. «Vieni qui, dai...»
Simone andò a sedersi accanto a lui.
«Ti ha tanto sconvolto quello che ti ha detto mio padre?»
Simone, che si era appena ripromesso di non pensare più al giorno prima, si lasciò completamente andare. «No, non è tanto quello che mi ha detto tuo padre...»
E cominciò a parlare.
Riparlò per l'ennesima volta di ciò che era successo, ripercorse i fatti, i pensieri, espresse le proprie emozioni. Non riusciva a fermarsi. Si rendeva conto di essere egocentrico, ma voleva mettere da parte quei pensieri, e si illudeva che parlandone ad alta voce sarebbe riuscito a dissipare tutta la pressione che stavano accumulando all'interno del suo cervello.
Simone stava ancora parlando, quando arrivò la pizza.
Sentirne il profumo fu una specie di incantesimo: dimenticò all'istante tutte le preoccupazioni. «Che fameee! Ce le smezziamo?»
«Ovvio!»
Marco tagliò a fette le due pizze e i due ragazzi cominciarono voracemente a mangiare, prendendone un po' da un cartone, un po' dall'altro. Mentre mangiavano continuarono a chiacchierare, ma di argomenti allegri, ora. Ripercorsero alcuni ricordi divertenti del periodo in cui Simone ancora indagava. Marco gli ricordò quella volta che ci aveva provato con lui in macchina, Simone quella volta in cui Marco si era travestito da donna per prendere in prestito un libro magico.
«E i tedeschi? Che scena, quella coi tedeschi...» esclamò Marco ridacchiando. Prese un morso di pizza e ricominciò a parlare bofonchiando con la bocca piena. «Cioè, ful momenpo mi ero impanicato tantiffimo...»
«Finisci di masticare, che schifo» commentò Simone ridacchiando. «Sì, mi ricordo, cazzo... C'erano i tipi che mi parlavano in tedesco, e io non mi ero neanche reso conto che gli stavo rispondendo nella loro lingua! E dovevi vedere la tua faccia!»
Marco inghiottì, prima di rispondere. «Com'era la mia faccia?»
«Mi stavi tenendo i piedi in aria perché ero svenuto, no?» Simone afferrò due caviglie immaginarie davanti a sé. «E mi pare che avevo pure i pantaloni slacciati, tra l'altro... e io ti vedevo, da terra, in mezzo alle mie gambe, e tu avevi una faccia così...» Simone cercò di imitare l'espressione allibita di Marco, spalancando esageratamente gli occhi e socchiudendo la bocca.
Marco ridacchiò. «Non ho capito bene com'ero messo.»
«Te l'ho detto! Eri così, in piedi, e io stavo a terra...»
«Fammi un po' vedere.»
Simone si alzò, Marco lo imitò e poi si stese a terra, sollevò le gambe verso Simone e lui gli afferrò le caviglie. «Esatto» disse Simone. «Mi tenevi le gambe sollevate per la circolazione, no?» Gliele divaricò un po'.
«E tu avevi i jeans slacciati, no?» Marco si slacciò la patta dei propri jeans.
«Oh...» Simone deglutì. Guardò Marco, steso a terra sotto di lui, che lo fissava con un'espressione ammiccante.
«L'hai capito solo adesso che era tutta una tattica per provarci con te?» gli chiese Marco.
«Ehm...»
Marco rise. «E sta funzionando?»
Simone non rispose. Marco liberò una gamba dalla presa, e con il piede andò a stuzzicare la zona pelvica di Simone, che sentì il proprio corpo reagire quasi immediatamente.
«Be', mi sembra che stia funzionando...» commentò Marco.
Simone osservò i pantaloni slacciati di Marco, e notò che anche il suo corpo stava rispondendo. «Oh, Marco...» sussurrò, un attimo prima di sdraiarsi su di lui.
Stesi a terra sul pavimento della cucina, i due ragazzi si baciarono rotolandosi a terra, si toccarono, cominciarono a spogliarsi. Furono molto rapidi: in poco meno di un minuto furono nudi, e Simone, non capì bene come e perché, si ritrovò un preservativo in mano.
«E ques... cos...»
«L'ho fregato a Camporese. Volevo averne uno a portata di mano, in caso...» Marco agganciò le gambe di Simone con una delle sue e lo tirò a sé. «Sai, un raptus improvviso...»
«Uh... ottima... ottima idea...» Simone godette per qualche istante delle sensazioni fisiche: la sua erezione che premeva contro quella di Marco, il respiro del suo ragazzo sul collo. Lo baciò, gli morse un orecchio.
«Come avrai intuito, a me piace stare sotto...» gli sussurrò Marco nell'orecchio. «Ma se vuoi che toppo, per me non c'è problema...»
«No, no... per ora preferisco top...»
Marco fece una risatina. «Approvo il "per ora"...»
Simone immaginò per un attimo di essere nei panni di Marco, ed ebbe un po' di timore all'idea di qualcosa che si infilava nel suo ano. E ricordò con orrore quella visita del medico sociale del Modena, che inaspettatamente e improvvisamente, aveva indossato davanti ai suoi occhi sgranati un guanto di lattice e...
No, Simone! Ma ti sembra il momento di pensare all'esame della prostata?!
«Simo, tutto ok?»
Simone fu improvvisamente e irrimediabilmente soffocato dai ricordi delle sue prime volte: per un motivo o per un altro erano state tutte un completo disastro. Tutte!
No, voglio che questa sia perfetta!
Niente paranoie!
«Stra-ok» rispose, buttandosi di nuovo addosso a lui e baciandolo.
Baciarlo funzionò. Riprese controllo del proprio corpo e i pensieri negativi svanirono. Era il momento. Era così eccitato. Strappò con i denti la confezione, e con un gesto impetuoso infilò il preservativo sul proprio pene.
Si udì uno strano rumore elastico.
«Oh. Cazz...»
«L'hai...» Marco sbatté le palpebre un paio di volte. «L'hai... rotto?»
«Io... ma che... Come cazzo è possibile?» Simone terminò la frase in falsetto.
«Simo, non credo di aver mai visto qualcuno mettersi un preservativo con tale violenza.»
«Ero molto eccitato!» si giustificò Simone.
«Eri?»
Simone emise un lungo gemito, si stese al fianco di Marco, sul pavimento che, si rese conto solo in quel momento, era gelido. Il riscaldamento era acceso, ma adesso che l'eccitazione cominciava a sbollire, Simone ebbe freddo. «Sono un disastro. Un disastro! È sempre così, sempre! Non c'è mai stata una volta, una, singola, prima volta, in cui le cose siano andate bene!»
«Dai, dai... non fare la lagna come tuo solito...»
«Ma è terribile!» Simone si alzò a sedere, prese il viso tra le mani. «Con Beatrice è stato un disastro perché eravamo ubriachi tutti e due e quasi non mi ricordo cosa è successo. Con Karen, non ne parliamo, ci ho messo tipo due giorni a farmelo tirare perché avevo l'ansia da prestazione. Poi c'è stata Elena, che invece non so perché non riuscivo ad avere un orgasmo e sono andato avanti tipo un'ora...»
«Un'ora? Ma è fantastico! Di solito la gente ha il problema opposto!»
«No, invece, no! Lei non ne poteva più! E non ne potevo più neanche io! Alla fine ho smesso senza avere un orgasmo, e mi faceva male dappertutto. È stata una delle esperienze più allucinanti della mia vita.»
«Ti fai sempre troppe paranoie, tu. Ti carichi di troppe responsabilità.» Marco diede due pacche sulla spalla di Simone. «Sai cosa facciamo adesso? Andiamo di là, in bagno, e ci facciamo una doccia insieme.»
Simone voltò lentamente la testa verso Marco. «U... una doccia?»
«Certo! Una bella doccia rilassante. Non ti va? Dopo un lungo viaggio è sempre una buona idea farsi una doccia.» Marco si alzò e tese una mano a Simone. «Dai vez, muoviti!»
Simone si vergognava un po', nudo com'era. Raccolse i vestiti e li ammucchiò davanti al pube.
«Non fare il pudico, scemo» gli disse Marco, raccogliendo i propri e buttandoseli in spalla.
Simone seguì Marco. O meglio: seguì il sedere di Marco che ancheggiava leggermente davanti a lui. Una splendida visione che riattivò un po' di prurito in mezzo alle sue gambe.
Entrarono in bagno: Marco aveva una bella doccia spaziosa, con vasca.
«Scalda l'acqua, arrivo subito» disse Marco.
«Dove vai?»
«Non preoccuparti, tu scalda l'acqua.»
Simone obbedì senza fare altre domande. Portò l'acqua alla temperatura giusta e si buttò sotto il getto tiepido, provando un'immediata sensazione di sollievo. Sentì i muscoli delle spalle decontrarsi, quelli delle gambe sciogliersi.
E d'improvviso una mano sulla schiena, la mano di Marco, scivolò sulla pelle bagnata. Marco accarezzò Simone, si avvicinò a lui, lo cinse, gli accarezzò il petto, poi scese in mezzo alle gambe.
Simone lo lasciò fare, appoggiò le mani alla parete davanti a sé, si fece masturbare un po', baciare sul collo, poi si voltò verso di lui e lo toccò e baciò a sua volta. Era tutto molto più lento, e molto più bello.
Marco si inginocchiò, alzò la testa e chiese: «Posso?»
«Che domande...»
«Be', sai, l'unica volta che ci ho provato hai strippato...»
Simone nemmeno ci stava pensando. «È tutto a posto.»
Marco sorrise, e prese l'erezione di Simone tra le labbra. Simone appoggiò la schiena alle piastrelle lisce della doccia, l'acqua scivolava su di loro, chiuse gli occhi e si godette le attenzioni di Marco.
Che però non rimase molto là in basso, si rialzò in piedi dopo neanche un minuto, prese qualcosa dal portasapone, Simone vide che erano un preservativo e una confezione di lubrificante. «Se vuoi lo facciamo qui, però in piedi, come prima volta, è un po' scomodo...»
Simone chiuse il rubinetto, uscirono insieme dalla vasca e Marco avvolse entrambi in un grosso telo. Si asciugarono a vicenda, alla meno peggio, ridendo, mentre già sgambettavano verso la camera, inciampandosi l'un l'altro addosso. Si buttarono sul letto, si abbracciarono e baciarono. Nonostante i capelli ancora bagnati, Simone non sentiva freddo, anzi, gli sembrava di scoppiare dal troppo caldo.
Marco porse a Simone il preservativo. E appena Simone lo vide, si fece di nuovo prendere dal panico.
E se mi si smoscia? E se lo rompo di nuovo? E se gli faccio male? E se non sono capace? E se...
Marco sospirò. «Troppe, troppe, troppe paranoie...»
Simone fece una smorfia. «Sei un telepate per caso?»
«Troppe responsabilità sulla tua povera testolina paranoica. Sai cosa facciamo?»
«Cosa?»
«Mi prendo io la responsabilità.»
Simone non ebbe nemmeno il tempo di capire il senso di quella frase. Marco prese Simone per le spalle e lo mise supino, si stese su di lui e cominciò a baciarlo. «Chiudi gli occhi e non pensare...»
Simone obbedì. Chiuse gli occhi, non pensò. C'erano solo sensazioni fisiche, in quella stanza: mani, lingua, pelle, l'odore di Marco, il sapore di Marco. All'improvviso, sentì le sue dita scivolare dentro di lui.
Fu talmente delicato che non gli fece alcun male, ma la sorpresa fu tanta che spalancò gli occhi ed emise un piccolo gemito.
«Shh» disse Marco. «Ti fa male?»
«N-no...»
Marco continuò. Con dolcezza. Lo baciò, lo toccò, continuò a penetrarlo con le dita.
Cosa cazzo sta succedendo?
Una piccola parte di Simone avrebbe voluto protestare, ma era una piccola voce del suo subconscio, zittita dal piacere indescrivibile che stava provando. Ogni tanto Marco gli sussurrava qualche parola, erano parole di cui Simone nemmeno percepiva il significato, tale era lo stato di totale abbandono in cui si trovava. Stava provando un piacere intenso, nuovo e inatteso.
E infine accadde. Marco si infilò il preservativo, gli sollevò il bacino, e lo penetrò. Simone provò un po' di dolore, all'inizio, ma bastarono pochi movimenti perché il dolore passasse in secondo piano. C'era Marco che lo guardava, lì, sopra di lui, con l'espressione più bella Simone avesse mai visto sul viso di qualcuno, l'espressione di un ragazzo che stava amando e veniva amato.
Marco ebbe per primo l'orgasmo, Simone pochi secondi dopo. Si diedero un ultimo bacio, poi si abbracciarono, e rimasero così per qualche secondo, sul letto.
Non ci furono molte parole, nei minuti successivi, quando si alzarono per andare a sistemarsi e asciugarsi i capelli. Solo sorrisi, mani che si toccavano, piccole carezze e baci.
«Sai che mi è venuta di nuovo fame?» fu la prima frase di senso compiuto che pronunciò Simone.
«Tu? Ho fatto io tutta la fatica!»
Simone rise. «Grazie» disse. «Hai... mi hai...»
«Ti ho tolto la responsabilità di dover fare tutto tu.» Marco socchiuse gli occhi. «Però la prossima volta facciamo a cambio. Te l'ho detto, mi piace più stare sotto.»
Simone rise. «La prossima volta sarò più tranquillo.» Fece una smorfia. «Perché tanto lo so che se va di nuovo male prendi in mano tu le redini.»
«Ok, ok... ho capito..» Marco sbuffo. «Sarò l'attivo della coppia. Ah, i sacrifici che si fanno per amore!»
Simone rise. Di gusto. «Quanto ti amo...»
Marco portò due mani al cuore, si strinse nelle spalle e fece una buffa espressione estasiata. Simone lo abbracciò. «Ordiniamo un'altra pizza?» chiese Marco.
«Daje co' la seconda pizza!»
***
«Ti prego, non andare su Youtube!»
«Ma sono curiosoooooo!»
Il tono di Marco era quello di un bambino che non stava nella pelle. Era a scuola, e appena iniziata la ricreazione aveva chiamato Simone. I siti sportivi di tutto il mondo pullulavano di articoli sul coming out di Tiziano. La live di Instagram era stata ovviamente catturata e ripubblicata su Youtube da decine di account diversi, e i punti salienti erano stati ripubblicati anche da moltissimi siti di informazione. In Italia, praticamente ogni homepage, sportiva o meno, riportava la notizia. Tiziano era un calciatore famoso, e il primo al mondo di una serie maggiore ad aver fatto coming out in attività: la cosa aveva fatto molto scalpore.
Simone, ovviamente, aveva già visto tutto, in diretta. Alle dieci di mattina gli era arrivata una notifica di live dall'account Instagram di Claudio, l'aveva aperto e aveva visto con stupore che chi stava trasmettendo era Tiziano.
Il live era andato avanti un paio di minuti con Tiziano da solo: aveva parlato per lo più di Claudio, aveva espresso ammirazione nei confronti del suo gol alla partita di due giorni prima, e in generale dei risultati sportivi che aveva raggiunto.
Poi era arrivato Claudio, assonnatissimo e spettinato, chiaramente appena uscito dal letto, ed era cominciato il racconto.
Ora Marco voleva giustamente guardare il video, ma a Simone sarebbe piaciuto rivederlo insieme a lui, quindi gli aveva chiesto di aspettare.
«Ho già visto un meme, una foto di Claudio che si indica e sotto la scritta: "Lo piglio in culo io". Ti prego, dimmi che non l'ha detto.»
Simone rise. «Sorpresa... vedrai!»
«A parte che non ci credo neanche se lo vedo, che Claudio lo prende in culo.»
Simone rise ancora. «Dai, pazienta ancora per un paio d'ore. Pranziamo insieme, ti va?»
«Sì, vieni a casa mia!»
Simone raggiunse la casa di Marco, e i due ragazzi mangiarono insieme, un'ottima pasta con pesto fresco e fagiolini preparata dalla madre. Marco mangiò rapidissimo, intervallando il pasto di commenti tipo: «Non vedo l'ora di vederlo!»
Arrivò finalmente il momento.
«Usiamo il tablet che si vede meglio!» propose Marco.
Prese l'iPad, e aprì un link che gli aveva inviato Simone in mail (il video più completo che aveva trovato).
«Sta andando?» disse Tiziano nello schermo. Era l'inizio della diretta.
Marco emise un gridolino in falsetto, e avvicinò il viso allo schermo.
«Meglio portrait o landscape?» disse ancora Tiziano.
«Portrait» rispose Marco.
«Cosa state guardando?» Era Edoardo, il padre di Marco, ad aver parlato, arrivato dal suo studio. Simone non lo vedeva da due sere prima.
«Il coming out di Tiziano Camporese! Shht, fammi sentire!» rispose Marco.
«Tiziano Camporese? Camporese della Lazio?» Il tono del padre era esageratamente sorpreso.
Marco sbuffò. «Sì! Ma dove vivi? È su tutti i siti da stamattina!»
«Ero a lavoro, stamattina...» borbottò il padre. «Non perdo tempo in internet, mentre lavoro...»
«E fammi sentire!»
Fu l'ultima protesta di Marco, il padre si zittì, proprio quando Claudio entrava in scena nel video.
Ascoltarono in silenzio il racconto di Tiziano, e quando arrivarono al punto in cui veniva raccontato il pestaggio, Simone udì un debole gemito alle sue spalle, e la porta della cucina chiudersi. Si voltò, e notò che il padre era uscito dalla stanza.
«Bastardi...» sussurrò intanto Marco, che stava ascoltando il video.
Perché è uscito? Cos'era quel gemito?
Simone ripensò alle parole di Edoardo, alla storia che non aveva finito di raccontare, su come lui e la sua vecchia squadra avevano trattato un loro compagno omosessuale.
Fatti i cazzi tuoi, Simone...
Ma non riuscì a seguire il suo stesso consiglio. Si alzò.
«Dove vai?» gli chiese Marco.
«Resta qui, io l'ho già visto. Torno subito.»
Simone uscì. Il corridoio era vuoto. Si arrischiò verso lo studio, la porta era socchiusa, e dall'interno si sentiva una persona singhiozzare sommessamente.
Simone non se la sentì di entrare e violare la sua intimità, ma fu Edoardo stesso ad accorgersi di lui. «Chi cazzo è?» disse, con la voce ancora rotta, ma si percepiva lo sforzo di mantenere un tono normale.
Simone bussò e fece capolino nello studio. Il padre aveva gli occhi arrossati e le labbra contratte, che tremavano. «Che cazzo vuoi?»
«Allora...» disse Simone, «è questo che è successo al vostro compagno?»
Il padre digrignò i denti. «Ma te li fai mai i cazzi tuoi, tu?» Si sforzo, in maniera plateale, di trattenere un singhiozzo, ma non ci riuscì.
Simone avvertì una stretta allo stomaco. «Mi... mi dispiace...» disse, arrischiandosi a entrare nella stanza.
Il padre tirò su col naso, si asciugò gli occhi col palmo della mano, con un gesto brusco. Poi fissò il ragazzo con uno sguardo duro. «Per cosa?»
Simone fu spiazzato dalla domanda. «P-per lei...»
Il padre fece una strana smorfia, a metà tra un sorriso e un ghigno di rabbia. «Per me?» Si indicò. «Per me?!» Scrollò la testa. «Non è per me che dovresti dispiacerti! Non sono io la vittima di questa storia!»
Simone fu tanto colpito da quella frase che fece un passo indietro.
Furono parole che lo riportarono indietro al giorno della sua confessione a Tiziano, quando Simone gli aveva detto di essersi sentito in colpa ogni giorno della sua vita, per quello che gli aveva fatto, e Tiziano gli aveva risposto: non me ne faccio niente, del tuo dolore.
Di tutte le cose che Tiziano gli aveva detto, era stata quella che l'aveva ferito di più. Perché gli aveva fatto prendere coscienza del modo disgustosamente egocentrico in cui aveva vissuto quella situazione: era Tiziano la vittima, ma crogiolandosi nel proprio senso di colpa e autocommiserandosi, Simone aveva sempre concentrato tutte le attenzioni su se stesso, diventando il protagonista di una tragedia di cui era, in realtà, il carnefice.
Gli occhi gli bruciavano. Vedeva se stesso nel padre di Marco, e Tiziano nei panni di quel povero ragazzo del passato che il padre di Marco aveva picchiato. Rivedeva, in termini diversi, una situazione che conosceva sin troppo bene, e che lo tormentava ancora oggi.
Edoardo stava ancora piangendo. Aveva dato le spalle a Simone, e singhiozzava in silenzio, senza emettere un gemito.
«Hai mai provato a scrivergli?»
Simone si voltò verso la porta. Era appena entrato Marco.
«A quel ragazzo... quello che tu e i tuoi amici avete menato.» Il tono di Marco era duro. I suoi occhi pieni di rabbia.
Simone guardò di nuovo Edoardo. Stava guardando suo figlio. Il petto gli si alzava e abbassava vistosamente. «No» rispose seccamente.
«Ma l'hai mai cercato? Tipo su Facebook? Voi vecchi avete tutti Facebook, ce l'avrà anche lui...»
Il padre scosse la testa.
Marco sospirò. «Ti ricordi almeno come si chiama?»
«Certo che me lo ricordo» rispose Edoardo in tono quasi offeso. «Andrea Ricciardi.»
Marco si avvicinò alla scrivania, girò verso di sé il laptop di suo padre, aprì il browser, poi Facebook, e digitò il nome. C'erano diversi omonimi.
Il padre, che nel frattempo, si era portato alle loro spalle, ebbe un sussulto. «È lui...» disse, indicando un avatar.
Marco ci cliccò. Si aprì il profilo di un uomo con dei folti capelli ricci e brizzolati, il volto magro e sorridente, due vivaci occhi scuri. La foto che faceva da sfondo all'header lo ritraeva in tuta al centro di un gruppo di bambini, una squadra di pulcini: evidentemente non aveva abbandonato il mondo del calcio.
«A parte i capelli grigi, non è cambiato per niente...» commentò Edoardo con un filo di voce.
«Non posso crederci che non hai mai neanche provato a cercarlo...» disse Marco con astio.
«E perché avrei dovuto?»
«Per scrivergli? Per chiedergli scusa, magari?» Il tono di Marco era sempre più amareggiato.
«Non ha senso» ribatté Edoardo. «Per pulirmi la coscienza? Magari lui se n'è dimenticato, e scrivendogli non faccio altro che farlo penare di nuovo.»
«Non se n'è dimenticato» rispose Marco, secco.
Gli occhi di Edoardo si inumidirono di nuovo. Estrasse dalla tasca un fazzoletto e si soffiò il naso più volte.
«Scrivigli» disse Marco, in tono più dolce. «Dagli la possibilità di mandarti a fanculo.»
Il padre emise un sospiro. Rimase in silenzio per qualche secondo, fissando il profilo di Facebook aperto sullo schermo. «Andate via, lasciatemi in pace» disse infine.
Simone e Marco si diressero al corridoio, Simone ancora sottosopra emotivamente, e con le lacrime pronte a traboccare dai suoi occhi.
«No, aspetta. Simone, devo dirti una cosa. Marco, tu vai via.»
Simone si fermò. Era strano sentire il padre di Marco pronunciare il suo nome, era la prima volta che lo faceva.
«Sempre a parlare in privato, voi due...» borbottò Marco mentre usciva dalla stanza.
Quando furono soli, Edoardo aprì un cassetto della scrivania e ne estrasse un piccolo pezzetto di plastica, che mostrò a Simone.
Simone impiegò qualche secondo a identificare in quel triangolino un pezzo della confezione del preservativo che lui e Marco avevano usato (e rotto) in cucina.
«L'ho trovato per terra in cucina» disse il padre di Marco, in tono cupo.
«Oh...»
«La tua faccia è diventata del colore dei tuoi capelli.»
Me n'ero accorto, pensò Simone, che si sentiva le guance in fiamme.
«Bravi.»
«Eh?»
«Bravi» ripeté Edoardo, annuendo. Poi indicò Simone. «Continui a non piacermi. Ma con questo tu e Marco vi siete guadagnati dieci punti fiducia.»
«Ah... mmm... ok?»
«E adesso vai. Lasciami solo.»
Simone annui. «Va bene.»
Simone voltò le spalle, Edoardo disse ancora un'ultima cosa. «Come finisce la storia di Camporese?»
«Ha denunciato i bulli, li hanno condannati. È guarito dalle ferite, sia fisicamente che mentalmente. E poi...» Simone si girò e lo guardò. «Finisca di guardare il video. È una storia molto bella, soprattutto quello che fa Claudio alla fine.»
Il padre annuì. Accennò un sorriso, un sorriso che durò meno di mezzo secondo. Simone ricambiò il sorriso con un altro più ampio, e finalmente uscì dalla porta.
Dove ovviamente trovò Marco. «Ho cercato di origliare, ma non ho sentito niente» sussurrò. «Cosa ti ha detto?»
Simone portò una mano davanti al viso, poi parlò all'orecchio di Marco. «Ha trovato per terra in cucina un pezzo della confezione del profilattico che ho rotto.»
Marco digrignò i denti in una smorfia preoccupata. «Mi sembrava di aver buttato tutto!»
«Era un pezzetto minuscolo, non so neanche come ha fatto a capire che era la confezione di un preservativo...»
I due ragazzi si diressero alla camera di Marco.
«Che, tra parentesi, come cavolo ho fatto a strappare quel pezzetto minuscolo io non lo so... di solito quelle confezioni si aprono in due pezzi, mica si sbriciolano...» proseguì Simone, a bassa voce.
«Eri fuori di te... eri stato tipo posseduto dallo spirito di un tritacarte, l'altra sera...»
Entrarono in camera e Marco chiuse la porta. «E quindi cosa ti ha detto? Si è incazzato?» chiese, con un volume di voce finalmente normale.
«No, anzi, era contento» rispose Simone. «Mi ha detto che abbiamo guadagnato dieci punti fiducia.»
Marco alzò un sopracciglio.
«Ti giuro!» ribadì Simone.
«Mah...» Marco fece spallucce. «Strano...»
«Secondo me sei troppo ostile nei suoi confronti» disse Simone.
«Tu non sai com'è vivere con lui. Vivere con una persona che ti disapprova e ti disprezza.»
«Non è vero che ti disprezza.»
«Tu non sai!» ribatté Marco alzando la voce. «L'altro giorno ti ha detto che non ha problemi col fatto che sono gay? Be', lo dice ma non lo pensa! Io lo capisco, sono cose che si capiscono...» Marco si lasciò cadere seduto sul letto, incassò la testa nelle spalle, lo sguardo basso e triste.
Simone andò a sedersi accanto a lui. «Non sto dicendo che sia un santo, e non sto dicendo che non abbia problemi con te, è evidente che li ha. Anche a me ha fatto qualche battuta un po' fuori luogo... Però devi capire che ha vissuto moltissimi anni della sua vita in un ambiente tossico, e certe cose, certi pregiudizi, stereotipi, è difficile scrollarseli di dosso.»
«Ottima scusa» ribatté Marco.
«Ci sta provando. È evidente che ci sta provando. E che ci sta male per quello che ha fatto in passato.»
Marco contrasse la mandibola, strinse le labbra, Simone lo udì strofinare i denti tra loro.
«E io lo capisco» proseguì Simone. «Perché anch'io ho fatto in passato delle cose per cui mi sento ancora in colpa.»
«Non sono paragonabili.»
«Lo dici tu.» Simone si sentì di nuovo assalire dalla tristezza. «Diventare un calciatore era il sogno di Tiziano da quando era bambino. Aveva fatto tanti sacrifici per realizzarlo, e io gliel'ho portato via per un capriccio. E per due anni lui ha continuato a sbatterci la testa, senza arrendersi, e soffrendo perché non capiva cosa ci fosse che non andava. Per due anni ha sofferto per colpa mia, perché gli avevo rubato il sogno più grande della sua vita. È vero, non gli ho fatto male fisicamente, ma...»
Simone dovette interrompersi, fu sorpraffatto da una piccola crisi di pianto.
Marco lo abbracciò, gli accarezzò la testa, mentre Simone si lasciò un po' andare.
«Niente da fare» disse Simone, dopo qualche minuto di lacrime. «Sono proprio un frignetta, non cambio mai.»
Marco rise. Si allontanò, lo guardò e gli accarezzò il viso. «Non immedesimarti in mio padre» gli disse sorridendogli.
«Non posso farne a meno» rispose Simone.
Marco prese un respiro, annuì. «Comunque... sono disposto a dargli una possibilità, se davvero...»
«Io penso ci stia provando davvero. Da molto più tempo di quel che pensi.»
Non ci furono altre parole, tra Marco e Simone, per l'ora successiva. Ci furono amore, abbracci e baci appassionati. Questa volta fu Simone, a prendere in mano le redini della situazione, e andò tutto per il meglio.
Usciti dalla stanza, dopo circa un'ora, trovarono Edoardo e Alessia che chiacchieravano sul divano. Sembravano sereni. La madre sorrise a Simone, gli chiese come stava.
Il padre aveva una notizia.
«Mi ha chiamato un certo Giacomo... Mi ha detto di essere il tuo agente» disse rivolto a Simone.
«Il mio agente che si fa vivo due volte l'anno...» scherzò lui sarcastico. In realtà era preoccupato da quella telefonata. «Cosa voleva?»
«Propormi un contratto di rappresentanza per Marco.»
«Grande!» esclamo Marco. «È dell'agenzia che segue anche Tiziano, no?»
«Sì» confermò Simone.
«E tu cosa gli hai detto?» chiese Marco al padre, quasi saltellando dall'entusiasmo.
«Che ci pensiamo su. Mi ha detto anche un'altra cosa.»
«Perché la fai lunga? Dimmelo subito!» lo incalzò Marco.
«Il Benevento è interessato a comprarti. Anzi. A comprarvi. A tutti e due.»
Simone e Marco spalancarono la bocca e si guardarono per qualche secondo prima di abbracciarsi e mettersi a saltellare in mezzo al salotto.
«Cos'è, un nuovo ballo di gruppo?» disse Giulia entrando nella stanza.
Marco lasciò Simone e prese la sorellina per le spalle. «Vado a giocare a Beneventooooo!» gridò Marco scuotendola per le spalle.
«In serie B?» chiese la sorella, con la voce che tremava per gli scossoni.
«Non abbiamo ancora accettato...» disse Edoardo, sorridendo. «Non mi ha nemmeno ancora detto le cifre del contratto.»
«Eddai, sono sicura che sarà una buona offerta, è un'agenzia seria, quella» intervenne Alessia, dando al marito un buffetto sulla spalla. «E Marco accetterà. E io sono contenta. Anche se Benevento è così lontana...»
Simone era incredulo. «Non posso credere che quello stronzo di Giacomo non mi abbia ancora telefonato per dirmelo... lei è sicuro che vogliono prendere anche me?»
«Me l'ha detto esplicitamente» confermò Edoardo.
Intanto Marco stava misurando la stanza a saltelli cantilenando: «Be-ne-ven-to! Be-ne-ven-to!»
Simone cominciò a ridere. Fu dapprima una risatina a basso volume, ma guardare Marco che saltellava la fece aumentare di intensità.
«Be-ne-ven-to! Be-ne-ven-to!»
Anche Simone si unì al coro. «Be-ne-ven-to! Be-ne-ven-to!»
E si unì anche Giulia. E dopo qualche secondo Alessia.
Saltellando e sillabando, Marco fece cenno al padre di alzarsi.
«Preferirei non essere portato al manicomio insieme a voi» disse lui.
Ma Alessia lo tirò su di peso, lo costrinse a saltare, e lui cominciò a ridere e ripetere il nome insieme a loro.
Finì per esaurimento, in una risata collettiva.
Edoardo batté una pacca sulla spalla del figlio. «Sono contento che vai in serie B. Te lo meriti.»
Marco gli sorrise. Poi guardò Simone e sorrise anche a lui. «Andiamo insieme! Giocheremo insieme!» In un passo fu da lui e lo abbracciò. Simone lo strinse, lo strinse forte chiudendo gli occhi.
Quando li riaprì, fu colpito dallo sguardo intenso di Edoardo.
«State attenti, ragazzi...» disse. Improvvisamente era preoccupato, sofferente.
Simone, continuando a stringere Marco, sorrise al padre, annuì. «Non si preoccupi» disse. «Staremo attenti. E io mi prenderò cura di lui.»
«Tu? Ma se sono sempre io che ti tiro fuori dai casini!» ribatté Marco.
L'espressione di Edoardo si indurì. «Al primo accenno di casino, Marco torna a Modena.»
Marco sbuffò. «Soccia papà, che menagramo che sei!» Marco prese Simone per mano. «Non devi preoccuparti per noi, sai? C'è un proverbio, una specie di proverbio, un motto, non so come definirlo, in cui credo tantissimo.»
«E sarebbe?» chiese il padre.
«L'amore vince tutto!» sentenziò Marco in tono sognante.
«Ugh...» disse Giulia, portando due dita alla bocca. «Mi è appena venuta una carie...»
Alessia tirò uno scappellotto sulla nuca della figlia. «Ma stai zitta, che mi sono commossa...»
Simone notò che la madre aveva davvero gli occhi lucidi.
«Sono belle parole, ma le belle parole non servono a niente...» disse Edoardo.
Marco scosse la testa. «Non sono solo parole.» Strinse più forte la mano di Simone e lo guardò negli occhi. «È una verità.» Sorrise. «Noi lo sappiamo...»
Simone gli sorrise a sua volta. «Sì, lo sappiamo.»
E nel suo cuore, in quel momento, non c'era spazio per l'amarezza, la tristezza, la paura. C'erano solo gioia e serenità, e un senso di trepidante attesa per il futuro.
Perché nel futuro c'era Marco, e c'era amore.
E Simone lo sapeva, lo sapeva meglio di qualsiasi persona al mondo, che era proprio vero: l'amore vince tutto.
—
Le note dell'autore che vi manca tanto...
E allora, ho approfittato di questo capitolo per raccontare un po' della backstory che avevo già immaginato sul padre di Marco. Storie sordide e tristi, che ritraggono un personaggio grigio, grigio scuro, che sta faticosamente cercando di redimersi. Voi cosa ne pensate?
Mi sono un po' ispirata, per questa storia, a un libro bellissimo e straziante che consiglio a tutti: Nel fango del dio pallone, autobiografia di Carlo Petrini, ex calciatore di serie A, scomparso qualche anno fa. Se volete leggere delle confessioni brutalmente sincere sulle merdate che succedevano negli spogliatoi e dietro le quinte dei campionati di serie A negli anni '70 e '80, leggete questo libro. Un personaggio che non vuole far nulla per farsi piacere e che non nasconde nulla delle cose peggiori che ha fatto.
E detto questo... spero vi sia piaciuta la prima volta dolcina dolciosa dei Marone (niente da fare, 'sti due mi ispirano fluff). Aveva ragione Claudio su Simone passivo, ahaha! Anche se credo che in futuro lo vedremo toppare più spesso.
Piccola nota sul Benevento: sì, lo so che nel 2021 giocheranno in serie A. La simpatica tinabianchini (grande tifosa del Benevento - sappi che la squadra l'ho scelta pensando proprio a te) ce lo ha fatto ripetutamente sapere sul gruppo Telegram (a proposito, iscrizioni sempre aperte, mandatemi il vostro nick in messaggio se volete entrare). Ma questa è un universo alternativo, in cui il Benevento per quest'anno è ancora in B, e magari, chissà, arriverà in A l'anno prossimo proprio grazie a Simone e Marco ;)
E il romanzo tennistico? Procede, procede! Iscrivetevi al mio profilo se volete restare aggiornati e... vi ricordate la stellina? Non mi offendo mica se me ne lasciate una :)
A presto!
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